Titolo: Total eclispe of the mind
Autore:
chibi_saru11Beta: ///
Fandom: Inception
Personaggi: Arthur, Eames, Ariadne, Dom Cobb
Pairing: Arthur/Eames/Ariadne/Dom (in varie combinazioni)
Word Count: 4675 (Fidipù)
Rating: PG
Warning: Angst
Riassunto: L'ultima foglia che cade.
Disclaimer: Inception non è mio. Nope.
Note:
1. Questa fanfiction partecipa al COW-T. E alla mayocalipse.
«Perché l’autunno, tesoro?» ti chiede qualcuno. Tu non lo riconosci, non sai chi è, ti sembra di averlo visto, ma è un ricordo che svanisce velocemente, come le foglie dall’albero sopra di te.
Non sai che albero sia, un tempo lo sapevi, ne sei quasi certo, ora ti pare un albero qualunque, tra i mille che ci sono (o no? Ricordi che ce ne fossero altri, ma ora vedi solo questo).
«Perché no?» chiedi. Cosa importa la stagione, poi?
L’estate non ti è mai piaciuta particolarmente, troppo calda. L’inverno non era così male, ma il silenzio della neve ti ha sempre dato un po’ fastidio, come se ci dovesse essere qualcosa pronto ad attaccarti sotto quella coltre bianca.
La primavera semplicemente non sembra adatta.
Non lo sai nemmeno tu perché l’autunno. Sai pochissime cose, ultimamente. Un tempo ti avrebbe dato fastidio, ora non ti cambia assolutamente nulla.
«Perché l’autunno, Arthur?» ti chiede di nuovo l’uomo. Tu aggrotti le sopracciglia.
«Ha importanza?» perché magari sei tu ad esserti perso qualcosa. Prima non sarebbe successo, ma ora non è prima, dopotutto. Ora è un tempo ed un concetto indefinito che on sai riconoscere tra la miriade di parole e idee che hai in testa.
Idee. C’è qualcosa di familiare in questa parola, ma non sai cosa sia.
«Non lo so,» risponde l’altro, non ti sei ancora voltato a guardarlo. Potresti farlo, sei curioso di vedere il suo viso, ma in qualche modo non ti sembra giusto, non ti sembra il momento. «Non lo so, è solo una speranza.»
Speranza. Anche questa è una parola familiare. Non hai voglia di pensarci però, quindi chiudi gli occhi.
No. No. No.
Hai male alla spalla.
No.
«Non di nuovo, Arthur, andiamo» si lamenta l’uomo, ma tu non sai cosa voglia dire.
Quando ti volti sei di nuovo solo e puoi respirare.
Eames si sveglia con un respiro profondo, portandosi una mano alla gola e tossendo.
Il maledetto bastardo gli ha infilato una foglia in gola, piccolo pezzo di merda.
Alza gli occhi e Ariadne lo guarda, i capelli lunghi che le cadono scompostamente davanti al viso. Non le fa bene stare sveglia così a lungo, non le fa bene questo lavoro. Questo non è un lavoro che sta bene alle persone.
Forse sta bene solo ad Arthur, o magari no, visto dove sono.
Le accarezza il viso, spostandole una ciocca dietro l’orecchio e lei si lascia andare sotto le sue mani.
«Andrà meglio la prossima volta» gli dice ed Eames le sorride, perché non può fare altro.
Cobb è dietro di lei, le braccia incrociate e non li sta guardando.
Vaffanculo, vorrebbe dirgli. Vaffanculo, perché lo può vedere lì, che giudica qualsiasi cosa succeda e non ha alcuna ragione. Non se lo merita, il maledetto bastardo.
Se non fosse per lui…
Eppure dare la colpa a lui non servirebbe, lo sa. Eames sospira e poi abbraccia Ariadne, che non è più una ragazzina da tanto tempo.
Lei gli poggia la testa sulle spalle e sta canticchiando qualcosa - una canzone francese che Eames non conosce.
Arthur probabilmente sì.
