Dean non stava dormendo molto profondamente - era impossibile, ora che Anna stava dormendo il suo controllo stava scivolando e lui poteva sentire il dolore ritornargli a scuotergli le ossa come un vecchio amico.
Era molto meglio di quanto avrebbe potuto essere, certo, ma faceva comunque un male del diavolo.
Dunque, quando sentì la porta della finestra aprirsi e un rumore di vestiti e ali, aprì gli occhi e guardò mentre Castiel volava via verso l’infinito ed oltre (o qualcosa di simile).
Dean sapeva che c’erano molti mutanti che non si fidavano degli esseri umani, che li credevano tutti una massa di assassini senza alcuna morale. Castiel era ovviamente uno di questi e lui cercava di non prendersela troppo (specialmente perché il suo primo istinto non appena vedeva un mutante era di portare la sua mano alla pistola).
Eppure Anna era stata incredibilmente aperta, entrando dentro la sua mente senza alcuna paura, come se fossero vecchi amici, come se sapesse già che non c’era nulla da temere.
Erano così diversi Castiel ed Anna, il modo in cui parlavano, il modo in cui si mostravano al mondo esterno. Era per via dei loro poteri? Perché Castiel non aveva la possibilità di nascondere quello che era mentre Anna sì?
Dean non ne aveva la minima idea.
In ogni caso, ora che era completamente sveglio e Anna era addormentata, il dolore stava aumentando, gradualmente, ma senza alcuna pietà.
Dean chiuse gli occhi e inspirò profondamente più volte, cercando di pensare ad altro. Non stava funzionando, aveva bisogno di qualcosa da bere.
C’era un frigo bar, no? Ci sarebbe stato del maledettissimo alcool, giusto?
Si mise a sedere, cercando di non spostare troppo la gamba. Uno, due, tre respiri profondi e poi la prese e la portò oltre il bordo del letto, in modo che penzolasse. Si dovette mordere il labbro per non urlare di dolore. Poggiarsi su quella gamba era assolutamente escluso, avrebbe dovuto trascinarla.
Altri tre respiri e poi si alzò su quella sana, e si appoggiò al bordo del materasso. Era una camera piccola, fortunatamente, e gli bastarono due piccoli saltelli (uno più doloroso dell’altro) per arrivare al piccolo frigo - che non conteneva niente di più forte di un po’ di vodka (e Dean avrebbe davvero voluto un poco di scotch), ma ehi, non poteva sempre avere tutto.
Era certo che non si fosse svegliato nessun’altro perché la sua gamba faceva ancora un male del diavolo e se Sam si fosse svegliato e l’avesse visto fuori dal letto avrebbe probabilmente urlato.
Quindi sì, il fatto che nessuno fosse sveglio per rimproverarlo era una buona cosa.
Manovrò la gamba ferita (ow, ow, ow) in maniera tale che fosse protetta dall’altra e strisciò verso il piccolo balcone della camera (non era nemmeno la cosa più dolorosa che avesse mai patito e questo la diceva lunga sul tipo di vita che aveva condotto fino a quel momento, probabilmente).
Quando finalmente riuscì a posizionarsi sul terrazzo, con la schiena appoggiata alla porta-finestra, Dean cercò di capire se era riuscito a riaprirsi la ferita (no, bene. Sarebbe stato molto molto nei guai se non fosse stato così) e se le tre bottigliette che era riuscito a portare con se lo avrebbero aiutato in qualche modo ad affogare il dolore (no, probabilmente no. Merda).
Bevve la prima in tre sorsi veloci, sentendo la gola bruciargli per l’alcool e pregando che questo facesse smettere il dolore (troppo troppo dolore).
Ci aveva impiegato una quindicina di minuti a trascinarsi lì e probabilmente aveva dormito per massimo un’oretta. Troppo poco tempo.
Era esausto, non voleva fare altro che chiudere gli occhi e dormire, maledizione, ma non ci riusciva, non con quel dolore, non mentre continuava a sentire la pelle spaccata in due dalla ferita. Avrebbe voluto svegliare Anna e dirle di fare il suo maledetto lavoro, di aiutarlo, ma non sarebbe stato giusto.
Aprì la seconda bottiglietta. Dio se aveva bisogno di quello scotch.
Castiel ritornò dopo un’ora, quando le sue ali avevano cominciato a fargli un poco male e finalmente poteva sentire la voglia di fermarsi e prendere un poco di fiato.
Fu sorpreso di trovare qualcuno fuori sul terrazzo, specialmente quando si rese conto di chi fosse quel qualcuno.
Dean non sembrava nemmeno essersi accorto di lui, aveva gli occhi chiusi, tre bottigliette di alcool accanto a lui e il respiro affaticato. Sembrava quasi che stesse pregando.
Atterrò silenziosamente, chiedendosi se non si fosse addormentato così, ma l’altro aprì immediatamente gli occhi e si voltò verso di lui, sorridendo. Era un sorriso flebile, che non aveva niente della potente energia di qualche ora prima.
«Ehi, hai fatto un buon volo?» gli chiese e il mutante piegò la testa, ma non rispose. Non sapeva come prendere questo umano, non lo comprendeva.
Castiel non amava non comprendere le cose, nella sua esistenza era sempre stato tutto diviso tra nero e bianco, mutanti e umani. Dean Winchester sembrava camminare fieramente in questo mondo pieno di grigi di cui lui non aveva mai conosciuto l’esistenza.
Aveva un fratello mutante ma non ne sembrava disgustato, non sembrava stare cercando di nascondere la sua natura al mondo… sembrava solamente preoccupato come lui avrebbe potuto esserlo per Anna.
«Che c’è? Il gatto ti ha mangiato la lingua?» chiese Dean, prima di ridere da solo «è divertente perché tu hai le ali, come un uccello e i gatti mang-AH,» si interruppe per gettare la testa all’indietro e mordersi il labbro inferiore con forza, abbastanza da farlo sanguinare.
