Ecco qui la storia richiesta da
miki_tr in risposta al meme in cui mi sono bellamente lasciata fregare: una Albus/Gellert che avesse come prompt "[...]sarà la pietra angolare sulla quale costruiremo." Spero che ti piaccia, cara, nella mia incapacità di scriverli senza fiorellini e cuoricini attorno. ;)
Titolo: La pietra angolare
Pairing: Albus Dumbledore/Gellert Grindelwald
Rating: R
Avvertimenti: Slash, spoiler di una pagina del settimo libro di Harry Potter e scene in cui giovani tardovittoriani amoreggiano felici. Fluff orrendo, naturalmente, come ogni fic in cui ci sia quel drogato di Albus in giovane età (e non solo).
LA PIETRA ANGOLARE
Il ripetuto ticchettio contro il vetro destò l’attenzione di Bathilda, che accese una luce e si affacciò alla finestra del pianterreno per controllare quale ne fosse la fonte. Udì il cigolio della finestra che si apriva in camera di Gellert e poco dopo individuò nell’oscurità notturna il grosso gufo di Albus riprendere il volo e sbattere le ali fino a ritornare a casa, cinque metri più in là. La donna sorrise e meditando affettuosamente sui due giovani amici tornò alle proprie occupazioni. Gli occhi però già le si facevano pesanti e non passarono dieci minuti prima che la strega capitolasse e decidesse di andare a dormire.
La figura nascosta nell’ombra della camera osservò ritta e silenziosa la luce spegnersi nella piccola sala della casa accanto e finalmente parve tirare un sospiro di sollievo. Attese ancora, contando febbrilmente ogni secondo mentre la sua mente percorreva il breve tragitto tra il piano inferiore e la camera da letto. Le scale, il corridoio; poteva figurarsi alla perfezione Bathilda ritirarsi per la notte, il suo passo normalmente spedito rallentato dalla stanchezza.
Quando gli parve di aver aspettato a sufficienza si mosse, finalmente. Recuperò dal suo fianco la scopa di saggina e la incantò affinché potesse volare, poi vi salì a cavalcioni e, senza fare alcun rumore, fluttuò fuori dalla propria finestra, infilandosi in quella dirimpetto, rimasta opportunamente aperta. Smontò con la massima cura, cercando di non far udire il rumore dei propri passi nonostante fosse già scalzo.
La camera era buia e immersa nel silenzio. Albus si guardò intorno, cercando la figura dell’amico dove sapeva essere la scrivania, poi sul letto. Fu Gellert a trovarlo, però, sorprendendolo da dietro. Il giovane lo abbracciò alle spalle, facendolo quasi trasalire. Si voltò con gli occhi azzurri carichi di rimprovero, ma quando si posarono sul sorriso ammaliante e scanzonato di Gellert non poterono far altro che addolcirsi. L’abbraccio dell’amico attorno alle sue spalle si rafforzò, il suo volto si fece più vicino, e Albus si irrigidì istintivamente per una frazione di secondo, fino a che le labbra di Gellert si chiusero sulle sue e l’aria fuoriuscì lentamente dai suoi polmoni. Era come la liberazione da un gioco pesantissimo: chiuse gli occhi, si chinò in avanti abbandonandosi al bacio mentre la sua mente solitamente acuta si annebbiava e, quando Gellert lo trasse con sé verso il piccolo letto che occupava in casa di sua zia, Albus non fu in grado di opporre alcuna resistenza.
“Il bene superiore, Albus?”
Gellert era bello, irrimediabilmente bello, e Albus era refrattario alla sua abitudine di disputare di argomenti quali quelli contenuti nella lettera che gli aveva mandato poco prima quando ancora erano stesi l’uno accanto all’altro sul letto. Albus sentiva ancora un piacevole formicolio dove le mani di Gellert l’avevano sfiorato, dove le dita si erano posate sulla sua pelle e l’avevano stretto, accarezzato, esplorato inquisitive, e col calore del loro abbraccio a sciogliergli il grumo delle preoccupazioni nel petto avrebbe voluto parlare di tutto tranne che di argomenti tanto impegnativi e complessi. Avrebbe voluto spiegare a Gellert che non riusciva più a dormire senza immaginarsi i suoi riccioli d’oro sul cuscino, o che era spaventato da come, sempre più spesso, lo cogliesse il pensiero di lasciare tutto ed andarsene, soli lui e Gellert, insieme. Tuttavia Albus sapeva che Gellert non era tipo da tali sdolcinate confidenze, pertanto avrebbe accettato con gioia di starsene semplicemente zitto a fissarlo, imprimendo nella sua memoria la felicità che i suoi occhi ed il suo sorriso gli infondevano quando erano così vicini eppure così difficili da scorgere a causa del buio che li circondava, nascondendoli come un velo di segretezza.
