Titolo: It's My Own Cheating Heart That Makes Me Cry
Autrice: Vany (
vedova_nera)
Beta:
eowie ♥
Fandom: A Song of Ice and Fire
Personaggi: Tyrion Lannister, menzioni e nomine varie a Varys, Jaime Lannister, Cersei Lannister, Joffrey Lannister, Tysha, Tywin Lannister e non so più chi altro.
Pairing: Tyrion Lannister/Jaime Lannister, Tyrion Lannister/Tysha, Tyrion Lannister/OFC
Rating: R
Conteggio Parole: 4.162 (W)
Avvertenze: Slash, relazione tra consanguinei per procura, amenità varie in linea con la saga.
Disclaimer: I personaggi appartengono a George R. R. Martin ed, eventualmente, anche a coloro che ne hanno acquistato i diritti. Io non ci guadagno nulla ma mi diverto comunque un sacco.
Note: • LINDA LINDA LINDAAAAAH, TANTISSIMI AUGURI PER IL TUO COMPLEANNO, AMATA MIA! ♥ Spero che il regalo ti piaccia e di aver reso la tua serata un po’ più felice. Ti amissimo. *abbraccia la sua socia*
• In linea di massima non tiene conto del capitolo di Tyrion rilasciato da Martin come anticipazione di A Dance With Dragons, a parte qualche dettaglio random che ho buttato dentro - cioè, ok, qualcosa di più che qualche dettaglio random -, e lo sviluppo ovviamente me lo sono tirato dietro io perché non so cosa succede oltre quel capitolo e poi la fic doveva essere uno degli OTP di Linda, quindi le cose sono un po’ virate altrove per forza di cose.
• Non so bene come sia uscita. Cioè, ero partita con tutta un’altra idea, ovvero una specie di flusso di coscienza che avrei esaurito in breve e che mi lasciava sconfortata solo a pensarci. Poi lei è arrivata ed è stata modificata per ben tre volte nella trama, finendo anche mozzata di tutta una parte - che nella mia mente costituisce già il seguito di questa fic - perché non ce l’avrei fatta a finirla in tempo, e quindi ora io le voglio un po’ bene, anche se non è introspettiva come vorrei.
• Per il titolo si ringraziano i Glasvegas.
It's My Own Cheating Heart That Makes Me Cry
Passa barcollante oltre le voci di Lum e Lester, ignari, ancora impegnati in conversazioni futili e scommesse inutili. Cerca di fare il più piano possibile acuendo, come poco prima, durante la scalata, tutti gli altri sensi, provando a non affidarsi solo alla vista e restando cieco, nel nero pece che lo circonda.
Dopo il corridoio inizia la discesa.
Scendere i pioli è ancora più faticoso di quanto non lo sia stato salirli, a conti fatti.
Almeno per il suo cuore: il timore di mettere un piede in fallo, nell’oscurità assoluta che lo circonda, e ruzzolare giù per metri e metri gli fa una paura tale da bloccarlo per interi minuti, ansante, aggrappato con inaudita forza ad una di quelle piccole sporgenze di ferro da cui dipende tutta la sua vita.
L’angoscia di cadere è pari solo al dolore che prova in tutti i muscoli del corpo.
Si sente squassato e non vede l’ora di arrivare in fondo, dove potrà finalmente mettere i piedi a terra.
Procede lentamente, pur sapendo che il tempo è poco e Varys lo sta aspettando.
Non è agitato: sa che lì, dove si trova, nessuno lo potrà scoprire né catturare; sa che prima che venga trovato il corpo del lord suo padre passerà tutto il resto della notte - a proposito, è ancora notte? - e buona parte della mattina. Solo quando il Primo Cavaliere non comparirà per assolvere ai suoi doveri verrà mandato qualcuno a controllare i motivi dell’assenza, scoprendo così il duplice assassinio. Quasi riesce a vederle, le urla delle guardie nel non ricevere risposta e gli uomini che provano a buttare giù la porta in pesante legno, riesce a vedere lo spettacolo che si parerà davanti ai loro volti dopo averla divelta, nel sentire il lezzo della morte che ha invaso le stanze.