Castiel aggrottò le sopracciglia.
«Fa un male della malora,» gli spiegò l’umano, ridendo di nuovo (Castiel non capiva perché ridesse sempre, anche in situazioni come quella quando era evidente che non ci fosse nulla di divertente).
In ogni caso era ovvio che Dean si fosse svegliato a causa del dolore alla gamba, meno chiaro era come fosse riuscito ad arrivare lì se la gamba gli faceva davvero così male.
«Potremmo svegliare Anna e…» propose, perché probabilmente era quello che Anna avrebbe fatto al suo posto (e lei riusciva a relazionarsi con quest’umano senza alcun problema), ma l’altro scosse la testa.
«Nah, non svegliare la rossa,» gli disse, la sua voce era calata quasi a quella di un sussurro, Castiel non sapeva se per il dolore o per non svegliare i due occupanti della stanza «si merita il suo riposo e se svegliassi Sam uscirebbe semplicemente di testa…»
Castiel annuì perché non aveva alcun motivo di non accordare questa richiesta (dopotutto per lui fondamentalmente non sarebbe cambiato nulla, era Dean quello che sembrava pronto a svenire da un momento all’altro). Dean cercò di sorridergli in ringraziamento, ma tutto quello che fu in grado di fare non fu che una strana smorfia dolorante.
«Puoi rimanere qui a farmi compagnia o devi tornare a pattugliare Gotham City?» chiese Dean e Castiel aggrottò le sopracciglia confuso.
«…Oh, non hai mai… andiamo! Batman! Nananananana! Davvero?» in qualche modo parlare sembrava distrarlo - non aveva ancora un colorito normale, ma sembrava non essere più a pochi secondi dallo svenimento quindi Castiel decise che avrebbe potuto accontentarlo (più per Anna, perché probabilmente sarebbe stata già arrabbiata con lui per non averla svegliata).
«In qualche modo dove abbiamo vissuto per tutta la nostra vita non abbiamo avuto modo di entrare in contatto con la cultura pop…» e okay, magari non era esattamente vero perché era quasi certo che Anna, Balthazar e Gabriel si divertissero particolarmente con i programmi televisivi umani, ma Dean questo non poteva certo saperlo.
Quando si rese conto che l’altro non aveva detto nulla in una manciata di secondi si voltò verso di lui, trovandolo con la faccia contratta, come se Castiel avesse detto qualcosa di particolarmente sgradevole. Si chiese se non fosse esattamente così, se magari la sua inesperienza con altri esseri umani fosse così vasta.
«Non riesco…» mormorò Dean ad un certo punto, mordendosi il labbro inferiore (sembrava arrabbiato e Castiel non riusciva a capire a cosa stesse pensando, ma era incredibilmente curioso di saperlo). «Mia madre era una mutante,» supplì, improvvisamente, anche se Castiel non riusciva ancora a capire quale fosse il collegamento «lei era… poteva controllare il vento. Ho vissuto i miei primi quattro anni con il vento che mi scorreva tra i capelli e…»
Dean sembrava di nuovo dolorante, ma non sembrava essere la gamba a fargli male, sembrava qualcos’altro che Castiel non avrebbe saputo definire. Non era certo di poterlo aiutare, non davvero, quindi rimase in silenzio e gli lasciò il tempo di riordinare le idee. Quanto gli serviva.
Che non era molto tempo, a quanto pare.
«E quando Sam ha sollevato con la sua stupidissima mente il suo primo giocattolo… io non capisco come abbiano potuto i vostri genitori…» poi alzò la testa, lanciandogli uno sguardo colpevole. «scusa, è stata Anna prima, ci ha raccontato un po’ la situazione e…» Castiel non era arrabbiato, non era un segreto quello che era stato fatto loro dalla loro stessa famiglia, da coloro che avevano giurato di amarli qualsiasi cosa fosse successa.
Quando Dean si rese conto che Castiel non stava per reagire male al fatto che lui sapesse, riprese a parlare: «Sam è… è un idiota, un insopportabile so-tutto-io che crede di essere migliore di chiunque altro al mondo e ci sono volte in cui non lo tollero, davvero. Però è mio fratello,» e lo disse come se intendesse qualcosa di più profondo, come se il fatto che Sam fosse suo fosse importante, Castiel non comprendeva il sentimento.
Eppure si ritrovò improvvisamente affascinato da Dean Winchester che era tutto quello che lui avrebbe voluto che i suoi genitori fossero. Che era umano e normale eppure amava suo fratello.
Castiel, Anna… nessuno di loro aveva avuto questo, nessuno di loro aveva mai conosciuto che cosa volesse dire essere accettati da qualcuno di completamente differente.
Improvvisamente non era più arrabbiato con Anna, non si stava chiedendo cosa le fosse venuto in mente. Sapeva la ragione per cui erano lì, sapeva perché Anna avrebbe convinto Dean ad andare con loro all’Heaven.
Sapeva perché lui gliel’avrebbe permesso.
Si chiese se Sam avesse la minima idea di quanto fosse fortunato ad essere cresciuto con Dean Winchester e di non aver mai conosciuto cosa volesse dire venire respinto dai propri genitori (“Ti amerò per sempre”).
«Sei un bravo fratello,» disse, perché era la prima cosa che gli era venuta in mente e perché Dean sembrava ancora così arrabbiato e Castiel… Castiel non riusciva più a smettere di sentire la voce di sua madre dentro la sua testa.
Dean rise, ma era un sorriso che non aveva nulla di felice, come se si stesse schernendo.
«È per questo che Sam ha deciso di andarsene secondo te?» gli chiese, anche se lui non poteva certo conoscere le dinamiche di casa Winchester né era a conoscenza del fatto che Sam avesse lasciato Dean ad un certo punto.
Si rese conto che Anna si era svegliata prima ancora di sentire la sua voce nella mente: Dean prese un profondo respiro, come qualcuno che è appena risalito in superficie dopo una lunga apnea.
