XX secolo - Racconto Sovrannaturale

Apr 09, 2010 12:57

Titolo: XX secolo
Fandom: Originale
Pairing: Atlas/Elehim
Prompt: "La vita è piena di trappole!" del P0rnFest di fanfic_italia; 2000 - Nuovo Millennio di snightmare
Rating: Nc17
Genere: Azione, Erotico
Avvertimenti: Slash, Scene di sesso descrittive, Morte di un personaggio perfettamente inutile...
Conteggio Parole: 3093

Note: Sono passati 2mesi2 dal P0rnFest e io sono FINALMENTE riuscita a rileggere questa storia ed eliminarne le macroscopiche imperfezioni ^^ O almeno spero ^______^
Per chi - come queenseptienna - non se lo ricordasse o non lo notasse leggendo i profili - scusa cara, ma ti avevo detto che avrei riso fino all'eternità per questa cosa ^______^ - Atlas(alias Kolja) è un Mezzo-Demone e Elehim(alias Nisha) è un Maledetto... quindi nessuno dei due è un vampiro XDDDDDDDDD

Edit 20/09/10: dato che il mio perfezionismo ogni tanto torna a battere furiosamente alla mia porta, come se non astassero tutte le cose che ho in corso e che ho da betare, mi autobeto anche le mie storie, per la II volta O_O Ma che non sono normale voi lo sapete già e mi volete bene per questo, no?

Riassunto: Lo sentiva. Lo sentiva vivo accanto a sé come non glie era mai successo prima.



Il giubbotto MP TEX ammortizzava magnificamente il ruvido cemento sul tetto del palazzo deciso per l'appostamento. L'odore di polvere e pioggia gli riempiva i polmoni, puzzando di ferro, plastica e ghisa.
Il metallo brunito rifletté appena la luce arancio del tramonto invernale quando le dita, agili e veloci, regolarono le lenti danesi incastonate nel metallo russo di quello strumento di precisione.
I proiettili con lo stemma della sua antica casata erano in canna, pronti ad essere usati. Alle sue spalle, Parigi non era mai stata più bella, ammantata di crepuscolo, con le luci della festa ad illuminare i Promenade e gli Champs Elisée.
La vittima era in riunione.
Le sue mani armavano quelle piccole di bambini soldato e, se c'era una cosa che riusciva, da sempre, a farlo incazzare, era vedere bambini con in braccio i giochi degli adulti: che fossero armi o giocattoli sessuali, sentiva sempre il sangue salire al cervello e una rabbia antica e impotente travolgerlo.
Strano per uno come lui.
La notte calò su Parigi e sulla sua periferia.
Con la coda dell'occhio si rese conto che ai piani bassi dell'edificio si stava scatenando il finimondo. Ma non era una questione di sua competenza.
Avevano chiesto un orario ben preciso per la sua morte e lui sarebbe stato... svizzero.
Mosse appena il cavalletto, per regolarlo alla nuova altezza assunta per prendere la parola ed un attimo dopo accaddero due cose in contemporanea: la porta della Sala Conferenze del Hotel Victoria in Buolevard de la Chapelle saltò sui cardini, ed un proiettile calibro 7.62* andò a piantarsi nel petto del trafficante d'armi.
Non fece però in tempo a sparare il secondo colpo che mezza testa della sua vittima saltò, e l'occhio verde come l'acqua del mare, che stava puntando col mirino, si spalancò sorpreso. La calotta cranica era saltata, tagliata da una lama scura, fin troppo affilata, di un pugnale stretto nella mani di un gigante. Il passamontagna nero ne nascondeva i tratti ma lui sapeva fin troppo bene chi si celasse dietro quel dozzinale artificio. Le labbra si curvarono in quello che aveva tutta l'aria di essere un sorriso.
Il gigante ripose il pugnale e, a quella vista, tutti i partecipanti alla riunione, scapparono a gambe levate, trovando una sequenza di corpi accasciati al suolo.
Alla luce di un tramonto che andava ormai morendo, il cecchino smontò il suo fucile; una delle due valigie con cui era arrivato a Parigi, era aperta lì accanto ed il fucile finì nel sottofondo. Scivolò sulla scala antincendio, facendo attenzione a non lasciare alcuna traccia visibile, silenzioso come un gatto.
La valigia tornò nell'esatto punto in cui era stata posizionata dalla cameriera e lui scese alla reception, sorridendo all'addetta distratta dalla televisione.
Uscì in strada ed annusò l'aria: gli era passato così vicino che poteva ancora avvertire sulla sua stessa pelle quella brezza che si portava appresso, l'odore della steppa russa, degli incensi della Persia Orientale. L'odore di Parigi e quello dello smog del XX secolo coprirono presto la traccia e da quel momento fu il suo istinto a guidarlo.

