One prayer, one deal

Sep 30, 2012 23:25


Titolo: One prayer, one deal 
Fandom: Supernatural
Capitolo: 1/1
Personaggi/Pairing: Mary Winchester, Dean Winchester, Azazel, omc.
Rating: Pg15
Conteggio parole: one shot (3747)
Avvertimenti: un po' di violenza ... no niente è uno stupido general
Note: mi piaceva l'idea di un ultima caccia di Mary e usando il Tarot Deck, vedendo L'imperatrice (III), non ho potuto resistere. Un po' di cose in confronto a Supernatural sono sballate e Mary non sò com'è venuta ma io qui ho voglia di sperimentare!


Se ne era andato, un’altra volta.
Ancora un'altra fottutissima volta li aveva lasciati da soli e, nel modo in cui aveva sbattuto la porta e gli aveva urlato contro, non sarebbe ritornato come minimo per quattro giorni. 
Appoggiò il coltello al tagliere, sospirando. 
Certe volte, per Mary Winchester, sarebbe stato più facile dialogare con un orso inferocito, che con suo marito. Certo, la vita da neo sposati era stata fantastica ma ora, dopo quattro anni, sembrava che tutto si sgretolasse. I litigi erano continui e l’unica cosa che aveva voglia di fare era prendere Dean e andare il più lontano possibile da lì.
Poi ci pensava meglio: Cosa avrebbe fatto? 
A chi avrebbe chiesto aiuto? 
A chi si sarebbe appoggiata? 
Chi l’avrebbe aiutata con Dean?
Ce l’aveva le risposte a quelle domande: nomi, numeri di telefono, facce; tutto ben memorizzato, ma di ritornare a quella vita non se ne parlava proprio. Dio, avrebbe messo in mano a Dean una doppietta prima che lui potesse compiere nove anni, come suo padre aveva fatto con lei. Gli avrebbe insegnato a difendersi, a come uccidere un vampiro, come si rintracciavano i mutaforma e come seguire le tracce di uno skinwalker in un bosco. Avrebbero studiato ogni sera sui libri le formule in latino e gli esorcismi, i patti con i demoni e la suddivisione dell’inferno e del purgatorio. 
Scosse la testa: non poteva fare questo a Dean. Lo voleva veder crescere, studiare, andare al college, portare a casa una ragazza, sposarsi e avere dei figli.
Era questo che voleva.
Basta con le caccie. 
“Mamma …” una voce impastata dal sonno la fece girare, sorrise solare vedendo Dean stropicciarsi un occhio con fare assonnato mentre si avvicinava barcollando “Mamma” ripeté allungando le braccia e Mary non riuscì a trattenersi di afferrarlo stretto dondolando da un piede all’altro. 
“Hai fatto un buon riposino, angioletto?” la pelle di Dean odorava di buono, quell’odore che i bambini conservano per un periodo e poi perdono man mano, con la loro innocenza. Il piccolo annuì ancora assonnato stringendo tra le manine i lacci del grembiule. 
“Vuoi un panino?”
“Si” rispose Dean, la vocetta flebile ovattata dalla stoffa della maglietta.
“Togliamo anche la crosta?” 
“Si” gli baciò la fronte appoggiandolo a terra con cautela e spingendolo dolcemente verso la sedia. 
Non gli avrebbe mai fatto rinunciare a nulla di tutto questo. Non gli avrebbe mai fatto rinunciare a quella vita in cui il mostro dell’armadio si sconfiggeva aprendo semplicemente le ante e quello sotto il letto era un pelouche abbandonato per camera. Dove per ricevere l’approvazione dei tuoi genitori bastavano voti sufficienti in tutte le materie invece di  sapere alla perfezione tutto Exorcizamus te recitato anche meglio dell’Ave Maria.
Non riusciva a fermarsi dal pensare a tutte quelle cose anche mentre guardava Dean addentare il panino alla marmellata e bere di tanto in tanto un sorso d’aranciata.
Aveva paura di ricaderci e, certe volte, non poteva fare a meno di leggere qualche articolo sul giornale, mentre il suo sesto senso da cacciatore gli diceva che quegli omicidi erano opera di un licantropo piuttosto che l’attacco di un Rakshasa affamato. 
Di recente aveva anche letto di alcuni strani attacchi in una città vicina, ma … aveva preso solo le precauzioni necessarie, niente di più. Molto probabilmente un cacciatore era già sul posto a fare il suo dovere.
