[harry potter] La fine della magia

Jan 29, 2012 14:22

Titolo: La Fine della Magia
Autore: Slayer87
Beta: SaraPiton
Capitolo: Normalità? (2 di 42)
Pairing: Harry/Draco,
Rating: Nc17
Note: E il primo aggiornamento arrivò puntuale!!
Buona lettura!!

Link al primo capitolo!


Normalità?

La normale routine non faticò ad instaurarsi. Lezioni, pranzo, lezioni, compiti, cena e letto. Nulla di più ordinario di quello.
Harry rientrò abbastanza facilmente nella normalità, salvo i casi in cui il suo addestramento si faceva sentire, come quando il professor Vitious gli chiese di eseguire un incantesimo particolarmente complesso, che lui operò con un movimento distratto della bacchetta, nella versione non verbale, lasciando tutti, professore compreso, a bocca aperta. Se c’era un vantaggio, nel dover affrontare un addestramento simile al suo, era che poi si viveva praticamente di rendita. I suoi voti erano migliorati di molto, senza alcuno sforzo da parte sua, con grande scorno di Hermione, che non poteva nemmeno incolpare qualcuno, limitandosi a borbottare infastidita.

Questa situazione non durò a lungo. Ci vollero giusto un paio di settimane, prima che la McGranitt decidesse di dargli diversi testi da leggere durante le sue lezioni, affidandogli come compito la scrittura di un riassunto per ogni capitolo. Da quel momento in poi, tutti i professori di cui seguiva i corsi seguirono quell'esempio, mettendo di fatto la parola fine al suo ozio.

In quel modo, anche Hermione si era placata, salvo poi chiedergli in prestito tutti i testi consigliatigli dai professori, come lettura di approfondimento. Come si facesse ad amare lo studio fino a quel punto era un mistero per lui. Poteva capire l’amore per la lettura: in fondo anche a lui piaceva leggere dei buoni romanzi, ma un conto era passare due ore immersi in un giallo di Arthur Conan Doyle, un altro era perdere la nozione del tempo sopra “Trasfigurazione avanzata professionale, manuale per maghi Eccezionali.”
Dopo sette anni, però, sapeva che era inutile discutere con Hermione a questo proposito, quindi si astenne da ogni tipo di commento, limitandosi a leggere i suoi testi.

Dopo la guerra, anche il rapporto con Piton era cambiato. Oh, non è che lo amasse, sia chiaro, ma aveva imparato a rispettarlo. Da lì, a capire qualcosa di Pozioni, il passo era stato breve, anche se molto faticoso. Ora, le ore con il professore erano meno pesanti, per quanto non fosse comunque migliorato granché. Certo, non fondeva più calderoni, ed era molto più rilassato, ma se una materia proprio non piace, è difficile che si riesca a dare il cento per cento.

Difesa Contro Le Arti Oscure era un altro paio di maniche. A causa di quel simpaticone di Voldemort, Harry era ben più che preparato, tant’è che Lupin, reintegrato nella sua posizione proprio quell’anno, gli aveva chiesto se durante quei giorni potesse fargli da supplente, con l’autorizzazione di Silente. All’inizio aveva parecchio tentennato, quella responsabilità avrebbe portato solo altra notorietà, poi Remus l’aveva convinto, dicendo che nessuno se la sarebbe presa per non essere stato scelto.
Harry non ne era del tutto sicuro, ma decise di accettare. Era anche un po’ orgoglioso della nomina, in realtà. Avere l’appoggio di Lupin era qualcosa di fondamentale per lui. Gli era rimasto sempre accanto e, dopo la perdita di Sirius, aveva quasi assunto le forme di una figura paterna.

La vita quindi procedeva senza troppi scossoni, fin troppo tranquilla, a dire il vero, per gli standard di Harry. Settembre era arrivato ed era passato senza nessuna minaccia di morte, e ottobre non aveva portato altro che compiti su compiti.
Arrivati ad Halloween, Harry avrebbe dovuto prevedere che quello strato di cose non sarebbe durato. Evidentemente la vita tranquilla stava lontano da lui e viceversa.

