Titolo: La famiglia non ha fine con il sangue
Fandom: Naruto
Personaggi/Pair: Rock Lee, Tomoko (OC), Ryota (OC), Koji (OC); piccoli accenni Lee/Ten
Warnings: post-Canon (post finale di Naruto), adozione, Het
Generi: Future!fic, Slice of Life, Introspettivo
Capitolo: 1 di 1
Conteggio parole: 918 (fdp)
Prompt: scritto per il prompt n.52 di Maritombola @
maridichallengeIntroduzione: Rock Lee cercò di fare meno rumore possibile mentre pian piano si dirigeva verso la cucina scavalcando le sagome dei suoi studenti, ancora profondamente addormentati e avvolti nei loro futon.
(Fanfiction scritta per un prompt di tumblr; Lee ha preso in casa uno dei suoi studenti, rimasto orfano dopo la Quarta Guerra, e finisce per adottare anche i suoi due fratelli minori. Accenni Lee/Ten perché SÌ.)
Note: Perché tumblr fa male. Ma tipo, molto, molto, molto, molto male. Soprattutto alla mia sanità mentale e ai miei feels.
Un mese fa ho trovato un post che recitava “i just wanna see rock lee as an adult taking care of kids. like what if he becomes a sensei and the younger generation is mostly orphaned because of the war. one of his students has a couple of younger siblings and they…end up living with lee?? ok i want to see lee getting a little girl ready for school at the academy and he does her hair every morning. he literally runs her to school every day, she sits on his shoulders, she’s always the first person there.”
Riguardo Gai Maito in questa storia (e tra i miei headcanon): Gai-sensei è sopravvissuto all’ottava porta grazie a Naruto, ma l’averla aperta gli ha accorciato comunque la vita di parecchio (anche se è piuttosto resistente, quindi suppongo che potrebbe vivere fino a cent’anni) e (come abbiamo potuto vedere dall’ultimo capitolo del manga) in carrozzella, con una gamba fuori uso. Al tempo di questa storia è ancora vivo e vegeto, sposato con Kakashi e vive in una clinica.
Quindi. …Okay, quindi niente. Quindi ho amato da IMPAZZIRE l’idea e oh the feels e… ho scritto questo.
L’ho cominciato quasi un anno prima rispetto al finale del manga. Attualmente sono la babysitter di due gemelli che sono stati adottati dai loro genitori. Questo ha cambiato ancora di più il modo di vedere questa storia.
La fanfiction che vi apprestate a leggere in realtà si può considerare come la prima di una serie di storie post-Canon (= post finale della serie), Future!fic e - talvolta - Slice of Life con accenni Lee/Tenten e Kakashi/Gai che ho scritto e che intendo continuare a scrivere. È la più breve e semplice delle altre storie, ma volevo iniziare con questo siparietto, da cui tutto è nato.
I tre ragazzini (in ordine di età, e significato del nome):
RYOTA (亮太): Significati:
1) "Forte."
KOJI (光司): Significati:
1) "Secondo figlio scintillante."
TOMOKO (1-友子, 2-知子, 3-智子): Significati:
1) "Bambina amichevole," 2) "Bambina che sa," e 3) "Bambina saggia."
Rock Lee cercò di fare meno rumore possibile mentre pian piano si dirigeva verso la cucina scavalcando le sagome dei suoi studenti, ancora profondamente addormentati e avvolti nei loro futon.
Normalmente li avrebbe svegliati all’alba puntando la giovanile sveglia a forma di tartaruga ereditata da Gai-sensei alle cinque e urlando loro in modo entusiasta quante nozioni meravigliose e allenamenti al massimo delle loro capacità li avrebbero aspettati quella mattina, ma quel giorno era diverso dagli altri.
Quello era un giorno speciale.
Dopo essersi infilato nel bagno ed essersi fatto una doccia veloce ma rinvigorente, si mise in cucina a fare i pancake, preparandosi ad abbondare con lo sciroppo d’acero.
Aveva indosso una delle sue solite spandex verdi, fresca di bucato e come sempre piuttosto stropicciata.
«Sense’…» Una vocina assonnata provenne dal lato destro di Rock Lee. La ragazzina si approfittò del fatto che Lee avesse le mani occupate per appoggiare la fronte contro al suo braccio.
«Oh, Tomoko. Vedo che sei già desta! È bello vederti sempre giovanile e pronta a cominciare la giornata!»
Come sempre, pensò Rock Lee. Da che lei e i suoi fratelli abitavano con lui, non era passato un giorno in cui la sua piccola Tomoko non si alzasse presto subito dopo di lui, e lo raggiungesse insonnolita in cucina o talvolta anche sulla porta del bagno.
