Apparentemente c'era una festa quella sera a Camelot, una festa per dare il benvenuto alle nuove reclute - tra cui, dunque, anche Raven - e Charles non aveva alcun problema a saltarla, davvero.
Anzi, quasi quasi non vedeva l'ora di passare un poco di tempo da solo per portarsi avanti con uno dei libri che Hank gli aveva prestato (estremamente interessante, sui vari usi e funzioni di specifiche erbe normalmente credute velenose). Raven apparentemente la pensava in un altro modo.
«Devi venire!» gli stava dicendo, mentre la sua dama si occupava dei suoi capelli. La ragazza che le era stata affidata si chiamava Moira McTagger e Charles l'aveva immediatamente presa in simpatia. Raven stava avendo problemi a connettersi con lei, ma per quanto sua sorella fosse una persona meravigliosa non era mai riuscita a superare del tutto i pregiudizi sui senza-poteri.
«Non capisci, ci saranno tutti e io voglio che tu ci sia. In condizioni normali saresti seduto accanto a me!» e oh, sì, apparentemente Raven aveva deciso che Moira poteva conoscere il loro piccolo segreto (che erano parenti, non che Charles fosse un telepate, ovviamente).
«Non avrei nulla da fare,» provò, ma questa volta fu Moira a parlare (di fronte a lui, Raven l'aveva informato, diventava molto più tranquilla e tendeva a parlare più del solito. Raven lo preferiva immensamente) «Potresti aiutarmi a servire ai tavoli,» gli disse, guardandolo con la coda dell'occhio «abbiamo sempre bisogno di qualcuno che aiuti in quel settore.»
Charles non era ancora convinto, però, la sola idea di rimanere ore ed ore in piedi a servire le altre persone lo nauseava, quasi.
«Ti prego, Charles,» gli aveva detto alla fine Raven, voltandosi verso di lui «fallo per me. Ti voglio lì, dovresti essere lì!»
E Charles non era mai stato in grado di dire di no a sua sorella.
Charles non si era mai ritenuto una persona estremamente fortunata. Nascere con la capacità di leggere nella mente degli altri non era stato esattamente facile e la morte di suo padre era stato un duro colpo per tutta la famiglia.
Charles, però, non aveva mai nemmeno creduto di essere sfortunato. Apparentemente doveva ricredersi.
La serata non era cominciata male, Raven si era ritrovata seduta accanto a Sir Alex Summers e Sir Sean Cassidy che si erano alzati per salutarlo (come se fossero amici, come se Charles fosse qualcuno di importante) e gli avevano detto qualcosa tipo «Amico, hai avuto delle palle enormi oggi pomeriggio, ci piaci!» (e quando Raven gli aveva lanciato uno sguardo inquisitore Charles l'aveva guardata come a dire "ti spiego dopo"). Era stata una festa estremamente piacevole e ben riuscita, fino a che Re Shaw non aveva chiamato avanti una cantante.
Era assolutamente bellissima, con dei lunghi capelli neri e due occhi intensi. Era una delle cantanti più brave del regno, aveva detto Re Shaw, ovviamente compiaciuto, prima di farle segno di cominciare a cantare.
Se Charles non fosse stato un telepate, se non si fosse reso conto immediatamente di cosa stava succedendo e non si fosse schermato al meglio contro di esso, probabilmente sarebbe finito addormentato come tutti gli altri.
Non sapeva cosa ci fosse nella voce di questa donna, ma evidentemente aveva il potere di fare addormentare chiunque la sentisse. Non sembrava un potere esattamente utile per una cantante, stava pensando Charles, prima di rendersi conto di cosa stesse prendendo in mano la donna.
Un pugnale. Oddio, un pugnale e stava camminando verso il Principe Erik, che era un idiota e che aveva seri problemi a controllare la sua rabbia da quello che gli avevano raccontato in giro, ma che non meritava di morire.
Il punto era, però, che Charles non sapeva come aiutarlo, il suo potere era assolutamente inutile in una situazione del genere. Non poteva chiamare Erik e farlo svegliare con una sveglia mentale, non poteva semplicemente cercare di convincere la donna a cambiare idea (era un buon oratore, ma non era così bravo) e non sapeva che fare.
