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May 16, 2008 21:27

E' successo che oggi ho visto paprika di Satoshi Kon. Tutto ruota intorno ad un oggetto oscuro, il DC mini, una macchina capace di guardare i sogni e di entrarci dentro. Viene utilizzato per curare le nevrosi dei pazienti agendo direttamente nel loro subconscio. Il problema nasce quando uno dei 3 DC mini esistenti viene rubato, ed il personaggio che lo usa in modo palesemente improprio (ma va?) porta le sue vittime a, letteralmente, sognare ad occhi aperti, portandoli alla confusione fra mondo reale/onirico. Il creatore dell'aggeggio è tale dr.Tokita, un uomo enorme e vorace ma col carattere di bambinone. La dottoressa che usa tale aggeggio si chiama Atsuko Chiba. Caratterizzata dalla rigida professionalità e dal carattere gelido. Il punto è che durante le visite ai pazienti, esce il suo sensuale e provocante alter ego. Paprika. Attraverso il suo alter ego, at-chan cercherà di debellare entrando lei stessa nel proprio sogno, l'attività del terrorista, in un crescendo di intensità di azione che poterà le sue due anime, at-chan e paprika, a trovarsi una di fronte all'altra per la soluzione finale, surreale ed a tratti assurda, proprio come sono i nostri migliori sogni.

Era qualche mese (nell'ordine della decina) che mi ero ripromesso di guardare tale anime, con l'ammonizione che forse per il sottoscritto sarebbe stato di difficile comprensione, non conoscendo l'autore ed essendo l'intreccio, diciamo così, pesante. Diciamo che la difficoltà maggiore è stata imbattermi nel sub in inglese (bah). Perchè per il resto, le immagini surreali rievocate, l'eterna confusione fra mondo reale e mondo onirico -confusione nel senso buono, cioè, la suspence sta nel fare fatica a capire se quello che si vive è un sogno o una realtà-, scene al limite del grottesco, come una parata che torna ciclica nel film, capeggiata da un frigorifero con dentro un mangianastri, la cura nel dettaglio e nell'uso delle tecniche piu avanzate, il fatto di rendere le figure del sogno protagoniste del proprio vissuto, come se fossimo di fronte ad un film e loro fossero gli attori, tutto questo lo rende un lungometraggio di spessore e di valore. Forse l'unica cosa che posso imputargli è comunque una difficoltà nell'ingranare, specie all'inizio, quando vengono presentati i vari tasselli che comporranno poi alla sequela degli avvenimenti. Però, personalmente, per essere il primo accostamento ad un anime di così complessa fattura, posso ritenermi più che soddisfatto. Sia nella realizzazione, sia nella caratterizzazione dei personaggi, sia dalla storia in se, sia dalla sua conclusione.

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E sfruttando la mia disoccupazione post magistrale, il pomeriggio ogni tanto me ne vo al cinema. Ultimo film visto, La banda. La storia della banda della polizia di Alessandria d'Egitto inviata in Israele a suonare all'inaugurazione di un centro culturale arabo. Nessuno accoglie a Tel Aviv la nostra banda, e la difficoltà di pronunica in arabo della lettera P porterà inconsapevolmente il colonnello Tawfiq, maestro dell'orchestra, a condurre la propria banda anzichè a Petah Tikva (destinazione) a Bet Hatikva (imponendo al sottoposto Khaled di acquistare i biglietti per la città sbagliata). Bet Hatikva si rivela essere un posto depresso nel deserto isrealiano, dove l'unico luogo di vita è uno scalcinato ristorante gestito dalla bella Dina.
Una storia fatta di incontri di anime sole, accomunate dalla loro tristezza, che travalica la distanza geopolitica immane che divide le due anime protagoniste di questo film (l'egiziana e l'israeliana). Una storia dove l'emozione data da una canzone tradizionale di Umm Kalthoum e le immagini di un amore ispirato da Omar Sharif possono risvegliare le antiche passioni sepolte dalle amarezze. Una storia il cui finale non deve essere per forza scontato, ma può anche essere troncato, chiudersi così, a sorpresa, per stupire e lasciare sospesi, come l'ouverture del clarinettista Simon, una storia in cui l'amore ed il rispetto verso un'altra persona non ha barriere nè di lingua nè di ideologia, dove una mano sul ginocchio ed un fazzoletto porto al momento giusto hanno lo stesso valore universale.
Un'opera dolce, sussurrata, che passa come delle dita fra i capelli, capace di coccolare e di non farci sentire soli nella quotidianità, dove la freddezza di un'incontro fra sconosciuti viene spazzata cantando Chat Baker oppure summertime, dove ognuno trova qualcosa nell'altro a cui attaccarsi per crescere e migliorare.
Un'opera bella, bella, bella, capace di far sorridere e far pensare.
Con una colonna sonora dolcissima che vede protagonista la grande Umm Kalthoum, la voce egiziana del mondo arabo, che nel film viene citata più volte come ambasciatrice dell'amore come sentimento puro capace di risvegliare il cuore dalle iniquità della vita, il cappello ideale per un film e per un momento della vita dove basta un abbraccio di questi per sentire il giusto calore
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