«Andrò io la prossima volta» annuncia Cobb - non è una domanda, non è nemmeno una richiesta, è un ordine a cui Eames non deve obbedire per forza. Nessuno di loro deve obbedirgli più.
«Okay» dice comunque.
Ariadne non è stata in grado di stare lontano da questo lavoro nemmeno per tre mesi prima di chiamare Arthur e pregarlo di trovarle un altro lavoro.
È solo la sensazione d avere un mondo a sua disposizione, un universo che si piega al suo volere… non riesce a dimenticarla. Ogni volta che chiude gli occhi, ogni volta che prende un respiro, ogni volta che canta, parla, ride, vive.
Le manca la consapevolezza di poter fare qualsiasi cosa voglia, di poter controllare qualunque dettaglio intorno a lei.
Dentro il sogno lei è l’architetto dell’universo ed è qualcosa a cui non è disposta a rinunciare così facilmente.
Sa che non è tutto rose e fiori, sa che è pericoloso, che Mal è impazzita, che Cobb e Saito sono rimasti intrappolati per mesi, anni, secoli.
Le sembrano dei rischi accettabili quando si guarda intorno e tutto quello che vede è tutti i modi in cui potrebbe cambiare il mondo, se solo ne avesse il potere.
È troppo persa per poter ritrovare la via, è Alice che è già entrata dentro la foresta e ha perso la strada per tornare indietro.
Può solo seguire il coniglio bianco e quindi chiama Arthur.
Lui le dice di farsi trovare in aeroporto alle due tra tre giorni, di prendere l’aereo per Montecarlo. Che ha già prenotato un aereo a suo nome.
«Sapevi che ti avrei chiamato?» gli chiede, perché lui non ha mostrato la minima sorpresa a sentire la sua voce e Ariadne… Ariadne è semplicemente curiosa, fin troppo.
È tutta la ragione per cui si trova lì, no? Curiosità.
Arthur non ride, ma Ariadne ha come l’impressione che i suoi occhi stiano brillano con qualcosa simile a divertimento dall’altro capo del telefono (probabilmente se lei fosse Eames, o anche Cobb, potrebbe dirlo con sicurezza. Non lo è, quindi non può far altro che domandarsi se abbia ragione o meno).
«No, ma ci speravo» rispose e Ariadne improvvisamente ricorda le sue labbra, la sensazione che ha provato quando Arthur si è sporto in avanti.
Si chiede se anche nel mondo reale siano così screpolate, se abbiano la stessa consistenza, se Arthur sia sempre così autoritario e sbrigativo mentre bacia.
Curiosità, già.
Stringe il suo totem e chiude il telefono e sa già che è persa. Il problema è che non ha alcuna voglia di essere ritrovata.
È troppo tardi per lei, ormai non è più nemmeno Alice, non è più l’estranea arrivata in un mondo completamente differente dal suo.
Non sa chi sia, ma datele la sua festa di Non-compleanno, perché non ha la minima intenzione di andarsene, ora che ha trovato un biglietto di entrata.
Dom è annoiato.
Ama i suoi figli, ama il fatto di essere finalmente a casa, ma come può non essere annoiato dopo tutto quello che ha visto? Dopo le mille vite che ha vissuto, dopo i mille mondi che ha creato, plasmato, assimilato.
Sa che Miles non approverebbe, che se solo anche sospettasse quello che sta pensando lo fermerebbe in ogni modo possibile ed immaginabile. Miles gli ha sempre voluto troppo bene.
Più di quanto meritasse, probabilmente.
È assurdo, ha perso così tanto a causa dei sogni, di quel mondo che ancora ha così tanti misteri… dovrebbe odiarlo, dovrebbe cercare di starci il più lontano possibile.
Eppure gli manca.
Fa girare il totem di Mal e prova un dolore, una malinconia latente che non riesce a sopportare.
Probabilmente questo fa di lui una cattiva persona e un pessimo padre (i suoi figli hanno già perso una madre a causa del PASSIV, devono perdere anche lui?) ma Dom non ha mai affermato di essere una brava persona.
