Titolo: Silenzio da odiare
Fandom: Hey!Say!Jump
Pairing: Yaotome Hikaru x Inoo Kei ; Yabu Kota x Inoo Kei
Rating: NC17
Avvertenze: Slash, Junior!Era, Non-Con
Disclaimer: I personaggi non sono miei, tutti i diritti riservati e i fatti narrati sono frutto della mia fantasia. La storia non è scritta con scopo di lucro.
Riassunto: Hikaru gli aveva detto che non sarebbe stato per sempre. Che prima o poi avrebbe trovato qualcosa di meglio, ma non capiva come si sentiva, giorno dopo giorno, ad essere usato da loro.
Note: Scritta per la
diecielode con il prompt “When the world is insane / You get used to the pain.” e per la
500themes_ita con il prompt “436. Legato al silenzio.”
Note 2: Seguito di “
Volerti, in ogni maniera”
WordCount: 1880
fiumidiparole **
Kei si era abituato. Al dolore, alla sofferenza, ai loro corpi sudati premuti contro il suo, al senso di inadeguatezza che sentiva ogni volta che si svegliava.
Si era abituato un po’ a tutto Kei. Agli ansimi di Yabu e Hikaru, alle loro mani, al disgusto che provava verso sé stesso ogni volta che si fissava allo specchio.
E si sentiva male, giorno dopo giorno, sapendo che nulla di quello che avrebbe detto o fatto, sarebbe mai stato ascoltato.
Si sentiva come chiuso in una stanza, al buio e che le uniche fonti di luce, deviate e distorte, fossero Yabu e Hikaru.
Parlare con qualcuno che non fossero loro due era difficile. Non era tanto Hikaru il problema, perché era meno possessivo di quello che Kei si sarebbe mai aspettato. Lo ignorava quando erano in gruppo, lo mangiava con gli occhi negli spogliatoi, lo toccava quando voleva quando erano da soli e Kota non era nei paraggi. In fondo, di quello che faceva quando non erano insieme, non gli interessava poi così tanto.
Era Kota in vero problema. A differenza del più piccolo, qualunque cosa non gli andasse a genio, era una giustificazione per picchiarlo. Lo spingeva sul letto, facendo di lui tutto quello che voleva e in ogni caso, alla fine, Kei si era abituato anche a quello.
Si era abituato a stare da solo, a chinare lo sguardo se qualcuno lo guardava, a fingere di avere sempre qualcosa da fare, e rimanere chiuso nella propria stanza, aspettando in ogni momento che il destino si compisse, chiedendosi se prima o poi da quella porta sarebbe entrato Yabu e Hikaru.
Hikaru gli aveva detto che non sarebbe stato per sempre. Che prima o poi avrebbe trovato qualcosa di meglio, ma non capiva come si sentiva, giorno dopo giorno, ad essere usato da loro.
Quel giorno Kei era nella sua stanza, da solo. Aveva le ginocchia al petto, seduto in un angolo del letto, le cuffie nell’orecchie, perché ormai non riusciva più a farsi fare compagnia da quel silenzio a cui era irrimediabilmente legato, quel silenzio che lo confortava, che lo consolava, che lo faceva stare meglio.
Quel silenzio, adesso che era da solo, lo spaventava, perché non sapeva mai che cosa aspettarsi, di qualche suono, rumore, parola fuori dalla porta dovesse avere paura.
Nonostante il volume, sentì la porta aprirsi e alzò la testa dalle ginocchia. Entrò Yabu e istintivamente si allontanò, appiattendosi contro il muro. Non aveva fatto nulla, non aveva parlato con nessuno, non si era attardato.
Era là, da solo nella stanza, esattamente come voleva Yabu.
« Ti giuro, non ho fatto nulla. » sussurrò quando il più grande si sedette accanto alle sue gambe.
Vide Yabu sospirare, stringere le mani a pugno e Kei scosse la testa, mugolando di terrore.
« Te l’ho giuro Ko. Non ho fatto nulla, devi credermi. » mormorò ancora.
La mano di Kota però, invece di fargli male, si posò sulla sua guancia, accarezzandola quasi dolcemente, sfiorandogli la pelle con i polpastrelli, osservandolo come se fosse la prima volta che lo toccava e lo vedeva.
« Perché? » chiese piano, osservandolo come se, però, non fosse realmente davanti a lui.