Avrebbe voluto fa di testa sua e perpetrare una strage, ma se l'avesse fatto non l'avrebbero pagato. Per questo, tra tutti i corpi riversi a terra, solo uno era morto ed un paio erano in gravi condizioni.
Mentre ancora i partecipanti alla riunione stavano fuggendo per il corridoio, diretti alle scale, si rese conto che c'era una finestra rotta che non era opera sua.
Lo sguardo blu notte tornò immediatamente alla vittima riversa a terra. Una chiazza di sangue viscoso si allargava sotto di lui; sul petto solo un minuscolo foro d'entrata, preciso tra ventricolo destro e valvola mitriale. Il proiettile era incastrato nel vetro di un quadro attaccato al muro, al posto della fronte della donna raffigurata. Staccò il proiettile rigirandoselo nella mano guantata. Un sorriso gli incurvò le labbra, prima che si voltasse lasciandolo tintinnare a terra.
Sfondò la finestra rotta e salì con un balzo fino al tetto. I muscoli si flettevano nel sollevare il peso non indifferente della sua massa di gigante. Prese la rincorsa e, con un balzo, si trovò sul tetto del palazzo opposto.
Erano anni che non si incontravano.
Superò allo stesso modo altri due palazzi prima di usare la scala antincendio che conduceva alla scalinata all'incrocio tra rue de Chartes e rue de la Charbonniére.
Disintegrò il passamontagna e la tuta che indossava sopra gli abiti civili liberando la criniera nera come la notte che gli ricadde, scompigliata, sulle spalle.
Nascose i pugnali alla vista dei civili e si confuse nel viavai dei pendolari, mentre le sirene della polizia suonavano a tutta forza il loro arrivo.
Incurvò appena le labbra: la caccia stava per avere inizio.
Scartò per i portici di rue de la Goutte d'Or, sapendo che lì avrebbe avuto maggior possibilità di avvertirlo e, contemporaneamente, di nascondersi da lui.
Non poteva far affidamento sul suo istinto, a differenza di come faceva con tutte le altre prede: doveva affidarsi unicamente ai suoi sensi, tentando anzi di azzittirlo. Era sempre così con quel disgraziato, mai una volta che rendesse qualcosa semplice.
Ne avvertì l'odore appena svoltato per rue Polonceau: quel sentore di neve fresca e di fiori di campo. Nel rumore assordante del traffico parigino, tentò di sentire il lievissimo frusciare dei suoi passi. Inutilmente.
Si lasciò guidare dall'olfatto, nel momento in cui ai fiori di campo, si aggiunse l'odore acre della polvere da sparo. Era più vicino. Entrò in un cantiere semi abbandonato, una strettoia tra calcinacci larga appena un paio di metri, all'entrata del quale facevano bella mostra di sé dei secchioni dell'immondizia semivuoti. Un paio di gatti lo guardarono pigramente dai loro scranni: tutt'attorno palazzi di almeno quattro piani.
Un sibilo rimbombò tra le pareti scure ed il gigante fece appena in tempo a guardare verso l'alto, prima che un proiettile umano lo inchiodasse a terra.