Così non si preoccupa, se non di scendere con attenzione i piccoli scalini a tentoni nel buio.
Arrivato in fondo, Varys lo accoglie con un sibilo che lo spaventa e lo destabilizza sulle gambe già indolenzite.
Mentre l’eunuco lo trascina via, Tyrion fatica a mantenersi in equilibrio e, libero dall’ansia di cadere, la realtà di ciò che ha fatto lo colpisce in pieno, spingendo il suo battito cardiaco a mille e mandandogli un brivido formicolante su per la spina dorsale.
Nel trambusto interiore non riesce a capire se sia paura o euforia. Decide per la seconda e, finalmente, può gustare il primo boccone della sua vendetta, iniziare a raccogliere ciò che gli spetta.
Adesso, però, l’unica cosa che importa è uscire da là dentro al più presto.
“È quasi l’alba”, biascica Varys, dopo diversi minuti di marcia.
Sono ancora sotto la Fortezza Rossa, Tyrion può discernerlo dai corridoi stretti, pieni di incroci e a tratti riscaldati, che incontrano.
“Sarà un problema?”, domanda allora, incerto.
“Sì, se ci prendono.”
E il nano comprende che l’eunuco è preoccupato per sé, per la sua incolumità: non c’è più vita all’interno della Fortezza, più nessun posto che lo attende nel Consiglio Ristretto e, probabilmente, nemmeno in tutta Approdo del Re. Quindi metterlo in salvo come gli è stato ordinato è l’unica cosa da fare prima di andare a nascondersi - da Jaime, da Cersei e, forse, anche da lui stesso - da qualche parte, in un buco sicuro dal quale non uscire mai più, fino a quando non sarà certo di non correre più alcun pericolo.
Il percorso è interminabile.
Camminano in silenzio per quelle che sembrano ore intere, poi, quando i muri del tunnel iniziano ad apparire umidi e qualche goccia d’acqua scivola in rivoli giù da essi e dal soffitto, l’eunuco si gira all’improvviso e, allungandogli una veste marrone da Septon identica alla sua, gli comanda di indossarla con fare spiccio.
“Già, perché sono sicuro che questa renderà proprio impossibile identificarmi”, borbotta il nano, infilandola comunque. Getta via gli stivali, lasciandoli cadere sulla tunica consunta che gli avevano dato il giorno dell’incarcerazione, e calza un paio di sandali di cuoio al loro posto.
“Darai meno nell’occhio”, ribatte semplicemente l’altro, e riprende a muoversi verso - ora lo può chiaramente vedere anche Tyrion - un pallido puntino azzurro alla fine della galleria.
Sbucano all’aria aperta una manciata di minuti più tardi, davanti a lui solo mare e cielo tinto dei colori dell’alba, ancora puntellato qua e là di stelle quasi addormentate.
Voltandosi indietro, il più giovane dei due nota che l’uscita sfocia da quella che, vista dall’esterno, sembra a tutti gli effetti una grotta sotterranea sita su una nicchia sicura e protetta della baia.
Individua subito la galea che deve portarli al di là del Mare Stretto e, con un tuffo al cuore, segue ancora una volta il Maestro delle spie, affidandosi a lui nonostante le proprie incertezze.
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Una caraffa vuota rotola giù dal tavolo e vola ad infrangersi contro una delle pareti della cabina alla prima onda alta che la piccola imbarcazione prende in pieno, ammortizzandola tutta in un sussulto che sembra squassarla, persino ribaltarla, seguendone le forme liquide.
Tyrion, dietro al rumore di cocci rotti e le imprecazioni che si è lasciato sfuggire, crede di aver distinto chiaramente anche lo schiaffo dell’acqua sotto lo scafo, ma poi si dice che è ridicolo solo pensarlo in mezzo allo sciabordio continuo che lo accompagna da giorni, e che i suoi sensi sono ormai troppo annebbiati dal vino e da quella reclusione forzata - che è di poco diversa da ciò che ha subito ingiustamente ad Approdo del Re - in cui non fa che dormire e pensare, confondendo la realtà con i ricordi e la fantasia.