Non ha mai nemmeno affermato di essere una persona mediamente decente.
Chiama Arthur. Perché ovviamente chiama Arthur, non ha chi altro chiamare, lavorerà con lui o no lavorerà affatto.
L’altro risponde al terzo squillo con: «Mi aspettavo saresti durato un po’ di più» il piccolo bastardello.
«Hai sempre pensato il meglio di me» e non è esattamente vero, perché Arthur è sempre stato molto bravo a vedere anche la parte peggiore di lui, quella che persino Mal a volte faceva finta che non esistesse.
Però è anche vero che Arthur è stato l’unico a non abbandonarlo, non importa cosa fosse successo. «Hai qualcosa per me? »
Non può viaggiare più come un tempo, stare per mesi e mesi in una città del mondo solo per un singolo lavoro. Dev’essere qualcosa vicino casa, e Arthur lo sa.
«Stiamo per finire un lavoro a Montreal,» gli dice, professionalmente «il prossimo lo troverò in America»
Dom aggrotta le sopracciglia. «Stiamo?»
Arthur non risponde.
Ha delle foglie gialle, altre rossicce. Non sai perché sia così interessante rimanere a guardarle, sono affascinanti però.
Le preferiresti blu, ma è autunno, e in autunno le foglie sono giallo-rossiccio. Lo ricordi, una delle poche cose - una delle tante - e quindi rimangono del loro colore, non importa cosa tu preferiresti.
Ora c’è un altro uomo con te, non è lo stesso di prima, lo riconosci dal suo timbro di voce, ma anche perché l’aria intorno a lui è differente.
Autorità, fedeltà, l’aria diventa più sobria quando c’è lui.
Ti piace, ti fa sentire più rilassato, l’altro uomo è troppo instabile, troppo difficile da capire. Non sai come comportarti, non sai cosa vuole.
È aria frizzante che ti entra nei polmoni e non ti fa respirare come dovresti, questo invece è calmo, è familiare, è caldo.
È giallo-rossiccio.
«Hm, aveva ragione, è davvero autunno…» mormora, avvicinandosi a te - l’altro non ci aveva nemmeno provato, lo preferivi. «Ti è sempre piaciuto l’autunno, dopotutto. Dicevi che ti piaceva guardare le foglie che cadevano.»
Non te lo ricordi - un’altra di tante cose. Poche cose. Cos’è che non ricordi? - dunque rimani in silenzio. È meglio non parlare agli sconosciuti, specialmente quelli che non dovrebbero essere lì.
Magari se non gli parli se ne andrà. Lo speri, cominciano a diventare stancanti tutti questi visitatori, questo dovrebbe essere il tuo posto.
«Arthur, per favore» ti prega e tu lo ignori.
Non ricordi di chiamarti Arthur, ma continuano a ripetertelo - lui, l’altro, la ragazza - quindi probabilmente è così.
Non chiedi cosa vogliano, perché continuano a venire, cosa vogliono chiederti, pensi sia importante che ci riescano da soli, senza il tuo aiuto.
Continuano a cominciare il discorso ma si fermano sempre prima, come se le parole non riuscissero a superare la loro gola.
È curioso.
«Arthur…» è un sospiro, questa volta, a metà tra l’esasperato e il terrorizzato. Non sei certo di come riesci a capire il suo stato d’animo, ma ti sembra la cosa più facile del mondo.
«Lo sai chi sono io?» ti chiede, e tu aggrotti le sopracciglia, non sai nemmeno come è fatto, non l’hai mai visto in viso e, ad essere sinceri, non hai nemmeno voglia di vederlo.
Ti porti i palmi sugli occhi e stringi le palpebre. Improvvisamente hai mal di testa, molto mal di testa.
«Oh, maledizione, Arthur!» senti, dietro di te, ma sei troppo impegnato a cercare di fare andare via il dolore per prestare attenzione a quello strano uomo.
Quando il dolore finalmente passa e tu ti volti non c’è nessuno.
Eames guarda mentre Cobb riapre gli occhi, ma rimane fermo immobile.