“Bang!” il metallo freddo della canna di una pistola premeva contro la tempia del colosso i cui occhi, spalancati dallo stupore, erano fissi in quelli screziati di verde dello scricciolo che aveva spalmato addosso.
Le braccia, incredibilmente robuste per un corpo così esile, tennero il gigante inchiodato a terra, mentre le gambe bloccavano le altre gambe e il torace rimaneva sollevato mentre le labbra si muovevano a pochi centimetri dalle altre, carnose e invitanti.
“Caro mio...” gli rinfacciò “La vita è piena di trappole!” il ghigno che si stampò su quelle labbra perfette fu a dir poco osceno “E dire che sei stato proprio tu a ricordarmelo la prima volta.”
Le labbra carnose del gigante si aprirono in un sorriso soddisfatto “Ma se non erro sono ancora io in vantaggio”
Il sorriso che spuntò sulle loro labbra fu qualcosa così profondamente complice da sfiorare la completa comprensione.
“Ho una camera d'albergo.” asserì l'uno.
“Una stanza in una pensione.” fece sapere l'altro.
“Vengo io.” e le labbra si sfiorarono in un bacio di fuoco.

Il ruvido legno della stanza grattò contro il maglioncino nero; la giacca era stata gettata di lato, abbandonata prima ancora che la porta venisse chiusa. Le gambe, troppo magre, erano strettamente avvolta alla vita del suo compagno, le braccia gli circondavano le spalle, le mani erano avvinghiate a quegli indisciplinati capelli neri.
“Kolja**! Il letto!” ansimò lo scricciolo tra le braccia forti del gigante, quando dovettero interrompere il bacio per riprendere fiato.
Kolja fece scendere una mano ad afferrare le natiche dell'altro, stringendo più forte il punto vita. In un paio di falcate aveva raggiunto il letto, trasportando l'altro di peso. Lo scaraventò sul materasso, raggiungendo subito dopo, riprendendo a baciarlo come se non ci fosse un domani.
E probabilmente aveva anche ragione.
Le mani dell'altro imprigionarono la maglia rosso ruggine tra le dita, prima di strapparla oltre la testa di Kolja.
Le labbra si ritrovarono immediatamente, mentre le mani passavano avide su quei muscoli d'acciaio tornito, scolpiti più nettamente di quelli dei bronzi di Riace.
Il maglioncino nero finì presto a terra, a far compagnia ai jeans del gigante.
Con un colpo di fianchi incredibile per un fisico così longilineo, Kolja finì sotto, le bocca dell'altro a tracciare ogni avvallamento del suo torace mentre le mani disegnavano il contorno dei suoi fianchi.
La lingua scivolò sugli addominali netti e la mani titillarono col bordo dei boxer, giocando con l'elastico, ignorando l'imponente erezione che premeva sulla stoffa sottile.
“Nisha**...” la voce era spezzata e affannata “Hai intenzione di... giocare ancora per molto?” ruggì quando le dita di Nisha abbandonarono i fianchi per scendere sulle gambe, ignorando il suo bisogno.
Una mano grande quanto una padella s'intrecciò ai capelli color notte strattonandogli la testa con decisione. Gli occhi oscurati di piacere di Nisha erano incredibili, ammantati di qualcosa di così simile a un sentimento da poter quasi ingannare. Aveva sperato durante i secoli che quella maledizione venisse spezzata, anche se questo avrebbe forse voluto dire perderlo per sempre, ma avrebbe voluto vedere il volto d'alabastro accendersi di felicità vera, almeno una volta.
La stretta sui capelli di Nisha era ferrea e gli occhi di Kolja erano tanto esigenti da strappare un ghigno alle sue labbra gonfie di baci. Il blu era così profondo che ci si poteva annegare dentro. Le mani scattarono immediatamente ai boxer, tirandoli giù con un movimento veloce che strappò un gemito all'altro.
Si scrollò la grande mano dai capelli e scese lungo le sue gambe, accompagnando i boxer, baciando l'interno coscia, il ginocchio, il malleolo.
Kolja si mise seduto e, non appena i suoi boxer vennero sfilati, prese Nisha da sotto le ascelle, riportandolo a sedere sulle proprie gambe, storcendo il naso a sentire la stoffa dei suoi pantaloni di tela graffiargli le cosce.
“Sei decisamente troppo vestito.” gli sussurrò sulle labbra prima di appropriarsi del suo torace, esplorandolo completamente, ritrovando le antiche cicatrici, scoprendo quelle nuove, mentre la voce piena e un po' roca di Nisha riempiva la stanza di alti gemiti.