I pezzi di argilla, finiti in ogni dove nello schianto, vengono poi sparsi sul pavimento dal mare ingrossato e l’uomo, scendendo dalla branda che ormai è la sua più fedele compagna, presta attenzione a non calpestarli con le piante dei piedi nudi.
Raggiunge il tavolo, rammaricandosi dell’assenza di altro vino e, preso posto su una delle due panche inchiodate al fondo della cabina, appoggia il capo contro il legno grezzo del ripiano.
Trascorre le giornate così, immerso nella solitudine e nel dormiveglia, intontito dall’alcool e preda sempre più spesso di una sorta di umore nero da cui non crede saprà mai liberarsi completamente, e che contamina l’aria del piccolo e sudicio abitacolo che lo ospita.
Intrappolato lì dentro, si ritrova sovente vittima di ricordi che vorrebbe dimenticare - o perlomeno allontanare temporaneamente, per farci i conti dopo, a stomaco pieno e coi piedi sulla terra ferma.
Eppure, l’assassinio del padre - di cui non si pente, ma che è lì, pronta da scontare, un peso da trascinare con sé ovunque andrà, nonostante la parte malvagia dentro di lui miagoli soddisfatta - non gli dà tregua, tornando di continuo a bussare alla porta della sua mente.
Ed insieme ad essa torna anche la memoria di Jaime, come una specie di eco all’uccisione stessa, parte integrante dell’accaduto: il suo tradimento, quel suo sciocco e continuo affidarsi a loro padre, nonostante l’insensatezza che lui stesso riesce a scorgere in quel comportamento.
Soprattutto, però, a ferire Tyrion, è stata la dimostrazione di non conoscerlo affatto, arrivando a chiedergli della morte di Joffrey - che aveva i suoi occhi, specchi dello stesso colore dell’acqua al mattino, e che era suo figlio per quanto infame fosse, e mai lo avrebbe ucciso.
E il suo sorriso, certo, ricorda il sorriso di Jaime, l’increspatura quasi costante delle sue labbra, come se in lui ci fosse una felicità inabissabile, perpetua.
A così breve distanza dalla scoperta della verità, non sa ancora se riuscirà mai a perdonarlo per Tysha - Tysha, che aveva il sole sulla pelle e fiori pallidi tra i capelli di seta e lo amava per quello che era, così com’era. Una parte di lui vorrebbe che la ragione che ha spinto il fratello a mentire fosse diversa, che non fosse solo un banale ordine di loro padre.
Una parte di lui lo invita ancora a sperare.
E si domanda, fissando un punto imprecisato della parete se, tra qualche anno - ammesso che riesca a superare indenne quel viaggio e sopravviva ad eventuali tagliagola una volta giunto in una qualsiasi delle Città Libere -, questo suo fratello sciocco gli mancherà ancora quanto gli manca adesso. Se il sole che filtra attraverso le fronde verdi di un albero di melograni, in giochi di luce sempre diversi, gli farà tornare alla mente il colore dei suoi occhi o se sarà semplicemente sole e luce nella freschezza verdina di un frutteto.
Il vino - o perlomeno la sua assenza - lo fa diventare sentimentale, non c’è dubbio. E stolto, troppo stolto, persino per lui.
Però il pensiero del fratello rimane lì, agghiacciante nella sua irraggiungibilità. Se potesse, farebbe virare quel dannato trabiccolo su cui viaggia, puntando dritto verso Approdo, solo per rivederlo, per chiedergli la verità e di partire insieme a lui e recuperare tutto ciò che hanno perso.
O, forse, esclusivamente per ucciderlo con le proprie mani.
Il sonno lo accoglie tra le sue braccia non appena le acque si calmano nuovamente, e sprofonda nell’oblio in un attimo, non sentendo nemmeno il ragazzino entrare nella cabina con dei viveri.
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Il luogo è claustrofobico, invivibile, e la breve ma giornaliera convivenza con il cabinante muto, mentre questi fa le pulizie, non aiuta a distendere la tensione.
L’incertezza sulla propria meta e salvezza non fa che accumularsi a due settimane dalla partenza, e Tyrion può quasi vedere il punto di rottura avvicinarsi sempre più.