Tutto cominciò il giorno in cui Hermione venne da lui, con un’ espressione a dir poco sconvolta dipinta in volto. Pensando che fosse successo qualcosa a Ron, o a qualcuno che conosceva, Harry si preoccupò, chiedendo subito alla sua amica cosa fosse successo.

“Gli elfi, Harry, gli elfi,” disse accalorata Hermione. Harry fu tentato di tirare un sospiro di sollievo, salvo poi ricordarsi di quanto la ragazza fosse sensibile all’argomento: l’ultima volta che qualcuno aveva osato dire qualcosa contro gli elfi si era decisamente trovato dal lato sbagliato della bacchetta della Strega. Cercando quindi di essere il più disponibile possibile, le chiese:

“Cosa è successo agli elfi? Dobby sta per caso organizzando la Rivoluzione Armata?” conoscendo il suo elfo, la cosa era anche abbastanza probabile, per quanto stesse solo cercando di alleggerire la situazione con una battuta nemmeno tanto divertente.

“Peggio Harry, peggio. Stanno morendo,” disse l’amica, molto seriamente. Pensando che Hermione si stesse riferendo alla loro fatica nelle faccende domestiche, cercò di ridurre l’entità del fenomeno.

“Morendo. Non la farei così tragica,” disse, accorgendosi solo in quel momento che la frase poteva scatenare la furia di Hermione. Stranamente, Hermione non si arrabbiò, limitandosi a prenderlo per mano e condurlo verso le cucine.

Harry era pronto a spiegare alla sua amica che era normale che gli elfi faticassero, salvo poi accorgersi della reale situazione quando aprì la porta della cucina, e vedere con i suoi occhi la realtà.

Gli elfi stavano morendo.

Non in senso metaforico.

Sui tavoli dove normalmente venivano preparati i pranzi, erano disposti una decina di elfi, evidentemente senza vita. La cosa non aveva senso. Dalle sue conoscenze quelle creature erano tecnicamente immortali. Avvicinandosi, notò che la pelle di quelle creature era quasi nera, come se fossero stati risucchiati in un incendio. Gli occhi erano sbarrati, come se fossero in preda al panico, le piccole mani portate alla gola, quasi non riuscissero a respirare.

Improvvisamente preoccupato, cercò Dobby tra i cadaveri, e, non trovandolo, urlò il suo nome. Dobby apparve di fianco a lui in uno schiocco. Il viso era sciupato e gli occhi erano spenti e gonfi, sembrava avesse pianto, ma era vivo.

“Cosa succede Dobby?” chiese, sperando che il suo elfo avesse la risposta.
Hermione, dietro di lui, era ad un passo dalle lacrime.

“Non lo so, signor Harry Potter. È da quando gli studenti sono tornati ad Hogwarts che questo succede. Il primo è morto il primo giorno di scuola, poi un altro quindici giorni dopo. E poi uno ogni cinque giorni, signore.” L’elfo aveva perso il solito tono giovale e allegro, e sembrava stanco e palesemente provato.
“Gli elfi hanno paura, signore. Pensano di essere i prossimi. Se continua così, non ci saranno più elfi a Hogwarts,” aggiunse, preoccupato anche per se stesso.

Harry non sapeva che dire.
Gli insegnanti dovevano saperne qualcosa.
“Ma il Preside ne è stato informato?” chiese, mentre i suoi occhi scorrevano sulle lunghe fila di corpi senza vita.
Il piccolo elfo scosse la testa.
“Non vogliamo far preoccupare nessuno, signore. Stiamo facendo noi il lavoro di tutti.”
“Ma dovete dir qualcosa. Bisogna scoprire cosa succede!” Esclamò Hermione, quasi con le lacrime agli occhi.

Harry, mentre consolava Hermione, promettendo che avrebbe indagato.
Si chiese, ironico, come erano passati dal cercare di trattenerlo dall’infilarsi nei guai, a chiedergli espressamente, o quasi, di sistemare quelli degli altri. Lo scontro contro Voldemort aveva, finalmente, fatto capire a tutti che il suo istinto e le sue capacità erano ottimi, ma aveva avuto come conseguenza il fatto che chiunque lo conoscesse, anche solo un po’, pensasse di avere l’autorizzazione a chiedergli di aiutarlo a risolvere i suoi problemi.
Era si, un riconoscimento delle sue capacità, ma gli seccava parecchio che la gente pensasse di potersi rivolgere a lui, in qualunque momento e in qualunque luogo, per trovare una soluzione alle loro problematiche.