Apparentemente non aveva bisogno di sapere perché i suoi poteri avrebbero fatto tutto per lui. Nel momento in cui aveva aperto la sua mente pensando che, dopotutto, non aveva assolutamente nulla da perdere a provare a convincerla - a parte forse la sua testa - i suoi poteri si erano mossi da soli e quella che, nella mente di Charles, era partita come una, effettivamente convincente, arringa, era diventata un ordine.
Un ordine chiaro e preciso: non lanciare il pugnale.
Se solo fosse riuscito a convincerla... se solo... però se non ci fosse riuscito Erik sarebbe morto. Sarebbe moro e Charles avrebbe sentito il peso della sua morte per tutta la vita, quindi aveva anche cominciato a correre. Aveva corso così velocemente da farsi quasi venire il fiatone e si era reso conto che la donna, la mutante, non aveva immediatamente lanciato il pugnale, che era rimasta immobile per qualche prezioso secondo.
Era stato abbastanza e quando l'altra si era risvegliata dallo stato catatonico in cui il suo potere l'aveva mandata, Charles era già abbastanza vicino da poter spingere Erik lontano dal pugnale.
Nel minuto stesso in cui l'aveva fatto tutti gli ospiti si erano svegliati, vedendo semplicemente il momento in cui Charles si era lanciato per proteggere il Principe Erik da un attentato alla sua vita.
E questo non sarebbe stato male, esattamente, se Re Shaw, quando tutto era finito non l'avesse guardato e non gli avesse detto «Hai salvato la vita di mio figlio e meriti un premio.»
Charles aveva provato a rifiutare in qualsiasi modo, ma Re Shaw aveva insistito. «No, da oggi in poi sarai il servo personale di mio figlio,» aveva detto alla fine.
Erik aveva evidentemente qualcosa da ridire al riguardo (come Charles d'altronde), ma un solo sguardo del Re e aveva deciso di rimanere in silenzio.
No, davvero, Charles era probabilmente maledetto.
(Si era poi scoperto che Re Shaw aveva fatto decapitare il fratello della cantante ritenendolo un telepate. La donna però giurava e rigiurava che si era trattato di uno sbaglio, che era stato tutto uno stupido stupidissimo sbaglio.
Suo fratello non era mai stato un telepate, semplicemente un senza-poteri e Shaw non aveva alcun diritto di togliergli la vita basandosi solamente su voci sentite.
Charles avrebbe voluto andare da lei e abbracciarla, dirle che gli dispiaceva, che il mondo era ingiusto. Che non sapeva perché suo fratello, un uomo onesto, fosse morto mentre lui era ancora vivo, ma che gli dispiaceva comunque.
Raven probabilmente non avrebbe apprezzato.)
Il fatto era che la serata maledetta? Oh, la serata maledetta non era finita lì.
Ovviamente non era finita lì.
Erik l'aveva lasciato davanti al salone in cui si era svolta la festa con precise istruzioni di portargli la colazione in camera alle sette di mattina (colazione in camera! Poteva anche andarsela a prendere da solo il damerino) e Charles aveva voglia di uccidersi.
Tutto quello doveva essere un incubo, non c'erano alternative.
E poi aveva trovato Emma Frost davanti all'entrata del laboratorio di Hank.
Emma Frost era la pupilla di Re Shaw. Shaw l'aveva presa con sé quando i suoi genitori erano morti, quando lei era ancora piccola - apparentemente Re Shaw andava in giro ad adottare i bambini di tutti, Charles non s'interessava agli strani comportamenti del loro Re (non quando non minacciavano di fargli saltare la testa).
Il punto era che Emma Frost lo stava aspettando davanti all'entrata e Charles non aveva la minima idea di cosa volesse.
Era bellissima, con dei lunghi capelli biondi e degli occhi stupendi. La sua mutazione era incredibile e le permetteva di diventare un diamante grezzo - chi l'aveva vista trasformarsi diceva che la sua bellezza diventava assolutamente strabiliante.
Charles comunque non capiva cosa ci facesse lì.
«Credo dovremmo parlare,» gli aveva detto, senza nemmeno presentarsi (beh, ovviamente non aveva bisogno di presentarsi, ma magari avrebbe potuto chiedere a Charles come si chiamasse, sarebbe stato educato).
Charles non aveva la minima intenzione di interagire con un altro membro di quell'assurda famiglia, però. Nessunissima intenzione.
«A dire il vero è stata una giornata stancante e...» provò, e poi sentì qualcosa, qualcosa che gli sfiorava la mente, tagliente come un diamante.