“Questo cibo fa schifo”, borbotta, scostando il piatto di fronte a sé in malo modo.
L’altro nemmeno si volta, continua a grattare il pavimento con la spazzola, attirando a sé sistematicamente il secchio colmo d’acqua.
Il nano cerca di ingoiare un altro boccone di formaggio, ma il poco che ha ingerito sembra voler ritornare su, così lascia perdere del tutto.
Il ragazzo, finito di pulire a terra, dà una passata veloce al tavolo per liberarlo dalle briciole del pane duro che quasi non è stato toccato e riprende il piatto con i resti del cibo.
Tyrion grugnisce qualcosa e si alza unicamente per andare a sdraiarsi sul letto, lo stomaco che brontola e la testa che gli gira per il troppo vino.
Non c’è modo di lasciare la cabina, nemmeno per qualche minuto durante la notte e, a prestare ascolto alle ultime parole che l’eunuco gli aveva sussurrato prima che si imbarcasse, bisogna fare attenzione anche nel bel mezzo del nulla.
Non sai mai gli occhi di chi possono vederti, aveva mormorato con quella sua voce nuova, dura, che ha perso ogni traccia della consueta vezzosità.
In ogni caso, il capitano della galea ha impedito l’unico tentativo da lui intrapreso la prima sera.
“Ubriaco come sei, nano, finisci di sicuro in mare. E io non ti mando a recuperare rischiando uomini forti, stanne certo.” La questione si è chiusa lì e Tyrion, desolato, non ha potuto far altro che rassegnarsi.
Uscire però, è convinto, aiuterebbe a sopportare quel viaggio sfiancante, la presenza regolare del ragazzo e i suoi silenzi estenuanti.
Non che il tempo lo permetta: da quando sono salpati ci sono state tre giornate buone, in cui la brezza notturna era fresca e pulita e dannatamente piacevole dopo i giorni di detenzione nelle celle della Fortezza Rossa.
Ma è durata poco, come tutto il resto della vita di Tyrion Lannister, e ne ha potuto godere solamente tramite il piccolo oblò sito in alto su una delle pareti, unico mezzo messo a disposizione per il ricambio dell’aria.
In compenso, per un qualche scherzo del destino, il tragitto è disperatamente lungo, gravoso, monotono, costellato di tempeste in cui la nave danza sul mare agitato, e il mondo sembra muoversi anch’esso insieme al rollio frenetico dell’imbarcazione.
Sogna di essere altrove, perché non gli resta molto altro da fare nella traversata. Affoga i propri pensieri nel vino scadente, insieme ai sentimenti, tentando di dormire il più possibile, nella disperata ricerca di una fetta di pace che gli viene negata anche dal tempo - o dagli Dei, chi può saperlo? - e sogna di essere altrove.
E quell’altrove in cui viene condotto è sempre casa: i corridoi di roccia salina di Castel Granito si aprono limpidi davanti a lui, può distinguere gli arazzi che li ricoprono e immergersi nelle sue ariose stanze chiare, inondate dal sole del mattino, dorate, e percepire sulla propria pelle la brezza, l’odore del mare - che non è lo stesso che sente ora, in quel cubicolo, ma che ha dietro tutta una gamma di profumi unici, anche se forse è solo la nostalgia a parlare, il desiderio di tornare nei luoghi in cui, se non è stato felice, ci è andato disperatamente vicino.
Ogni qualvolta si sveglia dopo uno di quei sogni, il suo umore è un po’ più pessimo di prima e il suo cuore un po’ più duro, più disperato, e perfettamente conscio che non c’è altro luogo in cui poter vivere se non al di là del Mare Stretto, dove non verrà cacciato come traditore e assassino di re.
E così, le Città Libere come meta, e cuore e testa tutti da un'altra parte.
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Nei brevi attimi di lucidità che lo colgono durante la traversata, quando il ragazzino non è ancora arrivato con la nuova razione di vino e pensare è inevitabile, naturale, nonostante i feroci mal di testa post-sbornia che lo afferrano senza scampo, si riscopre abbastanza divertito nell’essere accusato dello stesso reato che ha commesso Jaime quasi due decenni prima, rileva una certa ironia nelle accuse che lo stanno obbligando a fuggire.