Lasciò correre veloci i pensieri quando Dean la ridestò. 
“Mamma… papà tornerà vedrai, ti vuole ancora bene” accennò un timido sorriso, la bocca e le dita sporche di marmellata … era un animale quel bambino a mangiare, gli avrebbe dovuto insegnare qualche buona maniera e come mangiare composto a tavola.
“Si, baby, ovvio che papà ritornerà, non potrebbe mai e poi mai lasciare il suo bambino senza che abbia imparato per bene a giocare a football” cercò di sorridere tranquilla. Prese il piatto di Dean e il bicchiere dicendogli dolcemente di andare a lavarsi le mani.  
Era meglio così, si disse, andava bene che John di tanto in tanto sbattesse la porta e mancasse per qualche giorno, quella bastava e avanzava come normalità. 
Aveva una vita normale, con qualche acciacco ma era comunque normale.
Avrebbe dovuto capire che qualcosa non andava già da quando aveva portato Dean al parco. 
Si era guardata più volte attorno con fare disinteressato scandagliando qualsiasi angolo e non aveva trovato nulla di sospetto, ma quella sensazione di essere seguita era intensa e, anche se erano passati anni dalla sua ultima caccia, le vecchie abitudini faticavano a scomparire. 
Tornò a fissare Dean che scendeva dallo scivolo, alzando le braccine in aria e sorridendo felice. “Hai visto mamma? Hai visto?” Mary gli sorrise immediatamente applaudendo forte mentre Dean risaliva le scalette, e lo vide.
Seduto alla panchina opposta, un uomo con un cappello da baseball sporco la fissava: non era quello sguardo perso o quello sguardo da pervertito da parco giochi che si eccitava a vedere le neo mamme,  ma quel tipo di sguardo.
Quello sguardo di chi conosce ma non può dire, di chi cerca aiuto e supporto, quello sguardo che i cacciatori si lanciavano per capirsi l’uno con l’altro, unico, come tra confratelli legati da un legame di sangue. 
Mary raggelò.
No, non qui e non ora, non con Dean di fronte.
“Dean!” la bionda si alzò dalla panchina “Dean! Vieni qui!” Dean si fermò a metà scala, guardandola confuso per poi scendere velocemente e raggiungerla.
“Dobbiamo già andare?” disse con tono lagnoso.
“Sì, si sta facen-“
“Mary Campbell?” l’uomo era lì difronte a lei. A dispetto di quanto gli era parso da lontano era veramente massiccio e ben piazzato; il viso era duro e una barba incolta gli sporcava le mascelle. Si tolse il cappello trattenendolo per la visiera rivelando i capelli bruni.
Dean si attaccò alla sua gonna intimorito dalla prestanza dell’uomo, affondando il viso tra le pieghe. Mary, però, non si lasciò scoraggiare. 
“Mi dispiace ma non la conosco” si affrettò a prendere Dean da sotto le braccia tenendolo stretto al petto.
“Sono Johnny Meyer, non ti ricordi? Tu e tuo padre mi aiutaste ad Ashburn con quel licantropo, arrivaste giusto -“.
“No, mi dispiace” tagliò corto allontanandosi di qualche passo “non so di cosa stia parlando!” strinse ancora di più Dean che si teneva ben saldo alle sue spalle lanciando qualche occhiata spaventata all’uomo.
“Mary, ti prego ho veramente bisogno dell’aiuto di qualcuno, e nessun cacciatore è nelle vicinanze! Quando ti ho vista camminare per strada mi sono sorpreso, so quello che è successo ai tuoi genitori e…” l’uomo avanzò ma si bloccò allo sguardo gelido di Mary. 
“Io ho chiuso con la caccia” sibilò costringendo Dean ad affondare il viso nell’incavo del collo nel disperato tentativo che non sentisse.
Johnny non demorse.
“È un rugaru, Mary, ha già ucciso quattro persone, l’avrai sentito, ho controllato tutti i corpi -“.
“Smettila! Non davanti a mio figlio!” lo strinse ancora, Dean tremava. 
No, no, non così era tutto sbagliato, non voleva che il suo piccolo ascoltasse ne tanto meno acconsentire alle richieste del cacciatore.
“Mamma” si lamentò Dean.
“Andiamo a casa, angioletto” gli baciò la tempia fissando l’altro “ti prometto che quest’uomo non ci darà più fastidio”.