«Allora? » chiede Ariadne, anche se è ovvio che non è riuscito nella sua impresa. Oggi c’è anche Yusuf, che scrive qualcosa su un foglio mentre guarda lo schermo.
«Improvvisamente sono stato inghiottito dal terreno, come sabbie mobili» dice, mentre si tocca le gambe, come se avesse paura che non fossero lì.
Sa quello che prova, succede anche a lui ogni volta che si sveglia dopo aver cercato di parlare con Arthur.
«E’ colpa del siero,» dice Yusuf, come se non lo sapessero, come se non si fossero sentiti ripetere la stessa cosa per settimane. «gli da una capace praticamente illimitata di controllare quello che gli succede intorno.»
Ariadne si alza e comincia a massaggiare le gambe di Dom. Lui le sorride e poi alza lo sguardo verso di lui.
Eames lo guarda, non abbassa lo sguardo, ma la verità è che non sono riusciti a scambiarsi una sola parola amichevole da quando… lui e Dom non sono mai stati particolarmente amici, né particolarmente interessati l’uno all’altro in qualche altro modo.
È una situazione complicata, perché non sono interessati l’uno all’altro, ma entrambi sono interessati ad Arthur e Ariadne e i due sono interessati a loro e…
A volte non capisce come sono finiti in quella strana squadra, in quella strana situazione in cui erano capitati fin troppe notti, con Arthur ed Ariadne tra di loro.
E ora… ora…
«Hai qualche idea?» chiede a Yusuf, distogliendo lo sguardo da Cobb. «Ci va bene qualsiasi cosa, Yusuf»
A questo punto sono abbastanza disperati. Personalmente lui sarebbe pronto a vendere l’anima al diavolo, se questo avesse aiutato.
Non ci sono diavoli però - o almeno Eames non ne conosce - e ogni giorno sembra sempre più tardi. Ogni giorno vedono tutte le loro speranze affievolirsi e un giorno… un giorno non ne avranno più.
Yusuf non li guarda in viso, a nessuno di loro, ed Eames già sa quale sarà la sua risposta. La consapevolezza fa persino più male delle sue parole.
«Onestamente… posso fare altri controlli, ma io non…» sembra così perso Yusuf, mentre guarda il pavimento ed è così evidente che non sappia cosa fare.
Avrebbe pena di lui se fosse in grado di sentire qualcosa.
Si sente morto, spento e sa che Cobb e Ariadne si sentono esattamente come lui.
Ha voglia di prendere a pugni qualcuno, ma non può più farlo.
Nemmeno questa piccola stupida cosa gli è rimasta.
Ha voglia di urlare.
Ariadne arriva a Montreal e la vengono a prendere - un uomo in limousine che l’avvicina e le dice che lo ha mandato un certo signor Eames.
Lei lo segue, chiedendosi cosa ci faccia qui Eames, e perché lui ed Arthur stiano lavorando assieme. Non le è sembrato che andassero d’accordo durante il lavoro che hanno fatto assieme.
Sono i migliori, però, magari lavorano assieme perché vogliono mantenere degli standard alti? L’uomo la conduce in un palazzo e poi in uno studio.
La prima persona che Ariadne nota è Arthur, seduto su una sedia di pelle che la guarda con quel suo sguardo che è qualcosa a metà tra un sorriso e la sua solita faccia. Poi nota Eames.
Si chiede perché non l’abbia notato subito - con quella sua maglietta orrenda di colori innominabili - e il suo sorriso che ha un qualcosa di strano.
Eames ha il braccio poggiato sulla poltrona di Arthur, ma non si sfiorano in alcun modo, sembrano essere incastrati in maniera tale da stare il più lontano possibile anche stando a due centimetri l’uno dall’altro.
Ariadne non è brava a leggere le persone come Eames o Arthur e non sa cosa voglia dire quello che sta vedendo, né ha tempo di pensarci.
«Benvenuta, Ariadne,» le dice Eames, accarezzandosi un labbro quasi inconsciamente. «Speravo davvero non avresti chiamato.»
