Inception; maritombola; Gen; Chase at the station

Jan 05, 2011 16:13

Titolo: Chase at the station
Autore: chibi_saru11 
Beta: meggie87  (come al solito bellssima \o/)
Personaggi: Arthur, Eames (apparizione di Cobb e Mal)
Pairing: Gen, in teoria, hints Arthur/Eames
Word Count: 1457 (Fidipù)
Rating: PG
Warning: Persone che SONO INCREDIBILMENTE BADASS? (PFF); Pre-Inception fic; Arthur è 19enne
Riassunto: Arthur è paranoico, ma questo è quello che lo farà andare avanti in questo lavoro.
Disclaimer: Inception non è mio, SMETTETELA DI GUARDARMI COSI'.
Note:
1. Io devo smetterla di scrivere, tipo. Per favore? QUALCUNO MI FACCIA SMETTERE. No, seriamente. *muore* *va a scrivere del porno*
2. Ieri ho chiesto su twitter "Qualcuno ha idea per una fic con prompt Metropolitana?", completamente disperata. meggie87  ha risposto che aveva in mente una scena in cui un Arthur teenager scapppava da Eames per motivi random. \o/ E io ho felicemente scritto.
3. Scritta per il prompt n° 47 Metropolitana @ maritombola - maridichallenge .


Arthur era nuovo del mestiere, certo, ma se c’era una cosa che aveva imparato in quel poco tempo era che non bisognava essere prudenti.

Essere solo prudenti era quello che ti avrebbe fatto finire ammazzato, un giorno. In quel genere di ambito lavorativo bisognava essere paranoici.

Non si era pentito della sua scelta, dalla prima volta che aveva messo piede - figurativamente parlando - in un sogno lucido, aveva saputo che quello era il lavoro che avrebbe voluto fare per il resto della sua vita.

Il che voleva dire, però, essere pronto ad accoglierne anche i lati negativi. E La possibilità di essere uccisi era decisamente un lato negativo.

Però l’aveva accettato e ora, quando camminava per strada, si guardava in giro più volte, cercando di leggere negli sguardi delle persone cosa volessero fare prima che lo facessero.

Era nuovo del mestiere, ma imparava più  velocemente e lavorava il doppio degli altri. E controllava tutto molte più volte - perché doveva essere sicuro che tutto andasse per il verso giusto, perché era paranoico.

Probabilmente fu questo a fargli scattare l’allarme quella sera mentre, voltandosi, notò qualcuno che lo guardava.

Arthur non prendeva mai la metro, ma per quel lavoro aveva bisogno di memorizzare alla perfezione il funzionamento dei sistemi elettrici e conduzione automatica del veicolo. E quel tipo lo stava seguendo.

Non c’erano molte persone in giro a quell’ora, lo sapeva, era il motivo per cui aveva scelto quell’orario, e realizzò che non poteva rischiare di entrare in un vagone e farsi seguire da quel tipo - che, comunque, se voleva pedinarlo in segreto avrebbe dovuto mettersi un’altra maglietta. Una maglietta meno rosa, ecco.

Chiuse gli occhi e cercò di concentrarsi, aveva studiato quella stazione per giorni. Come funzionassero i treni, le rotaie, le telecamere, anche. Aveva fatto attenzione a rimanere sempre nel punto buio e a camminare con il cappuccio abbassato fino a coprire il volto.

Conosceva quella stazione come le sue tasche. E decise di rischiare.

Si abbassò il cappuccio, coprendosi completamente il volto, cercò di capire quale fosse la strada più veloce e poi cominciò a correre, uscendo dalla linea B e correndo verso l’entrata della C. Ovviamente il tipo con la maglietta rosa e appariscente come una fottuta palla stroboscopica aveva cominciato ad inseguirlo.

Prevedibile.

La linea C era ancora più deserta della linea B, come aveva sospettato, e quando alzò gli occhi verso lo schermo che avvisava il tempo di attesa per la prossima corsa lesse: 3 minuti. Il tempo che gli serviva, esattamente (okay, probabilmente un po’ più di tempo gli sarebbe stato utile, ma se lo sarebbe fatto bastare).