Johnny cercò di vocalizzare qualcosa abbassando gli occhi, poi scosse la testa prendendo da dentro la giacca un biglietto da visita e porgendoglielo: “Nel caso cambiassi idea”.
“Tienilo pure” ringhiò prima di girare sui tacchi e camminare velocemente verso la macchina.
Quella sera dormì con Dean nel letto matrimoniale, cingendogli la schiena con un braccio, mentre con l’altra teneva ben stretto un coltello d’argento, sotto il cuscino.
Si decise ad alzarsi dal letto verso le due del mattino, non riuscendo a prendere sonno. Prima di scendere in salotto controllò il sale alla finestra e la striscia davanti alla porta, entrambi li aveva messi dopo che Dean si era addormentato; si piegò e guardò sotto il letto, ispezionando che la chiave di Salomone fosse ben integra, l’aveva fatto con i pennarelli lavabili di Dean in modo da poterlo cancellare. 
Portò con sé il coltello -Dean quando dormiva non stava fermo un attimo- scendendo a piedi nudi, e andò in cucina. Non sapeva cosa fare: un cacciatore che stava rischiando la vita gli veniva a chiedere aiuto e lei lo ignorava, suo padre l’avrebbe sgridata così tanto da farle uscire il sangue dalle orecchie. Bevve qualche sorso di aranciata, di notte aveva tutt’altro sapore, prima di scattare in piedi, stringendo il coltello, al rumore di una bottiglia in vetro.
Non era caduta, era stata appoggiata, e il rumore veniva da dietro la porta del retro: non poteva essere John, non era neanche passato un giorno. 
Afferrò meglio il coltello, la parte opposta al filo premuta sul braccio, guardando fissa la porta. Aveva messo per precauzione anche lì una linea di sale. Decise che avrebbe aperto di scatto, accendendo la luce. Se fosse stato un demone non sarebbe potuto entrare, almeno lui. Tastò il terreno in un gesto involontario con i piedi e si mosse lentamente.
Fu questione di secondi, si sorprese quanta manualità ancora conservasse: aprì la porta di scatto, accese la luce, ringhiando un che cosa sei? 
Johnny la guardò dal basso, seduto sui gradini con le mani occupate ad aprirsi una bottiglia di Cola.
“Non ci faccio una bella figura così” borbottò.
“Non osare mai più fare una cosa del genere”.
“Avevo paura che vi potesse raggiungere, sembra che possa comprendere come un umano e molto probabilmente sa che anche tu sei una cacciatrice”.
L’aveva fatto entrare, non prima di averlo tagliato con il coltello in argento e avergli lanciato addosso dell’acqua santa che teneva in una bottiglia anonima nel frigo: “Almeno è fresca” aveva ridacchiato divertito. 
“Siediti e non ti muovere, o giuro che …”.
“Si, si, vai pure” gongolò.
Johnny si sedette su una delle tre sedie al tavolo muovendosi per trovare la posizione più comoda imprecando a denti stretti “dove cazzo le avete comprate” borbottò, ma Mary non gli diede peso. 
Salì a due a due le scale, affacciandosi alla porta della camera da letto, per trovare solo Dean sdraiato scompostamente sulle lenzuola che respirava piano. Sorrise tra sé e sé e afferrò il giacchino in lana sulla poltroncina. Scese nuovamente in cucina, questa volta con molta più calma e si posizionò di fronte all’uomo. 
“Ho un figlio te ne rendi conto? Non solo hai messo in pericolo me, ma soprattutto lui! Altri mostri potrebbero esserne a conoscenza!” avrebbe voluto urlare ma mantenne un tono controllato, senza però tralasciare una nota aggressiva.
“No, è estremamente solitario” iniziò subito Johnny “so dov’è la sua tana e i suoi comportamenti, so tutto”.
“Allora perché non lo finisci?” si spazientì Mary.
“Ci ho provato”.
“Va bene che sei un cacciatore ma non hai mai pensato che forse questo lavoro non fa per te? È la seconda volta …”.
“No aspetta! Non capisci! È veramente forte e veloce, mai visto un rugaru così!”.
Mary si fermò pensierosa: “Hai detto che ha ancora parvenze di intelligenza umana? Poi è impossibile che sia così forte se si è appena trasformato” batté più volte il polpastrello sul labbro inferiore e improvvisamente gelò al pensiero che le fece capolino nella mente “sei veramente sicuro che sia un rugaru?”.
