Titolo: Apfelstrudel
Autore:
juliettesaito/
sophie_tentacleSerie: Ouran Host Club
Rating: G
Conteggio parole: 1568
Disclaimer: I personaggi di Ouran Host Club sono di proprietà di Bisco Hatori. Santa donna
Apfelstrudel
Mentre gli ultimi giorni di maggio sgocciolano via lentamente, le vacanze estive balzano sull'istituto Ouran con la molle pigrizia di un gatto che gioca col gomitolo. Mancano ancora due settimane alla fine dell'anno scolastico, ma le giornate sono calde e i pomeriggi lunghi e oziosi.
Qualcuno ha già lasciato la scuola per ritirarsi nelle tenute estive di famiglia, a godere del primo sole in squisiti giardini o in spiagge private.
Può sembrare strano - e forse lo è meno di quanto possa apparire - ma l'Host Club è ancora al completo e in piena attività, nonostante la bella stagione abbia già iniziato a decimare le fila degli altri studenti.
Oggi, ad aprire la porta della terza sala di musica, si potrebbe pensare di essere finiti in una dimensione parallela: un paesaggio alpino, verdi prati accarezzati da una brezza pungente... e sono pecore vere quelle?
… lo sono, e brucano un costoso prato vero, installato questa mattina all’alba da operai specializzati, insieme al resto della scenografia.
Le pecore le ha fornite Tamaki - nessuno vuole sapere dove le abbia rimediate - e i costumi sono arrivati in confezioni col marchio della famiglia Hitachiin.
Seduto su di un masso, lo studente Haninozuka Mitsukuni, terzo anno, coccola pensosamente il suo coniglietto rosa e mangia un pezzo di strudel alle mele.
“Usa-chan, non senti freddo, vero?” dice al coniglietto, imbacuccato in un lanoso costume da pecorella, con tanto di campana al collo e incongruo cappello da alpino, “e non ti fanno male le orecchie, così strette nel cappuccio?”
Usa-chan fissa il padroncino con aria stolida, e non risponde.
Honey mette il muso e si aggrappa al peluche.
“Lo so che volevi andare al mare, Usa-chan… ma oggi tocca alla montagna. Vuoi un po’ di strudel con le mele? È buono.”
Usa-chan non replica, quindi Honey sbuffa.
“Ehm…” borbotta una voce non troppo convinta, “posso sapere perché sono l’unica con le trecce?”
Honey alza lo sguardo e sgrana il suo sorriso più radioso, con gli occhi chiusi e le scocche tutte rosse, “ma stai bene, Haru-chan!”
L’espressione di Haruhi la dice lunga sulla sua convinzione: nella sua mente è poco economico, poco pratico e soprattutto poco serio indossare un completo da pastorella tirolese, con tanto di parrucca bionda e trecce fuori moda - ancora di più se all’esterno la temperatura è oltre i trenta gradi, mentre qui dentro si gela.
Haruhi non ci prova neanche a calcolare quanto avrà speso il club per quest’ennesima follia, ma qualcosa le dice che un certo vice-presidente - come gli altri in costose lederhosen firmate - seduto al tavolo a scribacchiare in silenzio in una certa cartelletta, ne sappia un bel po’.
“Hai le trecce perché così ha ordinato Tamaki. Per una volta il Lord ha avuto ragione.”
Haruhi non ha bisogno di voltarsi per riconoscere i gemelli Hitachiin, comparsi dal nulla e appoggiati con noncurante eleganza - se si può essere eleganti indossando calzoni corti e ricamati stretti in modo quasi imbarazzante - alle sue spalle.
“Sembri una bambolina, Haruhi,” mormora Hikaru vicino alla sua guancia, e Kaoru le dà un bacino sull’altra, “ah, il rosa non viene via. E io che pensavo fossi fatta di zucchero.”
Haruhi ha iniziato ad ignorarli tre battute fa - il costume le dà noia e i gemelli sono pesanti, potrebbero anche non appoggiarsi così, non sono un mobile o un davanzale.
Il fulmine a ciel sereno è biondo, ha gli occhi blu cielo e spargerebbe grazia e luce con ogni fascinoso passo, se non si stesse avvicinando di corsa mulinando le braccia come un folle.
È Tamaki, ovviamente.
“Molestatori! Giù le mani dalla mia bambina!”
I gemelli roteano gli occhi e si stringono di più a Haruhi, che sbuffa infastidita.
“Stiamo soltanto giocando con la bambolina, Lord,” ribatte Hikaru, giocherellando con una treccia.
“Potreste lasciarmi ora? Sto soffocando,” mugugna Haruhi in tono piatto.
Tamaki sgrana gli occhi e si esibisce in un gesto di melodrammatica pazzia, tutto pugni levati al cielo e sguardo sconvolto, con i capelli spettinati e un affascinante velo di traspirazione sulla fronte.
“Haruhi! Tesoro di papà, tu dovresti rispettarti di più! Non devi permettere a due pecorai di farti del male… Tu spezzi il cuore di papà! Mamma, mamma, dille qualcosa anche tu!” Termina congestionato, voltandosi verso Kyouya.
Kyouya si volta di un paio di millimetri, abbastanza perché i suoi occhiali catturino un gelido bagliore.
Nel silenzio che cala pesante e improvviso, si sente con chiarezza il brucare delle pecore.
Il viso di Tamaki è congelato in un’espressione di terrore, i gemelli guardano in due direzioni diverse. Solo Haruhi e Honey sono immuni al malefico incantesimo: Honey tutto preso dal suo decimo pezzo di strudel, Haruhi in preda all’asfissia.