Charles teneva sempre delle difese molto alte, per assicurarsi di non fare qualcosa di stupido come scambiare i pensieri di una persona per quello che stava dicendo ad alta voce e non aveva avuto nessun contatto diretto con una mente in anni ed anni.
Ed ora quello. Charles quasi aveva voglia di piangere.
«Posso capirti, Charles,» gli disse Emma, sorridendo «ma credo che dovremmo andare a parlare in un posto un poco più privato, non credi?»
Charles l'avrebbe seguita in capo al mondo, a quel punto, giusto per poter continuare a sentire la presenza di una mente vicino alla sua.
Fu solo quando Emma l'aveva portato fuori, su una delle torri, che Charles si rese conto di cosa stesse succedendo.
Emma Frost era una telepate. Emma Frost, la protetta di Re Shaw, era una telepate.
Evidentemente la sua incredulità doveva essere dipinta sul suo viso perché Emma aveva cominciato a ridere.
«Ovviamente Shaw non sa nulla,» gli disse, come se fosse ovvio (probabilmente lo era) «grazie a questa mia capacità di trasformarmi in diamante posso farmi passare comunque per una nobile.» Si voltò a quel punto, guardandolo «Cosa che ovviamente non puoi fare tu, Charles Xavier.»
Charles non era ancora certo di cosa provasse a sentire l'altra utilizzare il suo nome completo con così tanta nonchalance.
Stava per aprire la bocca e chiederle di cosa stesse parlando quando si era reso conto che non ne aveva bisogno. Che non aveva bisogno di parlare a parole, poteva semplicemente aprire la sua mente e lasciare entrare Emma.
Era diverso parlare telelpaticamente con un altro telepate rispetto al parlare con Raven.
Raven non sapeva realmente comunicare attraverso i suoi pensieri, continuava a costruire frasi, come se stesse parlando e per aiutarla Charles faceva la stessa cosa.
Con Emma era diverso.
Non avevano bisogno di parole, di costruzioni sintattiche, era come se tutti i loro pensieri passassero dall'uno all'altro senza alcun filtro, senza nessuna possibilità di comprendersi male. Era qualcosa di unico, qualcosa che Charles non aveva mai provato prima da allora ma che, sapeva, gli sarebbe mancata per sempre.
Qualcosa di cui Shaw l'aveva privato e che era incredibilmente importante per lui.
Emma gli raccontò di come avesse preso tutte le informazioni dalla mente di Raven, senza che lei se ne accorgesse, come avesse assistito al suo salvataggio di Erik, come avesse sentito nella sua mente Charles che diceva alla donna di non lanciare il pugnale.
Charles le aveva spiegato che non aveva la minima idea di come ci fosse riuscito, che i suoi poteri avevano agito da soli ed Emma sembrava estasiata.
«I tuoi poteri sono molto più forti di quanto tu possa immaginare. Molto più forti persino dei miei,» gli aveva detto con un tono quasi riverenziale e gli ci volle qualche secondo per rendersi conto che stava parlando di nuovo ad alta voce.
«Non ho mai potuto fare esperimenti con essi, non ho mai potuto vedere fino a dove avrei potuto spingermi,» spiegò, mordendosi un labbro. Emma lo guardò e poi gli si avvicinò.
Era una persona estremamente glaciale Emma Frost, Charles l'aveva letto nella sua mente, poteva vederlo dal modo in cui si muoveva. Emma Frost non era una persona felice.
Emma sorrise, avendo evidentemente sentito quel pensiero. «Adoravo Shaw,» gli disse, come se fosse un segreto e Charles sentì dentro di lui tutto quello che lei aveva provato per il Re, un tempo, in gioventù «ma quando ho capito che non avrebbe mai potuto accettarmi per quello che ero...»
Charles non sapeva cosa volesse dire. Era stato fortunato, a modo suo: sua madre, suo padre e sua sorella non l'avevano mai trattato diversamente, erano sempre stati estremamente comprensivi, sempre attenti.
Shaw, ovviamente, non aveva fatto lo stesso.
Avrebbe voluto abbracciarla, dirle che sarebbe andato tutto bene e accarezzarle i capelli, come faceva con Raven quando si sentiva triste, ma non pensava che sarebbe stato ben accetto.
Quello che disse invece fu «Non sei più sola,» ed Emma lo guardò e ci fu un lampo di qualcosa nel suo sguardo. Quasi incredulità.
«Sei una strana persona, Charles Xavier,» gli disse e lui rise.
