Titolo: Horizon
Fandom: Arashi
Pairing: Ohno Satoshi x Ninomiya Kazunari
Rating: PG
Avvertenze: Slash
Disclaimer: I personaggi non sono miei, tutti i diritti riservati e i fatti narrati sono frutto della mia fantasia. La storia non è scritta con scopo di lucro.
Riassunto: Anche in quel momento, mentre gli occhiali erano appannati dalle lacrime, gli faceva bene camminare. Gli permetteva di distrarsi, anche se sapeva fin dal principio che non ci sarebbe riuscito.
Note: /
WordCount: 1035@
fiumidiparole Immagine:
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Ohno camminava.
Lentamente, da solo, senza alzare la testa dal marciapiede.
Aveva le guance rigate dalle lacrime. Non riusciva a smettere di piangere, anche se aveva lasciato casa, anche se era rimasto da solo, ormai completamente da solo.
Piangeva. Silenziosamente.
Visto da fuori, imbacuccato nel suo piumino invernale, con il cappello di lana in testa e le mani in tasca e degli occhiali da vista troppo rovinati, Ohno Satoshi poteva tranquillamente essere scambiato per un disadattato.
Con passi incerti, portava un piede avanti all’altro, senza però riuscire a vederli veramente.
Aveva il cervello completamente vuoto, occupato solo da fugaci sprazzi di immagini, frasi, urla.
Gli sembrava di fluttuare in un liquido freddo, umido, buio.
Non riusciva a capire che cosa dovesse fare, cosa avrebbe dovuto dire. Si sentiva incredibilmente leggero.
E inutile.
In fondo, lo era sempre stato.
Per la sua famiglia, per il gruppo, per se stesso.
Non era mai stato in grado di dire quello che pensava, di fare quello che voleva.
Si era sempre fatto trascinare dagli eventi.
Un tram gli passò accanto. Sfrecciava lungo i binari con sopra persone stanche, felici, lavoratori, studenti. Persone con problemi, con gioie e con dolori.
Persone, esattamente come lui.
La strada in salita lo aspettava. La pendenza era visibile ad occhio nudo, ma non lo spaventava.
Gli piaceva camminare.
Anche in quel momento, mentre gli occhiali erano appannati dalle lacrime, gli faceva bene camminare. Gli permetteva di distrarsi, anche se sapeva fin dal principio che non ci sarebbe riuscito.
Voleva fare qualcosa.
Disperatamente.
Ma non sapeva che cosa. Non lo sapeva.
Riusciva solo a portare un piede avanti all'altro, senza capire.
Capire perché il suo mondo era crollato, perché tutto gli era scivolato via dalle mani, senza che se ne rendesse conto.
La sua vita si era spezzata e non lo aveva capito fino a che non era giunto il fatale momento dell'addio.
Era stato tragico e mentre camminava sentiva che avrebbe potuto fare qualcosa in più, che quello che aveva detto e fatto non era, forse, abbastanza per riuscire a ristabilire, almeno in apparenza, quel rapporto che aveva faticosamente costruito.
Si muoveva lentamente.
Non aveva fretta, ormai. Non lo aspettava nessuno a casa.
Nino aveva sistemato rapidamente i suoi vestiti dentro la valigia, insieme a tutti gli acquisti degli ultimi giorni, e poi si era chiuso la porta alle spalle, dirigendosi verso l'aeroporto.
Ohno non sapeva che cosa avrebbe fatto una volta tornato a Tokyo, quando avrebbe dovuto rivederlo tutti i giorni, quando avrebbe dovuto lavorarci insieme e scherzare davanti alle telecamere.
Non lo sapeva.
E non lo voleva nemmeno sapere. Voleva rimanere fermo in quel limbo apparentemente perfetto.
Voleva rimanere fermo là, in cima a quella salita, ad osservare la città che si stagliava ai suoi piedi, mentre la vita delle persone attorno a lui continuava imperterrita.
I rumori della città si mescolavano con il caos dentro di sé.
Strinse le mani a pugno, senza riuscire a muoversi.
Diede le spalle al paesaggio che si stagliava davanti a lui e tornò di corsa all'albergo.
Magari Nino ci aveva ripensato ed era tornato anche lui in quella piccola stanza dove fino a poche ore prima erano felici insieme.
Oppure era stato solo Ohno ad essere felice. Nino non lo era più, da chissà quanto tempo. Era rimasto al suo fianco cercando di trovare un modo per recuperare il loro rapporto? O al primo ostacolo se ne era andato, chiudendolo fuori dalla loro vita?.
***
Spalancò la porta, lasciandola aperta dietro di sé e si affannò verso la stanza da letto.
No.
Di Nino nessuna traccia. Dal bagno aveva ripreso tutta la sua roba. Nell'armadio vedeva solo i propri vestiti, in disordine.
Sul divano solo la sua giacca e il jeans che il giorno prima aveva lanciato distrattamente in giro quando avevano fatto sesso, presi da chissà quale smania e da chissà quale impeto.