Certo, questo di Hermione era un caso diverso. Toccava anche lui, sensibilmente, inoltre, dando retta al suo istinto, sentiva che questo non era solo un “semplice” problema.
Quella brutta sensazione, ormai persistente da giorni, gli diceva che quello era solo l’inizio.

Mentre tornavano sulla strada del dormitorio, decisero di coinvolgere anche Ron.
Scelsero di non dire nulla agli insegnati ancora per qualche giorno. Li avrebbero informati in ogni caso, sia che fossero riusciti a scoprire cosa c’era dietro, sia che il loro tentativo fosse andato a vuoto, ma prima di lanciare un allarme ingiustificato, volevano essere sicuri di cosa esattamente stesse succedendo.

Ne parlarono a lungo, quella sera, seduti davanti al camino della Sala Comune che scoppiettava ignaro, come è giusto che fossero i camini, delle conversazioni che avvenivano vicino a lui. Discussero delle ricerche da fare e organizzarono il lavoro per i giorni successivi, poi Ron alzò la testa di scatto, come se gli fosse venuta un’illuminazione, o qualcosa di simile.

“Ragazzi, vi rendete conto che in sette anni di scuola non è cambiato proprio nulla?”

Harry ed Hermione ci pensarono un po’ su, poi ebbero entrambi una stranissima scena di dejà vu: i loro anni ad Hogwarts erano costellati di sere passate ad elaborare piani e strategie per il pericolo incombente quell’anno, e sembrava che le cose, con o senza Voldemort, non fossero cambiate per nulla.

Quando realizzarono la situazione scoppiarono a ridere: avevano bisogno di sdrammatizzare un po’ il momento. Poi, sempre tutti e tre insieme, sbadigliarono.
A quel punto Hermione entrò in modalità mamma e decise di spedire tutti a letto.
L’indomani sarebbero entrati in azione.

~LFDM~

Dopo le lezioni, Ron ed Hermione andarono in biblioteca.
Harry li avrebbe raggiunti dopo, occupato da un breve colloquio con Lupin per decidere il tema delle lezioni della settimana prossima.
Nel frattempo, avrebbero fatto alcune ricerche sugli argomenti più probabili.
Si sedettero al loro solito tavolo, e iniziarono a sfogliare alcuni grossi volumi, aventi come argomento le principali maledizioni che potevano essere lanciate sugli esseri magici. Non era proprio qualcosa di cui si parlava solitamente a lezione, e anche per i volumi più semplici erano dovuti entrare nella Sezione Proibita. Fortuna che quell’anno potevano accederci, essendo quasi al termine dei loro studi, altrimenti in tre sotto il mantello di Harry non ci sarebbero stati.

Dopo neanche mezz’ora Harry arrivò, e senza proferire parola prese un libro e si sedette a leggere, come stavano già facendo loro.

Se la guerra aveva avuto qualche conseguenza su Potter, tra queste c’era sicuramente un nuovo senso di responsabilità che lo spingeva a prendere quasi tutto molto più seriamente. Non che prima non lo facesse, ma dopo aver combattuto, seppur per pochi mesi, il ragazzo non se la sentiva più di scherzare facilmente. Troppe vite erano state perse perché lui potesse semplicemente tornare ad essere quello di prima.

In guerra si cresce, ed anche in fretta.
È necessario, se si vuole sopravvivere al proprio nemico.
I suoi amici si erano accorti del cambiamento.
Meno preda delle emozioni, Harry si era fatto più riservato, quasi schivo e solitario. Se non fosse che anche loro erano passati in mezzo ai combattimenti, forse non avrebbero capito cosa stesse passando il ragazzo. Ma anche loro avevano visto la guerra, e comprendevano il bisogno di Harry.

A loro bastava che lui fosse lì, e viceversa.

Il giorno se ne andò in quel modo, con il Trio chinato sui libri a cercare di scoprire perché gli elfi morivano. Quella sera Harry andò ad informarsi se c’erano state altre vittime, ed era tornato al Dormitorio con il volto scuro di rabbia. Una risposta più che sufficiente.