Kolja se lo rigirò tra le braccia, come se non pesasse niente, finendo di spogliarlo, per poi tirarselo nuovamente addosso, gemendo nel sentire l'erezione pulsante dell'altro a contatto diretto con la propria pelle.
Nisha strattonò quei lunghi capelli neri per poter nuovamente avere quelle labbra sulle sue, mentre la mano libera circondava l'erezione dell'altro.
“Dimmi che hai appresso del lubrificante migliore del grasso per le armi.” ridacchiò nell'orecchio di Kolja e il gigante se lo scansò con forza dal corpo, guardandolo in viso. Il volto di Nisha era rilassato, con un accenno di labbra incurvate in un tenue sorriso, in un'espressione di trattenuto divertimento.
Ma non era solo un'espressione.
Lo sentiva. Lo sentiva vivo accanto a sé come non glie era mai successo prima.
Certo, un qualunque altro essere, umano e non, avrebbe incendiato i suoi sensi in modo molto più dirompente di quanto non potesse fare quello scricciolo, nemmeno ora, ma... ma lo sentiva! Lo sentiva e non era mai successo prima.
“Stanno tornando?” la voce era quasi stordita e gli occhi blu notte come trepidanti. Il suo istinto si stava svegliando, pronto ad imparare a capire tutto l'universo di sensazioni che l'anima dell'altro gli riusciva a procurare.
“Più o meno.” sorrise con un accenno di cinismo nella voce “Forse finalmente sta per spezzarsi.”
Gli occhi di Kolja espressero quasi terrore a quella notizia.
Fine. La fine della maledizione. La fine di tutto.
Gli prese il volto tra le mani, reclamando quelle labbra morbide, così perfettamente maliziose unicamente per sé.
Un bacio avido e terrorizzato al contempo. Nisha sorrise in quel bacio soffocante, cingendo con entrambe le mani il collo di Kolja come se tentasse di proteggerlo.
Nisha inarcò il bacino, finendo per far scontrare le due erezioni e strappando a Kolja un “Cazzo!” sibilato tra i denti.
“Kolja... sbrigati!” sibilò l'altro, ricadendo sulle proprie braccia e incorniciare il corpo del gigante, quando questi si allungò per afferrare il lubrificante dal cassetto.
Nisha si morse le labbra, iniziando a muoversi sul corpo scultoreo, facendo sfiorare ogni volta le due erezioni o facendo scorrere quella del compagno tra il solco del suo sedere scolpito da anni ed anni di lotta, togliendogli completamente il senno. Kolja con un gesto fulmineo afferrò la vita del compagno, portandolo nuovamente sotto di sé.
“Razza di diavolo tentatore!” ruggì prima di reclamare quelle labbra maliziose.
“Senza la tua attenzione su di me, mi annoiavo!” mugolò l'attimo prima che un dito coperto di lubrificante si facesse rudemente strada in lui. Il respiro gli si mozzò in gola, mentre i muscoli non più abituati a quegli affondi protestavano vivamente.
“Che succede?” ghignò maligno nel suo orecchio “La puttanella non s'è fatta scopare da nessuno ultimamente?”
“Fottiti!” sibilò mentre il dito si muoveva in lui, distendendo i muscoli e allargandolo con perizia, nonostante le parole ingiuriose. Nessun altro avrebbe potuto mai chiamarlo puttanella e rimanere vivo. Così come nessun mortale avrebbe mai potuto nemmeno pensare di possederlo in quel modo, senza ritrovarsi con un paio di costole fratturate.
“Ho tutta l'intenzione di fottere te, va bene lo stesso?”
Nisha trattenne il fiato quando l'altro inserì un secondo dito.
“Stai... solo... ODDIOSÌ!!! rosicando... perché ti ho... batt-” non poté finire la frase che, con una spinta particolarmente violenta, le dita di Kolja arrivarono a spingere sulla prostata mandando scosse elettriche a tutto il corpo.
“Scusa, non ho capito.” berciò l'altro “Puoi ripetere?”
“Pre-prendimi! Prendimi non... non resisto oltre!” le unghie curate delle mani di Nisha scavarono solchi nella pelle della schiena di Kolja, facendolo gemere di piacere. Adorava quando l'altro lo supplicava affinché si prendesse cura di lui, o perlomeno del suo piacere.
Kolja accarezzò tutto il braccio destro dell'altro, fino a raggiungere il polso, staccandolo dolcemente dalla sua schiena, mentre la bocca scendeva a succhiargli il collo, inarcato e ansante. Il cuore stava pompando il sangue con impeto e Kolja riusciva a sentirlo sotto le labbra. Gli intinse le dita della mano destra nel barattolo di lubrificante e pilotò quella mano alla sua erezione, mentre con le dita continuava ad allargarlo, a cercare e trovare il modo per farlo uscir di senno.