Forse per Nino era solo l'ultima volta in cui poteva sentire il proprio corpo preso da quello di Ohno.
L'ultima volta che aveva per sorridergli, per farlo sentire bene, prima che se ne andasse. Prima che lo lasciasse.
Si alzò, svogliatamente. Il pavimento era freddo, non voleva ammalarsi. Tornò in camera. Fece a sua volta le valige e, il più velocemente possibile, si diresse all'aeroporto.
***
Mentre aspettava di scendere dall'aereo, una hostess, sorridente lo fermò. Avrebbe voluto chiederle perché sorrideva così tanto, ma si trattenne.
Solo perché lui si era addormentato durante il viaggio e aveva sognato Nino, che gli parlava all’orecchio accarezzandolo piano, e quando si era risvegliato era quasi in lacrime, non voleva dire che la vita degli altri dovesse essere ugualmente un disastro.
« Ohno - san, un ragazzo del volo precedente mi ha detto di darle questa busta. E' indirizzata a lei. Se vuole, può consegnarla alla polizia. »
Ohno prese la busta, perplesso. La girò e dietro riconobbe la calligrafia di Nino. Sentì ancora le lacrime affollarsi intorno agli occhi, ma si trattenne, di nuovo.
« Va benissimo, grazie. So di chi è » s'inchinò leggermente e poi lasciò l'aeroporto, stringendo a sé la lettera.
***
In casa Nino non c'era. Di contro, erano ancora presenti tutte le sue cose. Le console, i giochi, i dvd, i libri.
I suoi vestiti, le sue riviste. Tutto era ancora come l'aveva lasciato un paio di giorni prima.
Si sedette sul divano e prese la busta.
L'aprì.
Dentro c'era una lettera, scritta a mano, da Nino.
La strinse a sé, dopo averla letta. Voleva piangere, ma non lo avrebbe fatto. Non voleva.
Rimase immobile, fermo, nella sua solitudine, per sentirlo di nuovo accanto a sé, come se non se ne fosse mai andato.
Come se fosse ancora al suo fianco.
Socchiuse gli occhi. Gli sembrava di sentirlo. Era là, accanto a lui, che gli passava le mani sulle spalle e gli tirava leggermente i capelli.
Era là, con lui.
***
Ohno si svegliò di soprassalto, sussultando.
La voce di Nino gli penetrò nell'orecchio.
« Stupido vecchio come hai fatto ad addormentarti sul divano? » gli urlò correndo da una parte all'altra del salotto e infilando a caso vestiti e oggetti nella borsa che aveva in mano.
« Eh? » mormorò Ohno senza capire. « Nino, cosa ci fai qua? »
Nonostante le sonnolenza, evitò agilmente una ciabatta.
« Stupido. Ci abito. E ora muoviti a vestirti che il volo per Los Angeles parte fra meno di due ore » esclamò lasciandolo da solo.
Ohno si guardò intorno.
La valigia, che il giorno prima aveva mollato nell'ingresso, era aperta e vuota davanti alla cucina.
La lettera di Nino, quella con la quale si era addormentato sul divano, non c'era.
Nulla era come lo aveva lasciato.
« Nino... dove stiamo andando? »
Nino si fermò, nel corridoio, perplesso.
« Riida, domani è il nostro anniversario, ricordi? Abbiamo lavorato come asini per poterci permettere questa vacanza di tre giorni. Mi hai comprato i biglietti per Los Angeles. C'è una mostra. E ora muoviti o perdiamo l'aereo » esclamò poi dandogli le spalle.
Ohno si alzò, traballando. Osservò il calendario in cucina.
Sì, era come diceva Nino. Dovevano ancora partire.
E allora cos'era quello che aveva vissuto? Un sogno?
« Nino... tu non mi hai lasciato? »
« Kami Riida. Devi smetterla di dipingere. Tutti quei colori ti rendono ancora più stupido. Perché ti dovrei lasciare? »
Ohno scrollò le spalle.
Non si ricordava il contenuto della lettera. Era come se tutto quel lungo sogno stesse svanendo in una nuvola di fumo.
« Non lo so » ammise. « Però ho fatto un sogno, credo. »
« Dove ti lasciavo? Fantascienza. Ormai mi sono abituato a te » rispose distrattamente l'altro prendendo dei vestiti di Ohno e mettendoli nella valigia poco distante dal Riida.
Ohno sorrise.
« Davvero? »
« Satoshi, ma che ti prende? » domandò l'altro. « Muoviti adesso che se perdiamo il volo giuro che ti tengo il muso per i prossimi due anni. »
Ohno lo bloccò nel corridoio e lo baciò, stringendolo a sé. Sorrise.
« Ti amo » sussurrò solo.
Nino arrossì leggermente e si divincolò dalla stretta dell'altro.
« Stupido vecchio » borbottò tornando in camera « Anche io. » mormorò senza guardarlo.
Senza smettere di sorridere, anche Ohno iniziò a sistemare le sue cose e poi, di corsa presero un taxi per andare a godersi quella meritata vacanza.
Insieme.
Fine