[Hey!Say!Jump] Senza di te, posso finalmente amare

Jul 16, 2012 00:35

Titolo: Senza di te, posso finalmente amare
Fandom: Hey!Say!Jump
Pairing: Yaotome Hikaru x Nakajima Yuto
Rating: PG13
Avvertenze: Slash, Angst
Disclaimer: I personaggi non sono miei, tutti i diritti riservati e i fatti narrati sono frutto della mia fantasia. La storia non è scritta con scopo di lucro.
Riassunto: Da quando Yuto andava e veniva, Hikaru si sentiva leggermente meno solo.
Note: Scritta per la corte_miracoli con il prompt “Fammi più dolce e più caro l’amaro”
WordCount: 1877 fiumidiparole

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Gli piaceva la sua quotidianità. Era semplice, essenziale, come piaceva a lui. Si svegliava abbastanza tardi la mattina, avendo comunque il tempo per una doccia veloce. Mangiava in macchina. Scendeva e faceva solo un veloce salto al panificio, prendendo un dolce, infilandosi poi dentro la macchina del suo manager.
Arrivava al lavoro, andando subito a cambiarsi, qualunque fosse la cosa che dovesse fare quel giorno. Riusciva comunque ad arrivare sempre prima di Yabu. I primi tempi rimaneva seduto nel camerino, a fissare l’orologio, temendo in un suo ritardo, invece veniva sempre smentito.
Nel corso degli anni aveva imparato a farci l’abitudine. Sapeva esattamente che ore erano quando sentiva la voce strascicata dal sonno di Yabu salutarlo appena entrato nel camerino.
Era una di quelle cose che lo faceva sentire al sicuro. Una stupidaggine, certo, ma pur sempre uno dei punti fermi, una di quelle cose che, al solo pensiero, lo faceva sorridere senza motivo.
Finite le registrazioni si cambiava di nuovo e poi tornava a casa. L’odore di casa gli piaceva. La sentiva veramente sua. Ormai erano quasi sei anni che abitava in quella casa e non l’avrebbe cambiata per niente al mondo.
Riusciva a tenerla sempre in ordine, per quanto fosse faticoso preoccuparsene da solo agli inizi. Poi si era abituato. Alla tranquillità, alla calma, al buio che lo invadeva quando infilava la chiave nella toppa e se la chiudeva alla spalle.
Gli piaceva togliersi le scarpe, il cappotto e lasciare cadere a terra la borsa, sfinito. Si era abituato anche a lasciare a terra in camera da letto i vestiti sporchi e ad infilarsi a letto, con a malapena le forze per infilarsi il pantalone della tuta.
Aveva una quotidianità tutta sua. Ci era affezionato.
Da qualche mese a quella parte invece, quando rientrava le cose erano diverse. Sentiva un buon odore di cibo appena cotto, la lavatrice in funzione o la televisione accesa. Vedeva altre paia di scarpa accanto alle sue ciabatte e aveva impiegato un po’ prima di abituarsi a quella nuova vita.
I primi giorni rimaneva sempre intontito di fronte a quella vita che animava il suo piccolo appartamento e andava a letto con una strana sensazione di disagio, anche se era stato lui a dare a Yuto la chiave del suo appartamento.
Si vedevano già da qualche mese e lui aveva sentito la necessità di sentirlo più vicino, anche se non aveva compreso fin da subito le conseguenze di quel gesto, forse troppo avventato. Ma il sorriso di Yuto, di solito così triste, si era subito fatto pieno di vita e non se l’era sentita di posticipare quell’evento, anche solo per essere sicuro di quello che stava facendo.
Da quando Yuto andava e veniva, Hikaru si sentiva leggermente meno solo. Avrebbe voluto pensare seriamente che fra di loro le cose potessero funzionare, ma sapeva che entrambi portavano sulle spalle le ombre di un passato troppo pesante da sostenere.
Fino a quel momento intanto, tutti e due si limitavano a cercare di trovare un po’ di serenità, per quanto gli fosse concesso.
Anche quella sera, invece di tornare nel suo silenzio, appena aperta la porta sentì un brusio di sottofondo e socchiuse gli occhi. Aveva un mal di testa che gli stava aprendo in due il cervello.
Respirò profondamente un paio di volte, prima di sentiva i passi di Yuto e il suo leggero sorriso mentre lo salutava, di corsa, prima di sparire in bagno per azionare la centrifuga nella lavatrice.
Hikaru ricambiò a malapena, ma l’altro non si fece di certo frenare. Si sedette al tavolo della cucina, entrambi troppo stanchi anche solo per fare un po’ di conversazione durante il pasto.
La sua emicrania si attenuò un attimo, anche solo tenere gli occhi aperti gli era difficile e doloroso. Lasciò i piatti nel lavello e Yuto si offrì, forse anche vedendo le sue condizioni, di lavarli al posto suo.
Il più grande si limitò ad annuire e poi si gettò nel letto. Si addormentò ancora vestito nel giro di pochi minuti.
Yuto rimase fermo sulla soglia della porta ad osservare Hikaru che dormiva. Si passò una mano sugli occhi, circondati da pesante occhiaie. Erano giorni, forse settimane che non dormiva bene.
Il senso di colpa lo rodeva dall’interno, corrodendolo come un acido e lui si sentiva morire, giorno dopo giorno.
Ma non poteva fare altro. Anzi, nessuno dei due poteva fare altro. L’unica cosa che gli era ancora concessa, nonostante tutto, era sostenersi l’uno con l’altro e fingere che forse un giorno sarebbe tutto finito.