“Cosa intendi dire? Pensi che sia qualcos’altro?” chiese titubante “Una Rakshasa?” si fermò a pensare. 
“Un wendingo” disse sbrigativa Mary, intrecciando le dita davanti alla bocca, la fronte contratta, pensierosa.
“Un wendingo in città?” si riprese “sono esseri che si trovano in zone desolate e nelle parti più remote delle foreste”.
“Il Clinton State Park” azzardò “è abbastanza grande”.
“Oh ti prego, se ci fosse stato un wendingo in un parco vicino a tuo padre -“.
“Papà non era perfetto”.
“Sì lo so ma …”.
“Forse ha dei cicli molto lunghi”.
“Di conseguenza è molto vecchio” concluse Johnny.
“Allora è un wendingo, mi sembra la soluzione più logica, ti serve un lanciafiamme fatto in casa, anche se è un rischio dovremmo muoverci di sera, sta sera semmai” disse con voce ferma e improvvisamente si bloccò.
Oddio, che stava facendo?
No, non la voleva risentire quella sensazione: per quanto avesse odiato la caccia, in quei momenti, prima dell’attacco, diventava euforica e l’adrenalina iniziava a circolare nel sangue come ossigeno. 
Era la cosa più bella, dopo, ovviamente, il guardare soddisfatti il proprio lavoro mentre il mostro bruciava per bene o il demone si contorceva tentando di non ascoltare invano l’esorcismo.
“Vieni con me” disse improvvisamente l’uomo, alzandosi, già pronto per scattare alla macchina e mettere in moto.
“Ho un figlio e ti ho detto che con la caccia ho smesso” disse più a se stessa che a lui.
“Mi stai aiutando, la finiremo insieme”.
“La cosa si ferma qui”.
“Non vuoi prenderti la soddisfazione di vederlo esplodere?”.
Mary si morse il labbro: si che voleva prendersi quella soddisfazione ma … “No, ho un figlio”.
“Lo stai usando come la scusa del mal di testa” sbuffò Johnny “è un ometto oramai”.
“Ha quattro anni!” 
“Appunto! Può venire anche lui con noi, disegneremo sulla macchina una trappola del diavolo e la circonderemo con del sale” gli si illuminò il viso, esponendo quella che sembrava per lui un idea geniale “Andrà tutto per il meglio! Parcheggeremo anche lontano”
“Sei impazzito?!” rispose Mary sconvolta “Dean non andrà da nessuna parte!”
Furono le ultime parole famose.

Si era persa dei passaggi ma aveva ceduto: come una stupida donnetta aveva acconsentito e ora si trovavano tutti e tre nella jeep nera dell’uomo, con Dean nei sedili posteriori che si guardava confuso e assonnato intorno. 
“Mamma, dove stiamo andando?”.
“Tranquillo, angelo mio, è tutto ok” disse Mary guardandolo dallo specchietto e sforzandosi di sorridere conficcandosi le unghie sulle cosce coperte dai jeans “vuoi che ti canti una canzone?”.
“Io voglio andare a casa…”.  
“Dai amore mi aiuti a cantare Hey Jude?” iniziò a sussurrare le prima strofe invogliando Dean a cantare mentre sbisacciava qualche parolina, dondolò la testa da un lato all’altro, gli occhi che si chiudevano.  
“Dopo la mamma deve andare via per qualche minuto ok? Tu stai in macchina e fai il bravo? Me lo prometti Dean?” si vergognò come un ladro a dire quelle cose ma Dean la guardò dallo specchietto con i suoi grandi occhioni verdi socchiusi annuendo piano “Non dovrai avere paura perché tu sei il mio angioletto coraggioso, vero?” Dean annuì un'altra volta.
Johnny non disse una parola per tutto il viaggio.
Quando arrivarono Mary fece sistemare meglio Dean sui sedili infagottandolo con coperte, tanto che da fuori sembrava un ammasso di vestiti, mentre Johnny disegnava con una bomboletta spray bianca la trappola del diavolo sul tettuccio della Jeep nera. Quando chiuse le portiere, baciando Dean sulla fronte, circondò l’auto con del sale.
“Mi dispiace per la macchina” disse piano prendendo la doppietta dal bagagliaio e il lanciafiamme fatto in casa.
“Non è un problema, se fosse tutta lì la disgrazia”.