Il giorno dopo si ripeté la stessa, identica, situazione.
I libri che avevano da esaminare cominciarono a diminuire e con essi la speranza di trovare qualcosa di utile lì dentro. Harry arrivò perfino a pensare che potesse centrare nuovamente Voldemort, salvo poi darsi dello scemo, in quanto si era assicurato lui stesso che il Signore Oscuro non potesse più nuocere in alcun modo.

La notte, Potter dormiva male. I suoi sogni non erano mai stati idilliaci, specie dopo l’Ultimo Scontro, ma ultimamente erano anche peggio del solito, e continuavano a girare intorno al momento in cui aveva lanciato l’incantesimo e tutti avevano sentito distintamente quel terremoto scuotere la terra.
Probabilmente il suo inconscio era confuso quanto lui, per continuare a riproporgli la stessa immagine, più volte, attraverso diversi punti di vista.
Ad un certo punto si stancò dei sogni. Voleva solo dormire, perché aveva qualcosa da fare, una promessa da mantenere.

Chiese una Pozione Antisogno a Piton e Severus gliela diede senza battere ciglio.Tra i due era difficile immaginare chi avesse gli incubi peggiori.

Con maggiore lucidità riuscì ad affrontare meglio il problema il giorno seguente.
Dopo aver letto tutti i libri disponibili, compresi quelli tecnicamente proibiti agli studenti, i tre capirono che da quella strada non sarebbe arrivato nulla.

Tornarono afflitti nel Dormitorio, e si sedettero pesantemente, mentre ormai si erano rassegnati a rivelare ciò che stava succedendo agli insegnanti.

Harry tornò con la memoria a pochi giorni prima: sembrava che gli elfi fossero morti per soffocamento. Vedendo i corpi, tutto andava in quella direzione: gli occhi sbarrati e le mani portate alla gola. Il colore nerastro della pelle non combaciava con l’idea che si era fatto, e così, su due piedi, decise di chiamare Dobby. Aveva bisogno di sentire come erano andate le cose. Doveva sapere di più, per evitare che gli altri elfi facessero al stessa fine.

Dobby arrivò subito, e Potter lo fece sedere sulla poltrona.

“Dobby, ho una richiesta da farti,” cominciò Harry, cercando le parole per dirgli quello che doveva dire.

“Tutto per Harry Potter Signore,” gli rispose l’elfo, pieno di fiducia in lui.

Un altro effetto collaterale della guerra era stato l’accorgersi di quanta fiducia riponessero in lui le persone. Più del senso di responsabilità, più dell’orgoglio, aveva pesato la fiducia che tutti avevano, incondizionatamente, riposto in lui, durante quei mesi impossibili da dimenticare.
Lo rendeva consapevole di quanta pressione effettivamente ci fosse sulle sue spalle.
Non era una bella sensazione, sapere di essere quasi una figura di riferimento per molti, eppure si era abituato a prendere le decisioni sapendo di dover scegliere anche per gli altri, perché era questo che ci si aspettava da lui.
Era pesante, stancante e a volte avrebbe solo voluto urlare a tutti di cavarsela da soli, ma sapeva che non l’avrebbe mai fatto. Oramai quel tratto, la capacità di prendere decisioni anche per gli altri, faceva parte di lui come la sua capacità di parlare Serpentese, e sapeva che sarebbe stato difficile vivere senza.

“Dobby, quello che ti sto per chiedere non è bello. Ma ne ho bisogno, per poterti aiutare.”

L’elfo annuì e strinse gli occhi, come per concentrarsi sulla domanda che sarebbe seguita.
A Harry gli si chiuse il cuore per la tenerezza, a vederlo così. Ma doveva continuare, doveva sapere.

“Dobby, mi serve che tu mi dica cosa succede agli elfi, prima di morire.”

Come previsto, a Dobby gli si abbassarono le orecchie e prese a muovere nervosamente le mani, ma Harry non poteva dirgli di lasciare perdere. Forse lui sapeva qualcosa che lo avrebbe aiutato a risolvere la questione.