**

Yabu si svegliò presto. Troppo presto, anche quella mattina.
Quanto era passato? Un mese, due mesi. Aveva perso il conto. Il giorno e la notte si alternavano senza che lui riuscisse a fare nulla, senza che si rendesse realmente conto di quello che aveva fatto, stava facendo o avrebbe fatto.
Si sentiva quasi sempre male. Ogni volta che mangiava, era costretto ad andare in bagno a vomitare tutto.
Era dimagrito.
Troppo, anche per lui. Anche per quel corpo che era sempre stato magro, che era sempre stato un po’ sotto la media.
Prese stancamente le bacchette fra le dita, cercando di sforzarsi di mangiare un po’ di riso in bianco, almeno per dire a sé stesso che aveva mangiato.
Si alzò, dopo un paio di bocconi inghiottiti con fatica e poi andò a cambiarsi.
Frugò un po’ fra i vestiti dell’armadio, ormai troppo in disordine per cercare qualcosa per andare a lavoro.
Se Kei fosse stato ancora con lui gli avrebbe detto che era impossibile trovare qualcosa di decente in mezzo a quel casino.
Se Kei fosse stato ancora con lui gli avrebbe fatto trovare i vestiti già pronti, dopo la doccia e ci sarebbe stata un po’ di musica occidentale che animava la casa.
Invece anche quella mattina c’erano solo lui e il silenzio.
Si portò una mano alla bocca e poi corse in bagno, cercando di contenere un conato di vomito. Si inginocchiò accanto al water, per rigettare la poca colazione che era riuscito a mandare giù.
Quando si fu ripreso appoggiò la fronte contro il braccio e, come sempre, scoppiò a piangere.

**

Hikaru arrivò a lavoro un po’ in anticipo. Cercò di stupirsi di trovare già Kota, ma non ci riuscì.
Ormai quello era diventato parte della sua routine. Kota non arrivava più puntuale, ma sempre e solo in anticipo.
Non si parlavano quasi più da così tanto tempo che Hikaru iniziava a dirsi che doveva fare qualcosa, ma ogni volta che si avvicinava a Yabu sentiva un groppo allo stomaco che gli impediva di fare o dire qualunque cosa.
Era stanco di quella situazione, di quella faccia perennemente triste. Era stanco.
Si chiese perché si ritrovasse in quella situazione e non riusciva a trovare una risposta, anzi, non riusciva ad ammettere che, in fondo, era tutta colpa sua.
Sua e della propria indecisione, del proprio amore malsano, della propria infelicità che gli impediva di farsi una vita.
Sua e di quelle parole di Yuto, che lo avevano avvelenato, che lo avevano convinto, che lo avevano accecato.
Ma alla fine non poteva dare nemmeno tutta la colpa al più piccolo. Lui ci aveva creduto, aveva davvero sperato che in quella maniera Yabu potesse essere solo suo.
Ed entrambi alla fine, si erano ritrovati da soli.