«Raven me lo dice spesso.»
Non era certo di come riuscisse a farsi alleati nei posti più strani. Beh, no, probabilmente sarebbe diventato amico di Hank prima o poi (erano troppo simili per non farlo), ma certamente Charles non si sarebbe aspettato di diventare... non esattamente amico, ma comunque un confidente di Emma Frost.
Né di instaurare un rapporto quasi sopportabile con i due soldati con cui aveva litigato il primo giorno.
Il problema della sua permanenza a Camelot era Erik, a dire il vero.
Non che le cose non fossero migliorate da quando Charles aveva cominciato a passare tutto il suo tempo con il Principe, ma non si scambiavano mai più di due o tre parole. Era snervante.
A Charles piaceva parlare, era una persona che parlava in continuazione per ore (Raven lo prendeva in giro dicendo che probabilmente era solamente innamorato della sua stessa voce, Charles non l'aveva mai smentita) ma ogni volta che provava ad instaurare un qualche tipo di conversazione con Erik falliva miseramente.
Era un poco deprimente a dire il vero, come se l'altro gli sbattesse una porta in faccia ad ogni sua parola.
Era questo a cui stava pensando Charles mentre metteva a posto la camera di Erik (che era quasi completamente priva di qualsiasi tipo di oggetto personale, Charles non avrebbe mai potuto immaginare che lì dentro ci abitasse qualcuno se non per la pila di vestiti sporchi che era costretto a lavare costantemente).
E poi, mentre metteva a posto, aveva notato la scacchiera.
Gli scacchi erano un gioco che Charles si era molto divertito ad apprendere con suo padre, una di quelle cose che li aveva accomunati per così tanti anni. Anche dopo la sua morte Charles aveva continuato a giocare con chiunque avesse trovato, sperando di scoprire qualcuno che si sarebbe reso un avversario degno, come lo era stato suo padre.
Non sapeva che Erik giocasse a scacchi.
«Giochi?» aveva improvvisamente chiesto qualcuno e Charles si era voltato giusto in tempo per vedere Erik, appoggiato alla porta, di ritorno dagli allenamenti.
Il problema di passare così tanto tempo con una persona era che, seppur involontariamente, Charles cominciava a ricevere delle specie di sensazioni dall'altra persona, come se le loro menti avessero un qualche tipo di debole collegamento.
Ora poteva sentire che Erik aveva voglia di farsi una doccia, che era stanco, ma più di tutto poteva sentire che era curioso della risposta che Charles avrebbe dato, anche se Charles non sapeva perché.
«Sì,» disse «giocavo spesso con mio padre, signore,» aggiunse, giusto perché voleva premiare una delle prime volte che Erik aveva cominciato un discorso di sua iniziativa (uno che rischiava seriamente di avere più di quattro monosillabi da parte di Erik).
Invece Erik non aveva risposto ulteriormente, ma si era semplicemente seduto da una parte della scacchiera e aveva fatto segnale a Charles di sedersi a sua volta.
«Non credo di potere...» fu la risposta di Charles (anche se, davvero, aveva una voglia di giocare assolutamente soffocante).
«È un ordine, Charles,» gli disse Erik, guardandolo «conosco già il tuo lato irriverente, ma spero che tu possa seguire un ordine così semplice.»
Charles si sedette perché, beh, che cos'altro poteva fare?
Giocarono per venti minuti, completamente in silenzio, fino a che Charles non disse «Scacco Matto».
Erik era uno dei giocatori migliori che Charles avesse avuto il piacere di sfidare in anni, ma le sue mosse non erano ragionate bene, spesso spinte dall'impulso di muovere.
Era ovvio che non era un principiante, ma Charles era più bravo.
Erik guardò la scacchiera come se l'avesse tradito e Charles avrebbe voluto ridere di gusto (Erik sembrava quasi un bambino a cui avevano appena detto che non poteva giocare con il suo giocattolo preferito e Charles lo trovava estremamente divertente.).
«Rivincita,» e suonava di nuovo come un ordine, anche se, a dire il vero, Charles doveva davvero tornare al suo lavoro.
«Okay,» concesse.
Vinse anche la partita successiva, ma lui ed Erik avevano attualmente parlato un poco quella volta. Charles si sentiva al settimo cielo.
Lui ed Emma avevano continuato ad incontrarsi in segreto di sera, ma a volte Emma lo cercava durante il giorno. Era altamente inappropriato, ma Charles non sapeva mai dire di no quando Angel - la dama di compagnia di Emma - lo veniva a chiamare.
