Titolo: For the ones that are still alive
Autore:
chibi_saru11 Fandom: Merlin
Beta: ///
Personaggi: Arthur Pendragon, Merlin
Pairings: Arthur/Merlin
Rating: PG13
Avvertimenti: Slash, Reincarnation-fic
Word: 1257 (FiDiPua)
Riassunto: Arthur non ricorda come Merlin e, sinceramente? A volte pensa sia la cosa migliore che gli sia mai capitata.
Note:
1. E ovviamente la fic con il prompt che mai e poi mai avrei voluto diventa una serie. LOL. OVVIAMENTE. Questa è la terza installazione nella 2012!AU questa volta più piccola delle altre, dal POV di Arthur. Questa storia è un companion piece di
Have you ever wondered? e
Voice in the twirling flowers di cui consiglio la lettura, visto che sono le stesse cose raccontate dal punto di vista di Arthur.
2. Per il prompt Nostalgia @ COW-T -
maridichallenge Disclaimer: Merlin (BBC) non mi appartiene, proprio per niente, non so di chi sia ma non m’importa basta che continuano a trasmetterlo, ecco.
Arthur non ricordava quello che ricordava Merlin, non aveva piccoli flashback e non aveva la minima idea di cosa volesse dire vivere ricordando un’altra vita avvenuta millenni prima.
Lui viveva la sua esistenza con forza ed eccitazione, godendosi ogni secondo di libertà come fosse qualcosa di prezioso, qualcosa che doveva proteggere. A volte pensava che fosse perché nella vita che Merlin ricordava, quella di cui lui non sapeva nulla, la libertà non era stata qualcosa che aveva avuto, costretto dalle regole e dalla sua posizione.
Eppure non ne aveva memoria, non sapeva cosa fosse quel dolore che a volte teneva sveglio Merlin, che lo faceva piangere silenziosamente a letto. A volte pensava che avrebbe voluto ricordare, per poter aiutare l’altro, per poter comprendere. Altre volte la sola idea di ricordare, la sola idea di rivivere quello che era successo, lo distruggeva, lo terrorizzava.
La prima volta che Arthur aveva visto Merlin, in una delle tante, tantissime, biblioteche di suo padre, aveva pensato che era un ragazzo strano, ma aveva provato anche qualcos’altro che non avrebbe mai saputo spiegare.
Qualcosa che lo spaventava e lo attraeva allo stesso tempo, come una forza incontrollabile a cui avrebbe voluto sfuggire (perché ad Arthur non piacevano le imposizioni, perché ne lo infastidivano, perché gli piaceva essere libero) ma che faceva parte di lui.
Poi Merlin si era presentato e Arthur, che aveva vissuto tutta la sua vita circondato dalle leggende Arturiane, che aveva vissuto tra biblioteche e tomi più grandi di lui, non era riuscito a non ridere.
Arthur e Merlin? Seriamente?
Ed era così ridicolo da avere un senso e quindi sorrise, porgendo la mano a Merlin e presentandosi a sua volta.
Arthur non ricordava, certo, ma provava un qualcosa di molto vicino alla nostalgia. A volte guardava suo padre o Morgana o Merlin stesso e sentiva il bisogno di stringerli ed accertarsi che fossero lì, che fossero veri. Che stessero bene.
Una volta aveva provato a chiedere a Merlin se fosse vero quello che dicevano i tanti libri che aveva suo padre. Se fosse vero di Morgana (che lo aveva tradito, che lo aveva venduto al suo peggiore nemico), di Gweneviere e Lancelot (che lui non conosceva in questo mondo e ogni volta che li menzionava Merlin si oscurava un poco, come se si sentisse in colpa).
Merlin gli aveva raccontato tutto una volta, ma Arthur aveva bisogno di sentirselo ripetere, perché era come se non riuscisse a ricordare, come se le parole di Merlin non riuscissero a rimanere impresse nella sua mente.
Era strano.
«E’ l’incantesimo,» gli aveva detto una volta Merlin, baciandogli uno zigomo e sembrava così triste, così rotto che Arthur non potè fare altro che prenderlo tra le braccia.
Una volta Merlin gli aveva chiesto se non avesse alcun interesse per la sua vita, se gli piacesse gettarla al vento e vedere fino a dove sarebbe arrivata, se avrebbe sempre potuto raggiungerla. Una volta Merlin gli aveva chiesto perché gli piacesse così tanto rischiare l’osso del collo ogni singolo giorno.
Arthur non sapeva cosa rispondergli. Non riusciva a stare fermo, non riusciva a rimanere immobile e guardare lo scorrere del tempo, si sentiva sempre come se stesse perdendo qualcosa di importante, come se non fosse al suo posto.