Arthur era paranoico, certo. Ma Arthur era anche pazzo.

Ricominciò a correre, lanciandosi sulle rotaie - attento ad evitare di fulminarsi - e poi correndo verso l’altro lato, scavalcando velocemente la banchina.

Quando fu al sicuro, le persone lì intorno che lo guardavano come se fosse matto, si voltò indietro verso l’uomo con la maglietta fin troppo rosa che, fermo, lo guardava come se non potesse realmente crederci.

Arthur ghignò e poi corse via.

«Quindi ti ha seminato,» concluse Cobb, evidentemente divertito dalla situazione, ma cercando di nasconderlo. Mal non ci stava nemmeno provando.

«Quel tipo è pazzo, pazzo!» disse loro, agitando le braccia freneticamente e, apparentemente, aumentando l’ilarità di Mal.

«Sei stato seminato da un ragazzino senza esperienza,» mormorò, più a se stessa che a loro, continuando a ridere.

Eames avrebbe ripetuto che quel tizio aveva evidenti problemi mentali, ma Cobb lo fermò.

«Però è bravo, quante persone credi avrebbero avuto il coraggio di fare una cosa simile?» gli chiese ed Eames sapeva che la risposta era praticamente nessuno. Ed era per questo che loro volevano quel fottuto ragazzino pazzo.

Quindi il giorno dopo Eames ritornò in quella maledetta metropolitana, guardandosi intorno per un po’, prima di trovare di nuovo Arthur. Era appoggiato ad un muro e sembrava completamente disinteressato a quello che gli succedeva intorno.

Eames, però, poteva vedere come, in realtà, stesse seguendo attentamente qualsiasi traslazione avvenisse nello sportello per i biglietti vicino a lui.

Lo doveva ammettere, quel ragazzino era meticoloso quando si trattava di recuperare informazioni.

In ogni caso quel giorno non sarebbe rimasto a guardarlo per un po’, sperando di coglierlo di sorpresa. Cominciò ad avvicinarsi immediatamente, sperando che l’altro - intento nelle sue ricerche - non lo notasse almeno per un po’, dandogli così un piccolo vantaggio.

Ovviamente quel maledetto doveva avere occhi anche dietro alla testa.

Non appena fece qualche passo verso di lui, Arthur si voltò nella sua direzione e cominciò a correre. Eames lo inseguì, spintonando le persone che continuavano a intralciargli il cammino, fino a quando non arrivò ad una strada chiusa.

E di Arthur nessuna traccia.

L’aveva seminato di nuovo, maledizione.

E quello che Eames non sapeva era che l’avrebbe seminato anche il giorno dopo e quello dopo ancora e quello dopo ancora.

«Sei sicuro che non vuoi che ci vada io?» chiese Cobb, alla quinta volta in cui Arthur - quel piccolo ragazzino di quattro anni più piccolo di lui - lo aveva seminato.

«No, ormai è una questione personale,» rispose. Il giorno dopo il ratto non gli sarebbe sfuggito.

Ed, effettivamente parlando, non gli sfuggì. Più che altro perché, non appena lo vide, Arthur rimase immobile.

Eames lo raggiunse velocemente, cercando di pensare a quale fuga avesse progettato per quel giorno, ma lui non si mosse.

«Uh, questo è strano,» gli disse, «di solito ho una visione del tuo didietro, a quest’ora. Non che mi lamenti di avere la possibilità di vederti anche in viso ma…» e poi si bloccò, guardando il ragazzo dai lineamenti un po’ puntuti che aveva davanti. «Perché non stai scappando?» chiese, serio, e l’altro scosse le spalle.

«Ho finito il mio lavoro egregiamente, principalmente perché avevo testato tutte le possibili via di fuga scappando da te,» l’informò ridacchiando «e mi sembrava giusto darti una possibilità di spiegarti.»