Angel non era una senza-poteri come molte delle dame, Shaw aveva preso una nobile per la sua pupilla, e a volte Charles avrebbe voluto dire che sapeva cosa provava, che sapeva quanto fosse difficile perché lui stava passando esattamente la stessa cosa, ma non lo faceva mai.
Lui ed Emma si lasciavano andare, aprendo le loro menti e parlando senza bisogno di parole. Charles non poteva vivere senza la presenza di Emma, non più, e a volte sospettava che lo stesso valesse per lei.
Normalmente, nonostante tutto, Charles non aveva nulla in contrario a seguire Angel quando questa lo chiamava, ma avrebbe davvero preferito che questa gli avesse dato ascolto e non gli fosse venuto a dire «Charles, Emma vorrebbe vederti,» mentre lui si stava allenando con Erik.
Da quando avevano cominciato a giocare insieme a scacchi, Erik era diventato... non esattamente più aperto, ma in un certo senso si erano avvicinati parecchio, tanto che ora Erik si sentiva abbastanza sicuro del loro rapporto da prenderlo a pugni con una spada (o almeno, questo era quello che Charles pensava stessero facendo, Erik probabilmente li chiamava allenamenti).
Non che Charles avesse smesso di pensare che Erik, a volte, si comportasse come un idiota, ma poteva vedere che c'era molto altro sotto la corazza che Erik si ostinava a portare addosso.
Il punto, però, non era quello.
Il punto erano Angel ed Emma ed Erik che sembrava sul punto di avere un aneurisma.
«Emma?» aveva chiesto, guardando prima Charles e poi Angel. «Si può sapere cosa vuole Emma dal mio servo?» aveva poi chiesto alla dama, che si era limitata ad abbassare il capo.
«Non saprei, mio signore,» aveva detto, ma Charles poteva quasi sentire l'ilarità che tutta quella faccenda le stava generando - ecco perché non l'aveva ascoltato ed era comunque venuto a parlare mente era con il principe. Perché trovava tutto divertente.
«Puoi andare a riferirle, allora, che dovrà resistere almeno altre due ore senza di lui,» sentenziò alla fine Erik e Charles si voltò verso di lui incredulo.
«Due ore?» squittì «no, Erik, non ho la minima possibilità di resistere per due ore!»
«Sta zitto, Charles,» gli rispose Erik, senza nemmeno guardarlo «e ti ho detto mille volte che non puoi chiamarmi con il mio nome.»
«Ti chiamo come voglio quando hai in progetto di continuare a colpirmi con una spada per due ore di fila!» disse invece Charles, che non aveva la minima intenzione di rimanere lì nemmeno un'altra mezzora.
Angel stava chiaramente ridendo internamente e Charles avrebbe voluto urlarle contro.
«Oh e invece immagino che saresti felicissimo di passare queste due ore con Emma!» e, a dire il vero, Charles avrebbe preferito andare a giocare a scacchi con Erik ora che le loro partite sembravano dargli occasione di conoscere meglio il principe, ma non poteva certo dirlo.
«Beh, rispetto a questo!» e Charles non era davvero fatto per essere un maledetto soldato, era troppo gracilino ed amava i libri, parlare con le persone, magari insegnare. Non cercare di ammazzare il proprio nemico, non quello.
Erik era stranamente rosso, come se fosse incredibilmente arrabbiato. Charles non riusciva a capire, davvero.
«No, ho bisogno di te,» disse alla fine, voltandosi di nuovo verso Angel «cosa ti ho detto? Vai.»
Angel fece un piccolo inchino e se ne andò, ancora chiaramente divertita. Angel era ovviamente il diavolo.
«Di cosa parli con Emma? Perché ti ha chiamato, mh?» gli chiese, prendendo di nuovo in mano la spada. Charles avrebbe davvero preferito che si fosse calmato prima di ricominciare.
«Uhm... la Lady Emma ha scoperto del mio amore per la lettura e a volte mi chiede di leggerle qualche brano di poesia o dei libri,» si inventò, alla fine, sperando che potesse suonare anche solo mediamente convincente. Emma era una donna estremamente intelligente, amante delle belle arti, non sarebbe dovuto essere strano un suo interesse nella letteratura, no?
Erik aveva abbassato leggermente la spada e sembrava essere un poco meno arrabbiato - bene.