Non era un sentimento che Merlin provava, lo sapeva, ma Arthur ci aveva convissuto per tutta la sua esistenza. E non aveva mai avuto senso.
Quando era più giovane gli dicevano che era perché era un adolescente e nessun adolescente credeva mai di essere dove deve essere (ma Arthur aveva nove anni quando aveva deciso di prendere la bicicletta e lanciarsi giù da un dirupo per godersi il vento sul viso e a nove anni non si è adolescenti).
Poi avevano smesso di inventarsi scuse a avevano cominciato a dire che era semplicemente un ragazzo iperattivo, che stava cercando di sfuggire alla vita piena di doveri di suo padre (e forse era pure vero, questo poteva accettarlo, ma non sembrava giusto. Non del tutto).
Ora davanti a Merlin non sapeva cosa rispondere perché tutte le scuse sembravano troppo vuote, troppo incomplete.
«Per sentirmi vivo,» aveva detto, perché era vero, perché quando faceva qualcosa di stupido e grandioso si sentiva potente e a casa.
Merlin l’aveva guardato con un misto di ammirazione, paura e tristezza (era uno sguardo che Merlin gli rivolgeva spesso e che Arthur non riusciva mai a capire).
Quando Merlin gli aveva raccontato della loro precedente vita, tutto aveva avuto molto più senso, da un certo punto di vista.
Arthur era stato Re, l’uomo più potente del suo secolo, il Sovrano più potente di tutto il mondo. Arthur era stato grandioso e magnifico e ora… ora non riusciva semplicemente ad essere normale.
Ora la sua anima richiedeva gloria e il suo corpo bramava l’adrenalina della battaglia.
Merlin lo capiva, poteva vederlo, ma l’uccideva al tempo stesso. Merlin che ricordava e sapeva e ora voleva solo proteggere Arthur da tutto e tutti, anche da lui stesso.
Eppure Arthur non riusciva a fermarsi e non riusciva a contenersi e Merlin provava a fermarlo, ogni volta, e quando non ci riusciva andava con lui ed Arthur si sentiva completo e felice.
Una volta aveva chiesto a Merlin come fosse morto, se fosse morto davanti ai suoi occhi (perché ricordava che Merlin gliel’aveva raccontato, ma ora non riusciva a ricordare i dettagli) e Merlin era scoppiato a piangere, dal nulla.
Arthur non aveva più chiesto, ma non aveva nemmeno più scordato.
Aveva portato Merlin a Camelot (o almeno il luogo in cui avrebbe dovuto esserci Camelot) per farlo contento, per ridargli una boccata di quella vita che continuava a tormentarlo ogni giorno. Merlin ne era stato felice, poteva vederlo, e l’aveva portato a vedere il campo di grano (che ora era una distesa d’erba immensa) in cui si rifugiavano quando scappavano da Uther e l’albero sotto cui si fermavano a riposare dopo una lunga battuta di caccia.
Arthur non ricordava e Merlin lo sapeva, ma continuava a raccontagli di una vita che non sembrava sua, ma che lo era stata.
E suonava così strano, così nostalgico. Merlin raccontava il tutto con voce calma e rilassata, come se stesse rivivendo dei ricordi piacevoli.
Arthur lo ascoltava con una fitta al petto sempre crescente, un dolore che non riusciva a rimuovere e che continuava ad urlare smettila di ricordare.
A volte pensava che fosse quella parte di lui, e non l’incantesimo, a fargli dimenticare ogni singolo racconto, ogni dettaglio. Quella parte di lui che era spaventata da quello che avrebbe rivisto, da quello che avrebbe ricordato, di quello che avrebbe provato.
E mentre Merlin raccontava di pomeriggi mai vissuti e di una storia d’amore mai conclusa, Arthur aveva chiuso gli occhi e si era sentito morire un poco dentro.
A volte Arthur provava il desiderio di chiudere gli occhi e cominciare a ricordare tutto, di sfondare quel muro eretto nella sua mente e lasciare che i ricordi lo inondassero.
A volte Arthur guardava qualcosa e la nostalgia di quello che era stato e quello che sarebbe potuto essere diventava insopportabile e sì, forse ricordare sarebbe stata la cosa migliore. Forse avrebbe dovuto ricordare per essere sicuro di poter rimettere tutto a posto, qualsiasi cosa fosse andata storia.
A volte, invece, stringeva Merlin tra le sue braccia o guardava Morgana seduta sul tavolo della cucina che si preparava un toast o anche suo padre, chino sui suoi libri e pensava che non avrebbe mai voluto ricordare cosa avesse fatto quel mondo alle persone che più amava. Pensava alle lacrime di Merlin e alla rabbia di Morgana e al dolore di suo padre e si rendeva conto che non ne valeva la pena.
Che forse, non ricordare, era stato il regalo migliore che avesse mai ricevuto.