Titolo: Il Cielo resta a guardare
Fandom: Originale
Coppia: Atlas/Elehim
Rating: Nc17 (Corposo)
Genere: Angst, Avventura, Dark, Drammatico, Storico
Avvertimenti: Non consensuale, Non per stomaci delicati, Slash, Scene di sesso, Maledizione, Morte di personaggi secondari(notati i plurali?), Sovrannaturale, Religione, Turbamento PARECCHIO, Violenza descrittiva (A secchiate!).
Capitolo: Prologo/25
Prompt: Prostituzione per
bingo_italia Note: è quasi finita: l'avevo iniziata a scrivere per il NaNoWriMo(in cui il titolo era "Le stelle stanno a guardare", ma non rendeva altrettanto bene l'idea) ma poi non sono riuscita a superare i 30K... quest'anno troppe cose da fare, purtroppo. Proprio perché è quasi finita, credo che riuscirò a postare due capitoli a settimana, dandomi così il tempo di terminare/integrare ciò che ancora manca.
Ovviamente non riuscirò mai a tener fede alla mia decisione, ma se non mi do un obiettivo, non posterò mai...
Ad ogni modo, notati i generi? Notati gli avvertimenti? Visto quel "corposo" accanto al Rating? Cosa vi fa pensare?! Ecco, bravi, esattamente quello: la storia in questione è il seguito di quel
Carpe Diem pubblicato qualche tempo fa ed inizia, esattamente, dalla cattura di Danil Elehim Romanovich... il che significa che il Prologo (ed altri capitoli) non è propriamente adatto ad animi dal cuore di panna ed un po' troppo impressionabili (
narcissa63 sto parlando in special modo con te).
Ecco perché, alla fine del capitolo (e dei seguenti dove è necessario) ho messo un riassuntino(un po' striminzito, l'ammetto).
Vi consiglio comunque di leggere le due pagine di diario (ovvero i brani in corsivo all'inizio e alla fine del Prologo) che possono esser interessanti per capire l'animo dei due gemelli Romanovich.
Detto questo...
Sicuri di voler continuare?
Beh, allora,
BUONA LETTURA!
Prologo
Prostituzione nell'esercito mongolo
Diario personale
Inverno, 1240.
Che Dio salvi Kiev e protegga la sua gente!
L'armata Mongola ha raggiunto il confine est di Kiev. Nessuno dei principi e dei guerrieri inviati per proteggere le città più lontane ha mai fatto ritorno. E mi sento terribilmente responsabile per la loro morte perché so, per l'esperienza diretta di mio padre e dei suoi guerrieri, quanto possano essere atroci le ritorsioni verso i nemici sconfitti. Nessuna pietà, nessuna onorevole morte. Solo il macabro gusto di sentirli strillare.
Così com'è stato per il ... così sarà anche per noi.
E la sola cosa per cui prego, giorno e notte, è che gli uomini e le donne di Kiev si salvino, che possano continuare ad abitare nelle loro case. Non temerei nemmeno di perdere questa guerra, o la mia vita, se solo le persone che amo e coloro che mi sono state affidati fossero in salvo.
Purtroppo, ancora una volta, le vie del Signore sono infinite e io non so se avrò la forza per tenere questa città e proteggerla da quei barbari.
Gesù chiese di allontanare da sé quel calice.
Io chiedo solo che non siano altri a doverlo bere al posto mio.
E che mi si dia la forza per attuare questa mia risoluzione.
Danil Elehim Romanovich
Macchie di colore scuro danzavano, irreali, dinnanzi agli occhi, affogate in un bianco purissimo.
Freddo gelido penetrava nelle ossa, bloccando i muscoli irrigiditi nella posizione scomoda e obbligata, le braccia tese oltre la linea delle spalle, le gambe piegate a cercare di sopportare tutto il suo peso senza spezzarsi.
Tre prigionieri ancora in vita e suoni confusi, che rimbombavano senza senso nelle sue orecchie, gli causavano un costante senso di vertigine che l'attanagliava alla bocca dello stomaco. Si sentiva le ossa del volto doloranti, come se avesse passato giorni e giorni con la più terribile delle emicranie, e forse era davvero così.
Non ricordava più dove fosse né capiva cosa fosse, tra tutti gli altri, quel rumore fastidioso, come di quando si sventra un maiale. Avrebbe voluto che smettesse, ma il corpo non gli rispondeva più da un po'. Le dita erano un'idea appesa a delle bracia che sembravano due pezzi di granito; il torace sussultava ad ogni respiro, incanalando a stento l'aria gelata all'interno di polmoni stanchi; le gambe fremevano sotto l'immane sforzo di reggere tutto il suo peso.