Evidentemente la sua faccia si piega in una smorfia strana, perché Arthur ridacchia mentre Eames sposta la testa completamente all’indietro, scoppiando in una risata fragorosa.
«Oh, non per quello che pensi tu, bambolina,» le dice, staccandosi dalla poltrona ed avvicinandosi a lei. «solo che non mi piace corrompere le persone. »
«Stai mentendo» puntualizza Arthur, dietro, ed Eames si volta a guardarlo.
«Sì, grazie per il tuo imput, Arthur, non che qualcuno te l’avesse chiesto» borbotta, ma Arthur si limita a rispondere con un’alzata si spalle.
È stano il modo in cui si comportano, ma invece che farle venire il dubbio che forse ha preso la decisione sbagliata, le fa venire voglia di immergersi ancora di più nel loro mondo.
Curiosità. Ariadne ne è schiava.
«Allora? Cos’è questo lavoro? » chiede ed Arthur comincia a spiegare.
Non è particolarmente complicato - o forse, dopo quello che hanno fatto assieme, tutto sarà sempre tropo facile, perché hanno realizzato l’impossibile - e finiscono presto, appena una settimana, tra preparazione, ricerca a lavoro in sé.
«Torneremo in America, dopo questo» dice Arthur ed Eames si imbroncia.
«Ovviamente, Cobb chiama e tu corri come un cane al padrone» borbotta, ed Ariadne sorride al pensiero di rivedere Dom.
«Attenzione,» dice, ridacchiando «qualcuno potrebbe cominciare a credere che sei geloso, Eames»
È una cretinata, uno scherzo che ha detto perché ormai ha capito che in realtà i due fanno solo finta di non sopportarsi, è quasi un gioco per loro.
Però Eames si volta verso di lei e il suo sorriso dice molto più di quanto lei è pronta a capire e si volta verso Arthur, baciandogli una tempia.
«Sarà meglio,» dice, «ci ho messo un bel po’ di tempo a convincerlo, sai?» e non… Ariadne non pensava…
Però ha senso, in un certo senso, è come il tassello che rende tutto estremamente chiaro.
«La domanda,» Arthur ha un tono pacato, mentre arcua un sopracciglio e si volta verso di lei «è quanto tempo ci metteremo a convincere te.»
Si chiese se lo abbiano programmato dall’inizio, da quando lei ha chiamato.
Sembra probabile, Arthur non lascia mai nulla al caso.
Curiosità.
Ariadne non ha mai avuto alcuna possibilità.
Dom non si aspetta Eames, ma in qualche modo non è un grosso shock - ha sempre saputo che Eames aveva interesse per Arthur - è Ariadne a lasciarlo senza parole.
Non si vedono da un po’, ma non è nemmeno così tanto tempo e lei è comunque cambiata così tanto da essergli quasi irriconoscibile.
È il modo in cui si muove, il modo in cui parla. Assomiglia molto di più ad una professionista, a qualcuna che è in questo lavoro da fin troppo tempo.
È un look strano in lei, quasi fuoriposto.
Si muovono già come una squadra, completamente in sincro, e lui sente un’invidia cieca. Era quello che aveva con Mal, quello che era quasi arrivato ad avere con Arthur.
«Dovresti ringraziare Arthur,» gli dice Eames, con una specie di ghigno che non ha nulla di amichevole «io volevo prendere un lavoro in australia. »
«Un lavoro molto al di sotto delle nostre possibilità…» commenta Arthur, mentre Ariadne ridacchia, avendo evidentemente ascoltato questo esatto discorso altre volte.
«Che ti posso dire, mi piacciono i canguri» commenta l’altro, alzando le spalle.
Dom è indeciso tra il rispondere a tono ad Eames o l’ignorarlo completamente ed ha come l’impressione che questa sarà la base di tutto il loro rapporto.
Fanno un lavoro in Michigan e poi uno in Minnesota, ed è come i vecchi tempi, forse anche meglio. Lavorano come una vecchia macchina oleata, perfetti in ogni passaggio e Dom si sente vivo, incredibilmente vivo.