Ogni qualvolta il pensiero lo colpisce, inevitabilmente, una risata gli sale alle labbra e fugge via, amara e fuori luogo nella piccola cabina buia.
In una mattina chiara e fortunatamente ventosa, quel breve pigolio esploso dalle sue labbra sembra scuotere il giovane, arrivato per sbrigare le faccende quotidiane, che gli regala un’occhiata di sottecchi: nonostante i suoi silenzi infrangibili, è la sua unica compagnia ed è grato di quello sguardo fugace, gli ricorda di esistere.
Occasionalmente si è ritrovato a ragionare sulla possibilità che, oltre alla sua, sia anche quella dei marinai, ma arrivato a quel punto del viaggio sa che chiedere o fare battute è inutile: la sua domanda finirebbe nel vuoto come tutte le altre.
Dove vanno le puttane?
Ride di nuovo, più amaramente di prima, il capo poggiato contro il cuscino. Mentre è ancora impegnato in quell’eccesso di risa, il capitano fa il suo ingresso, fermandosi sulla porta, l’usuale aria burbera e aspra eclissata dalla perplessità.
“Mi fa piacere vedere che non perdi il buon umore”, dice accarezzandosi la barba corta con la mano destra, a metà tra il sarcastico e il faceto, in un brusco tentativo di scambiare due parole e soddisfare la propria curiosità sulla natura di quel riso.
Ogni traccia di tensione è scomparsa dal volto dell’uomo appena la galea ha preso il largo, abbandonando le coste dei Sette Regni ma, anche lui, non è immune al fardello di quel viaggio segreto il cui compito è scaricare un nano traditore sulla costa di una delle Città Libere.
“Quanto manca?”, domanda Tyrion, ignorando il latente tentativo di comunicare.
“Una settimana, forse due. Dipende dai venti”, risponde il capitano con un sospiro stanco.
Se non altro, pensa Tyrion, non si sta divertendo nemmeno lui. Una settimana, però, è un tempo accettabile, scomponendola in giorni potrà essere affrontata, in qualche modo.
Stava iniziando a pensare che si sarebbe gettato in mare.
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“Ty, cosa pensi di fare con quella spada?”, chiede Jaime ridendo, con quella sua dolcezza segreta che ha riservato a poche persone, ma che è sempre stata lì, sin dall’infanzia, gli occhi ridotti ad una striscia verde di lampeggiante divertimento.
Nel sentire la voce del fratello, Tyrion scatta a sedere di colpo. La penombra della stanza lo fa sentire sperduto per pochi secondi, mentre la sua mente cerca di mettere a fuoco dove si trova.
“Era solo un sogno”, mormora, desolato, appena si rende conto di essere nella camera da letto della casa che Illyrio gli aveva trovato, sebbene il Magistro non fosse d’accordo con la sua decisione di stabilirsi a Pentos fino a tempo debito.
Scosta le coperte e scende dal baldacchino troppo alto, usando come tramite tra lui e il pavimento uno scendiletto rivestito in seta damascata. Oro e porpora.
Sognare Jaime è diventata quasi un’abitudine negli ultimi tempi, ma non riesce a considerarla come tale perché ritrovarselo lì, a portata di un soffio, lo destabilizza ogni volta e gli impedisce di andare avanti, di rimettere insieme i pezzi della sua vita e renderla libera da tutto, invece che ancora legata a doppio nodo al passato - pieno di odio, risentimento e desiderio di vendetta. E amore, sotto sotto, seppur lo neghi anche a se stesso.
Sono passati quattro mesi dalla notte della sua fuga e le notizie affidabili arrivate dai Sette Regni sono state poche. Tyrion è convinto che Varys tenga informato il Magistro - non dubita che il Ragno sia ancora vivo, nascosto da qualche parte -, mettendolo al corrente di ogni più piccolo sviluppo sull’attuale situazione politica. Ma entrarne lui stesso in possesso, evitando di affidarsi solamente a quelle scremate e in parte alterate di Illyrio, non è semplice. Irrazionalmente, gli è venuto il sospetto che l’uomo abbia visto cosa si cela realmente nel suo cuore, che il legame che lo ancora alla sua vecchia vita sia chiaro ai suoi occhi, e filtri le informazioni di conseguenza - come se lui potesse tornare indietro senza rischiare la pelle, o fosse così stupido da farlo nonostante il pericolo che correrebbe.