**

Convincere Kei ad uscire con loro era stato semplice. Si fidava di loro e quella era sempre stato il suo punto debole.
Far cadere dei sonniferi nella sua birra poi, si era rivelato ancora più facile. Una sigaretta fuori dal locale, Yuto dentro che faceva scivolare nel boccale un paio di pasticche e poi erano rientrati.
Lo avevano trascinato fuori, fingendo che fosse solo ubriaco ed erano entrati un love hotel e lo aveva steso nel letto.
Lì lo avevano spogliato e avevano iniziato a fotografarlo. Avevano spento il suo telefono, per dare l’impressione che fosse tutto già organizzato da Kei e infine…
Hikaru lo aveva guardato e si era sentito un mostro.
Perché lo sapeva dentro di sé che Kei non aveva nessuna colpa se Yabu lo amava. Lo sapeva, ma non riusciva ad accettarlo. Non ci riusciva perché lui aveva dato tutto sé stesso al più grande e non poteva credere di non avere diritto nemmeno alle sue briciole.
No. Non ne aveva diritto. Era tutto per Kei.
E no, non lo poteva più accettare.

Aveva parlato con Yabu, sconvolto del tradimento del suo fidanzato.
Li aveva sentiti discutere, urlare, dirsi qualunque cosa. Yabu non credeva alle parole del fidanzato, si sentiva tradito e usato.
Lo aveva cacciato di casa e Hikaru lo aveva osservato andare via in lacrime dal portone principale e di nuovo il senso di colpa lo aveva assalito.
Ma non poteva più permettere che Kei dividesse lo stesso letto di Yabu, che occupasse quel posto che gli spettava di diritto.
E no, non lo poteva più accettare.

Fermo e immobile sotto la pioggia a dirotto, Hikaru stringeva fra le mani pallide e bagnate un ombrello. Tremava nelle sue mani.
Le parole di quello sconosciuto gli entravano da un orecchio e gli uscivano dall’altro, senza che riuscisse realmente a registrarlo.
Sentiva solo un brusio, sistematicamente interrotto dai singhiozzi di Kota. Quelle lacrime gli spezzavano il cuore perché non doveva finire così. Non doveva andare in quella maniera.
Kei doveva essere ancora vivo, doveva essere lì con loro a prendersela con qualcuno, a scherzare con Daiki, a provocare Kota, a prendere in giro Keito.
Ecco quello che avrebbe dovuto fare.
Invece no.
Al ritorno, dopo quella giornata in cui avevano litigato, Kota era rientrato a casa e lo aveva trovato morto.
In quel momento, avevano tutti smesso di vivere e di sperare.

**

Yuto osservò di nuovo Hikaru. Era tornato stanco anche quella volta dalle riprese, ma al più piccolo non importava più di tanto.
Erano passati sei mesi dal funerale di Kei e, nonostante tutto, il suo piano si era svolto senza altri scossoni.
Aveva previsto tutti nei minimi dettagli. Certo, non auspicava la morte del ragazzo, gli voleva bene, ma era stata solo la goccia che aveva fatto traboccare il vaso di Kota e di Hikaru, che li aveva allontanati definitivamente.
Quando aveva iniziato ad uscire con Hikaru, sapeva che c’era il più grande nella sua testa e non lo aveva accettato.
Avevano preso a frequentarsi, un po’ così, senza nessun interesse da parte del più grande. Poi Yuto gli aveva parlato del suo piano per mettersi con Yabu. L’altro non si era fatto nemmeno delle domande sul perché il più piccolo lo stesse aiutando e Yuto era stato felice così.
Era bravo a mentire, ma farlo continuamente poteva risultare stancante.
In origine, il suo piano prevedeva di dire a Yabu che era stato Hikaru l’artefice del piano, che voleva solo farli lasciare, che aveva sempre cercato di trovare un modo per mettersi con lui, anche a discapito di Kei. In quel momento Kota avrebbe perso ogni fiducia nel suo migliore amico e sarebbe tornato con Kei.
Invece Inoo si era suicidato quel pomeriggio stesso e Yuto si era sentivo devastato. Disperazione che era durata qualche ora, prima che Hikaru tornasse a casa e lo abbraccia e lo scopasse con più forza del normale.
Per la prima volta Yuto lo aveva sentito veramente coinvolto e si disse che poteva anche sopportare quella morte sulla coscienza se poteva essere felice con l’uomo che amava.
Osservò di nuovo Hikaru dormire.
Era suo. Definitivamente suo. Non c’erano più Kei o Yabu ad intromettersi nella sua relazione.
Finalmente, Hikaru poteva amarlo.

Fine

pairing: yaotome x nakajima, challenge: corte-miracoli, pairing: yabu x inoo, fandom: hey!say!jump

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