«Tu... le leggi dei libri?» chiese, per essere sicuro di avere capito bene e Charles annuì.
«È una cosa che facevo spesso per mia sorella, a casa,» spiegò, sorridendo involontariamente - aveva solo bei ricordi di quei momenti. «Leggere a qualcuno mi rilassa.»
Erik rimase in silenzio per qualche secondo e poi lo guardò.
«Se vuoi puoi leggere per me,» disse e Charles lo guardò, incerto di avere capito bene. Erik sembrava imbarazzato, e non lo stava guardando. «Non ho mai la pazienza di rimanere chino sui libri abbastanza a lungo, sono più bravo a combattere in ogni caso e... magari se fosse qualcuno a leggere sarebbe meglio.»
Charles stava già sorridendo a metà del discorso. Non per l'idea in sé di leggere ad Erik - non aveva mentito dicendo che leggere ad altri lo rilassava, ma non era certo che leggere ad Erik avrebbe mai potuto rilassarlo. Però era un passo avanti, un passo avanti nella costruzione di qualcosa che magari sarebbe potuto essere un reciproco rispetto. Un'amicizia magari!
Charles si rendeva conto che probabilmente il modo in cui aveva detto «Con piacere, Erik!» ricordava molto quello di un cane a cui avevano appena lanciato un biscotto, non gli importava molto.
Poi Erik aveva ricominciato a colpirlo e Charles non era stato più poi così felice.
Quella sera, mentre era nella stanza di Raven, accarezzandole i capelli, quest'ultima gli chiese «Cosa sono tutte queste voci che sento in giro, Charles?»
«Probabilmente stai cominciando a sviluppare dei leggeri livelli di telepatia, non...» e si bloccò quando Raven gli diede un pugno sulla spalla «No, cretino, non intendevo in quel senso. Cosa vuol dire che Emma Frost e il Principe Erik hanno cominciato a contenersi le tue attenzioni?»
Charles sbatté gli occhi, aprì la bocca e poi la richiuse.
«Raven, che assurdità vai blaterando?» le chiese, finalmente, perché non aveva la minima idea di come rispondere ad una cosa del genere.
«Beh,» disse Raven «Alex mi ha detto che Sean gli ha detto che Darwin gli ha detto che Angel gli ha raccontato di quello che è successo stamattina. Mentre tu ed il principe Erik vi stavate allenando.»
Charles la guardò, aggrottando le sopracciglia «Ma esattamente siete i Cavalieri di Camelot o il Circolo delle Vecchie Pettegole di Camelot?»
Raven sbuffò, ma lo guardò con quello sguardo che voleva dire "sputa il rospo o ti farò pentire di essere nato".
Charles non aveva ancora detto a Raven di Emma, non perché non si fidasse, ma perché non era certo che l'altra volesse e non... a Charles non piaceva violare la privacy delle altre persone.
«Emma... Raven, ho bisogno che tu mi prometta che non dirai a nessuno quello che sto per raccontarti,» le disse, smettendole di passare la mano tra i capelli. Era importante, era estremamente importante, non poteva rischiare che la notizia venisse fuori, Emma non lo meritava.
Raven, avvertendo la sua rigidità si mise a sedere, guardando Charles negli occhi. «Cosa sta succedendo, Charles? E da quando chiami Emma Frost, la pupilla di Re Shaw, solamente Emma?»
Charles avrebbe voluto dirle che non faceva testo perché chiamava Erik solo Erik un sacco di volte, ma non era questo il momento opportuno.
«Devi promettermelo, Raven, perché Emma probabilmente si arrabbierà con me quando verrà a sapere che te l'ho detto e devo portarle una qualche specie di garanzia,» se fossero arrivati al peggio le avrebbe mostrato questo ricordo, le avrebbe mostrato i pensieri di Raven mentre diceva «Okay, prometto,» (ed era preoccupata, ma decisa a mantenere qualsiasi segreto Charles le stava per rivelare).
«Emma è una telepate, Raven,» le disse a bassa voce, come se qualcuno potesse sentirla «è come me.»
Ancora Charles non poteva credere di aver trovato qualcuno come lui, di aver trovato qualcuno che sapeva cosa volesse dire poter percepire i sentimenti di tutte le persone intorno a lui.
Era incredibile,
Raven lo guardò, aprì la bocca e alla fine disse «Cazzate, stai dicendo cazzate, Charles.»
