[Hey!Say!Jump] Le nostre parole d'amore sono solo ricordi ormai

Feb 02, 2012 13:22

Titolo: Le nostre parole d'amore sono solo ricordi ormai {Hey!Say!Jump - Time}
Autore: simph8
Beta:vogue91
Album: Time
Cantante/band: Arashi
Traccia: #02 Bonus - Song for me
Fandom: RPF - Hey!Say!Jump
Personaggi/Pairing: Inoo Kei x Yaotome Hikaru x Yabu Kota
Rating: R
Warnings: One Shot, Slash
Disclaimer: I personaggi non sono miei, tutti i diritti riservati e i fatti narrati sono frutto della mia fantasia. La storia non è scritta con scopo di lucro.
Note: Scritta per la community 3songfic e per la community corte_miracoli con il prompt “Che ami perché sei amato e tu lo sai”
Wordcount: 5225fiumidiparole

**

Al di là delle parole, in fondo al cuore
è nato qualcosa di indistinto che emette suono
e che mi avvolge totalmente.
Era nato assolutamente per caso, ne era conscio. Lo guardava e sentiva il volto andare in fiamme, perché non era normale quell'attaccamento nei suoi confronti.
Avrebbe voluto essergli sempre accanto, in ogni momento. Avrebbe voluto accompagnarlo a pranzo quando avevano le registrazioni in esterna, oppure fare il tratto di strada a piedi fino alla stazione, per vederlo partire.
Avrebbe voluto fare tante cose Yaotome Hikaru e, nello specifico, non ne faceva nessuna.
Anzi, più Kei si avvicinava per fare amicizia, più Hikaru riusciva ad essere solo scontroso nei suoi confronti e sapeva che non era da lui una cosa del genere.

Eppure aveva paura. Aveva paura che ogni volta che lo guardava si capisse quanto lo amava, che si capisse che lo voleva solo per sé, che c'era qualcosa di più in quello che diceva o in quello che faceva.
Aveva sempre temuto il giudizio della gente. Lo temeva, perché era come un'arma a doppio taglio.
E lui, che ormai era nel mondo dello spettacolo da qualche anno, aveva imparato ben presto a capire che di quello che pensano gli altri ne va della propria vita. Non gli era mai piaciuto sentirsi costretto per colpa degli altri, eppure quello era il prezzo da pagare.
Cantava, ballava, andava in televisione e poteva vedere, abbastanza spesso, il ragazzo che amava.

Ammetterlo con sé stesso era stato difficile.
Quando era agli studi televisivi, dopo le registrazioni rimanevano negli spogliatoi a lavarsi e capitava, dato che ormai avevano quasi tutti quindici anni, che qualcuno tirasse in ballo l'argomento “fidanzate”.
Il fatto che per regolamento nessun Johnny's dovesse avere delle relazioni, era un altro discorso. L'importante era non farsi scoprire.
Se ne parlavano, Hikaru s'infilava sotto la doccia, aprendo il getto dell'acqua e lavandosi fino a che non era rimasto nessuno. Non voleva essere preso in giro perché gli piaceva un ragazzo, né tanto meno perché gli piaceva Inoo Kei.
Sapeva che cosa ne pensavano gli altri di lui e odiava non poter fare nulla per evitarlo. Si odiava quando rimaneva in silenzio a sentire gli altri che lo prendevano in giro, a volte anche davanti a Kei stesso.