Ovviamente sa cosa Arthur, Eames ed Ariadne fanno quando lui torna a casa, non sono esattamente attenti a nasconderlo, ma sa anche che lui non c’entra, non è qualcosa che lo riguarda, quindi non lo menziona, mai.
Per il lavoro dopo Arthur gli dice che devono allontanarsi un po’ dal’America - Dom lo sa, non è sicuro lavorare per troppe volte consecutive nella stessa nazione - e lui li guarda andarsene. Ha i suoi figli, ha gli occhi di Miles puntati sulla schiena, non può fare altrimenti.
Arthur e Ariadne lo tengono aggiornato e, a modo suo, anche Eames, con battutine sarcastiche e commenti acidi (ormai è diventato un po’ il loro modo di comunicare, non sono mai stati amici e non lo saranno mai, ma sta nascendo una specie di… accettazione).
I suoi bambini sono stupendi e lui si gode ogni singolo secondo che ha con loro, però non è abbastanza. Non può essere abbastanza.
Dom è annoiato e non c’è nulla che possa fare al riguardo.
Oggi tocca alla ragazza, ti piace la ragazza, non parla mai troppo ed è sempre titubante, eppure ha una certa sicurezza nei suoi gesti e nel suo tono di voce. Ti intrigano queste due parti di lei, più di quanto tu voglia ammettere.
È ancora autunno, è sempre autunno.
«Sai,» dice lei, piano, senza muoversi «Dom e Eames dicono che è autunno perché è la tua stagione preferita,» si avvicina ora. Non ti piace quando si avvicinano. «magari hanno ragione, ti conoscono molto meglio loro di me, dopotutto.»
TI sembra di percepire una certa rabbia in quest’ultima frase, ma se ne va subito via e tu non vuoi girarti a controllare.
«Però io ho come questa impressione… magari sono solo io, è possibile che sia solo io…» è vicinissima, lei si avvicina sempre molto d più degli altri due. «Ci sono sempre meno foglie ogni volta che vengo. Tutto il resto è uguale, ma le foglie…»
È autunno, le foglie cadono, è normale, pensi, non sai cosa voglia dire, perché le sembri così importante.
Gli alberi perdono le foglie in autunno, quindi è normale che ora l’albero davanti a lui ne abbia solo quattro, assolutamente normale.
«Arthur,» la sua voce sembra spaventata, ti sembra che sia sull’orlo di piangere «Arthur, cosa succederà quando cadranno tutte le foglie? Dimmi che sto sbagliando, ti prego»
Non sai cosa vuole dire, non sai cosa pensa, non puoi sapere se ha ragione o no.
Vorresti accontentarla, ma davvero non sai cosa dirle.
Ti dispiace un po’ per lei, ti sembra sempre che lei sia quella che la prende peggio di tutti.
E poi improvvisamente lei ti ha messo una mano sulla spalla.
Non ti hanno mai toccato, per tutte le volte che sono venuti non ti hanno mai toccato e tu non sai cosa fare. Non ne hai la minima idea.
Sai solo che non vuoi, non vuoi.
Lei ti abbraccia e tu sei costretto a voltarti e spingerla via, con forza. Lei cade e cade (c’è sempre stato un burrone là?) e tu le guardi il viso per due secondi.
Te lo ricordi, te lo ricordi chiaramente. Vorresti sporgerti in avanti e afferrarla, ma lei è già sparita.
Dopo un po’ non ricordi nemmeno di che colore fossero i suoi occhi.
Ariadne si sveglia aggrappandosi alle coperte, bianca come un cadavere e con la bocca aperta n un urlo silenzioso.
Eames è al suo fianco in un istante, e con lui Cobb. Sta tremando un po’, ma sembra stare bene.
Beh, bene è un termine relativo con loro ultimamente, sembra stare come al solito.
Eames è incredibilmente stanco, anche se ultimamente non fanno altro che dormire - ma non è dormire, in realtà, è la prima cosa che impari quando ti spiegano come usare il PASSIV. Non è dormire, non sarà mai come dormire, ti svegli stanco esattamente come prima.