«Avresti dovuto svegliarmi,» intervenne sua sorella, appoggiandosi ad una delle porte finestre. Ora lui poteva sentire la sua presenza, calda e familiare, nella sua testa.
Poteva sentire contentezza preoccupazione Dean madre accettazione oh, papà e quasi ne fu soffocando. Ovviamente Anna era ancora troppo addormentata per controllare cosa stesse realmente trasmettendo al mondo (o forse solo a lui dato che passavano comunque metà del loro tempo a parlare telepaticamente).
«Non prendertela con Cas,» e Castiel dovette trattenersi dal protestare per il sopranome «è stata una mia idea, dopotutto per essere così bella avrai bisogno del tuo sonno di bellezza.»
Anna sorrise, contenta - Castiel poteva sentire il sentimento attraverso la loro connessione - e rispose «E tu?»
Dean rise e rise e rise «Io sono troppo bello di mio per aver bisogno del sonno di bellezza. Me la cavo comunque…»
E Anna stava ridendo e Dean si teneva la gamba ma non sembrava più un morto vivente. Castiel non sapeva più cosa pensare.
Quando Anna era riuscita a convincerli, probabilmente mentre stavano ancora dormendo, ad andare con loro all’Heaven, Castiel aveva aperto le ali ed era sparito, lasciandoli un poco spiazzati.
Anna scosse le spalle offrendo come spiegazione: «È sempre così, non prendetevela troppo,» che Dean accettò senza molta preoccupazione (aveva visto la sera prima che Castiel non era davvero un cattivo ragazzo). Sam sembrava ancora infastidito dalla presenza dell’altro mutante e tendeva a restare vicino a suo fratello per controllare che stesse bene.
Dean avrebbe voluto dirgli di smetterla perché presto l’avrebbe lasciato di nuovo e non poteva abituarlo a cose simili prima di abbandonarlo una volta per tutte. Non era semplicemente giusto.
Eppure l’altro sembrava così vero nella sua preoccupazione, molto più come il Sam sedicenne che non lasciava mai il suo fianco e Dean non sapeva ancora come fare a non rivolerlo indietro.
Probabilmente non stava proteggendo i suoi pensieri con abbastanza attenzione perché, mentre entravano tutti in macchina, Anna gli aveva mandato uno sguardo triste, come se le dispiacesse per lui.
Dean non voleva parlarne, e cercò di trasmetterglielo telepaticamente cercando di dirle di rimanere fuori da cose che non avrebbe mai potuto capire, non senza farsi un viaggio nella sua mente.
E quello era qualcosa che Dean voleva preservare da lei, che non voleva mostrare a nessuno perché, Dio, aveva ventisei anni e non riusciva ancora a perdonare suo fratello per essere andato al college, quanto era patetico? E anche ora che Sam era lì, a Dean non andava comunque bene.
Non gli andava bene perché non sarebbe rimasto per sempre, non gli andava bene perché sarebbe andato da Jess prima o poi, perché non era più il suo Sammy ma era il Sam di Jess e wow, Dean non era ancora certo di come avrebbe dovuto reagire.
Entrarono in macchina senza troppi problemi e Anna si sistemò comodamente davanti, con Sammy alla guida e Dean dietro.
Era strano avere qualcuno che non facesse parte della loro famiglia sul sedile anteriore della sua bambina, era sbagliato in qualche modo, ma il solo pensiero di sedersi lo lasciava quasi senza fiato. Persino ora che Anna stava lavorando senza tregua per assorbire tutto il dolore, Dean poteva ancora sentire un fastidio pungente alla gamba (sopportabile, ma comunque maledettamente seccante).
Quindi accarezzò distrattamente il sedile dell’Impala, chiedendole scusa mentalmente.
Anna rise ad alta voce.
«Oddio, Sam, credo che tuo fratello abbia una relazione completamente inaccettabile con la sua macchina,» disse, e Dean roteò gli occhi.
«Incompreso. Il nostro amore è così incompreso,» disse, aggrottando le sopracciglia e accarezzando la pelle del sedile della sua bambina con un poco più di convinzione.
Sam grugnì e borbottò qualcosa come “Non dirlo a me” e Dean si sarebbe potuto offendere se non fosse stato semplicemente felice di poter di nuovo scherzare con Sam (sapeva di non essere in grado di bloccare i suoi pensieri in quel preciso momento, ma Anna non commentò).
Sapeva già che, una volta raggiunto questo fantomatico Heaven, le cose non sarebbero andate così bene come Anna e Sam sembravano pensare. Dean sapeva perfettamente che la reazione della maggior parte dei mutanti sarebbe stata come quella di Castiel, chiusa e con un leggero disgusto ad impregnare ogni loro azione, e non poteva nemmeno rimproverarli.
A volte - quando la memoria di Mary e della loro casa in fiamme diventava troppo forte - Dean non riusciva a tollerare la presenza di alcun mutante, nemmeno di Sam la mattina dopo, solitamente soffrendo di una sbornia pazzesca, si sentiva così in colpa per quei pensieri, ma, ehi, era solamente umano e non poteva prevenirli per quanto ci provasse).
Ti preoccupi troppo, lo rimproverò Anna, per fortuna senza rendere partecipe Sam (che era appena entrato in modalità mamma chioccia e continuava a ronzare intorno a Dean come se si dovesse spezzare da un momento all’altro).
Lui grugnì. No, sono semplicemente realista.
Anna roteò gli occhi: Sono la mia famiglia, non credi che possa giudicare da me cosa faranno?
Dean pensò a John Winchester, a quello che era diventato dopo la morte di Mary, a Sam che, nonostante tutta la sua fase ribelle adolescenziale in cui sembrava semplicemente volere dire dei suoi poteri a tutti, ora viveva con una donna che non aveva alcuna idea di chi fosse veramente.
E poi pensò a se stesso.
Credo che a volte noi stessi siamo i peggiori giudici delle persone che ci stanno vicine, si limitò a rispondere dunque. Anna non disse assolutamente nulla.