« “Perché”, cosa Ko? »
« Stai ancora con me? Perché rimani in silenzio, permettendomi di farti tutto quello che voglio? »
Kei scosse le spalle. Lo amava? Si era semplicemente abituato? Non lo sapeva, non ci aveva mai pensato, non aveva mai realmente voglia di addentrarsi dentro quegli antri oscuri che nascondeva nel suo cuore e nella sua mente.
« Perché… è il mio destino. » disse, ripetendo le parole di Hikaru « Va bene così no? Un giorno… » gli strinse la mano nelle sue « Un giorno tu cambierai Ko. E mi amerai, per davvero. »
Kota annuì, lentamente, come se stesse cercando di assimilare un discorso che per lui era comunque incomprensibile. Si sporse verso di lui, passando la mano intorno al suo collo, tirandolo verso di sé e iniziando a baciarlo.
Kei si ricordava delle prime volte che avevano fatto sesso. Era dolce e romantico, attento ai suoi bisogni, al suo piacere, al suo dolore. Attenzioni che avevano velocemente lasciato il posto ad una violenza a cui aveva fatto altrettanto velocemente il callo.
Si abbandonò alla sua bocca e alle sue mani, che scivolavano sul suo corpo come se fossero la prima volta che lo sfioravano. Kei socchiuse gli occhi, gemendo di piacere quando le dita del più grande toccarono la sua erezione.
Kota lo spogliò, più lentamente del solito, attardandosi a baciargli il collo e il petto, rimanendo a sua volta nudo sopra di lui, preparandolo come non accadeva da mesi, spingendosi a lui per una volta preoccupandosi del suo piacere e non del proprio.
Il più grande gli sfiorò di nuovo l’erezione, stringendola in una mano, muovendola al ritmo delle proprie spinte, facendolo venire con un gemito strozzato e roco, ansimandogli nell’orecchie. Kota accennò un sorriso, spingendo con più foga dentro il suo corpo caldo e bollente, spingendo fino a che non venne a sua volta dentro di lui.
Quando uscì dal suo corpo, Kei rimase fermo, fissando il soffitto, indeciso su che cosa pensare. Kota si stese al suo fianco, accendendosi una sigaretta, appoggiandosi con la schiena al muro.
Kei si strinse a lui, non trovando il coraggio di guardarlo.
« Sei un mostro Kota. » sussurrò piano, sentendo gli occhi lucidi.
« Lo so. Mi dispiace. » replicò l’altro con un tono di voce che Kei definì atono.
« Perché mi fai questo? » chiese ancora.
« Perché ti amo e perché è l’unico modo che ho per non farti andare via. » rispose Kota, ciccando nel bicchiere semi vuoto sul comodino accanto al letto.
Kei rimase in silenzio. Avrebbe voluto dirgli mille cose, che non se ne sarebbe andato mai perché lo amava, che non avrebbe mai permesso a nessuno di mettersi fra di loro, che nulla poteva fargli distogliere la sua attenzione da lui.
Ma non disse nulla, legato al silenzio che amava e che aveva imparato ad odiare. Perché nulla avrebbe risolto quella situazione, perché ormai non se ne sarebbe mai andato.
E, al contrario di quello che diceva Hikaru, non sarebbe finito un giorno. Avrebbe continuato a soffrire, giorno dopo giorno, senza sosta.
Avrebbe voluto dirgli che lo amava, ma ne aveva paura. Socchiuse gli occhi, addormentandosi.
**
Hikaru rimase fermo, aspettando che anche Yabu si addormentasse. Era strano, si disse, quello che era accaduto nell’ultima ora.
Era rimasto immobile di fronte alla scena che gli si era presentata davanti, senza capire perché Kota si fosse comportato in quella maniera. Lasciò la stanza di Kei, rientrando nella propria.
Quando Kota rientrò, dopo qualche ora e andò a farsi la doccia, Hikaru rimase fermo a fissare la porta chiusa.
Poi si alzò, tornando in quella di Kei. Si chiuse la porta alle spalle, osservando Kei dormire, coperto da un lenzuolo.
Si sedette accanto a lui, accarezzandolo. Gli sfiorò la pelle nuda, chiedendosi come avesse fatto il compagno di stanza ad eccitarsi.
Kei si mosse nel sonno, fino a che non aprì lentamente gli occhi. Si scostò, spaventato, quando vide che era Hikaru e non Yabu a toccarlo. Poi, lentamente, si riprese.
Hikaru osservò Kei.
Improvvisamente, si rese conto di essere geloso. Geloso di come Kota fosse ancora in possesso del cuore di Kei, di come il più grande potesse accedere a quel luogo segreto in cui il fidanzato rinchiudeva il suo amore per lui.