Ariadne si mette a sedere e li guarda, ha i capelli più lunghi ora, ed Eames si chiede da quanto tempo siano lì, esattamente.
Troppo. Troppo poco. Un miscuglio dei due, dipende da che angolazione la si guarda.
Il fatto è, però, che sono tutti e tre incredibilmente stanchi.
«Ci riproveremo domani,» dice Cobb, piano, «ci riproveremo domani…» e improvvisamente Eames è arrabbiato. Arrabbiato come non è stato mai e Ariadne non può fermarlo, nessuno di loro ha mai potuto.
Arthur avrebbe potuto avere una possibilità, ma lui non è qui.
Non è forse questo il maledettissimo problema?
«Oh, sta zitto, tutto questo è colpa tua! Colpa tua!» urla, alzandosi in piedi e indicandolo. È così arrabbiato, così maledettamente arrabbiato. «Se tu non avessi insistito per rimanere quei secondi in più, se tu non avessi insistito per quel maledetto intruglio…»
«Ci serviva liberarci della maggior quantità possibile del subconscio del bersaglio e lo sai anche tu! Quella sembrava la nostra migliore possibilità, Arthur approva…»
«Arthur approva tutto quello che gli dici perché ha questa stupida concezione di lealtà nei tuoi confronti che…»
«Eccolo il centro del problema! Ammettilo che sei sempre stato geloso di me e Arthur e…»
«State zitti!» urla improvvisamente Ariadne. Ha la faccia paonazza e sta piangendo. «State zitti, STATE ZITTI. Cosa pensate di combinare urlandovi addosso così? Abbiamo sbagliato, siamo una squadra, non è solo colpa di Dom è colpa di tutti. Pensavamo di poter…» e ora la sua voce è un bisbiglio, nulla di più «pensavamo di poter gestire la nuova formula, abbiamo giocato con il fuoco. È colpa di tutti, non solo colpa sua. Quindi smettetela.»
Non parla più nessuno, non sanno cosa dire e nemmeno Eames ha la minima idea di cosa dovrebbe dire.
«Smettetela» ripete Ariadne, alzandosi. Esce dalla stanza prima che possano fermarla. E onestamente non sanno cosa potrebbero mai dirle.
Inizialmente non sa che posto avrebbe preso Dom in questa strana squadra che hanno formato.
Eames non sembra interessato a portarlo dentro la loro altra organizzazione (non sa come chiamarla, perché relazione suona semplicemente strano e non esattamente quello che hanno. A volte pensa che Arthur ed Eames abbiano una relazione e lei sia lì semplicemente per caso) e un po’ le dispiace.
Fanno lavori in America con Dom e poi nel resto del mondo solo loro tre e qualche altro componente di passaggio che trovano per ogni singolo lavoro (Arthur sa sempre a chi rivolgersi e sono sempre i migliori, Ariadne sarebbe spaventata da lui se non lavorassero assieme).
Quello che non si aspetta è che sia Arthur a dirle di provarci, se proprio vuole.
È un discorso un po’ surreale, a dire il vero, sono solo due nel magazzino che hanno affittato, mentre Eames e Dom sono a fare delle ricerche, e sono piegati sul plastico del primo livello quando Arthur le dice, calmo, come se fosse assolutamente normale: «Credo che dovresti provarci con Dom. »
Ariadne per poco non fa cade sul plastico. «Non so cosa tu voglia di…» comincia, ma Arthur si limita ad arcuare un sopracciglio e lei si ferma, consapevole del fatto che è assolutamente inutile provare a mentire ad Arthur. «Sei sicuro che…»
Arthur ridacchia - è ancora strano vederlo così rilassato, nonostante l’abbia visto in momenti molto più intimi di questo - prima di prenderle la mano. «Né io né Eames abbiamo dei problemi con questo. » lo dice con sicurezza e Ariadne non può fare a meno di credergli. È l’effetto che le fa, che le ha sempre fatto.
