Titolo: La casetta in canadà
Autrice:
chibi_saru11Fandom: Original
Personaggio: Elena, Annalisa
Paring: Annalisa/Elena
Rating: PG13
Warning: Femslash
Parole: 995
Riassunto: Ad Annalisa piaceva la loro casetta di campagna.
Note:
1. Non scrivevo originals da un po' *__* Mi sono entrambe venute in mente ieri sera e boh, mi piacevano ecco e quindi eccole.
2. Scritta per Campagna @ COW-T @
maridichallenge MAI.
Disclaimer: Sono miei. MIE, MIE, MIE. E chi me le ruba finisce male.
Quando aveva sette anni, il viso sempre sporco e i capelli troppo corti, Annalisa adorava la loro casetta in mezzo ai campi: era piccola ed accogliente, luminosa e calda. Annalisa adorava giocare con i Collie (Back e Lea) e correre e correre per ore intere senza nessuna preoccupazione.
Quando aveva sette anni Annalisa adorava Elena, la loro vicina di casa, che aveva capelli biondi troppo lunghi (che si sporcavano sempre quando giocavano insieme) e la pelle pallida e delicata. Elena correva più veloce di lei, sebbene sembrasse così fragile e piccola e rideva gettando la sua testa all’indietro, una piccola risata leggera che riempiva il cuore di Annalisa di affetto.
Elena era più bella di lei, indossava vestiti belli ed eleganti (anche se, ogni volta, finivano strappati su qualche radice o pieni di fango), ma non era come tutte le altre bambine che Anna aveva incontrato a scuola: Elena non aveva paura di sporcarsi e non aveva paura del buio.
Elena non la guardava male solo perché ad Anna piacevano più le macchine delle barbie o perché si sporcava spesso cadendo a terra. Elena rideva e la prendeva per mano e insieme vivevano mille e mille avventure.
Ed erano solo tre mesi ogni anno, certo, ma ad Annalisa sembravano anni e millenni ed era come se il tempo che passavano assieme non finisse mai e se ne andasse via troppo presto allo stesso tempo. E non era mai abbastanza e quando non era con Elena sentiva il bisogno di parlare di lei costantemente.
«Come mai, mamma? » aveva chiesto, una volta, seduta sul portico di casa a guardare Lea e Back che si inseguivano.
«Perché è la tua migliore amica,» aveva risposto sua mamma, continuando a stendere il bucato. Migliore amica, aveva un suono dolce e rassicurante alle sue orecchie, un suono che sapeva di boccoli biondi e occhi azzurri e Anna sorrise.
Quando Annalisa aveva dodici anni la casa in campagna era un po’ meno bella, ma solo perché non c’era più sua madre a stendere il bucato e raccontarle cosa faceva lei in quella casa da piccola. Annalisa a volte si sedeva ancora sul portico, guardando i panni stesi e aspettandosi di vedere sua madre arrivare e canticchiare allegramente.
Elena sedeva accanto a lei, la sua piccola mano stretta tra una di quelle di Annalisa e parlava e parlava fino a che Anna non si risvegliava da quella specie di trance in cui cadeva a volte e cominciava a ridere e appoggiarsi di più a lei.
A dodici anni poi, Anna cominciava a vedere i ragazzi sotto un punto di vista diverso: le sue amiche, quelle della città, non Elena, continuavano a ridacchiare e discutere su quale ragazzo fosse il più carino. Annalisa le guardava e si sentiva esclusa, in un qualche modo - non perché le sue compagne non cercassero di includerla, ma perché non le interessava, non davvero.
Elena non parlava di ragazzi, invece. Parlava della signora del fornaio e dei suoi cani e di suo fratello e di quel nuovo cartone ed Anna chiudeva gli occhi e si lasciava trasportare dalle sue parole, sentendosi completamente a casa. Al posto giusto.
«Tu sei la mia migliore amica, lo sai vero?» le aveva chiesto, l’ultimo giorno di quelle estate e Elena aveva riso, mostrando tutti i denti (e non ne aveva più nemmeno uno da latte) e Annalisa si era sentita felice.
Quando Annalisa aveva quindici anni, Elena era più alta di lei, più bella di lei e tutti i ragazzini del paese vicino non facevano che parlare di quanto fosse bella. Annalisa era gelosa - non di Elena, non della sua bellezza, ma di Carlo e del modo in cui stringeva la mano di Elena tra le sue.
Un tempo lo facevano loro, voleva dire. Io sono la sua migliore amica, avrebbe voluto urlargli, ma non lo faceva mai.
Elena rideva e gli stringeva la mano un poco di più e Annalisa non si sentiva a casa, non si divertiva.
A casa si sedeva sul portico, da sola, a pensare.
Suo padre le aveva detto che era normale quello che provava, che semplicemente non voleva che qualcuno le portasse via la sua migliore amica. Annalisa non ne era così convinta.
La parola migliore amica suonava strana alle sue orecchie ora, non era più una parola dolce, ma una nota stonata, triste.
Lei ed Elena si videro poco quell’estate, e Annalisa tornò a casa con uno strano peso nel petto e decise di non tornare più in quella casa in campagna.
Quando Annalisa aveva diciassette anni e mezzo, decise di tornare a passare una settimana in quella piccola casetta. Le ricordava sua madre e quei due Collie per cui andava matta. A diciassette anni Annalisa aveva baciato due ragazze ed aveva provato a stare con un ragazzo (non era andata troppo bene).
Elena aveva i capelli ancora più biondi di come li ricordava e gli occhi più azzurri del cielo e due seni che pregavano Annalisa di essere toccati. Quando si videro Elena l’abbracciò con forza chiedendole dove fosse finita, se fosse lì per tutta l’estate e sorridendo ad ogni risposta.
Tornarono nel loro punto di gioco preferito, sotto un albero in campagna e Annalisa la baciò perché non aveva nulla da perdere, perché sarebbe partita sei giorni dopo.
Elena rispose, portandole una mano alla guancia e giocando con i suoi capelli castani sempre troppo corti.
Annalisa passò l’intera estate in campagna, abbracciata al corpo nudo di Elena, leccando i suoi capezzoli e la sua apertura, baciando la sua bocca e accarezzando i suoi capelli quasi con riverenza.
Annalisa passò tre mesi ad adorare Elena come se fosse una Dea e se ne innamorò più di quanto ritenesse possibile.
Forse ne era sempre stata innamorata in un modo o in un altro.
Quando i tre mesi erano passati, Annalisa aveva baciato Elena a fondo, staccandosi il più tardi possibile, cercando di memorizzare quella sensazione.
«Ci rivedremo l’anno prossimo?» aveva chiesto, gli occhi chiusi e il respiro calmo (mentre il suo cuore batteva così veloce, come un tamburo o un treno).
«Sì, l’anno prossimo.» ed Annalisa aveva sorriso.