Lentamente la presa sul collo di Kei si fece più forte. Kei incassò la testa nelle spalle, cercando di reprimere i gemiti di dolore e cercando di sfuggirgli. Non ce la faceva più, non riusciva più a sopportare tutto quello. Era stanco.
Mosse le gambe, cercando di colpirlo, ma senza successo. Hikaru gli diede uno schiaffo e per un momento si sentì bene.
Meglio del solito, di quando entrava dentro Kei, sentendosi come se stesse facendo sesso con un manichino. Lo afferrò per i polsi, immobilizzandolo e divaricandogli le gambe con un ginocchio, infilandosi fra di loro.
Kei gemeva, cercando di liberarsi, mormorandogli di lasciarlo stare, almeno per quel giorno e Hikaru si irritò ancora di più.
Si chiese perché Kei volesse mantenere su di sé i segni di un Kota violento, che solo un paio di volte gli aveva dimostro di poter essere migliore di quello che era. Gli diede un altro schiaffo e udire i singhiozzi di Kei lo fece sentire vivo, come mai fino a quel momento ci si era sentito.
Gli afferrò le gambe, tirandolo verso di sé, penetrandolo con più violenza del normale. Lo prese per i capelli, tirandogli indietro la testa, sentendo il rumore del suo respiro pesante, il suono delle sue lacrime, mordendogli il collo con forza, lasciandogli il segno. Iniziò a spingere, velocemente, volendo sentire solo Kei che si ribellava, ancora e ancora, come se non fosse abituato a tutto quello, come se non fossero mesi che subiva quelle violenze, giorno dopo giorno.
Era arrabbiato, perché avrebbe voluto Kei tutto per sé, invece di continuare a dividerlo con Kota, che non lo amava e che di lui non sapeva nulla. Continuò a spingere, vedendo come finalmente Kei si era arreso, di come si coprisse il volto con le mani, nascondendo i singhiozzi.
Né Hikaru né Kei udirono la porta della stanza aprirsi, ma all’improvviso il più piccolo si sentì afferrare per le spalle, per colpire poi il pavimento. Si alzò in piedi, tramortito, vedendo Yabu davanti a sé.
Kei trattenne il respiro e si ritirò nell’angolo del letto, terrorizzato. Hikaru si alzò in ginocchio, tentando di parlare, ma l’altro lo fermò, colpendolo con un pugno. La furia del più grande si riversò su Hikaru, violenta e devastante come quella di un tornado. Kei si alzò in piedi, tentando di fermarlo, aggrappandosi al suo braccio.
« Basta Ko. » singhiozzò ancora e ancora « Basta per favore. » sussurrò scuotendo la testa.
« Kei, lui… »
« Basta! » urlò « Ti prego, basta. Un giorno tutto finirà, no? » alzò lo sguardo verso il più grande, che schioccò la lingua, nervoso.
Si liberò bruscamente dalla sua presa, lo afferrò per il volto, stringendo le dita sul suo mento, spingendolo sul letto. Si mise sopra di lui, prendendolo per i capelli, osservando il segno dei denti di Hikaru, cosparsi sulle sue spalle e sul suo collo.
« Finirà tutto. » ripeté Kei « Ora basta, Ko. Ti prego. » mormorò ancora.
Kota si voltò verso Hikaru, che arrancò di un paio di metri, asciugandosi il sangue dal volto. Poi, senza dire una sola parola, lasciò la stanza. Dopo qualche minuto, lo seguì anche Hikaru e Kei rimase da solo nella stanza.
Sentiva il proprio fiato farsi pesante, mentre cercava di smettere di piangere, di cancellare dalla sua pelle l’odore e i segni di entrambi, senza riuscirci.
Ci sarà sempre un mostro Kei-chan.
Così gli aveva detto Hikka la prima volta che lo aveva stuprato. Kei gli aveva dato ragione, su tutta la linea.
Ma quello che Hikaru non capiva era che lui doveva sopportarne due di mostri.
Si coprì con un lenzuolo, fissando il muro, ascoltando il silenzio intorno a lui, muto come sempre. Si consolò con le proprie braccia, dandosi conforto e calore.
Era stanco.
Come ogni sera, desiderò di addormentarsi, di non svegliarsi più, di non dover più essere costretto a vivere quella vita.
Desiderò di dimenticare, di essere già al “Tutto questo finirà”.
Eppure, ogni volta che si svegliava, quel punto si allontanava sempre di più, rendendo ancora più legato al silenzio che non riusciva ad infrangere.
Fine.