«Tanto più che potrebbe essere utile…» aggiunge lui, dopo poco, e Ariadne si volta a guardarlo, perché certamente non può… e invece sì, invece sì.
«Ha volte ho come l’impressione che stiamo tutti giocando secondo le tue regole, sai Arthur? » gli confida, ma sta sorridendo e si sposta davanti a lui, circondandogli il collo con le braccia.
«Solo a volte? Sei meno percettiva di quanto credessi» e poi si stanno baciando e probabilmente avrebbero potuto fare molto, molto di più se Arthur non fosse stato un tale stacanovista.
Il punto è che una settimana dopo lei e Dom si stanno baciando e tre settimane dopo sono a letto con Eames ed Arthur e sembra la cosa più normale del mondo.
Non sa come funzioni, non sa perché non sembri strano - anche se due di loro non si sopportano e uno è probabilmente un genio criminale che li sta controllando tutti - ma la verità è che non pensa che potrebbe vivere in qualche altro modo.
Curiosità, giusto.
Sembra che la sua l’abbia portata nella direzione giusta, dopotutto, dovrebbe scriverle una piccola lettera di ringraziamento.
Dom non è annoiato, non è minimamente annoiato, ma sa che possono fare di più.
Possono fare di più di quanto non stiano facendo, di quanto non continuino a fare.
Sono lavori facili, molti, che potrebbero fare anche se non fossero tutti assieme e lui non è soddisfatto, sa che loro quattro potrebbero fare molto di più. Non è il motivo per cui hanno cominciato? Scoprire i limiti, scoprire fin dove si poteva arrivare?
E magari sì, questa era la motivazione con Mal e non con loro, ma perché dovrebbe essere diversa? Perché dovrebbe rinunciare a qualcosa che ha voluto così tanto per così tanto tempo?
Quindi prende lavori più difficili, lavori sempre più complicati e lo può vedere come gli altri si divertano. Lo sa che anche loro provano la sua stessa cosa, lo sa.
E quindi quando gli capita quel lavoro davanti pensa che sì, è assolutamente perfetto. Può farcela, possono farcela, e sarà una sfida, una sfida di quelle che non capita loro spesso.
Devono bloccare il subconscio dell’obiettivo per qualche secondo per completarlo e devono sperimentare una nuova formula, ma lui non pensa che sia particolarmente difficile o complicato, una passeggiata.
Solo che mentre sono sotto stanno perdendo troppo tempo, troppo tempo, ma Dom non può lasciare andare, non può rinunciare, quindi spinge e spinge, anche oltre il tempo limite e il subconscio militarizzato del loro obiettivo li raggiunge.
E poi… Dom non sa perché Arthur si sia messo in mezzo, perché abbia preso la pallottola per lui (specialmente perché Dom sa che se la sarebbe meritata, che ha lasciato che la sua curiosità e la sua ambizione avessero la meglio del suo buon senso) l’unica cosa che sa è che Arthur si è accasciato a terra e non si è più svegliato.
Sa che hanno cercato in ogni modo di svegliarlo, che sono passati mesi da quando è successo, che hanno contattato chiunque potessero. Sa che Arthur non si sveglia, non importa quanto ci stiano provando.
Sa che Ariadne gli stringe la mano e gli dice «Ce la faremo», ma nessuno sa più a chi lo sta dicendo, perché non ci credono più.
Guardi la penultima foglia cadere a terra e pensi che la ragazzina aveva ragione, che l’hai sempre saputo.
Stai solo aspettando la fine dell’autunno, stai solo aspettando che cada l’ultima foglia.
Non sai cosa succederà dopo, ma sai che non è nulla di buono. Sai che probabilmente è un conto alla rovescia, ma non sai per cosa.
Non hai il coraggio di dirlo a quei tre, sembrano sempre così disperati quando vengono a trovarti e per qualche strana ragione tu non vuoi ferirli.
Ti chiedi se sarai ancora qui quando torneranno o se sarai volato via come quell’ultima foglia.
Non lo sai.
Pensi di no.