La stanchezza rischiava in ogni istante di prendere il sopravvento catapultandolo nuovamente nell'incoscienza, ma c'era quel rumore molesto e martellante che gli impediva di farlo.
Pian piano, la radura tornò a fuoco, delineando immagini di rozze tende, di carri che luccicavano per l'abbondanza di armi e di bestie ma non vi era nessun maiale; solo lei tra tre uomini dalla pelle ispida, i denti storti e gli occhi colmi di selvaggia lussuria.
Bestie dalle sembianze umane che, una volta stancati di torturare i suoi uomini, andavano da lei per farne la loro puttana; lei, con cui da giorni loro si divertivano a scoparla, picchiarla, vessarla per poi abbandonarla lì, senza nemmeno una coperta, nel freddo inverno di Kiev; lei che ogni giorno era più pallida, ogni giorno più disperata, ogni giorno più vicina alla morte.
Lei che lo guardava - con quegli occhi color indaco identici a quelli del loro fratello - come se lui potesse, ancora una volta, aiutarla.
E d'un tratto desiderò che quelle urla strazianti - che erano le sue grida - non smettessero mai, perché se fosse successo... se fosse successo lei sarebbe morta e lui avrà abbandonato il loro fratello ed il suo posto per nulla.
Un mongolo gli passò davanti e fermandosi a guardarlo, osservando quegli occhi verdi striati di viola osservare i propri compagni stuprarsi la ragazza dai lunghi capelli biondo oro come una puttana qualsiasi. Nella sua lingua dannata, atta a parlare coi Demoni piuttosto che a tenere una civile conversazione tra gli uomini, gli sputò addosso chissà quali forbiti vocaboli a cui il prigioniero inchiodato a quella croce di fortuna, nel suo latino molto più colto, rispose mandandolo molto gentilmente a levarsi dalle palle.
Bastò il tono, non servì certo una traduzione per far partire il manrovescio che gli fece fischiare le orecchie e sputare una boccata di caldo sangue. I suoi occhi tornarono a fissarsi infuriati sul mongolo, solo dopo aver lanciato uno sguardo preoccupato verso la sorella le cui grida erano diventate più flebili, man mano che quella tortura andava avanti e che il suo sangue scarlatto colava ad imbrattare la neve un tempo immacolata, calpestata da barbari stranieri.
A quello sguardo intrepido e impertinente il volto del mongolo si contrasse in una maschera di pura furia. Poi furono solo urla.
Urla di dolore e d'angoscia. Disperate e vane.
Urla dell'uomo inchiodato ai ceppi, urla gridate con quanto fiato sia aveva ancora in gola senza nemmeno sapere cosa si stesse urlando, ma incapaci di far a meno di sgolarsi, di tentare, in un modo qualsiasi, di attirare l'attenzione.
Lui e non lei.
Per favore, non lei!
Esser la loro puttana al suo posto era tutto ciò che chiedeva, pur di esorcizzare quella maledetta paura.
Paura. Una fottuta paura di perderla per sempre, lei, quella sorella tanto amata, nata nel giorno più triste e che stava per morire in quella dannata radura. Il terrore gli scorse nelle vene al ritmo forsennato del suo cuore, scivolò sulla pelle in rivoli ghiacciati di sudore, percosse il suo corpo ad ogni nuovo brivido di freddo ed orrore, strabordò dalle sue labbra in una cacofonia di imprecazioni e suppliche.
Avrebbe voluto esser in grado di strapparsi quei chiodi dalle carni, quei chiodi che lo sfottevano e lo rassomigliavano ad un Cristo in croce. Ma di Nostro Signore sentiva di non avere nulla e, soprattutto, sentiva di non averlo più al suo fianco. L'aveva tradito così come aveva tradito i suoi uomini e tutti coloro che si fidavano della sua parola e del suo giudizio: sapeva di non meritarsi di essere associato alla figura sofferente di Gesù in croce e quei chiodi, infilzati nelle sue carni, non erano che l'ennesimo sberleffo.
E, mentre lui si disperava, il mongolo rideva di quella stessa visione.
Di quella frusta che continuava a sbattere le carni un tempo bianche della sorella, del cazzo di quegli uomini orribilmente incivili che profanava quel corpo destinato a genti più degne, dei lunghi capelli color del grano, insudiciati, che strisciavano sul terreno come serpenti.