E la cosa che lo faceva arrabbiare ancora di più non era il fatto che lo maltrattassero, non era che Kei non li considerava nemmeno, perso sempre com'era nel suo mondo. La cosa che lo faceva infuriare, più con sé stesso a dir la verità, era che l'unico che interveniva era Yabu.
Yabu li fermava, Yabu lo difendeva, Yabu lo consolava quando i commenti erano veramente troppo pesanti.
A Yabu non importava quello che pensavano gli altri ragazzi. Yabu andava dritto per la sua strada perché era convinto che fosse quella giusta.
E si sentiva male quando vedeva Kei, seduto sulla panca, che alzava lo sguardo verso il più grande e gli sorrideva, ringraziandolo solo con un cenno del capo, sempre con quello sguardo che Hikaru amava dopo giorno.
Gli occhi di Kei sorridevano solo quando c'era Yabu nei paraggi. Altrimenti, erano sì felici, ma di una felicità distaccata, forse mai veramente reale.
Avrebbe voluto fare qualcosa di più, decisamente qualcosa di più, ma si sentiva le gambe pesanti, che non rispondevano ai suoi comandi e l'unica cosa che poteva fare era chinare e aspettare, aspettare e aspettare che qualcun'altro facesse il lavoro al posto suo.
E gli bruciava vedere come, giorno dopo giorno, il rapporto fra Yabu e Inoo si facesse sempre più profondo mentre lui veniva lasciato da parte, a ricoprire quel ruolo da semplice spettatore che aveva sempre odiato.

Quell'amore gli bruciava nel petto, come se avesse mandato giù litri e litri di acido. Sentiva la gola diventargli secca, la parola mancargli e non poteva fare altro che rimanere fermo a guardare, immobile, mentre il ragazzo che amava si avvicinava ad un altro.

**

Ogni tanto, troppo spesso secondo Hikaru, il programma degli Ya-Ya-Yah faceva delle riprese in esterna. Ultimamente un gioco che piaceva molto al pubblico era l'“Onigokko”, una specie di nascondino in luoghi grandi come parchi divertimento o college.
Dovevano nascondersi da un gruppo di oni, solitamente dei comici, e resistere per un'ora.
Lui non aveva mai vinto e Inoo Kei era veramente pessimo a quel gioco. Mai quanto Taiyou, quello glielo doveva riconoscere, ma riusciva a farsi catturare dopo pochi minuti l'inizio del gioco.

Quel giorno furono catturati entrambi, uno dopo l'altro. Hikaru raggiunse mesto il luogo di raccolta dove si trovava Kei. Era seduto per terra, un po' lontano dagli altri e si guardava intorno, quasi affascinato, stringendo fra le mani un panino ancora incartato.
Non c'era nessuno intorno a lui. Taiyou e Yabu, catturati prima di loro, parlavano con Koyama, Shige e Tegoshi, i cameraman si erano presi cinque minuti di pausa e lui era là tutto solo.
Hikaru decise che, se non voleva definitivamente perdere come Yabu senza nemmeno aver lottato, doveva fare la prima mossa.

Si avvicinò, titubante. Non sapeva come avrebbe reagito Kei ad un suo approccio dato che non si parlavano quasi mai, ma tanto valeva tentare.
Si sedette al suo fianco, rimanendo in silenzio. Kei non spostò lo sguardo dal paesaggio intorno a sé, continuando a stringere fra le mani il panino.
Hikaru tossicchiò leggermente, come per attirare la sua attenzione, ma non ottenne l'effetto sperato.

« Come sei stato catturato? » chiese cercando di intavolare una conversazione.

Kei continuò a fissare un punto imprecisato davanti a sé.

« Sono sceso dal trenino e hanno incominciato a corrermi dietro. Ho corso per un po', mi sono stancato e mi sono lasciato acchiappare. » scosse le spalle, ridacchiando « Alla fine è solo un gioco, non m'interessa vincere o perdere. »

Hikaru annuì, lentamente. Non comprendeva spesso il filo dei pensieri di Kei, ma dopotutto aveva sempre visto che era un tipo piuttosto particolare.

« E tu invece? » domandò Kei voltandosi verso di lui.

« Mh. Io mi stavo annoiando e ho chiamato l'oni. Ma mi hanno preso. » sbuffò, imbronciandosi e Kei gli sorrise.