Castiel atterrò davanti all’Heaven con un movimento elegante. Sapeva che la macchina degli altri non era troppo lontana - poteva sentire Anna, seduta nel sedile davanti dell’Impala. E non si sorprese di vedere Gabriel ad attenderlo.
Anna non era così stupida da chiamare Michael ad accoglierli mentre portavano un umano nel loro santuario. Gabriel era una carta imprevedibile, una variabile su cui era certamente più sicuro scommettere.
Solamente che lui e Gabriel… lui e Gabriel avevano un rapporto complicato. Castiel non riusciva a comprendere il suo umorismo e Gabriel non era mai serio (o lo era sempre, ma lo nascondeva particolarmente bene). Era suo fratello e per questo Castiel era legato a lui come a qualsiasi altro di loro, ma se avesse dovuto scegliere probabilmente avrebbe preferito affrontare Michael che Gabriel.
In ogni caso rimase a guardare mentre suo fratello avanzava verso di lui, e Castiel poteva quasi leggere nel modo in cui camminava quanto la situazione lo divertisse.
«Castiel, e dov’è il tuo cucciolo?» chiese, guardando ai suoi piedi «sono stato informato che oggi è la giornata “porta il tuo umano a lavoro”.»
Castiel non gli rispose, preferendo voltarsi verso la strada dove, sperava tra poco, sarebbe dovuta apparire l’Impala.
«Oh, non prendertela così, a dire il vero trovo assolutamente adorabile,» e Gabriel aveva fatto di tutto per far risaltare quella parola, facendola trasudare di divertimento «la tua cotta per questo Dean Winchester.»
A questo punto, finalmente, Castiel si voltò verso l’altro, sopracciglia aggrottate.
«Non comprendo questa battuta,» gli disse, cercando di trasmettergli quanto l’altro lo stesse disturbando in quel momento (non che a Gabriel sarebbe mai importato, ovviamente, ma Castiel voleva comunque renderlo assolutamente chiaro) «non sono certamente stato io ad insistere a portare Dean Winchester qui, né è una decisione che assecondo.»
Ed era vero, per quanto quello fosse un umano particolare, per quanto si fosse ritrovato a desiderare di aver incontrato Dean, o un umano come lui, prima (quando avrebbe ancora potuto fare una differenza), Castiel non poteva fare a meno di pensare che Dean era comunque un rischio. Dean era come tutto il resto del mondo: estraneo, pericoloso. Non aveva posto lì, non nel loro Santuario, nel loro unico posto sicuro.
Ad Anna non era davvero importato nulla di tutto questo, però. Aveva preso la decisione senza nemmeno consultarlo, e lei e Sam avevano trascinato Dean, che perlomeno era scettico quanto lui, nell’Impala.
Gabriel non stava ridendo più, Castiel se n’era reso conto solo qualche secondo più tardi, e lo stava guardando come se lui avesse appena detto qualcosa di particolarmente strano, o interessante. O entrambe.
Era uno sguardo che lo rendeva nervoso.
«Stavo scherzando, Castiel,» gli disse, ma la sua voce era strana «non hai bisogno di prendere tutto così seriamente. Cureremo il cucciolo di Anna e poi lo lasceremo di nuovo libero di correre nelle praterie.»
Castiel annuì, voltandosi di nuovo (perché Gabriel lo stava ancora guardando e lui non era a suo agio in quella situazione).
Quando videro finalmente l’Impala girare l’ultima curva e apparire sulla strada davanti a loro, il silenzio che era calato tra di loro aveva raggiunto una consistenza strana (come se suo fratello fosse incredibilmente divertito, ma stesse cercando di non mostrarlo).
Castiel avanzò inconsciamente perché probabilmente avrebbero avuto bisogno di lui per spostare Dean (che, Anna gli stava dicendo, stava ancora facendo finta di essere completamente a posto, ma era ancora troppo pallido) e Gabriel, dietro di lui, fece un verso strano.
Si voltò a guardarlo, arcuando un sopracciglio, e c’era qualcosa di malizioso negli occhi di dell’altro mentre lo guardava. Castiel pensò ancora una volta a come non riuscisse mai a capire cosa passava per la testa di suo fratello.
Anna non lo salutò nemmeno, scese dalla macchina e si avvicinò a Gabriel, sorridendo (come se stessero condividendo uno scherzo solo tra di loro ed era possibile, conoscendoli) mentre Sam aprì la portiera della macchina, cercando di aiutare suo fratello.
Castiel si avvicinò per dare una mano, ma Dean, vedendolo, scosse la testa.
«Non preoccuparti, Cas, ce la faccio da solo - o meglio, con Sammy qui e la sua super-mente,» gli disse, sorridendo prima a lui e poi al fratello (anche se il sorriso che aveva dato a quest’ultimo era un pochino irritato, come se non riuscisse a capire perché continuasse a comportarsi in questo modo - il che era assurdo, erano fratelli e Dean era ferito, Castiel avrebbe fatto lo stesso per Anna).
Lui, in ogni caso, si fermò, annuendo, e sentì Gabriel dietro di loro mormorare incredulo qualcosa come “Cas!” prima di ridere, seguito a ruota da Anna. Castiel si voltò a scoccare loro un’occhiataccia, ma non servì a molto.
Solamente che ora Dean si era accorto che non erano soli, che c’era qualcun altro lì con loro e si era irrigidito (Castiel aveva visto la sua mano avvicinarsi alla cintura, dove, almeno credeva, solitamente teneva le armi. Avrebbe potuto esserne offeso, ma sapeva che lui stesso, in una situazione simile, avrebbe fatto ugualmente).
E ora Gabriel stava guardando i due fratelli Winchester (o per meglio dire Dean, perché Sam non era interessante quanto suo fratello maggiore per lui, non al momento).
«Benvenuti nella nostra umile dimora,» disse loro, allargando le braccia e mostrando i vari capannoni che stavano alle sue spalle.