Così, non c’è altro che possa fare se non accontentarsi delle chiacchiere da osteria, che prende per vere solo dopo averle sentite decine di volte, e da ciò che viene a sapere dai marinai, perché è l’unico modo per collegare i vari fili, per riuscire a mettere insieme un quadro della situazione globale.
I primi tempi li ha passati a saltare da una città all’altra, seminando false piste, temendo ovunque di essere riconosciuto e cacciato da mercenari e assassini al soldo di Cersei, ma niente è successo e la conferma che sua sorella è stata imprigionata, appresa una notte in una taverna desolata di Braavos, lo ha fatto decidere in via definitiva per Pentos dopo essere passato per Lys - una meta quasi obbligata, aveva ritenuto -, tornando così al punto di partenza del suo peregrinare.
Spesso si è chiesto, e si chiede ancora, quali siano le reali cause dell’arresto, se i Tyrell siano da imputare a quelle cause o se è unicamente se stessa, la sua stupidità e avventatezza che Cersei deve ringraziare, ma le voci sulle possibili motivazioni dell’incarcerazione sono tante e darne una per certa sarebbe solo sciocco.
Allora Tyrion attende, attende di sapere se, un giorno, potrà mai ritornare indietro.
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Caracolla ormai completamente ubriaco dentro un bordello infimo, dove i prezzi bassi creano un gran andirivieni nel piccolo edificio.
Tyrion non si aspetta di trovare la puttana più bella né la più pulita, là dentro, semplicemente la solita, quella che da due mesi gli fa compagnia ogni sera, quando fuori fa troppo freddo e i pensieri non riescono a dargli tregua.
All’ingresso lo accoglie la padrona, una donna in carne dai riccioli ramati che deve essere stata bella, un tempo, circa quindici o vent’anni fa.
Come ogni volta, la sua domanda è “Quale scegli oggi delle mie ragazze?”, invariabilmente, anche dopo due mesi.
Come ogni volta, la risposta è “Quella con gli occhi verdi”, invariabilmente, anche dopo due mesi.
“Terza stanza a destra, secondo piano. Ma credo tu lo sappia già”, e sorride, i denti perfetti dietro le labbra dipinte di porpora.
Tyrion ricambia con un ghigno storto e, con fatica, sale le ripide scale cigolanti, il cui legno è scheggiato e smussato alle estremità dall’usura.
La ragazza, di cui non ha mai voluto sapere il nome, lo attende in camera, seduta sul letto. Lo accoglie con un mezzo sorriso di cortesia e un gesto della mano, mentre scioglie i capelli del colore dell’oro che ricadono in morbidi boccoli sulla schiena e i seni nudi.
Si svolge tutto come al solito, anche qui, perché non c’è nessun altro modo di fare le cose. Non la cerca per nessun’altra ragione se non per i suoi occhi: perle limpide come vetro, di un verde dorato leggero, estivo, che non credeva avrebbe mai rivisto addosso a qualcun altro. Un colore così unico da non essere simile nemmeno a quello di Cersei, la cui tonalità è meno luminosa e ostile, che contiene la sfumatura scura degli scogli sotto la Rocca, dove il mare vi infrange contro le sue onde.
La prende con dolcezza, sfiorandola leggermente con piccole carezze, lo sguardo fisso in quello della giovane e un fastidio interiore che non riesce mai a soggiogare completamente, ma che soffoca ad ogni spinta, ad ogni movimento con cui scivola dentro di lei.
Nei brevi momenti di lucidità che lo sopraffanno, nonostante l’alcool e la presenza inebriante della ragazza, si chiede come sia possibile non riuscire a domare la propria coscienza quando quegli incontri sono un rito che si svolge con cadenza regolare, una maledetta necessità a cui non può rinunciare e l’unico modo per ottenere ciò che vuole, almeno in piccolissima parte.