Eames rimase in silenzio per qualche secondo prima di rispondere «Potrei volerti uccidere,» gli disse, senza sentimento. Arthur non sembrava particolarmente spaventato.

«Non vedo perché dovrebbe, Signor Eames,» gli disse ed Eames quasi non si affogò con la propria saliva.

«Sai chi sono,» disse, puntualizzando l’ovvio e Arthur ghignò nella sua direzione.

«Ho fatto delle ricerche, sì,» confermò, prima di mettere le mani nella tasca della felpa - la stessa che usava ogni giorno. «Quindi cosa vuoi da me?» chiese e improvvisamente Eames si rese conto di quanto soli fossero su quella piattaforma.

E di quanto quel piccolo bastardo l’avesse fatto correre.

Lo sbatté al muro, improvvisamente(inaspettatamente), poggiando una mano accanto alla testa dell’altro ed avvicinandosi a lui. Arthur, il bastardello, non aveva nemmeno sbattuto le palpebre.

«Non sapevo avesse questo tipo di gusti,» gli disse ed Eames non poteva vedere né paura, né dubbio nei suoi occhi. Quel ragazzino era entrato da poco nel giro, ma era bravo. Poteva ammetterlo.

Solo che, dopotutto, era pur sempre un ragazzino. Eames si avvicinò ancora e ancora e ancora, fino a che i loro respiri non cominciarono a mischiarsi.

E ancora, fino a che le loro labbra non furono a pochi centimetri l’una dall’altra.

E poi Arthur aveva spostato il viso, piegandolo di lato.

«Non entrare in giochi che non puoi vincere, tesoro,» disse, ridendo e tirandosi indietro.

Arthur riagganciò immediatamente i loro sguardi ed Eames sorrise.

«Allora, Arthur, cosa ne diresti di un piccolo lavoretto?» chiese, sapendo già la risposta.

«Questi sono ricordi nostalgici, non trovi tesoro?» chiede Eames, appoggiato al muro della banchina. Arthur si limitò a roteare gli occhi.

«Oh, andiamo, un lavoro che ha una stazione della metro come scenario, non ti riporta indietro nel tempo?» domandò, ridacchiando. Arthur si guardò in giro.

Poteva ammettere, almeno a se stesso, che effettivamente un po’ di nostalgia la provava. Non per l’incontro con Eames, Dio, ma per quell’Arthur diciannovenne ancora un poco inesperto.

«Che poi non ti ho mai chiesto come avessi fatto a scoprire chi fossi,» disse, avanzando fino a poggiare il mento sulla spalla di Arthur.

Sbuffò leggermente, spingendo l’altro lontano - stavano lavorando. E stava quasi per dire qualcosa, quando il loro bersaglio entrò nel loro campo visivo… solo dall’altro lato della banchina.

Eames scattò sull’attenti, ma non avrebbero mai fatto in tempo, lo sapeva.

«No, tesoro, non puoi…» cominciò Eames, prima che Arthur si lanciasse in avanti. «Ovviamente puoi, ma chi prendo in giro,» sentì Eames urlare nella sua direzione, mentre saltava sulla banchina successiva, dopo aver superato le rotaie, ma non gli diede risposta mentre atterrava loro obiettivo.

Dovevano fargli credere che fosse vittima di un rapimento, per avere i dettagli del suo conto bancario e mentre questo tremava sotto la sua stretta, Arthur pensò che non sarebbe stato difficile.

Fu solo quando Cobb lo prese in custodia e loro si ritrovarono di nuovo da soli che Arthur rispose, ghignando.

«Sapevo solo il tuo nome, non ero riuscito a trovare altro,» gli disse, aspettando qualche secondo che Eames ricollegasse il discorso. «Ho bluffato,» continuò, mentre Eames scoppiava a ridere.

«Eri un fottuto bastardo anche allora,» lo informò l’altro e Arthur pensò che sì, lo era.

character: eames, !fanfiction, fandom: inception, *maritombola, character: arthur (inception)

Previous post Next post
Up