Charles storse il naso alla brutta parola «Stai passando tropo tempo con Alex,» le disse onestamente e Raven gli diede un altro pugno.
«Credi mi interessi parlare di Alex ora? Cosa vuoi dire che Emma è una telepate, quando l'hai scoperto? Come ha fatto lei a scopri-» e poi si era fermata, ripensando a quello che era successo dal loro arrivo a Camelot e facendo immediatamente il collegamento.
Raven non era una persona stupida, Charles sapeva che ci sarebbe arrivata.
«Oddio,» disse, portandosi le mani davanti alla bocca «hai usato i tuoi poteri davanti a centinaia di persone che ti avrebbero ucciso se l'avessero scoperto e tutto per salvare il principe Erik!»
Charles sapeva che si sarebbe arrabbiata quando l'avrebbe scoperto. Lo sapeva.
«Non potevo certo lasciarlo morire!» disse in sua difesa, ma Raven si limitò a dargli un altro pugno.
«E se avessero ucciso te al suo posto? Ti rendi conto del pericolo che hai corso? Dio, Charles!» e ora poteva sentire ondate di preoccupazione arrivare da Raven, come onde incontrollabili. Charles l'abbracciò immediatamente.
«Sto bene però,» le disse, piano «sto bene, no?»
«La prossima volta potresti non esserlo,» gli disse Raven, mormorando piano nel suo orecchio «la prossima volta potresti...»
Charles le baciò la testa, cercando di rassicurarla. «Va tutto bene, Raven. Va tutto bene.»
Non era certo di stare dicendo la verità, ma almeno stava provando ad essere il più sincero possibile.
Apparentemente quello che era successo con Angel l'avrebbe perseguitato per i secoli a venire perché, quando stava tornando in camera sua per un poco di meritato riposo, aveva trovato Emma ad aspettarlo davanti all'uscita della torre.
Emma aveva probabilmente sentito la sua stanchezza perché gli aveva sorriso.
«Soltanto un minuto,» e Charles l'aveva seguita, perché era Emma e Charles era assolutamente incapace di dire no anche a lei (sembrava che avesse una specie di platonico debole per le donne più spaventose di lui, o qualcosa del genere).
L'aria fresca della sera li accolse immediatamente e si sorprese quando Emma non lasciò immediatamente cadere le sue barriere.
«Tu ed Erik... siete amici,» disse alla fine. Charles non riusciva a capire cosa c'entrasse quello, ma rispose comunque.
«Non esattamente, immagino che ora riesca almeno a sopportami, non abbiamo esattamente iniziato con il piede giusto,» disse, ridendo, ma Emma lo stava guardando. Lo stava guardando come se stesse cercando di studiarlo, come se stesse cercando di comprenderlo.
«Davvero non ne hai idea...» disse alla fine e Charles aggrottò le sopracciglia.
«Idea di che?» chiese, perché tutta quella conversazione aveva persino meno senso di quanto Charles si sarebbe aspettato.
Emma non gli rispose, ma prese a guardare avanti a sé, senza degnare Charles di uno sguardo.
«Sai,» disse poi lei, con non-chalance «credo dovremmo provare ad allenarci. A vedere fino a dove possiamo spingerci con i nostri poteri. Possiamo farci aiutare da tua sorella - sì, so che gliel'hai detto, era solo questione di tempo.»
Charles non era avverso all'idea, non comunque come principio, ma non riusciva a capire da cosa fosse derivato. Perché Emma lo stesse dicendo proprio adesso.
«Emma?» chiese, lentamente e lei si voltò, guardandolo intensamente negli occhi.
«Abbiamo bisogno di prepararci, Charles, non sarà sempre così,» disse, sicura «prima o poi saremo costretti a combattere anche noi, a proteggerci...»
Charles preferiva non pensarci, ma sapeva anche che Emma aveva ragione, che non avrebbero potuto continuare così per sempre, che c'era un limite anche alla loro sopportazione. Un limite che prima o poi qualcuno avrebbe superato.
«Okay,» le disse e la conosceva ormai da settimane quindi fece quello che aveva voluto fare fin dal primo giorno in cui si erano conosciuti e le prese la mano, stringendola.
Emma gli aveva sorriso e poi gli aveva detto «Dio, Charles, il tuo senso estetico non è minimamente migliorato,» guardando i suoi vestiti come se l’avessero personalmente offesa.
E Charles sapeva che sarebbero stati a posto.
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