« Oggi dopo la registrazione che cosa fai? »

Kei fissò il cielo, poggiando il mento sui palmi delle mani e gli ricordò l'espressione vagamente femminile quando faceva le gag comiche con Matsumoto, suo amico da sempre.
Arrossì nel pensare a lui in certi modi e spostò immediatamente lo sguardo.

« Domani ho un test, ma ho già studiato. Quindi probabilmente starò in camera. Leggerò qualcosa. Oppure andrò a fare un giro. »

Hikaru notò che per un attimo si era morso il labbro e che il suo sguardo si era posato su Yabu, che rideva.
Sentì la rabbia e la gelosia stringergli la bocca dello stomaco e si alzò in piedi mettendosi davanti a lui.
Kei alzò la testa, fissandolo, con la bocca lievemente aperta e gli occhi aperti, che lo fissavano come se dovesse rivelargli una verità che nessuno poteva ascoltare oltre a loro.

Per sempre in uno spiraglio fra polvere e stelle
il cuore trema tanto da fare male...
la tristezza riecheggia come un vetro rotto...
Lo sai no? Posso e voglio fare solo questo.
Hikaru rimase in silenzio per dei secondi che gli parvero un'eternità. Di nuovo sentiva la gola secca, le parole morirgli in bocca, sulla punta della lingua, ma quello sguardo che Kei aveva lanciato a Yabu lo aveva esasperato.
Doveva fare adesso la sua mossa oppure avrebbe perso la sua occasione.

Era un piccolo spiraglio, l'unica opportunità. Se non l'avesse sfruttata allora Kei sarebbe scivolato via da quella crepa, l'avrebbe visto scivolare via dalle sue dita come polvere e stelle.
Il cuore gli batteva forte nel petto, sentiva il battito veloce rimbombagli nelle orecchie. Gli faceva male, lo sentiva sanguinare, perché qualcosa dentro di lui gli aveva già rivelato il finale.

« Andiamo al cinema. Ieri hai detto a Yabu che volevi vedere un film, no? » gli disse.

« Sì, ma lo voleva vedere anche lui. Non credo che oggi sia libero. Deve studiare. »

Hikaru annaspò per qualche secondo, poi tornò risoluto sui suoi passi.

« Non fa niente. Andiamo a fare un giro a Shibuya allora. Devo comprare delle cose. Mi accompagni? »

Lo sguardo di Kei vacillò per un attimo, Hikaru vide il suo sguardo posarsi di nuovo su Yabu e fu come una pugnalata nel cuore, ma poi l'altro tornò a fissarlo e lo vide sorridere.

« Va bene. Nessun problema. Ci vediamo davanti alla statua di Hachiko alle sei del pomeriggio. Potremo anche mangiare qualcosa, che ne dici? »

Hikaru lo fissò, allibito. Sentiva lo stomaco rivoltarglisi nella pancia per la felicità.
Era un appuntamento quello? Un appuntamento solo per loro due? Sarebbe riuscito a togliere dalla mente di Kei la figura di Yabu?
Sarebbe mai riuscito a prendere il suo posto?

**

L'appuntamento filò liscio. Hikaru avrebbe detto che Kei era distratto se non lo avesse conosciuto abbastanza bene.
Avevano parlato, fatto un po' di acquisti, poi erano andato in un fast - food per cenare. Kei era un tipo abbastanza loquace. Certo, bisogna fare l'abitudine ai suoi discorso a volte un po' campati per l'aria, ma d'altro canto era piacevole parlare con lui.
Hikaru era felice. Felice come non pensava di poter mai essere. Perché finalmente aveva avuto il coraggio di fare il primo, il coraggio di uscire dai suoi sogni e di rendere a parole quello che fino a quel momento era vivo solo nella sua mente.
Passeggiarono ancora un po' per Shibuya in silenzio, l'uno accanto all'altro, sfiorando le mano solo per pura casualità.
Ma ad Hikaru andava bene così. Perché se voleva prendere il posto di Yabu doveva fare piccoli passi alla volta, doveva essere cauto perché voleva essere sicuro di quello che provava Kei.
Non voleva costringerlo a ricambiare il suo amore, non voleva costringerlo a stare con lui. Voleva che lo amasse, sinceramente.
E, nonostante il pensiero di un rifiuto lo rattristava, non poteva fare a meno di pensarci. Perché era innegabile che Yabu avesse un posto privilegiato nel cuore di Kei. Era evidente come ogni cosa era fatta per compiacerlo, anche la più stupida.
Dentro il suo cuore, ancora dolorante, sentiva che il vetro che lo proteggeva era andato in frantumi e fluiva dentro di lui una leggera scia di tristezza, che ormai lo aveva pervaso completamente.

