Naruto - Il pesce palla del re

Oct 13, 2009 14:32

Titolo: Il pesce palla del re
Fandom: Naruto
Pairing: Shikamaru/Temari (riferimenti), Asuma/Kurenai (passato, ne vediamo i frutti)
Rating: G (sì, lo so, PAURA...)
Avvertimenti: Spoiler dello Shippuden fino all'allegra saga di Hidan e Kakuzu. Compresa. *tutti i lettori scoppiano a piangere furiosamente con lei* La storia è basilarmente fluffosa, con una spolverata di angst. Insomma, si parla di morte, se siete deboli non avvicinatevi.
Note: Quando ho sollevato il coperchio, scrivendo "Troppo bella", sapevo che avrei dato il via all'ennesima miriade di oneshot collegate tra loro. Perchè io non sono capace di scrivere una fic e lasciarla lì; no, io penso il seguito, e poi il seguito del seguito, e poi il mondo attorno, i presupposti, le tre generazioni seguenti... Credo sia una malattia incurabile. Ebbene, quando ho finito la mia prima ShikaTema avevo già in mente come sarebbero stati i loro figli, che nomi avrebbero avuto e cosa avrebbero fatto da grandi. Ecco, tutto ciò per dire che questa fic è collegata alla precedente. No, non ci sono figli in arrivo per Shika, ma vi introduco a un personaggio nuovo tutto mio che SICURAMENTE sarà fuori canon, visto che quello stronzo di Kishimoto ha lasciato intendere che il figlio di chi sapete voi sarà probabilmente una femmina. Una femmina! Cosa se ne fa Shikamaru di un'inutile femmina?!? *sigh sob*
Ringrazio anne_elliot per la beta e ellepi per avermi mentito dicendo che i personaggio sono IC. So che non lo sono, soprattutto Shika, perchè continuo a sentirmi un pesce fuor d'acqua in Naruto, ma finchè siete contente così voi lettrici pace. :)
Oh, il titolo si capisce se avete visto le puntate spoilerate, se no attaccatevi. Sì, lo so, che titolo deprimente...