Sam annuì, ringraziando educatamente, mentre Dean si limitò ad alzare il mento e piegare un poco la testa di lato, come se stesse pensando a qualcosa.
«Me l’ero immaginato un pochino più accogliente, come una Beverly Hills per mutanti,» aveva detto, arcuando un sopracciglio e suo fratello aveva mormorato qualcosa come “Stupido idiota” sottovoce.
Gabriel aveva riso a quelle parole, ovviamente compiaciuto che il suo nuovo giocattolo sapesse come mordere e non solo come abbaiare. Anna, accanto a lui, sembrava estremamente compiaciuta.
Castiel, come al solito, pensava di essersi perso qualcosa.
«Non sarà bello come Beverly Hills, ma è un quartiere altrettanto elitario,» fu la risposta del mutante, ovviamente misurata, e tutti avevano potuto sentire il “non per umani” sottinteso in quella frase. Dean poteva essere fratello di un telepate, poteva aver accettato di essere circondato da mutanti, poteva essere loro amico. Ma non era uno di loro.
Gabriel stava cercando di renderlo chiaro, di non lasciare alcun dubbio sul fatto che se l’avesse fatto entrare sarebbe stato solo per Anna e non per aiutare lui. A Dean non sembrava importare.
L’unico umano scosse le spalle, disinteressato, «Non mi sono mai piaciuti i posti come Beverly Hills comunque. Sono pieni di arroganti bastardi e tettone rifatte,» rispose, sorridendo poi quasi dolcemente.
Gabriel rise di gusto, e Castiel si ritrovò a roteare gli occhi prima ancora di rendersene conto (come Sam, dopotutto. Castiel non poteva che pensare che Sam doveva avere una grande pazienza per riuscire a reggere suo fratello).
«Mi piaci, Dean,» lo informò Gabriel, prima di voltarsi verso Anna «direi che puoi chiamare il nostro amico per fargli dare un’occhiata al cucciolo qui.»
Dean aggrottò le sopracciglia, ovviamente pronto a dire qualcosa come “cucciolo? Io sono una tigre, baby,” e Castiel non era certo di poter sopportare cosa quella frase avrebbe scatenato.
Si avvicinò quindi all’altro, prendendolo per un braccio, stupendo tutti, e cominciò a spingerlo verso uno dei capannoni più a destra, dove si trovavano le camere sue, di Anna e di Balthazar.
«Dite a Eshra di venire in camera mia,» dopotutto era il posto in cui avrebbero avuto meno possibilità di essere visti da qualcuno e Castiel non voleva rovinare tutto dovendo pure litigare con i suoi fratelli per proteggere un umano.
La voce di Anna, divertita e scossa dalle risate, nella sua testa però fu una sorpresa: Oddio, lo stai già portando in camera? Lavori velocemente!
Castiel pensò con molta concentrazione a quella volta, quando avevano diciassette anni, in cui Anna era stata convinta per tre mesi di avere una cotta per Gabriel. Sua sorella rimase in silenzio (ma stava ancora ridendo, poteva sentirla).
Quel tipo, Gabriel, era un coglione. Un coglione arrogante che si credeva più importante di quanto non fosse in realtà.
«Insomma è una copia mutante di te,» gli disse Sam, seduto su una poltrona. Dean gli lanciò un’occhiata di fuoco, Castiel continuò ad ignorarli.
Effettivamente parlando, Dean non aveva la minima idea del perché l’altro lo avesse trascinato lì, Castiel continuava ad essere un mistero impenetrabile per lui. Un minuto sembrava odiare Dean con una passione sconcertante, il minuto dopo lo salvava dal suo stesso fratello.
Anna lo confondeva di meno, anche se era certo che la donna avesse mille e mille facce che lui non era stato nemmeno lontanamente vicino a vedere, ma almeno ne aveva vista una, magari solo quella più superficiale, ma era pur sempre qualcosa.
Castiel invece aveva continuato a tenere tutti i suoi pensieri chiusi dietro una saracinesca dentro la sua testa.
«Quindi questo tuo fratello…» cominciò Sam, per rompere il silenzio, voltandosi verso l’altro mutante «può guarire tutte le ferite? Non ci sarà alcun problema?»
Castiel si voltò verso suo fratello, rimanendo in silenzio per qualche secondo (e davvero, perché quel tipo aspettava sempre qualche secondo prima di rispondere ad una qualsiasi domanda? Era sempre così maledettamente silenzioso? Guardava sempre tutti con quel tipo di sguardo? Dean stava davvero cercando di non concentrarsi sul fatto che si trovava in un complesso pieno fino all’orlo di mutanti e apparentemente concentrarsi su Castiel aiutava).
«Non tutte le ferite,» spiegò, finalmente «non è in grado di curare alcuna malattia mortale, non può curare completamente ferite troppo grosse, a volte non può rimettere perfettamente a posto tutti i muscoli. I nostri poteri hanno limiti,» aggiunse, e Sam annuì.
Questo era un argomento che Dean poteva capire, ma che lo lasciava sempre con un retrogusto amaro in bocca. Molte persone credevano che i mutanti fossero delle specie di divinità, che potessero fare tutto quello che volevano senza nemmeno concentrarsi troppo. Cazzate.
Suo fratello aveva cercato di alzare in aria una macchina quando aveva dodici anni, e lui gli aveva detto di smetterla, che era troppo piccolo, che non poteva sollevare qualcosa di quel peso - forse un giorno, Sammy - ma l’altro non l’aveva ascoltato.
Dean aveva guardato con orrore il sangue sgorgare dalle orecchie di suo fratello mentre la macchina finalmente si alzava di due centimetri. Sam non era Dio, Sammy non era Superman e sarebbe potuto morire quel giorno.
Quindi sì, i mutanti avevano dei limiti, e Dean cercava sempre di capire quali fossero - era importante in una battaglia capire quanto fossero forti i poteri del tuo avversario, se c’era qualcosa che l’altro non potesse fare e utilizzare quella conoscenza a proprio vantaggio.