Allontanandosi diede un’occhiata veloce a Dean, ora sdraiato sui sedili, stava bruciando di sensi di colpa ma si costrinse a pensare che stava facendo la cosa giusta: se quel mostro li avesse raggiunti? Se fosse stata impreparata? Non solo avrebbe fatto uccidere Dean ma anche John. 
Allontanò il pensiero della scenata che John gli avrebbe fatto se avesse saputo che aveva portato Dean con sé a caccia … della scenata che John gli avrebbe fatto nel sapere che lei andava a caccia … della scenata che John gli avrebbe fatto scoprendo che cosa cacciava … della scenata che John gli avrebbe fatto …
Afferrò la doppietta, ricaricandola con una sola mano -una brutta abitudine, gli aveva sempre ripetuto papà-, mentre con l’altra teneva salda la piccola bombola che scendeva su un fianco, fermata da una cintura a tracolla.   
Non avrebbe mai permesso che succedesse qualcosa a suo figlio … i suoi figli…

La caccia al wendingo si risolse inaspettatamente presto e la cosa puzzava di zolfo. 
Lo ritrovarono ansimante dopo poco tempo, gambizzato che strisciava per terra gemendo, versi animaleschi uscivano dalla sua bocca, le dita sporche di sangue e fango che affondavano nel terreno nel disperato tentativo di allontanarsi.
Johnny gli sparò ad entrambe le braccia più volte con la doppietta, spappolandogli le giunture, prima di avvicinarsi con cautela, mantenendo una distanza di sicurezza.
“Sembrano provocate da trappole per orsi” disse confuso.
“Ti sembra che un wendingo si lasci gambizzare da delle trappole da orso? Qualcuno … qualcosa deve averlo ridotto così” un brivido di preoccupazione le attraversò la schiena.
Non erano soli nel parco. 
“Brucialo ora, io ritorno all’auto” slacciò la cintura del lanciafiamme appoggiandolo a terra e imbracciando meglio il fucile.
“Cosa?!” Johnny si mosse verso di lei ignorando i lamenti del wendingo che si erano fatti ancora più alti “Lo devo fare da solo?”
“Sta strisciando, cazzo!” urlò esasperata. Johnny ringhiò sommesso afferrando il lanciafiamme e puntandolo contro l’essere.  
“Bye bye baby” bofonchiò non proprio soddisfatto di come stavano andando le cose. Il wendingo bruciò prima di estinguersi completamente lasciando dietro di se solo una macchia nera. 
“Ecco contenta ora …” si girò ma era solo nel bosco.

Inciampò ma riuscì a mettersi subito in piedi liberando la sua frustrazione con un gemito alto. La pistola nella fondina sotto il braccio le dava fastidio ma non quanto le impediva i movimenti il fucile che teneva in mano: davano entrambi un fortissimo senso di impotenza, di non essere più veloce o più capace.
Dean aveva bisogno di lei e l’unica cosa capace di fare era correre impacciata.
Ti prego fa che stia bene. Ti prego fa che stia bene.
Tipregofachestiabenetipregofachestiabene.
Arrivò alla macchina ansimante, sull’orlo delle lacrime; la situazione era tranquilla: Dean era ancora sdraiato sui sedili posteriori e le strisce di sale era intatte, da quello che riusciva a vedere.
Grazie al cielo.
Sentì l’avvicinarsi di qualcuno che stava correndo pesantemente, Johnny, il suo ansimare era l’unica cosa udibile nel bosco.
“Mary! Non farlo mai più mi hai fat-“ la voce di Johnny dietro di lei si interruppe improvvisamente e si lasciò cadere a terra, come se i muscoli avessero smesso di sorreggerlo tutto ad un tratto.
“Johnny!”
“Mary, Mary, la tua vita è costellata di John e Johnny, cosa posso fare con te?”.
Un brivido le percorse la schiena, girandosi lentamente.
“Tu…”
Il demone dagli occhi gialli le era di fronte. 
Quel demone. 
Lì, in piedi con un nuovo corpo di un cinquantenne poco più alto di lei e gli occhi orrendamente luminosi.
“Non sei contenta? Sono venuto a farti una visita! Volevo vedere come stava il primogenito” si mosse verso la macchina, non perdendo il contatto visivo con la donna “mi sono dimenticato di mandarti i fiori, ma io sto aspettando altro lo sai …” accennò al ventre ancora piatto di Mary che si riparò involontariamente con una mano “però devo informarmi come verrà, l’altro, quindi quale modo migliore di farlo se non esaminare un po’ il suo futuro fratellone” ghignò. 