Poi Kyouya spinge su gli occhiali con due dita e stira sulla bocca un sorriso - educato e benevolo per chi non lo conosce, terrificante per tutti gli altri.
“Tamaki, Bianchina si è mangiata il fondo dei tuoi pantaloni.” Si interrompe per annotare qualcosa sull’infame cartelletta, poi si volta verso i gemelli, che fanno di tutto per dissimulare un piccolo sussulto. Haruhi ha preso una bella sfumatura di blu, intanto, e rumina scocciate maledizioni contro quei ‘ricchi bastardi’.
“Hikaru, Kaoru, ogni capello torto a quella parrucca raddoppia il debito di Haruhi. Se non la finite” - gli occhiali si accendono di nuovo di efferato biancore - “Haruhi morirà insolvente.”
Un nuovo silenzio cala nella terza aula di musica, greve come una tonnellata di cemento a presa rapida.
Poi Tamaki prende a correre e saltare scoordinato per il ciglio della falsa montagna, entrambe le mani a proteggere il fondoschiena rosicato della lederhosen, dalla quale spuntano imbarazzanti boxer bianchi ornati di cuori rossi; i gemelli si staccano da Haruhi ostentando nonchalance, e la povera ragazza fluttua a terra stecchita.
Kyouya spinge di nuovo su gli occhiali e torna a prendere diabolici appunti.
Seduto ancora sul masso di prima, Honey vive un piccolo dramma: tanto per cominciare, è finito lo strudel - ne restano soltanto un paio di briciole appiccicose sull’angolo della bocca ricamata di Usa-chan - e poi il coniglietto è ancora offeso con lui, per essere stato vestito da pecora e perchè avrebbe tanto preferito andare in piscina.
La fronte di Honey si aggrotta, il labbro inferiore si sporge in fuori, e i grandi occhi liquidi e innocenti si riempiono di lacrimoni. Ecco il labbro tremare… e poi un’ombra massiccia cala su Honey e una voce profonda e quieta lo interpella.
“Mitsukuni.”
Honey piega il collo allo spasimo per alzare lo sguardo sul nuovo arrivato. I lucciconi nei suoi occhi tremolano ma non recedono.
“Takashi,” pigola esausto, “Usa-chan è arrabbiato con me perché non l’ho portato in piscina come voleva.” Una pausa, mentre Mori osserva placido il faccino contratto di Honey, e quello inespressivo del coniglio. “Ed è finito lo strudel!”
Mori impiega pochi secondi per processare le informazioni, quanto basta perché una lacrima rigonfia rotoli sulla guancia paffuta di Honey. Mori la cancella con un solo colpo di pollice, poi tira su ragazzo e coniglio, e con entrambi in spalla marcia via risoluto. Non una sola sillaba sprecata.
Non c’è bisogno di sbracciarsi, di agitarsi, di parlare a sproposito, è tanto chiaro, no? Honey va calmato con un ultimo dolcetto - uno solo, e subito dopo lo condurrà a lavarsi i denti - e poi convinto a fare il sonnellino pomeridiano. All’inizio si ribellerà un po’, ma il primo sbadiglio tirerà con sé tutti gli altri, sarà facile.
“Takashi,” mormora infatti già sonnolento, aggrappato alle spalle forti di Mori, “dopo prendiamo il costume da bagno di Usa-chan…”
Mori annuisce e Honey gli sorride tutto contento, poi sbadiglia e si scioglie come un marshmallow al sole, rischiando di perdere la presa. È fermo appena prima della porta che conduce al più beato dei sonni.
Mori si ferma e lo stringe più forte, poi riprende il cammino, i capelli chiari di Honey che gli solleticano il naso.
È il caso di cambiare rotta, e infatti evita la tappa nelle cucine e trasporta il prezioso fardello dove potrà riposare adeguatamente.
Honey si avviticchia a Usa-chan non appena è appoggiato sul divano, mormora qualcosa di sconnesso prima che il sonno se lo prenda. Mori gli sfila le scarpe e la giacca, ripone tutto ordinatamente e gli rimbocca intorno la copertina con la stampa a coniglietti.
Solo quando il respiro di Honey diventa lento e regolare, si concede una pausa.
Si siede accanto al divano con una scatola sulle ginocchia, e inizia a sistemarne il contenuto.
Mori non pensa che sia ridicolo trovarsi a diciotto anni a ripiegare i vestiti di un pupazzetto di peluche. Se lo pensasse non potrebbe prestare servizio alla famiglia Haninozuka, a Mitsukuni Haninozuka.
Ed è questo - ah, ecco il costume da bagno di Usa-chan, nascosto sotto un cappottino con muffole coordinate - ad essere talmente ridicolo che il viso serio di Mori si contrae in un sorriso appena accennato.
Accanto a lui Honey si agita sotto la copertina e scalcia via il pupazzo.
Mori si alza con relativa urgenza, raccatta il coniglio e glielo appoggia vicino, tirando di nuovo la copertina.
È allora che si ferma a guardarlo, il solito sguardo serio reso imperscrutabile dalla penombra.
La carezza sulla guancia gli sfugge dalle dita senza un solo istante di premeditazione.
I capelli di Honey frusciano leggermente, le sue ciglia tremolano ma non si schiudono, e Mori ritira la mano, con uno spasmo di segreta vergogna.
Torna a sedersi accanto al divano.
È quello il suo posto, sempre al fianco di Honey.