«Beh, la mia ferita non è così profonda,» ragionò Dean, spostando una mano a toccare i bordi dei punti malamente dati il giorno prima da Anna e Sam «non dovrebbe avere problemi, giusto? »
Castiel annuì, voltandosi verso di lui e poi abbassandosi a guardare la ferita «Genericamente parlando non credo ci saranno problemi, Eshra è un mutante particolarmente dotato,» disse, con fierezza, perché Eshra era suo fratello e Dean gli sorrise - poteva capire il sentimento, dopotutto.
«Quindi, Cas, cosa fate qui per divertirvi? Ieri abbiamo stabilito che non guardate Batman,» disse improvvisamente, sistemandosi meglio sul letto. L’interpellato aggrottò le sopracciglia.
«Non comprendo perché tu mi faccia questa domanda,» rispose, sinceramente, facendolo ridere.
«Sono solo annoiato. Dobbiamo aspettare qui che il mago delle meraviglie arrivi a baciarmi la bua e rendere tutto meglio, e ho pensato che era una buona occasione per conoscerci meglio,» gli spiegò, perché duh.
Non gli piaceva avere misteri che non era in grado di risolvere e Castiel lo confondeva abbastanza da renderlo curioso - in più il mutante assumeva la stessa espressione di Sam quando lo prendeva in giro: un poco arrabbiata, un poco seccata, un poco confusa (mancava solo il quasi invisibile velo di divertimento che permeava l’espressione di suo fratello, ma probabilmente era solamente giusto). Dean adorava quella faccia.
Castiel era, ovviamente, intenzionato a non rispondere e Sam aveva deciso che lui poteva fare la figura del coglione da solo ed era uscito a vedere se trovava campo nel suo cellulare (per chiamare Jess probabilmente, Dean avrebbe dovuto riportarlo a casa entro domani).
«Oh, avanti, Cas,» lo pregò poi, perché non gli piaceva rimanere in silenzio.
L’altro sembrò riflettere per qualche secondo prima di rispondere «Ci alleniamo,» come se fosse assolutamente normale «impariamo a controllare i nostri poteri, ad ampliarli, a poterli utilizzare al meglio.»
Dean annuì. Annuì ricordando Sammy e quelle sue tre palle di stoffa che loro padre gli aveva comprato per allenarsi, ricordando i suoi di allenamenti, gli insegnamenti di suo padre.
La loro vita non era stata poi così difficile.
«Capisco il bisogno di allenarsi, Dio solo sa quanto tempo passava Sammy a far levitare quelle palline… ma non fate altro? Non vi divertite in qualche modo?» chiese, perché per tutti gli allenamenti c’erano state le partite di calcio, le stupide fiere scientifiche di Sam, c’era stata Katy Abbleton e ora c’era Jess e…
Castiel non rispose, e Dean aggrottò le sopracciglia. Avrebbe voluto offrirgli di portarlo in un qualche bar, di fargli vedere l’altra parte della vita, quella che non era solamente sangue e poteri e differenza tra umani e mutanti.
Però non erano amici, probabilmente Castiel non lo sopportava nemmeno e quello non era il suo posto.
Questa volta, sorprendentemente, fu l’altro a rompere il silenzio.
«Posso chiederti perché ti ostini ad utilizzare il soprannome “Cas” per riferirti a me?» chiese, e lui non se l’era aspettato. Non sapeva perché aveva cominciato, semplicemente Castiel era un nome troppo lungo e sembrava più un nome adatto ad un figlio di papà o un cristiano accanito che a Castiel. Cas suonava meglio, comunque.
Eppure… piegò la testa di lato e gli chiese «Ti da fastidio?»
Castiel non poté rispondere perché Anna, Gabriel e un terzo tipo che Dean non conosceva (ma che era probabilmente Eshra), entrarono in camera in quel preciso istante.
Eshra stava emanando un’aura da “non sono felice di essere qui” così ovvia che quasi non gli disse “E allora vattene”. Ma non gli piaceva essere incapacitato, essere assolutamente indifeso contro qualsiasi attacco dell’Hellfire Club, quindi Eshra e il suo maledetto razzismo gli servivano.
Anna gli sorrise dispiaciuta, a quel punto, evidentemente consapevole dei suoi pensieri, e Dean cercò di farle capire che non era colpa sua. Gabriel invece sembrava divertirsi un botto, il bastardo.
Eshra ci mise poco a curargli la ferita e Sam rientrò esattamente nello stesso momento in cui l’altro mutante si alzò. Dean non provava più alcun dolore, grazie al cielo, e poteva muovere di nuovo la gamba senza alcun problema.
Si mise in piedi, e quando non provò alcun fastidio sorrise raggiante alla stanza (bastardo e razzista compresi, sì, perché era fottutamente contento di essere di nuovo in piedi).
Sam sembrava sollevato di vederlo tutto d’un pezzo e forse aveva compreso fin dall’inizio i rischi che avevano preso decidendo di andare lì, circondati da un’intera organizzazione che credeva di essere superiore a qualsiasi altro essere al mondo.
In ogni caso Dean era stato cresciuto con delle buone maniere (okay no, soltanto che Sam aveva cercato di insegnargliele prendendolo a gomitate fino a fargli uscire dei lividi giganti).
«Grazie a tutti,» disse quindi, «senza di voi probabilmente non saremmo usciti vivi di lì e-» ma per una volta che si stava comportando da persona matura, venne interrotto da qualcuno che entrò nella stanza come una furia.
Anna sbiancò, Castiel sembrò ancora più rigido del solito e Gabriel non rideva più (solo Eshra sembrava felice e Dean lo promosse a razzista bastardo).
«Cosa significa tutto questo?» chiese l’uomo di colore che era appena entrato.
«Raphael…» provò a dire Anna, e Dean non aveva la minima idea di cosa stesse succedendo.