Era la prima persona che Lee vedeva al mattino - anche quando provava ad alzarsi veramente presto, come alle tre o alle quattro di notte, per poter allenarsi fino alle prime luci dell’alba. Una volta ci aveva provato, e un paio di ore dopo, quando era tornato a casa, aveva trovato Tomoko sulla soglia della porta, infreddolita e profondamente offesa. Lei non gli aveva rivolto la parola per tutto il giorno, e Lee sarebbe morto di crepacuore se non le avesse promesso di farsi trovare in casa ogni mattina. Al suo risveglio, lui ci sarebbe stato sempre. Lee pensava che Tomoko si fosse sentita abbandonata, la volta in cui era andato ad allenarsi senza dire nulla ai suoi ‘studenti’. Non la biasimava affatto.
Con la guerra, gli orfani erano triplicati. Era successa esattamente la stessa cosa che Rock Lee aveva vissuto sulla sua pelle quand’era bambino: il disordine generale del dopoguerra aveva lasciato gli orfani creati dai tanti ninja periti nella Quarta Guerra dei Ninja assolutamente abbandonati a se stessi. Si era creato per loro un rifugio in un vecchio edificio grande e grigio ai limiti del villaggio - lo stesso che aveva ospitato per un periodo anche Lee, e a lui venivano i brividi a ripensare a quella parte della sua vita. Le persone erano tutte troppo occupate a recuperare i pezzi della propria vita per curarsene davvero. “Di sicuro c’è qualcuno che già se ne occupa,” era una frase che la gran parte dei suoi conoscenti gli aveva detto, quando Lee aveva preso la decisione di prendersi in casa Ryota.
Certo, non era stato facile prendersi tre bambini in casa così dal nulla, con solo ventidue anni in mano, un appartamento a fazzoletto e pochi soldi in tasca, ma con l’aiuto di Tenten e una certa volontà di mantenere la casa in uno stato decente (cosa che Lee non era mai riuscito a fare) da parte di Ryota, avevano incastrato insieme gli elementi come rotelle di un orologio, ed erano riusciti nell’impresa. E il fatto che i tre piccoli ospiti fossero orfani di guerra e che quindi lo stato desse loro una piccola caparra mensile aiutava, sì.
Non c’era molto da dire. Da che erano diventati quattro - cinque con Tenten, sei con il maestro Gai, sette con Kakashi-sensei -, Lee aveva conosciuto la versione più felice di se stesso. E pensare a Neji non lo distruggeva più come una volta.
Tomoko gli prese la mano, guidandolo con fermezza verso la sedia posta davanti alla finestra.
Lee chiese, cauto: «Non vuoi prima far colazione?»
La bambina contemplò con gli occhi ben aperti i pancake ancora caldi, poggiati poco lontano in un ampio piatto sul tavolo della cucina.
«Bisogna svegliare Ryo e Jiji» gli rispose. Il collegamento mentale a Lee venne veloce e liscio come un uovo che scivola su una patina d’olio: la colazione si faceva sempre insieme, tutti e quattro, quindi avrebbero dovuto svegliare i suoi fratelli. Se avessero svegliato Ryota e Koji, dopo non ci sarebbe stata la calma appropriata per spazzolarle i capelli per bene.
«Bene, allora»
Con movimenti fluidi datogli dall’abitudine, Lee disfò le treccine della bambina, passando le dita tra i piccoli boccoli - che sarebbero tornati naturalmente lisci nel giro di mezzora, scomponendo l’operato delle varie trecce che componeva ogni sera -, e prese in mano il pettine dal suo abituale posto accanto alla finestra.
Per un paio di minuti gli unici suoni che ci furono attorno a loro furono il frusciare dei denti della spazzola sui capelli, il cinguettare di qualche uccello che, mattutino, cantava appoggiato al ciliegio a un braccio di distanza, e il rumore lieve e continuo prodotto dal frigorifero. Lee poteva sentire i respiri profondi degli altri suoi pupilli nella stanza accanto.
Ma a Tomoko piaceva parlare, e non appena si fu ripresa da quella sonnolenza che ancora l’avvolgeva a mo’ di una coperta calda, ricominciò a porgli le domande più assurde, distogliendolo da qualsiasi pensiero potesse aver avuto in precedenza.
(«Sense’, tu e Tenten avrete un figlio, un giorno?»
«C-C-C… COSA?!»
«Uscirà dalla patatina?» Una pausa. Le sopracciglia di Tomoko s’incontrarono a metà strada. «Non voglio che prenda la mia camera. È mia»)