Fanfic - To catch an ailment is (not) so bad as you thought.

Jan 31, 2011 20:14

Titolo: To catch an ailment is (not) so bad as you thought.
Autrice: sorella_erba
Cavia da laboratorio: littledarkrin 
Fandom: RPF Calcio.
Personaggi/Pairing: Bojan Krkic, Pep Guardiola, Pejan.
Rating: V.M. 18.
Warning: slash, scena di sesso m/m.
Disclaimer: fanfiction scritta senza scopo di lucro. Bojan(ito) ha la ragazza e Pep una famigliola felice e carina, io non sono nessuno per poter scrivere di cornificazioni in grande stile e con enorme dolore dei signori sopracitati. Però lo faccio.
Note: tutto nacque quando la mia adorata, bella, stupenda littledarkrin mi riferì stamani del malore di Boji, costretto a saltare un allenamento per riprendersi. Io ho immaginato un Pep che, va be', anche se si fa le sue belle pippone mentali, va a trovarlo e a consolarlo. Sebbene alla fine una consolazione servirebbe a me, perché soffro tanto per aver scritto una cosa angst.



Mentre si avvicina alla sua auto, allungando il passo con la strana sensazione di essere in qualche modo osservato, seguito - pedinato, dillo Pep, pe-di-na-to -, appunta mentalmente di dover comprare delle arance - fanno bene quando si sta male, pura vitamina C - e si guarda attorno con aria circospetta. Il parcheggio è grigio, vuoto e silenzioso; i ragazzi e gli altri coordinatori della squadra saranno già andati via. Sospira profondamente, quasi con sollievo; spinge la maniglia, entra in macchina, accende e parte in tutta fretta, aprendo poi un poco il finestrino per lasciare entrare qualche filo di aria invernale a rinfrescargli il viso.
Si sente in colpa, come sempre.
È un classico - è il classico, perché è ben consapevole di essere sposato, di avere una moglie che lo ama ad aspettarlo, premurosa, ogni sera dopo gli allenamenti, con la quale ha avuto due figli stupendi e ha messo su una bella famiglia - e no, assolutamente no, si dice sterzando a destra, in quel percorso che ormai conosce bene quanto quello che lo porta a casa sua, non può farlo, lei non lo merita, i suoi bambini non lo meritano, lui li ama con tutto se stesso, e non può. Però lo fa, istintivamente, zittendo il cervello e lasciando che sia il resto del suo corpo a sbrigare quel lavoro sporco.
Durante il tragitto, adocchia un fruttivendolo e decide di prendere quelle arance che stava quasi per dimenticare di voler comprare. In un primo momento pensa, dopo essere risalito in auto, di portare quel piccolo cesto a casa e sbucciarne qualcuna per i bambini, divertendosi a guardare le loro espressioni corrucciate nel sentire il sapore acerbo di uno spicchio. Poi invece si dice che c'è qualcun altro che necessita di un po' di attenzione in più e di conforto - da parte sua, non in generale, visto che dagli altri non gli manca.
Anche Bojan si sente in colpa, l'ha capito benissimo, ma non sa se per i suoi stessi motivi - anche lui ha la ragazza, è ovvio che ce l'abbia, è un uomo a tutti gli effetti ormai, l'ha visto crescere lui stesso - o più per il fatto di aver mancato l'allenamento del lunedì, credendo incoscientemente di aver rallentato la preparazione dell'intera squadra, e il suo silenzio è stato la prova e l'indizio che Pep ha colto, seppur con ritardo. Forse è vero che crescendo, maturando, certi segnali o li perdi o, se sei tanto fortunato da riuscire a coglierli, li afferri con quella lentezza esasperante che dà ai nervi a ragazzi come Bojan. Quanto si sente vecchio.
«Chi è?»
La voce di Bojan è a stento riconoscibile, e Pep se ne sorprende tanto quanto del fatto di trovarsi già davanti al citofono del palazzo in cui abita.
«Frutta a domicilio» risponde, e sente Bojan esitare contro la cornetta.
«Non credo di aver ordinato qualcosa».
«Sono Pep».
«Ah» ribatte soltanto, prima di riagganciare e aprirgli il portone.
Sale le scale e riflette su quel tono di voce sì debole, ma anche sorpreso e leggermente scocciato. Si trova a ripetersi che sia davvero un bene affrontare situazioni di quel tipo stando distaccati il più possibile, senza farsi coinvolgere troppo e sentendosi alla fine un emerito imbecille incoerente.
Bojan ha lasciato la porta d'ingresso socchiusa e quando sente i suoi passi avvicinarsi, si presenta davanti all'entrata per accoglierlo.
«Arance» gli sorride Pep, ammiccando, e Bojan gli lascia varcare la soglia facendogli spazio e chiudendosi poi la porta alle spalle. Non risponde nulla e Pep non sa che altro fare se non chiedergli come sta, cos'ha mangiato ultimamente e quali medicine gli sono state prescritte - domande alle quali il ragazzo, accondiscendente ma pur sempre freddo, risponde.
«Ritornerò quanto prima, non preoccuparti», aggiunge alla fine.
«Lo so». E Pep si sente mortalmente a disagio sotto lo sguardo cristallino e serio di Bojan. Dov'è il tuo sorriso?, si domanda e vorrebbe dirlo anche a lui.
«Dove metto le arance?» gli chiede invece.
La risposta che formula in maniera acida il suo cervello è che Pep, sei un coglione totale con una cotta da adolescente che non sai quando e se sparirà.
