Titolo: Decoupage e l’arte di riprendersi da una storia d’amore
Fandom: KAT-TUN
Pairing: Tanaka Koki ; Kamenashi Kazuya
Rating: G
Avvertenze: Slash
Disclaimer: I personaggi non sono miei, tutti i diritti riservati e i fatti narrati sono frutto della mia fantasia. La storia non è scritta con scopo di lucro.
Riassunto: Dopo qualche ora in cui vegetava in uno stato totale di incoscienza, era esploso, crollando solo dopo ore e ore di urla, di pianti e di disperazione.
Note: Uhm... storia scritta perché io e
vogue91 prendiamo puntualmente per il culo il programma televisivo "Paint Your Life". Avrebbe dovuto essere più comica, ma... boh, è uscita questa roma semi angst invece. Mah. Misteri.
WordCount: 930
fiumidiparole **
Tanaka Koki aveva sempre sospettato, fin dal loro primo incontro, che Kame non ci stesse poi tutto di testa.
Sì, aveva le solite fisime e fisse della sua età, quella degli adolescenti che viaggiano con la mente su mondi paralleli, ma lui riusciva sempre ad andare oltre, ad eccedere, a farsi trascinare quasi fino a rasentare la malattia quando entrava in fissa per qualcosa.
Ma nonostante ciò, si trovava bene con lui e ci si era affezionato forse più di quanto avrebbe dovuto, considerando quanto fosse volubile il carattere del più piccolo. Eppure erano anni che continuava a stargli dietro, a dargli consigli che puntualmente non venivano mai seguiti e a porgergli pacchetti su pacchetti di fazzoletti quando arrivava a casa sua in lacrime, provocando una fuga quasi immediata da parte di suo fratello più piccolo, Juri, che proprio non poteva sopportare il suo compagno di gruppo.
Ma Koki ormai aveva fatto l’abitudine un po’ a tutto, quindi aveva imparato a scollegare il cervello quando affrontava con l’amico certi discorsi, uno fra tutti “Akanishi Jin”. Koki negli anni era riuscito a comprendere che nulla di quello diceva entrava e rimaneva dentro al cervello di Kame, quindi ormai si limitava a guardarlo piangere, accartocciato nella poltrona della sua casa a Chiba mentre la madre lo ingozzava di dolci e di cioccolata.
Quel giorno invece si era deciso ad arrischiarsi ad andare a trovarlo a casa. Era stato lasciato per l’ennesima volta da Jin, una delle tante volte in cui il più grande si annoiava di Kame e lo abbandonava a sé stesso, decisione che poi avrebbe ritirato nel momento in cui non avrebbe trovato nessuno da portarsi a letto.
Non vedeva Kame da qualche giorno, complice anche il fatto che non avessero nessun programma o promotional video da registrare.
Era un po’ preoccupato a dire la verità, ed era sempre stato un po’ dubbioso sulla sua sanità mentale, ma l’ultimo colpo basso che Kame aveva ricevuto, doveva ammetterlo, era veramente difficile da digerire.
Jin era andato a casa sua, di ritorno dall’America, gli aveva riempito la testa di parole d’amore, di promesse di una vita insieme, se l’era portata a letto più di una volta, complice quella follia che annebbiava la mente del più piccolo ogni volta che lui gli parlava. Lo aveva sfruttato quanto voleva, usandolo come meglio credeva, prima di uscire dalla porta di casa sua e andarsi a mettere, anzi peggio, a sposarsi di nascosto con un’altra donna.
Kame non aveva retto. Dopo qualche ora in cui vegetava in uno stato totale di incoscienza, era esploso, crollando solo dopo ore e ore di urla, di pianti e di disperazione. Koki lo aveva lasciato a casa sua, da solo, non più di tre giorni prima. Si tenevano in costante contatto tramite telefono o mail, quindi Koki aveva la certezza che fosse ancora vivo, almeno fisicamente parlando.
Sospirò, prese un profondo respiro e poi, armato di una buona dose di pazienza, si apprestò a suonare il campanello. Attese una manciata di secondi e Koki giudicò il ragazzo che gli aprì la porta, completamente folle.
Kame sorrideva, apparentemente felice e saltellava da una parta all’altra della stanza, parlando quasi senza riprendere fiato mentre lo seguiva in cucina. Koki si sedette al tavolo, facendosi versare una tazza di caffè, mentre scartava la torta che sua madre aveva cucinato per il ragazzo.
« E poi Koki, sai che cosa ho fatto in questi giorni? »
« … non sono molto sicuro di volerlo sapere. » mormorò lentamente il più grande « Senti, scusa la domanda, ma hai iniziato a drogarti? » domandò poi, serio.
L’altro lo fissò, scoppiando poi a ridere e sedendosi accanto a lui, dandogli una pacca sulla spalla.
« Ma che dici? No, niente di tutto questo. Ho guardato molta televisione. Tanta. » si guardò intorno, prima di tornare a fissare l’amico « L’ho guardata per tutto il tempo. Dall’ultima volta che sei venuto qua. Non ho nemmeno dormito, non riuscivo a farne a meno. »
« Di guardare la televisione? »
« Esatto! » il più piccolo scattò di nuovo in piedi, battendo le mani l’una contro l’altra e sorridendogli « Ho trovato un programma bellissimo Koki. C’è una tipa che prende degli oggetti inutili e li trasforma in oggetti da riutilizzare in casa, dipingendoli, abbellendoli e tutto il resto. Ho già fatto un sacco delle cose che fa vedere! »
« Come ad esempio l’orrib… uhm… la lampada che in salotto? »
« Quella fatta con gli scarti delle scatole della frutta? Esatto! » ripeté ancora, il sorriso ancora più largo e gli occhi che gli brillavano « E non trovi che stia d’incanto quel colore pacchianamente dorato con il resto della mia stanza bianca e nera? » concluse poi.
Koki lo fissò in silenzio, almeno per un minuto abbondante, fino a che non prese la sua tazza di caffè, finendola in un paio di sorsi. Prese di nuovo respiro e poi si avvicinò all’amico, dandogli un paio di pacche sulle spalle, sorridendogli.
« Sono felice di vedere che stai bene Kazuya. » commentò.
Kame annuì.
« Oh sì. Ho trovato un modo per sfogare la mia rabbia e per distrarmi. Ma ho tante altre cose da farti vedere. Ad esempio ho fatto delle greche nella camera degli ospiti con il decoupage. Le vuoi vedere? »
« Mi dispiace. Ma sono passato solo per un saluto. Tornerò la prossima volta, te lo prometto. »
« Ok. Allora ci vediamo fra qualche giorno, ok? »
« Certo. Alla prossima. »
Koki si chiuse la porta di casa alle spalle e poi se ne andò. Tutto quello era successo per colpa di Jin.
Se gli fosse capitato sotto mano, oh, nessuno avrebbe potuto fermarlo dall’ucciderlo.
Fine