Il pesce palla del re

“Shikamaru sensei!”
Shikamaru sorride tra sé, nelle orecchie ancora vivo il richiamo infantile e quel modo strano di pronunciare la parola sensei, allungando la seconda e fino ad ottenere un risultato piuttosto comico. È un bambino spettacolare, quello che gli si precipita incontro sbucando dall’ingresso alla palazzina e saltando con un balzo gli ultimi due gradini. È alto, per avere quattro anni, e molto veloce. Sarà senza dubbio una delle sue doti di maggior valore, quando diventerà uno shinobi. Arrivato ad un paio di passi da lui, il bambino si blocca, piantandogli addosso i suoi occhietti rossi in un’espressione di estasiato tripudio.
“Shikamaru sensei!” ripete a gran voce, in quello che dev’essere, a sua discrezione, il miglior saluto entusiasta.
Shikamaru gli appoggia una mano sulla testa, scompigliandogli i folti capelli neri.
“Ciao, Akashi,” lo saluta. “Mi aspettavi?”
Il bambino annuisce con foga.
“Mamma ha detto che la tua squadra rientrava oggi. Lei diceva di non stare attaccato alla finestra, che magari facevi tardi o andavi a casa perché eri stanco, ma io lo sapevo che passavi!”
Shikamaru ridacchia tra sé.
“Certo che sono passato. È un sacco che non ti vedo,” dice, dando voce ad un’osservazione che sa di banalità. “Dai, fammi strada,” lo esorta quindi, dandogli una spintarella verso l’ingresso del palazzo. “Come sta mamma?”
La mamma è sulla porta di casa, ad aspettarli. Quando li vede arrivare, Kurenai sorride e gli rivolge un cenno del capo.
“Non pensavo di vederti oggi stesso,” gli dice ironica, rientrando nell’appartamento per farlo accomodare. “Di’ un po’, non hai una famiglia da cui tornare?”
Shikamaru piega la testa di lato e scrolla le spalle, tenendo le mani ben affondate in tasca.
“Ero di strada…” borbotta a mo’ di scusa. “Non mi tratterrò tanto. Volevo solo vedere come stavate.”
“Noi bene. Faccio un po’ di tè, lo prendi, vero?” risponde Kurenai, sparendo in cucina. “Tu, piuttosto? È stata una missione lunga…”
“Quasi tre settimane,” conferma Shikamaru, sedendosi. Akashi si arrampica sulla sedia accanto alla sua nel giro di un secondo. “Niente di incredibile, comunque. Appostamenti e pattugliamenti di confine, ordinaria amministrazione. Una seccatura senza fine…”
“Hai catturato dei cattivi?” domanda Akashi, con un’esaltazione negli occhi probabilmente un po’ eccessiva.
“No, ci siamo solo accertati che non se ne stessero lì nascosti aspettando il momento giusto per colpire.”
Shikamaru osserva con l’usuale stupore l’ammirazione negli occhi del bambino. Non sa perché lo stimi tanto, perché in fondo da quando è nato lui non ha fatto altro che giocarci e raccontargli di quanto fosse grandioso suo padre, shogi a parte, ma Akashi sembra considerare Shikamaru una specie di modello di vita e la cosa, oltre a terrorizzarlo con il peso delle responsabilità, sotto sotto lo lusinga. In qualche modo, sentirsi quello sguardo addosso gli dà l’impressione di aver realizzato qualcosa di buono.
“Tre settimane di appostamento per ordinaria amministrazione? Non credo proprio…” ribatte Kurenai, tornando dalla cucina con due tazze in mano.
Shikamaru ignora la frecciatina, nascondendo l’espressione del viso dietro la propria tazza fumante. Il tè è buono e, dopo il vento gelido che stando all’aperto per giorni gli è penetrato sotto gli abiti fin nelle ossa, scende nello stomaco in modo delizioso, scaldandolo piacevolmente.
“Andiamo a guardare le nuvole con le forme strane, dopo?” chiede Akashi, attirando nuovamente l’attenzione su di sé.
Shikamaru non fa in tempo a rispondergli, preceduto da Kurenai.
“Shikamaru è stanco e non vede i suoi genitori da tanti giorni. Tra poco lo lasciamo andare a casa a riposarsi. Magari passa domani e si ferma a giocare un po’, mh?”
Akashi è palesemente deluso dalla notizia, ma il cenno di assenso di Shikamaru lo conforta un po’.
“Certo. Sempre che la sadica non mi spedisca in qualche assurda missione appena tornato…”
Kurenai ride, mentre Akashi li guarda spaesato, e Shikamaru non può trattenere una smorfia da martire.
“Non dovresti parlarne così,” lo rimprovera bonariamente la donna. “È pur sempre la nostra Hokage.”
“Cosa vuol dire ‘sadica’?” chiede il bambino, sempre più irrequieto per essere stato escluso dalla conversazione.
“È una persona che ti fa lavorare un po’ troppo,” mente Shikamaru al volo. “Ma Tsunade non lo fa per cattiveria, è che ci tiene alla sicurezza di Konoha.”
Akashi si morde il labbro inferiore e annuisce con forza. Shikamaru non è certo che abbia capito davvero qual è il compito dell’Hokage nella nazione del Fuoco, ma porta per Tsunade un rispetto infinito. D’altronde è il nipote del Terzo Hokage.