Invece Gellert amava parlare, sussurrare ciò che passava per la sua fervida mente direttamente al suo orecchio, alternando parole di potere, visioni mitiche e teneri baci come se facessero parte di un’unica, imponente promessa per il loro futuro. Non aveva mai paura di farsi scoprire, Gellert, così come la sua mente non pareva mai chetarsi dal ragionare e pianificare, e la sua lingua non sembrava capace di frenarsi dal metterlo a parte del suo sconfinato mondo interiore. Ma forse, se fosse stato diverso, se avesse tenuto a quel briciolo di pudore e riservatezza che Albus aveva tanto caro per sé, non l’avrebbe attratto tanto.
“Sì… È quello che ho scritto,” si arrese quindi a rispondere Albus, spezzando a malincuore il proprio silenzio estatico.
Gellert rise chiudendo gli occhi, sfrontato. Albus se ne risentì quasi, credendo che si trattasse una risata di scherno, poi Gellert riaprì gli occhi e gli accarezzò una ciocca di capelli, calmando il riso, e il suo tumulto interiore si placò.
“Mi piace,” sussurrò soavemente. “Suona bene.”
Albus sorrise sollevato.
“Allora sei d’accordo?”
Gellert si leccò le labbra pensosamente, lo sguardo non più focalizzato su di lui, ma perso alle sue spalle.
“Suona bene,” ripetè assorto. Albus aggrottò la fronte. “Tu sei un uomo…lungimirante, sì? Vedi più lontano di quanto io riesca a fare con i miei progetti, perché vedi col cuore.” Gli appoggiò una mano sul petto, all’altezza del battito che accelerò appena sotto il suo tocco. “Per questo avevo bisogno di te. Io non capisco le persone, ma tu sì.”
Albus fu grato all’oscurità della stanza, che celava il suo improvviso rossore.
“Non credo di avere un particolare dono in questo campo,” si schermì umilmente.
Gellert ridacchiò del suo imbarazzo.
“Sei un uomo strano, Albus Dumbledore,” sentenziò in un soffio. “Con tutti i premi e gli onori che hai ricevuto, uno si aspetterebbe che tu avessi imparato ad accettare un complimento meritato quando ti viene rivolto. Soprattutto da me,” puntualizzò, rubandogli un bacio a fior di labbra.
Albus sospirò, sentendo le parole affollate nel proprio petto minacciare di scoppiare.
“Allora grazie…” mormorò, desiderando che il corpo di Gellert fosse nuovamente molto più vicino al suo di quanto lo fosse al momento.
“Solamente promettimi una cosa,” riprese Gellert, mentre un sorriso furbo gli increspava le labbra. “Questa storia delle responsabilità… Quando il bene superiore diventerà…come hai detto? La nostra pietra angolare? Promettimi che non ti accollerai il peso di tutta l’Inghilterra come fai con i tuoi fratelli.”
Albus aprì la bocca e la richiuse, sorpreso e divertito al contempo.
“Tu non capiresti le persone?” domandò, retorico.
“Capisco solo ciò che mi interessa,” rispose l’altro, la voce che assumeva una sfumatura diversa, più intensa. “Sai, per il bene superiore…”
Gellert aveva un modo molto preciso di capire ciò che Albus aveva in mente ed era dotato della giusta dote di sfacciataggine e spensieratezza da portarlo a compimento, in barba ai due anni che lo dividevano dall’amico. Le parole di Albus, recitate così bene dalla voce calda di Gellert, affondarono velocemente nel profondo della sua mente, sopraffatte dalle carezze che gli infiammavano i fianchi, e lì giacquero, dimenticate per il resto della notte.