Mary imbracciò il fucile caricato a sale, ma prima ancora che potesse premere il grilletto si ritrovò sbattuta contro il duro tronco di un albero.
“Cattiva ragazza, cattiva!” gongolò.
“Fottiti”.
“Che linguaggio! Davanti a tuo figlio? Mi sorprendi” mosse la mano con un gesto secco e una folata di vento spazzò via il sale “ma tanto chissà cosa avrà sentito quel bambino con un padre come John, vero?”.
Mary si ritrovò senza fiato dalla botta e incapace di rispondere. 
John si era sempre trattenuto davanti a Dean e non aveva mai imprecato una volta … gli venne quasi da piangere nel pensare una cosa così stupida in quel momento.
Un altro movimento della mano e il tettuccio dell’auto fu attraversato da un profondo graffio, rompendo così il sigillo di Salomone. 
“Non lo puoi prendere!” ringhiò dimenandosi senza risultato. 
“Certo che no…” cominciò il demone sollevando Dean, addormentato, senza fatica, ancora con le coperte addosso “ha un bel sonno il piccolo” sussurrò appoggiandolo al petto e fingendo di cullarlo “… lui è la puttanella di Michele”.
Mary provò a replicare ma la sua gola produceva solo suoni strozzati. 
Una maledizione? Un incantesimo?
“Così lo sveglierai” l’ammonì il demone sogghignando, mentre spostava dolcemente le coperte: “Ha proprio un bel visetto” gli sfiorò i capelli “ha preso molto da te, meglio così! Però il prossimo lo voglio un pochino come John, che ne dici?” rise.
Mary scosse la testa impotente, le lacrime a rigargli il viso. 
“Non piangere, il tuo amico non è morto è solo svenuto. Non posso farti sforzare a seppellire un corpo, potrebbe far male al bambino” Mary alzò lo sguardo infuriata “Non puoi neanche guardarmi così!” disse falsamente dispiaciuto “Come avresti fatto a combattere un wendingo così forte senza risentirne” cullò un altro po’ Dean lasciandolo poi sul sedile posteriore.
“Tranquillo, angioletto, se non ci sarà la mamma, un giorno, ci sarà il papà” canticchiò al bambino, girandosi poi verso Mary “Teniamoci in contatto … voglio sapere tutto sul nostro bambino” sparì improvvisamente, sorridendogli.
La forza che la tratteneva scomparve e cadde a terra a peso morto, riuscì a rialzarsi a fatica arrancando verso la macchina e abbracciando stretto Dean, che mugugnò svegliandosi.
“Mamma …”
“Shhh, angelo mio, non è successo niente, dormi un altro po’” singhiozzò mentre Dean le avvolgeva le braccine intorno al collo.

Quando ritornò a casa, Johnny l’aveva riaccompagnata dopo essersi svegliato di botto, si vedevano già le prime luci dell’alba. A fatica si trascinò sul letto, Dean stretto tra le braccia, sveglio e lamentoso. Si sdraiò insieme a lui raggomitolandosi cercando di proteggerlo, ancora con i jeans addosso. 
Dean ricadde addormentato -non sembrava esserci un limite a quanto dormisse quel bambino- ma, per quanto fosse stanca, rimase vigile tutto il tempo, controllando continuamente il respiro del suo angioletto.
Chiuse gli occhi e pregò, sottovoce.
Chiese ad un angelo di proteggere, di aiutare e vegliare Dean. Gli chiese di amarlo quanto lei amava il suo piccolo, di sostenerlo e di ascoltarlo pazientemente, quando lei non ci sarebbe stata più.
Chiese ad un altro angelo, questa volta più potente, di comprendere e accogliere il suo futuro bambino. Di indicarglila via, di immedesimarsi in ciò che avrebbe passato e di condividere con lui i suoi momenti di solitudine, accompagnandolo per l’eternità come lo sguardo vigile di una madre sul proprio figlio. 
Una sola preghiera salì in cielo scivolando tra le piume morbide di un enorme paio di ali. L’altra discese nei meandri terrestrie, sorpassando le sbarre di una gabbia e rotolando sul suolo ghiacciato.
Divenne un patto, silenzioso e stretto in lontananza che sarebbe stato riscosso a tempo debito.

personaggio: azazel, tv: supernatural, personaggio: dean winchester, /one shot, rating: pg15, warning: what if...?, personaggio: mary winchester, !fanfiction

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