Castiel guardò con un misto di orrore e incredulità Raphael. Come aveva fatto a saperlo? Chi l'aveva chiamato? Anna era l'unica telepate della loro "famiglia" e Castiel era certo che non fosse stata lei.
Raphael aveva gli occhi puntati su Dean, il suo sguardo risplendeva di qualcosa di strano che lui non sapeva - e non voleva - nominare.
(Non sapeva perché Raphael fosse lì con loro, a dire il vero, perché non fosse andato con Lucifero fin dall'inizio. Lui era diverso da tutti loro, lui era sempre così arrabbiato, così pieno di odio per quel mondo che non aveva mai realmente imparato ad accettarli e Castiel poteva vederlo ora tutto riflesso nella sua espressione e non riusciva a comprenderlo).
In ogni caso Dean, ora guarito, si mise in piedi, Eshra che si allontanava velocemente da lui con un'espressione di trionfo in viso (Castiel aveva avuto la stessa espressione la prima volta che aveva visto Dean? Così piena di sfiducia e odio? No, era arrivata immediatamente la voce di Anna nella sua testa, tu ti dai troppo poco credito).
«Rapha-» provò Anna, che sembrava quasi spaventata dall'altro (eppure Raphael era sempre stato particolarmente bravo a bloccare qualsiasi pensiero da lei, gli sembrava strano che stesse perdendo il controllo proprio in quel secondo).
Raphael non voleva ascoltarla, però «Non ora, Anna, parleremo delle conseguenze delle tue az-» stava dicendo e Castiel aggrottò le sopracciglia, pronto ad avanzare.
Poteva non essere completamente d'accordo con le azioni di sua sorella, certamente, ma questo non voleva dire che avrebbe lasciato che lei si prendesse tutta la colpa, dopotutto l'aveva aiutata, che l'idea fosse partita da lui o meno era irrilevante.
«Ehi,» disse invece qualcuno, interrompendo Raphael, e Castiel si rese conto, con orrore, che era stato Dean. Dean che era in piedi, ma era stanco e certamente non al massimo della forma e che era, comunque, in svantaggio contro l’altro.
Sam, accanto a lui, aveva un'espressione a dir poco bellicosa.
«Senti un po', penso di sapere quale sia il tuo problema, ohhhh un essere inferiore! I geeermi o qualcosa di simile, giusto? Beh, sono io il tuo problema, non Anna,» e la sua voce era bassa e arrabbiata e cosa pensava di fare quello stupido umano cercando di intimidire Raphael, uno dei mutanti più forti della loro generazione?
Gabriel aveva a stento trattenuto una risata, guadagnandosi uno sguardo incredulo e arrabbiato da Eshra, ma Raphael aveva continuato a guardare Dean come un animale guarda la propria preda.
«Credi di essere divertente? Tu non puoi stare qui, questo non è un posto per te...» e ora era Raphael che stava cercando di intimidire l’altro, facendo un passo in avanti.
Dean gli sorrise e Castiel non riusciva a capire se non potesse rendersi conto del pericolo in cui si trovava o se era davvero così stupido (lo sguardo di Sam probabilmente voleva dire che era la seconda).
«Non capisco, se siete così superiori a tutti noi poveri teneri esseri umani, perché mai dovresti preoccuparti?» gli chiese, avanzando anche lui «siete capaci di distruggermi con la vostra mente, no? Che pericolo potrò mai essere io, un solo piccolo singolo umano?» Raphael era rosso di rabbia, rosso dalla testa ai piedi.
«Esattamente,» bisbigliò, i suoi occhi che sembravano quasi brillare per la rabbia repressa,«non dimenticarti che se voglio, mi basta semplicemente schioccare le dita e...»
Sam si avvicinò a suo fratello, gli oggetti nella stanza che sembravano vibrare leggermente, pronti a lanciarsi contro Raphael in un impeto d'ira. Dean non sembrava minimamente preoccupato, ma Castiel poteva vedere che stava cercando un qualsiasi oggetto che avrebbe potuto usare come arma. Persino Gabriel non sembrava minimamente divertito.
Fu proprio quest’ultimo a fare qualche passo avanti e mettere una mano sulla spalla di Raphael, cercando di calmarlo «Avanti, Raph, non credi di stare esage-»
Questi non lo stava ascoltando, però, e le sue parole caddero nel vuoto «Siete così ingenui, voi, credete che gli umani non approfitterebbero di ogni occasione per ucciderci? Per liberarsi di noi? Credete che questo Dean non tornerà con milioni di altri umani per ucciderci tutti?»
Dean non sembrava minimamente offeso dalle parole di Raphael, ma Castiel poteva sentire dentro di sé qualcosa che si ribellava, che pensava a Dean stanco e sudato e dolorante che gli parlava di suo fratello, dei suoi poteri, di come avesse cercato di proteggerlo con tutto se stesso.
«Dean Winchester non è questo tipo d'uomo,» si ritrovò a dire prima ancora di rendersene conto «posso comprendere le tue preoccupazioni, ma Dean è diverso» Lo era, lo poteva sentire sulla propria pelle e, comunque, Anna si fidava di lui e lei poteva leggergli nella mente.
Raphael lo guardò come se potesse incenerirlo con lo sguardo, ma Castiel non era mai stato qualcuno che si faceva intimidire facilmente. «Anna ha avuto accesso alla sua mente, io ho avuto modo di parlargli ieri sera. Se uno di noi avesse pensato che Dean fosse un pericolo non gli avremmo mai concesso l'ingresso qui.»
Beh, non era esattamente vero, Castiel era stato convinto che fosse una cattiva idea portare Dean lì, ma non perché lo ritenesse pericoloso, ma perché riteneva pericoloso l'Heaven per lui (e aveva ragione, no?)
Finalmente si concesse di guardare verso l’umano, che lo stava guardando con un'espressione grata, profonda. Castiel non aveva la minima idea di cosa volesse dire.