Le dita unte si chiusero immediatamente attorno all'enorme membro del compagno. Quasi non si ricordava quanto fosse grosso, soprattutto da completamente eretto.
Kolja era tutto ben proporzionato... enormemente proporzionato. Era elegante, seppur brutale, longilineo, nonostante fosse massiccio.
Nisha ricoprì tutta quella carne dura e pulsante di lubrificante, godendo del dolore causato dai denti di Kolja sul suo collo, ogni volta che il suo tocco finiva per aumentare l'eccitazione dell'altro.
Kolja si staccò la mano di Nisha dal suo membro quasi con forza, ringhiandogli nell'orecchio tutto il suo desiderio mentre toglieva con urgenza le dita dalla sua apertura.
Nisha allargò le gambe, ancor di più, inchiodando il suo sguardo in quello blu notte del compagno. Quegli occhi tormentati da un dolore antico, più grande di entrambi loro, ora brillavano unicamente di eccitazione, come se tutto il resto fosse stato, semplicemente dimenticato.
Entrò in lui senza mai staccare gli occhi da quelli di un colore incredibile di Nisha.
L'apertura del suo corpo si allargò per accoglierlo e Nisha pensò, per un istante, che non sarebbe mai riuscito a prendere tutta quell'erezione svettante, ma Kolja continuava a premere, costantemente, fino a seppellirsi completamente nel calore bollente ed ancora così tremendamente stretto dell'altro.
“A-aspetta...” gemette Nisha, un polso ancora intrappolato nella mano di Kolja, l'altra mano poggiata sul petto, all'altezza del cuore, indecisa se tentare di respingerlo o rimanere semplicemente in ascolto del battito poderoso.
Kolja si fermò, tenendolo bloccato sotto di lui, in attesa di un suo cenno o un segno che gli desse il permesso di spingersi in lui. Il giovane uomo aveva lo sguardo vitreo ed il respiro ansante, ma le guance erano imporporate e sulle labbra si poteva scorgere un sorriso di soddisfatto dolore. Non tutti avrebbero potuto capire l'esatto momento in cui Nisha si sentì finalmente pronto, ma Kolja iniziò a spingere, senza che l'altro dovesse chiedere. Si sentiva pieno, come non si era più sentito da tempo, pieno e completo, vivo per la prima volta da troppo tempo. Gemette forte quando Kolja lo piegò in modo che ognuna delle sue spinte gli colpissero la prostata, riuscendo a dargli il massimo del piacere. Sentiva come se ogni scabrosità di quel pene eretto si stesse imprimendo a fuoco nella sua carne, in modo che non avrebbe potuto mai dimenticarsene.
Gli piaceva abbandonarsi a Kolja, al suo modo brusco e ruvido eppure sempre gentile di prendersi cura di lui, senza che ci fosse mai bisogno di chiedere.
Gli piaceva che sapesse esattamente quando aveva bisogno di essere baciato e quanto poteva tirare prima di farlo sentire veramente a disagio.
E infatti, puntuale, il bacio arrivò a invadergli le labbra, passionale ed esigente come solo le loro labbra potevano essere.
Kolja gli liberò la mano che immediatamente s'intrecciò a quei capelli, strattonandoglieli appena prima di scendere ad aggrapparsi alle spalle larghe e muscolose, trovandovi un appiglio per andare più forte incontro ad ogni spinta.
Una spinta dopo l'altra. Un affondo dopo l'altro. Sempre più forte.
Kolja sentiva il corpo - troppo magro eppure terribilmente perfetto - allargarsi per accoglierlo ad ogni movimento dei suoi fianchi, sentiva la forza di quei muscoli d'acciaio premere contro i suoi, in una continua lotta, in cui Nisha gli cedeva ogni volta il campo. Si accorse del desiderio d'esser baciato prima che l'altro potesse esprimerlo, attese finché non se lo sentì rotolare sulla pelle, ingigantito dall'attesa, per poi violare con rabbia quella bocca, violentandola come stava violentando il suo corpo, nel tentativo di raggiungere la sua anima. Ed ogni bacio bramato era un ennesimo punto a suo favore.
Un bacio, poi un altro, ed un altro ancora.
Finché nessuno dei due fu più in grado di capire a chi appartenessero quelle labbra. Finché il loro desiderio esplose in un orgasmo travolgente.