“Ehi, perché non mostri a Shikamaru cosa ti ha portato Kakashi la settimana scorsa?” interviene Kurenai, distraendolo. Akashi si illumina e salta giù dalla sedia, correndo in camera propria. “È passato dal Paese delle Onde e gli ha portato a casa un pesce palla,” spiega sottovoce Kurenai. “Akashi ne va pazzo.”
Shikamaru ridacchia, sorseggiando il tè. Sul salotto, dopo l’uscita di scena di Akashi, è calata una calma familiare, un silenzio confortevole e caldo.
“Ho sentito delle voci,” lo rompe dopo qualche secondo Kurenai. Il tono, più sommesso e rilassato ma vagamente serio, è quello delle confessioni, dei discorsi confidenziali che, nel corso di quei quattro anni, hanno condiviso saltuariamente.
“Tipo?”
“Che pensi di sposarti l’anno prossimo.”
Shikamaru sorseggia il suo tè senza cambiare espressione. Quando scosta la tazza, qualche istante dopo, le sue labbra sono incurvate in un sorrisetto sghembo.
“È passata Ino?”
Kurenai sospira.
“Avevo pensato che ci fosse sotto qualcosa quando mi hanno detto che Temari si sarebbe trasferita a Konoha. Dovrebbe essere questione di giorni, no?”
“Per la fine del mese,” conferma Shikamaru, annuendo piano.
Kurenai lo scruta silenziosa.
“Non ho dubbi sul fatto che sia la ragazza giusta per tenere in riga un mollaccione come te,” mormora infine, “ma non starete correndo un po’ troppo? Voglio dire, hai appena vent’anni…”
La sagoma minuta di Akashi fa capolino oltre l’angolo della stanza proprio in quel momento: tra le mani stringe una grossa palla di vetro, decisamente troppo pesante per le sue braccine magre, stando all’espressione concentrata e tesa per lo sforzo dipinta sul suo viso; l’acqua nella boccia ondeggia paurosamente ad ogni passettino, rischiando di strabordare da un momento all’altro, e il povero pesce palla all’interno si è gonfiato a dismisura per lo spavento. Shikamaru nota la piega del tappeto un attimo prima che il piede del bambino la urti, inciampandoci. È questione di un attimo: Akashi tentenna, scalcia e perde l’equilibrio, sbilanciandosi in avanti. Chiude gli occhi, preparandosi allo schianto, stringendosi la boccia al petto come se questo potesse salvarla dalla caduta…ma il pavimento non arriva mai. Quando dischiude un occhietto, timoroso, si accorge di essere inclinato in avanti, ad una trentina di centimetri da terra, completamente immobile. La boccia viene estratta sana e salva dalla sua salda presa e posata sul tavolo, poi Kurenai torna a prenderlo tra le braccia, un secondo prima che Shikamaru rilasci il sigillo che lo teneva bloccato e lo abbandoni alla forza di gravità. Kurenai lo rimette in piedi senza sforzo, mentre Shikamaru chiude gli occhi e sospira, sollevato. Akashi si sente morire di imbarazzo. Mestamente, il viso paonazzo per la vergogna, trascina i piedi fino alla sedia su cui era appollaiato qualche minuto prima e vi si arrampica in silenzio, sprofondando il viso nei pugni, i gomiti puntati sul tavolo.
“Non è successo niente,” lo rincuora Shikamaru rassicurante, mettendogli una mano sulla testa.
“Ho un pesce palla…” mugugna piano il bambino, eludendo di commentare l’accaduto.
Shikamaru si accovaccia accanto a lui, osservando il pesciolino giallo fluttuare.
“Quanto tempo abbiamo?” chiede poi, e Kurenai, sorpresa, si accorge che sta parlando con lei, sebbene non abbia staccato gli occhi dalla boccia. “Siamo ninja, il nostro compito è mettere le nostre vite al servizio del Paese. Abbiamo scelto un lavoraccio, in fondo… Quanto tempo pensi che avremo, davvero?” Si volta a guardarla per un istante e la malinconia che gli vela lo sguardo fa stringere la morsa che non si è mai sciolta attorno al cuore di Kurenai. Ma è solo un attimo, perché poi Shikamaru si volta verso Akashi e sul suo viso c’è l’usuale sorriso placido ad incurvargli le labbra. “È proprio un bel pesce.”
Kurenai rimane immobile a fissare suo figlio, che assomiglia tanto ad Asuma, sogghignare soddisfatto. Fa a malapena caso ai movimenti di Shikamaru finché questi non le mette una mano sulla spalla, gentilmente.
“Non voglio perdere nemmeno un’ora del tempo che mi sarà concesso,” le sussurra all’orecchio, così piano che Akashi non può averlo sentito. Poi, a voce più alta, annuncia “Sarà meglio che vada a casa, ora. Se mia madre scopre che me ne sono andato in giro senza nemmeno passare a salutarla…”
“Domani torni, però!” interviene Akashi serio e deciso, in piedi sulla sedia.
Shikamaru gli fa l’occhiolino, affondando già le mani in tasca.
“Contaci. Ci vediamo!”
Kurenai osserva il suo giubbino verde sparire oltre la soglia di casa e non riesce a salutarlo. Di colpo le sembra che lei e Asuma abbiano sprecato troppo tempo.

fanfic, naruto

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