Sam aveva annuito quando lo aveva guardato, come se si fosse in qualche modo guadagnato il suo rispetto. Era strano pensare che, apparentemente, era diventato più amico dei Fratelli Winchester in una giornata di molti altri dei suoi fratelli che conosceva da una vita.
«Castiel, non pensavo che anche tu ti saresti lasciato...» disse Raphael, alla fine «raggirare da questo...»
Ed era assurdo, perché lui non si sarebbe mai lasciato raggirare da nessuno, ma prima che potesse rispondere, Dean era di nuovo lì, irato e quasi infuocato nella sua rabbia.
«Okay ora ne ho abbastanza! Sai cosa, arrogante snob del cazzo? Se non mi vuoi tanto qui basta chiedere, noi ce ne andiamo e vaffanculo anche a te, piccolo dottore, puoi anche smetterla di ridere come se fossero arrivati Natale e Pasqua tutti insieme,» sibilò, con Sam dietro di lui che sembrava una specie di guardia del corpo silenziosa, le chiavi dell'Impala che erano volate dalla tasca di Dean e ora penzolavano di fronte a loro.
E poi erano andati via (Dean gli aveva lanciato un ultimo cenno con il capo e Sam gli aveva sorriso) senza nemmeno parlare.
Raphael aveva sibilato loro contro qualcosa e poi era uscito dalla stanza anche lui, Eshra che lo seguiva come un cagnolino.
«Beh, è andata bene,» disse semplicemente Gabriel e Anna roteò gli occhi e sbuffò.
«Dean chiede scusa per l'uscita brusca e ti ringrazia vivamente, Cas,» disse la ragazza, accentuando il nomignolo per farlo sembrare come quando lo diceva Dean (non ci riusciva, la voce di Dean era molto più roca, più bassa, Castiel la trovava bella da sentire).
Gabriel aveva riso, a quel punto «Ha chiesto anche il suo numero?»
Anna aveva scosso la testa e si era voltata verso Castiel «Ma sono sicura che ti chiederà di andare al ballo della scuola con lui, non ti preoccupare,» e poi erano di nuovo scoppiati a ridere tutti e due assieme.
Castiel non era mai riuscito a comprendere le loro battute, il loro umorismo, quindi si limitò a scuotere le spalle. Prima o poi gliel’avrebbero spiegato - o ci sarebbe arrivato da solo.
Dean era arrabbiato, molto molto arrabbiato, e con buone ragioni, anche (chi si credeva di essere questo Raphael? Il Re del mondo? Okay, probabilmente sì.)
Castiel era intervenuto in sua difesa e Dean non se l’era aspettato; si sarebbe aspettato Anna magari, ma Castiel… beh non che non ne fosse stato felice, certo, ma era stato comunque sorprendente.
Il punto di tutta questa questione era che lui era arrabbiato e suo fratello continuava a trattarlo come se fosse un handicappato (sto bene, Sam, posso guidare la mia maledetta macchina) e ora stavano guidando per tornare a Stanford, da Jess e Sam…
Quindi sì, Dean era arrabbiato e stanco e voleva solamente urlare a qualcuno per ore ed ore.
«Dico solamente che potresti lasciarmi almeno guidare,» sbuffò, lanciando un’occhiataccia a Sam.
Suo fratello non sembrò minimamente preoccuparsene. «Sì, se non ti dispiace mi piacerebbe continuare a vivere per un altro po’,» gli rispose semplicemente, roteando gli occhi e continuando a guidare «non hai chiuso occhio tutta la notte, sei ancora evidentemente arrabbiato per quello che è successo prima… Dormi, non ho intenzione di guidare io per tutto il tragitto.»
Dean incrociò le braccia, sentendosi molto come un bambino di tre anni che stava lanciando una tantrum nervosa - e probabilmente lo era, non gli importava molto, aveva passato due giornate davvero orrende, se lo meritava.
«Non sono stanco e, maledizione, sì che sono ancora arrabbiato, chi si credeva di essere quel tipo, mh?» e beh a dire il vero non è che non se lo fosse aspettato, sapeva che qualcuno avrebbe probabilmente fatto una scenata del genere per la sua presenza lì, ma non si era immaginato che se la sarebbero presa con Anna e Castiel, che non avevano fatto assolutamente nulla di male se non cercare di essere d’aiuto.
Il solo pensarci lo mandava ancora in bestia, dopotutto.
«E ovviamente sei arrabbiato per come ha trattato Anna e Castiel, non per quello che ha detto su di te,» borbottò l’altro e oh, aveva detto l’ultima parte ad alta voce? Forse era un poco più addormentato di quanto pensasse.
«Me l’aspettavo, non è un mondo gentile quello in cui viviamo, Sammy,» e lui lo sapeva più di molti altri, aveva cicatrici per dimostrarlo, cicatrici che portava con fierezza «quelli sono un gruppo di mutanti che hanno passato tutta la loro vita ad ignorare qualsiasi contatto con noi luridi ed inferiori esseri umani, credevi che sarebbero stati tutti gentili come Anna?» sbuffò, irritato.
Sam non disse nulla, e Dean si chiese se magari stesse pensando “Ho fatto bene ad andarmene, a lasciare questo mondo pieno di pazzi” e lui avrebbe voluto dirgli che scappare come stava facendo non serviva a niente, che prima o poi il suo vecchio mondo sarebbe tornato e gli avrebbe dato un grande calcio in culo. E Sam non sarebbe stato pronto.
Non poteva, però, non poteva dirgli nulla di tutto quello. Non ne aveva il diritto, l’aveva perso tre anni prima, quando il suo fratellino era uscito dalla loro vita.
«Dean, dormi,» gli disse improvvisamente l’altro, e la sua voce era solo un bisbiglio, non glielo stava ordinando, era come se stesse cercando di cullarlo. E Dean era così stanco che stava cominciando a sparare boiate.
Chiuse gli occhi, quindi, perché per una vola era anche disposto ad ammettere che forse suo fratello potesse avere anche ragione.
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