Nisha rimase accoccolato sotto il corpo possente di Kolja, tenendo il membro che perdeva vigore dentro di sé, accogliendo il corpo esausto in un abbraccio usuale.
Passò ripetutamente le mani in quella capigliatura umidiccia di sudore, mentre il suo stesso sperma si andava raffreddando tra i loro stomaci, rendendoli appiccicaticci. Ma non se ne curò, troppo intento ad ascoltare il respiro profondo e calmo del suo compagno. Era ipnotizzante, ora come quasi mille anni prima. Il suo respiro si sincronizzò a quello dell'altro e presto il sonno avvolse le loro membra.
Al risveglio avrebbero fatto nuovamente del sano, sanissimo sesso, ma con meno foga. Poi avrebbero parlato. A lungo. Di cosa avevano fatto, di chi avevano incontrato, dei loro incarichi.
Al risveglio.
Ora, invece, si poteva dormire.
Finalmente al sicuro.

* Grazie a Zephan che mi ha trovato un riferimento per il Calibro dei fucili: lo trovate qui.
** Kolja è il diminutivo di Nicolaj; Nisha quello di Danil. Mentre del primo io e Zephan siamo certe, il secondo me lo sono inventato, avendo però studiato il modo in cui vengono fatti i diminutivi dei nomi russi. Nessuno, oltre loro due, li chiama più così per il banale motivo che Kolja si fa chiamare Atlas e Nisha, se proprio ti deve dire il suo nome, ti fornisce Elehim - anche se è più facile che ti dia Pinco Pallo come nome, ma va beh.

!nightmare table, personaggio: elehim, personaggio: atlas, racconti, autore: leliwen

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