Finalmente si aggiorna. Dico “finalmente” perché ogni volta che ero sul punto di finire l’editing del post succedeva di tutto. Al solito non sono tantissime immagini, ma tento di portare avanti le cose un po’ per volta, se no rischio di dimenticarmi dove ero rimasta.
Sorry se non sono sempre presentissima nei commenti, quindi ne approfitto per ringraziare tutti i vari commentatori che passano di qua.
Bando alle ciance e proseguiamo con l’epopea dell’erede inutile…
Il nostro trasferimento coincise con il compleanno di Thyme. Decidemmo, quindi, di festeggiare nella nuova casa. Mentre Victoria sistemava la piccola in macchina detti un’ultima mandata alla porta del vecchio appartamento, sapevo di aver lasciato là dentro una parte di me che non sarei tornato a cercare.
Quella sera si respirava una strana atmosfera nella stanza sovraccarica di giochi, mentre, attraversando i corridoi, potevamo sentire l’eco dei nostri passi spandersi per le stanze ancora vuote.
Il mio salario era arrivato a coprire parte delle spese, ma c’era ancora molto da sistemare.
La casa era abbastanza spaziosa da ospitare entrambi e concedere ad ognuno il proprio spazio. Avremmo potuto ricavarne addirittura due appartamenti separati se necessario.
Mi offrii anche di assumere qualcuno per badare a Thyme in modo che Victoria potesse prendersi un po’ più tempo per se stessa.
Thyme si rivelò una bambina silenziosa, chiedeva raramente attenzione. Non so come passasse le sue giornate nell’immensa villa vuota, lo stesso valeva per la madre. Supponevo che la bambina esplorasse i corridoi: trovavo spesso giocattoli abbandonati ai vari angoli della casa.
A volte, rientrando a notte fonda, la trovavo addormentata sul parquet nella sua coperta preferita, probabilmente uscita di soppiatto, scavalcando le sbarre del letto non era poi riuscita ad aprire la porta della stanza. Victoria aveva preso a chiudere la porta della camera, ossessionata dal fatto che la bambina avrebbe potuto farsi male avventurandosi fuori dal suo piccolo spazio.
La mia routine aveva subito ben pochi cambiamenti, ore in sotto I neon del laboratorio per poi passare ai riflettori del locale, iniziarono a chiedere un prezzo più caro che qualche ora di sonno persa. La vista mi si annebbiava senza preavviso, a volte mi trovavo a guardare i miei movimenti come azioni svolte da un estraneo, la loro lentezza mi esasperava e sentivo la mia pazienza assottigliarsi e tendersi con i miei nervi.
Una sera, mentre Andrea mi preparava il secondo caffè corretto scherzai sul fatto che avrei dovuto smetterla con quel lavoro: stavo ovviamente bluffando, visto che non avrei mai potuto sostenere il mio stile di vita se avessi rinunciato agli incassi del Lounge.
“Sarebbe una terribile perdita” commentò una voce squillante alla mia destra.
Mi voltai in tempo per scorgere la mia interlocutrice che si faceva spazio tra la folla.
Quello fu il primo, ma certo non l’ultimo incontro con Carmen.
Si muoveva in branco, sempre circondata da un’infinità di non ben identificati amici che sembravano passare le loro serate distesi sui divani della sala vip del Lounge, riuscire a sorprenderla da sola era un’impresa disperata; ma le sfide non mi avevano mai scoraggiato, anzi rendevano tutto molto più interessante.
Ammetto che il Renkon presentava ben pochi luoghi che potessero definirsi totalmente privati, ovviamente si potevano trovare eccezioni.
Carmen camminava su una strada parallela alla mia, un mondo al di là dello specchio della mia realtà. Anche quando la stringevo sentivo il divario che ci separava e forse, per questa ragione, quasi di comune accordo non mi invitava mai ad unirmi al suo gruppo così come frequentavamo casa mia solo di notte.
Immaginai che Victoria potesse sentirci, ma non avevo certo bisogno di giustificare le mie azioni, sicuramente non a lei.
Le cose precipitarono quando una delle teste calde del suo gruppo un certo Esteban, che amava esibire il suo orecchino di platino ad ogni occasione, mi provocò apertamente davanti a tutti. Il suo errore era evidente: quello era il Lounge, le mie azioni sarebbero state sempre e comunque giustificate.