Sempre più sconnessamente.
Man mano che la vita abbandonava definitivamente quel corpo abusato.
E quel barbaro rideva delle urla del fratello, spettatore impotente, che salivano ancora e ancora, finché persino il fiato terminò e le lacrime, che il prigioniero non s'era reso conto di versare, infine cessarono di rigargli il volto.
Finite per sempre, impossibili da ritrovare. Aveva tradito inutilmente il suo popolo, non era stato in grado di proteggere nemmeno sua sorella, come poteva sentirsi degno di esser definito il Velikii Knjaz del Rus' di Kiev?
Tutto era perduto.
Lei era perduta: bambola spezzata ed inerme, vittima predestinata della loro furia. Nulla li avrebbe convinti ad interrompere la danza macabra su quel cadavere. Nemmeno le sue inutili lacrime, o le sue ormai patetiche richieste. Non ci sarebbe stata sepoltura. Niente canti e incenso, niente cerimonie con sarcofaghi di marmo bianco.
E gli occhi del Principe del Rus' di Kiev, prigioniero dei Mongoli invasori, si riempirono di quella vista atroce, mentre la gola singhiozzava impotente il proprio disappunto e le loro risa riempivano il cielo che osservava indifferente.
Senza alcun preavviso l'immagine della sorella morente venne spazzata via dalla frusta che cadde violentemente sulle sue carni, strappandogli l'ennesimo gemito di dolore, una, due, cinque volte, straziando la pelle del torace, mentre il corpo della ragazza veniva infine dato in pasto ai cani. I lunghi capelli di Danil Elehim scintillarono sotto la luce della luna mentre il corpo s'inarcava ad ogni ansito agonizzante, mentre una tempesta di tuoni e fulmini cadeva sulla piana, illuminando quello scempio a giorno, imprimendolo sulla retina in modo indelebile, fino alla fine dei tempi.
Un altro giorno e un'altra notte passarono e ancora nessuna notizia arrivava da Kiev.
I suoi uomini, coloro che l'avevano seguito o coloro che erano rimasti a proteggere la capitale, stavano cadendo uno ad uno: la potenza degli invasori mongoli era devastante poiché nessuno di loro era intenzionato ad esser battuto dal primo occidentale incontrato sul proprio cammino.
Non trascorsero che un paio di notti prima che la libidine tornasse tra le fila degli invasori e, immediatamente, li ebbe addosso.
Il loro Khan aveva deciso che la sua morte non sarebbe stata rapida e che, dopotutto, non c'era più nessuno che si prostituisse per il morale degli uomini del campo. Il fatto che l'atto di donarsi alla loro voluttà non fosse minimamente volontario, non cambiava in nulla la sua risoluzione.
Gli occhi incredibili di Danil Elehim si spalancarono per l'orrore e la paura quando l'interprete, con sua somma gioia, gli riferì della decisione del Khan. Ma strinse i denti e non si permise di tramare, mai. I suoi uomini erano morti in modo atroce pur di cercare di aiutarlo a salvare la principessa di Kiev: il minimo che ora potesse fare per onorare quelle perdite era sopportare le torture e seguirli nella morte.
Sfilare dalle sue mani e dai suoi piedi i lunghi chiodi con cui era stato crocifisso si rivelò un'impresa degna di questo nome: dovette intervenire il fabbro per riuscirci. Una volta che le gambe furono libere, gli legò le ginocchia ad una sbarra, in modo che fossero ben separate e che non potesse stare in altro modo se non piegato e, subito dopo, pretese il primo round. Col nuovo sangue che colava dalle mani unse il suo orifizio prima di seppellirvisi dentro in un lungo mugolio di piacere sovrastato dal grido di dolore del prigioniero che inarcò la schiena per poi crollare nuovamente la testa tra le spalle, cercando di regolarizzare il respiro e non mostrare altra debolezza.
La pelle vellutata e calda di quell'anfratto avvolgeva il cazzo del fabbro, spronandolo immediatamente a spingere, mentre i muscoli del retto si contraevano attorno a quell'intrusione nella vana speranza di liberarsene. La voce rauca di Danil Elehim ansimava tutto il suo disgusto mentre l'uomo continuava a fotterlo, ma non una sola lacrima rotolò oltre le ciglia lunghe e nerissime: erano già state versate tutte e ora non ne aveva altre.