Bojan risponde: «Dalle a me» e si sposta in cucina, infagottato in un plaid blu dall'aspetto caldo e morbido. Lo segue cercando di non esitare, di non farsi vedere così insicuro e mentre lo guarda sistemare il cesto sul ripiano del lavandino stranamente sgombro, gli sembra così piccolo, troppo giovane - e ha vent'anni, Bojan, quell'età in cui non si sa se comportarsi da adulti o fingersi ancora dei ragazzini spensierati. In pochi passi, gli arriva alle spalle e lo abbraccia, premendoselo contro con forza e affetto, sentendolo dapprima sobbalzare per la sorpresa e rilassare lentamente la schiena sul suo petto.
«Come ti senti?» gli domanda con tenerezza.
E Bojan, lui sì che sa cogliere i segnali.
«Una merda». Si gira fra le braccia che gli tengono strette la vita e nasconde contro il suo maglione il viso arrossato dall'imbarazzo e dalla pesantezza di un sentimento che Pep conosce perfettamente. «C'è una cosa che ho capito, e se la dico finisce male, manderò a puttane un sacco di cose».
«Allora non diciamola».
Tenta di baciargli una guancia, ma Bojan lo anticipa e si volta a intercettare quel bacio con la bocca dischiusa e morbida, stringendogli le labbra e cominciando a succhiarle. E Dio - sì, forse è questo uno dei motivi per cui deve lasciare che quella minuscola ma ancora viva parte di sé legata all'adolescenza metta a tacere il Guardiola quarantenne, il Guardiola rompicoglioni, il mister, il marito, il padre. Bojan ha vent'anni, se l'è già detto milioni di volte, ma la sua età e tutto il resto vanno bene, diventano dei particolari relativi e secondari, perché è con lui che ritorna a respirare la stessa aria di quand'era un ragazzino, e il calcio non era che un divertimento e il sogno da coronare. È sentendolo stretto fra le braccia che si trasforma in quello stesso ragazzo che è stato in un tempo tanto lontano da sembrare il frammento della vita di un altro.
«Non sto molto bene» sospira sul suo collo Bojan, gli occhi chiusi, le ciglia che tremano e sembrano carezzargli le guance, «però-».
«Scusami, non volevo» lo interrompe immediatamente. È malato, è stanco e lui doveva solo fargli una visita, non saltargli addosso e dargli il colpo di grazia. Poggia la guancia contro la sua tempia e la sente pulsare al ritmo del suo respiro veloce.
«Io sì, invece» ribatte Bojan, scostando un po' il viso, rimproverandolo con gli occhi ora aperti e lucidi. Poi lo sguardo gli si intenerisce d'improvviso, in una sorta di supplica. «Voglio fare l'amore, Pep».
«Non stai bene, Boji, l'hai det-» prova Pep, ma inizia a ridere divertito vedendolo scuotere la testa come un bambino petulante.
«Il fisico è il mio e so io cosa posso e non posso fare. Voglio stare con te, adesso, anche sul tavolo stesso».
«Hai un tavolo minuscolo».
«Allora sul divano o ci appoggiamo qui» insiste, battendo una mano sul lavandino, e le risate di Pep si fanno più forti.
«Il letto non ti piace?»
E lo vede ridacchiare, finalmente, con quelle guance rosse che si allargano e lasciano spazio al sorriso genuino, quel sorriso che sa di tenerezza e che riesce a renderlo scioccamente felice, senza una motivazione precisa. Bojan lo bacia ridendo ancora e lo strattona per la giacca che non ha tolto, guidandolo alla camera da letto semibuia. L'odore di Bojan lì è più forte, e c'è caldo e l'avvolge come una coperta, eppure, lasciandosi spogliare - giacca finita chissà come sulla sedia, maglione e pantaloni a terra, Bojan giù a ginocchioni a scendergli le mutande e a succhiarlo con l'avidità di chi gli è mancato qualcosa e ha il bisogno urgente e fisico di sentirlo -; eppure ha freddo e solo abbracciando il corpo nudo e altrettanto tremante di Bojan smette di pensarci - pensare a lei, a loro (il freddo è quello), quella che è la sua famiglia e all'idea di tradirli, di starli tradendo esattamente in quel momento, con ogni spinta impellente e animalesca, sempre di più, come dice Bojan, di più, mentre solleva il bacino per far sì che entri maggiormente in lui, che si seppellisca nel suo corpo per sempre, per averlo così vivo e bello solo per sé, per sé e nessun altro.
«Ho sbagliato... vero, Pep?» lo sente mugolare. E ha una voce dannatamente profonda ed erotica che no, non gli risponde, ha un orgasmo in quello stesso momento e non ha la forza richiesta, sebbene abbia schiuso la bocca per dirgli qualcosa, facendosi soltanto sfuggire un sospiro roco e sonoro sulle labbra di Bojan, la fronte che cozza malamente contro la sua.
«Non è colpa di nessuno, Boji» sussurra più tardi, mentre stanno silenziosamente avvolti nelle coperte pesanti, e, inconsapevolmente, dà una risposta alle sue stesse domande.
Bojan si muove e si puntella su un gomito, i lineamenti stanchi e seri. Pep già sa cosa vorrebbe dirgli, lo sa perché è la stessa cosa che prova lui, e quando lo sente, pensa di poterci lasciare le penne senza rancore alcuno.
«Io ti amo», gli ha detto, e Pep gli porta le mani alle spalle e se lo schiaccia addosso, sentendolo poi crollare perché Bojan sa perfettamente di aver sbagliato davvero, è per questo che sta piangendo come un bambino, avvinghiato al suo corpo con gambe e braccia, quasi non voglia lasciarlo andare via per timore di non vederlo tornare più, e Pep sente la sua pelle scottare, il suo pene premuto contro una gamba, i suoi capelli sulla bocca; vorrebbe poterlo amare ancora, vorrebbe potergli dire che ricambia, che sì, Boji, ti amo anch'io con tutto il cuore, con tutta l'anima - ma entrambi sanno che non gli è possibile.

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