Mi limitai ad afferrare il primo drink disponibile sul bancone e lasciare che quello calmasse i suoi bollenti spiriti. Andrea era pronta a passarmi un altro bicchiere ce ne fosse stato bisogno.
Dopo quell’episodio nessuno osò più mettere in dubbio la nostra relazione e iniziammo a vederci regolarmente. Per un comune accordo, continuammo a tenere il resto delle nostre vite sotto stretto silenzio. Quando ero con lei mi sentivo libero da ogni vincolo, era capace di sollevare con un solo sguardo quel senso di ansia che mi braccava da mesi.
Qualche mese più tardi, al Lounge, mi si presentò davanti l’occasione che aspettavo da mesi. Quando attaccai il turno scorsi Baz Nabe seduto al bancone, discuteva con il barista, una figura fin troppo fuori posto con la sua giacca di pelle consunta e i capelli bianchi che stonavano definitivamente con l’età media dei frequentatori del Renkon.
Ordinai qualcosa da bere prima di mettermi al lavoro e, scambiando due battute con Marco, dietro al bancone, riuscii facilmente ad attaccare discorso. Prevedibilmente il Dr.Nabe stava riassumendo aneddoti della propria giornata lavorativa.
A quella seguirono altre sere, finché Baz non si decise a passarmi il suo biglietto da visita con un seguente invito a passare nel suo studio quanto prima.
Allora capii che quell’incontro era una formalità: ero dentro, era solo questione di tempo.
Il Dim Sum Laboratory Complex era una struttura moderna, costruita ex-novo per questo scopo e trasudava professionalità e denaro dalle porte a vetri oscurate dell’ingresso agli immacolati divani della sala d’attesa. Baz mi venne incontrò e mi trascinò nel suo studio offrendomi un caffè senza troppe cerimonie.
Era tardo pomeriggio quando usciie decisi di fermarmi a festeggiare al Renkon, qualcosa di alcolico per brindare privatamente al mio successo. Ne approfittai per ventilare a Miss.Asari il fatto che, dalla prossima stagione, avrebbe dovuto trovare un sostituto. Al primo drink ne seguirono altri. Era decisamente troppo presto per bere, pensai mentre salivo in macchina diretto a casa, ma sino ad allora mi ero imposto fin troppi freni, seguendo la logica al di sopra di tutto.
Potrei dire che quello che successe in seguito fu colpa dell’alcohol, ma sarebbe una patetica scusa.
In realtà avevo smesso di preoccuparmi della mia moralità da tempo e probabilmente sapevo come sarebbe andata a finire sin da quando scorsi la sagoma di Victoria seduta nella penombra della sala da pranzo.
Mi svegliai con un mal di testa feroce, scivolai fuori senza voltarmi. Il rumore della doccia mi rimbombava nella testa, mentre cercavo di riprendere completamente possesso delle mie facoltà mentali.
Non tornai a casa quella sera, né la successiva.
Il quinto giorno, rientrando, scorsi Victoria che imboccava Thyme in sala. La piccola si dimenava nel seggiolone balbettando parole a caso, era molto fiera del suo nuovo vocabolario e non perdeva occasione per dimostrarlo.
Annunciai ad entrambe che Carmen si sarebbe presto trasferita a vivere con noi: ci saremmo sposati entro la primavera successiva. Mi voltai e uscii dalla stanza: non vi furono commenti, non che me ne aspettassi alcuni, ovviamente.
La terza generazione si avvicina… forse… spero…
In realtà non lo bene nemmeno io, visto che tendo a giocare cercando di stare dietro ai desideri dei sims, per poi rimescolare la trama, per esempio, perché ogni volta che Chai abbraccia qualcuno c’è un personaggio femminile nelle vicinanze con sogni romantici infranti?
Sto iniziando a chiedermi se qualcuno non usi il mio pc quando non ci sono, perché sono sicura che il mio erede inutile non ha flirtato con tre quarti del quartiere! Parliamone poi, del fatto che il bidone della spazzatura di casa Massala è regolarmente a terra per questo motivo!
Al solito, prometto un prossimo aggiornamento a breve, ma immagino che tutti abbiano capito che i miei tempi tecnici sono quelli del bradipo comune quindi ci vorranno le solite due settimane prima di vedere qualcosa…ma non si sa mai…non si sa mai…