Il fabbro non aveva ancora finito con lui che qualcuno gli spinse in bocca una specie di morso prima di infilargli il proprio pene in gola facendolo quasi strozzare. Poche spinte, e il suo culo fu utilizzato da un altro, mentre altri mongoli avevano finalmente finito di legargli le braccia di modo che non potesse muoversi.
Così immobilizzato venne usato dagli uomini del Khan in ogni intermezzo tra un attacco e l'altro, finché Kiev non cadde sotto i colpi dell'armata mongola.
Dal diario personale di Dimitri Armalgar Romanovich
5 dicembre 1240
Avrei voluto credere, l'avrei voluto davvero, che il frastuono che si sentiva all'arrivo dei Tatari, che impediva quasi di parlare, non fosse altro che uno scroscio lontano di fulmini celesti che preannunciava l'arrivo di Dio, venuto in nostro soccorso. Come avrei voluto credere che mio fratello, quell'uomo che col fuoco sacro a incendiargli lo sguardo ha mandato i nostri guerrieri a tentare di difendere Chernigov e Pareyaslav non sia scappato con una piccola scorta, nostra sorella e due sue ancelle prima che i Tatari attraversassero il Dnepr e si portassero sotto Kiev. Ma le prove... le prove che ci hanno fornito sono più che sufficienti per annunciare il verdetto di questa misera corte.
Mio fratello ci ha traditi. Danil il "coraggioso" ha tentato di fuggire in Ungheria, ma è stato preso dall'armata. So, perché l'ho vista, che mia sorella è morta. E io vorrò chiedere a Dio il perché della sua morte innocente.
So che Batu Khan è alla guida della legione, la fonte è quanto di più sicura possa esserci. Buffo come lui, un Tataro, non mi abbia tradito mentre mio fratello, un Cristiano, l'abbia fatto senza pensarci due volte. Sarebbe quasi comico se non fosse così tragico. Con Batu Khan, so che la campagna non si fermerà finché la città non cadrà. Ed ormai è questione di ore.
I Tatari hanno fatto in fretta a trovare il nostro punto debole e non voglio nemmeno fermarmi a pensare che possa esser stato Danil a fornirglielo. Hanno iniziato ad attaccare dalla parte occidentale della Ljatskie Vorota, dove eravamo più sicuri per la presenza delle paludi e delle sabbie mobili. Ma le loro pesanti macchine d'assedio non sono affondate in quella terra e la cinta è durata ben poco.
Ci hanno bombardato con palle di pietra e bolle di pece infuocata, senza interruzione di giorno e di notte, finché non s'è aperta una breccia e i Tatari vedendo le mura in fiamme, sono sciamati con grandi grida nella città di Jaroslav.
Hanno devastato e dato alle fiamme tutta la parte bassa e poi si sono rivolti verso quella alta, la città di Vladimir, dove ho cercato di radunare il popolo per trovare riparo.
Non credevo che sarebbero riusciti a tirare su le macchine lungo un dislivello così alto, ma il bombardamento è ricominciato fin troppo presto. Il crollo del coro della Chiesa della Decima è un altro segno dell'ira di Dio verso la nostra gente... davvero, non posso pensare altro.
I Tatari oggi bivaccano sulle eleganti vie dell'antica capitale e arraffano tutto quel che trovano di utile o di prezioso nelle nostre case e nelle nostre chiese, senza un minimo di rispetto né per Dio né per i morti che affollano le strade. La disfatta è ormai imminente.
L'antica Kiev sta per scomparire per sempre.
Dov'è finita la tomba di Santa Olga? E i resti di San Vladimir? In piedi ora è solo il monumento funebre di Jaroslav il Saggio e la mia speranza è che quella gloria che ci ha innalzato a i più grandi legislatori civili sia, almeno lei, immortale.
Null'altro mi è più dato di sperare.
Arrivano.*
Fine prologo
* Citazioni varie: dal
sito dove ho preso le informazioni per l'assedio mongolo a Kiev e, ovviamente, da "Il Signore degli Anelli" di Tolkien. ^____^
PS: Mi sarò riletta questo capitolo un migliaio di volte, ma se trovate qualche imprecisione, segnalatemele che non mi offendo sicuramente ^_^
RIASSUNTO: Danil Elehim viene catturato e crocefisso, costretto ad assistere sia allo stupro e all'uccisione della sorella che era andato a salvare che alle torture inflitte ai suoi uomini. Una volta che la ragazza muore e l'esercito si trova sprovvisto della sua puttana, viene scelto il principe di Kiev per quel compito.
Capitolo 1 - Estremamente Sbagliato