*Autore:
stevantiamo *Titolo: Decimo minuto.
*Prompt Maritombola: 20; Rosso .
*Fandom: RPF Calcio.
*Personaggi: Adrian Mutu.
*Avvertimenti: Angst. Violenza fisica e verbale. *Rating: PG
*Conteggio parole: 935 (W)
*Note: Ancora per
maridichallenge .Ho scelto Fiorentina-Inter così a caso, non per qualche motivo in particolare. Ovviamente, nessuna partita è mai andata così.
Fiorentina-Inter è una partita che inizia negli spogliatoi, dove l’anima di una squadra trova la sua intimità, dove i giocatori hanno la possibilità di rilassarsi, e di trovare la loro dimensione. Trovare dentro se stessi ciò che serve ad un buon calciatore, ad un Fenomeno; forza, rabbia agonistica, concentrazione, calma. Adrian Mutu ha la forza: la trova facilmente dentro di sé, gli basta riguardare mentalmente ciò che ha fatto in maglia viola, a Firenze, per compiacersi del suo potenziale. Adrian Mutu ha la rabbia agonistica: quella accumulata in nove mesi di ingiusta squalifica, quella che vuole sfogare in campo a forza di gol, di corse e inchini sotto la curva fiesole. Adrian Mutu ha la concentrazione: gli viene facile trovarla, solitamente, chiudendosi in un bagno dello spogliatoio, la schiena contro il muro freddo, seduto a terra con la testa tra le mani, ripassando mentalmente qualche consiglio tattico del Mister, ed eliminando momentaneamente, -purtroppo solo momentaneamente- tutti i pensieri che non riguardano la partia. Infine Adrian Mutu ha anche- “Si entra in campo, ragazzi!” grida Marcolin entrando negli spogliatoi e spalancandone la porta. Uno ad uno i giocatori escono dallo spogliatoio, qualche pacca di rassicurazione e via nel tunnel, verso il campo. Pochi minuti, -il pubblico, gli applausi, l’inno, i compagni, le grida,- Rizzoli emette il fischio di inizio. Gilardino dà il primo tocco al pallone, e Adrian lo spedisce direttamente tra i piedi di D’Agostino. Passano i secondi, cinquantadue, e Adrian tocca il suo primo pallone. Il romeno si porta al limite dell’area, dirbla Lucio e carica un destro potente, angolato, parato e deviato in angolo da Julio Cesar. Adrian e la sua forza, il suo essere Fenomeno, si sono già fatti notare. Tre minuti e ventiquattro, Santana perde palla e l’Inter organizza velocemente il contropiede, palla a Biabiany. Un giocatore viola entra in scivolata sul nerazzurro, ruvido ma regolare, facilitando così il recupero di palla da parte di Gamberini. L’Artemio Franchi esulta come se la Fiorentina avesse segnato un gol, perché quello che ha recuperato, che a corso per tutto il campo per intervenire sacrificandosi per la propria squadra, è Adrian Mutu. Ci ha messo appunto il sacrificio, la voglia, la rabbia, e un coro dalla Fiesole lo ricompensa.
“In contropiede, se siamo in superiorità numerica, palla a Cerci.” Gli aveva detto Mihajlovic nel pre-partita, dopo aver catechizzato a dovere l’esterno viola. Sette minuti e quarantanove secondi, e sono quattro contro tre; Adrian Mutu non ci pensa su due volte, apre il gioco verso la destra, Cerci raccoglie il suo invito prendendo mezzo metro in progressione al terzino avversario, accelera palla al piede e rientra sul sinistro. Calcia forte, teso, palla all’incorcio. Palo. Adrian grida di rabbia mettendosi le mani tra i capelli, riceve l’applauso del compagno, del Mister, dei tifosi. La sua concentrazione, l’ordine tattico, hanno messo in difficoltà una squadra, l’Inter, che l’anno prima ha vinto tutto, e adesso li sta mettendo seriamente alla prova. Alcuni secondi dopo, calcio d’angolo per i gigliati. Adrian in area di rigore riceve una spinta decisa da parte di Lucio. Si volta di scatto verso il suo marcatore, e gli restituisce con forza la spinta. “Che cazzo fai?” grida Julio Cesar intervenendo tra i due, fronteggiando il romeno- “Che cazzo fa lui, figlio di puttana!” grida Adrian a sua volta, spingendo entrambi con vigore e agitando le braccia anche quando Rizzoli cerca di placare gli animi in campo. “Stronzo.” Ringhia Adrian all’orecchio di Materazzi dopo che questo lo ha più volte disturbato, intromettendosi in quella folla. Alberto Gilardino cerca di calmare il compagno, fallendo e chiamando il capitano Donadel in soccorso. Il capitano viola si intromette violentemente in quella che ormai si può definire rissa, distribuendo e ricevendo gomitate da destra e da sinistra, raggiunge Adrian e gli prende la testa tra le mani. “Pensa a giocare, Adri.” Gli dice Donadel, e sembra quasi convincerlo a calmarsi. Quasi, perché Adrian sente chiaramente Materazzi chiamarlo Zingaro, e la sua reazione è immediata.
Scatta in direzione del difensore nerazzurro, Adrian vede rosso, sente l’adrenalina sorrergli nelle vene, e lascia andare un pugno deciso sul volto di Materazzi, che cade a terra. Vede tutto rosso, si sente infiammare, Adrian, ed è rosso il terreno che si macchia del sangue di Materazzi, ed è rosso il volto di quest’ultimo, ed è rosso, inevitabilmente, il cartellino che Rizzoli gli mostra. Adrian non vuole parlare o tentare di protestare, o spiegare la sua reazione e dire di essere stato provocato. Adrian non reagisce, esce dal campo subendo i rimproveri dei compagni, di Sinisa, del pubblico. Adrian guarda solo il tabellone; decimo minuto. Uscendo dal campo il centravanti viola si toglie la maglietta, si imprime nella testa quel numero dieci, scritto grande e dorato su sfondo viola, quel numero dieci il cui peso sulle spalle è per lui motivo di orgoglio, e si lascia sfuggire una lacrima. Quando raggiunge gli spogliatoi non accende la tv che lo avrebbe collegato al campo, no. Adrian inizia a piangere, piange forte, e non prova a smettere nemmno quando i compagni rientrano per l’intervallo. Nessuno gli si avvicina, come ordinato da Mihajlovic, e quando è nuovamente solo Adrian si chiede il perché. Perché non impara mai? Perché non cresce mai? Perché non cambia neanche un po’, cazzo? Adrian non voleva, ha visto tutto rosso, -questa è la sua stupida spiegazione- e non è riuscito a calmarsi. Stringe i denti quando la sua mente gli ripropone quel fottutissimo cartellino rosso. Il numero dieci viola tira un secondo pugno, questa volta il malcapitato è un armadietto, ed è rosso il sangue che adesso, scende copioso lungo la sua mano.
FINE .