Si chiede anche perché sia sempre più forte quel dolore che sente dentro, il peso della separazione, della solitudine, e come, se e quando riuscirà mai a tirarsene fuori. Ma ricaccia tutto indietro, riprendendo ad affondare dentro il verde cristallino di un ricordo.
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Trascorre a letto buona parte delle giornate, in attesa che Daenerys Targaryen arrivi nella città di Pentos con i suoi draghi, il suo potere e la sua giovane forza.
La sua prima idea, dopo aver parlato col Principe, era stata di andarle incontro, raggiungerla prima che altri potessero farlo, ma nessuna nave portava a Meereen - e lui certo non ne avrebbe presa un’altra dopo quel viaggio infernale che lo aveva scaricato lì, sulle coste colorate d’autunno di Pentos diversi mesi prima, neanche se ci fosse stata, neanche se Illyrio, il Principe o i Sette Dei in persona gliene avessero donata una d’oro massiccio per permettergli di arrivare da lei.
Da quando la Non Bruciata ha raso al suolo la Baia degli Schiavisti e, con essa, la schiavitù, ponendovi fine per sempre, la realtà delle terre al di là del Mare Stretto è profondamente cambiata: non trovare nessuno disposto a portarlo in quei luoghi è il meno quando gli abitanti di quelle zone devono fare i conti con la devastazione che la conquista ha portato con sé, la fame e la miseria che si sono propagate quando l’economia sulla quale si basavano le città della Baia è crollata.
Così è stato costretto a fare una scelta: prendere la Strada dei Demoni, oscura e pericolosa, la marcia dura e stremante; oppure attendere lì, al sicuro, nelle comodità di una casa dai muri decorati con polvere d’oro e bassorilievi in marmo bianco.
Ha scelto la seconda possibilità e non se ne pente nemmeno un po’, sebbene sappia che Quentyn Martell ha come obiettivo la sua stessa missione.
La notizia, vergata in una calligrafia minuta e arrotondata, quasi infantile, arriva mentre è ancora sepolto sotto le coperte, immerso nei suoi pensieri - il mattino che si trasforma lentamente in giorno passa inosservato, come se appartenesse al mondo di qualcun altro e per lui non fosse di alcuna importanza.
Quando apre la piccola busta ha un moto di gioia così violento da spaventare la donna al suo servizio. Una raffica di possibilità gli passa per la testa dopo aver scoperto dell’assassinio di Cersei per mano di Jaime. Si domanda come sia successo, per quale ragione, cosa abbia spinto il fratello ad un gesto simile, se siano state le sue parole nel fondo delle segrete ad iniziare a muovere i meccanismi giusti, ad aprirgli gli occhi.
Tutto questo la missiva non lo dice. Tace, lei, lo guarda dal basso, poche parole appena in inchiostro nero su sfondo bianco panna, e tutto il resto lo lascia alla fantasia, alla sua mente che accavalla congetture una sopra l’altra.
Dopo aver letto e riletto, analizzato la situazione, Tyrion ride. Una risata fragorosa - che allarma ancora di più la serva - lo assale all’improvviso, nel ripensare che, fino a pochi minuti prima, era convinto che Cersei avesse mantenuto una presa salda sul potere, che nonostante le scelte sbagliate e la brama di autorità fosse riuscita a stare a galla. Fino a pochi minuti prima credeva anche che Jaime avesse ripreso le sue vecchie abitudini nonostante ciò che gli aveva detto in quella notte lontana, nelle radici della Fortezza Rossa, e fosse tornato ad affondare dentro il caldo letto e la morbidezza rosea e ingannevole di sua sorella, e invece. Invece l’ha uccisa, facendole scontare con quel gesto tutto. Il fratello a cui ha giurato vendetta e morte - e l’avrà, un giorno, l’avrà - l’ha uccisa, lasciando al più forte, a chi riuscirà a prenderlo, un reame andato in pezzi per cui combattere, e morire forse.
Il sole filtra attraverso le grate di legno della veranda e Tyrion, finalmente, voltandosi verso di essa con la missiva stretta in una mano, può vederlo brillare anche attraverso il plumbeo cielo che preannuncia l’arrivo dell’inverno.