“Harry Potter Signore, la morte di quegli elfi è cosa brutta, bruttissima. Forse più brutta che io abbia visto,” Harry pensò che Dobby non volesse raccontare, poi vide l’elfo prendere un respiro profondo e cominciare a raccontare, “Comincia tutto il primo giorno di scuola. Frist arriva tutto contento dopo arrivo studenti. Stava per andare a cucinare per il banchetto e…” l’elfo rabbrividì al ricordo, ma proseguì lo stesso, “tutto d’un tratto Frist ha iniziato a non respirare ed è diventato tutto nero. Si è portato le mani alla gola, come se lo stessero punendo, ed è morto.” Dobby singhiozzò. “Quando è spirato, tutti gli elfi hanno sentito un piccolo strappo, in fondo al cuore. L’ho sentito anch’io, anche se molto debole. È quello, più di tutto, che ci ha terrorizzati.”

Ron gli mise una mano sulla spalla, leggermente imbarazzato.

“Grazie Dobby, puoi andare. E scusami,” disse Harry. Ora aveva almeno le idee un po’ più chiare.

“Non c’è problema. Per Harry Potter, questo ed altro,” disse l’elfo prima di sparire con un pop.

Hermione, come Harry aveva preventivato, scattò subito, irritata dal suo comportamento con Dobby.

“C’era bisogno di torturarlo a quel modo, quel povero elfo?”
“Dovevo sapere,” rispose Harry, sibillino.
“E adesso, sai qualcosa di più?”

Harry ci pensò attentamente. Non sapeva nulla di più di prima, il racconto di Dobby aveva confermato le sue teorie. Anzi, i suoi dubbi erano aumentati, se possibile.
Ma ora almeno aveva le idee chiare su come proseguire le “indagini”.
Quello strappo al cuore somigliava ad una maledizione che aveva già sentito nominare, e forse sapeva perché Dobby l’aveva percepita con meno dolore degli altri.
Riguardo ciò che c’era sotto, perché a questo punto era evidente che c’era qualcosa sotto, però, tabula rasa.

Decise che doveva vedere con i suoi occhi se le sue teorie erano giuste.
L’indomani avrebbe passato il pomeriggio nelle cucine.
Nel frattempo Ron e Hermione potevano dare un’occhiata alla maledizione. Se non si ricordava male, era in uno dei testi di Lupin di quest’anno.

Si accorse solo in quel momento che il suo amico lo stava scuotendo già da un po’.

“Miseraccia, Harry. Non perdi mai il vizio di perderti nella tua testa.”
Harry sorrise stancamente.
“Sai com’è, la mia testa è un posto così vuoto che mi ci perdo in continuazione,” disse, mentre Hermione e Ron sbuffavano in contemporanea.

Harry decise che una buona dormita gli avrebbe fatto bene.

“Scusa Herm, dovevo avere le idee chiare su questa storia. Dobby mi ha aiutato un po’. Domani, forse, scoprirò qualcosa. Intanto, tu e Ron potreste dare un’occhiata alle maledizioni che studiamo quest’anno.” Fece un gesto con la mano, Evocando la lista degli argomenti per il settimo anno, e consegnò la pergamena alla sua amica. “Sono sicuro che tra queste ci sia qualcosa collegato al discorso dello strappo al cuore di cui parlava Dobby.”

Hermione annuì, mentre prendeva il foglio.
“Io vado a letto ragazzi, se non vi dispiace. Sono stanco e sono sicuro che domani non sarà una bella giornata,” aggiunse con tristezza.

“Ti raggiungo tra un attimo amico,” gli disse Ron.
La realtà era che il ragazzo non voleva ammettere che stava alzato solo per dare il bacio della buona notte ad Hermione. Ad Harry si formò un sorriso spontaneo, pensando a quei due testoni, a cui c’era voluta una guerra, per capire cosa provavano l’uno per l’altro.

“D’accordo. ‘Notte ‘Mione, ‘notte Ron.”

Arrivato al suo letto, prese un paio di gocce della Pozione di Severus, e si addormentò subito, senza avere neanche il tempo di tirare le tende del baldacchino.

Ron arrivò poco dopo e le tirò per lui.
Vedendo quanto Harry si rilassava durante il sonno, Ron non poté che dirgli:

“Buona notte, Harry.”

TbC

Link al Terzo Capitolo

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