« Che ne dici di uscire un'altra volta insieme? Magari potremo andare a qualche parco di divertimenti. » propose mentre si avvicinavano alla stazione.

Lì poi si sarebbero divisi e doveva essere deciso. Doveva capire che cosa voleva Kei, cosa poteva aspettarsi da lui.
E se lo avesse lasciato andare senza chiederglielo, sapeva che non avrebbe mai più trovato il coraggio.

Kei non lo fissò, ma continuò a tenere lo sguardo dritto davanti a sé. Era pensieroso, senza più la smorfia sognante di pochi secondi prima.
Il ragazzo rimase a lungo in silenzio. A che cosa stava ragionando?

« Sì, mi piacerebbe. Sono stato bene con te. Che ne dici del Tokyo Disneyland? E' tanto che voglio andarci ma... » il più grande s'interruppe, per poi sorridere leggermente « Ma non ho mai avuto tempo. » concluse dopo meno di un minuto.

Hikaru lo fissò. Avrebbe voluto chiedergli che cosa c'era dopo quel “ma”, perché quella era una bugia e lo sapeva. Ma non osò chiederglielo, la risposta lo avrebbe solo fatto sentire ancora peggio.

« Mi piace il Tokyo Disneyland. Ci sono stato solo una volta, con Yabu. » esclamò Hikaru, osservando la reazione di Kei.

Omise il fatto che con loro c'erano anche Taiyou e Yamashita. Voleva vedere se Kei era davvero innamorato di Yabu, se si sarebbe tradito, facendo qualche riferimento alla frase di prima.

Ma Kei evidentemente era bravo a mascherare le sue idee e le sue reazioni, perché si limitò a sorridergli, voltandosi verso di lui con un sorriso che sembrava in tutto e per tutto uguale ad uno sincero.

« Davvero? Ne sono felice. Io avrei dovuto andarci con la mia famiglia, ma alla fine mia sorella si è sentita male e così non ci siamo stati. Abbiamo passato il mio compleanno in casa. Avete provato tutte le attrazioni? » domandò poi, avvicinandoglisi di qualche centimetro.

« S-Sì. » rispose piano, turbato da quella repentina vicinanza di Kei « Ci siamo divertiti. »

« Mi fa piacere. » Kei tirò fuori il suo cellulare dalla tasca, aveva solo una strap attaccata ed erano due “K” « Possiamo scambiarci la mail, così ci teniamo in contatto e ci mettiamo d'accordo per andare al parco questo fine settimana. »

Hikaru cercò di staccare lo sguardo da quelle strap e ci riuscì solo dopo immensa fatica, nella sua mente si alternavano talmente tante ipotesi, che cercare di seguirne solo una era impossibile.
Salvò l'indirizzo di Kei e osservò il sorrisetto sulle lunghe labbra di Kei.
Avrebbe voluto chiedergli perché si comportasse in quella maniera, se era per gelosia, ma poi si disse che aveva già accettato di uscire con lui, ancora prima che Hikaru gli dicesse che lui c'era già stato con Yabu.
Kei era davvero interessato a lui, questo cercava di dirsi.
Eppure perché mentre pensava al suo improvviso interessamento sentiva solo tristezza?

**

Si divertirono. Continuarono ad uscire, pomeriggio dopo pomeriggio, giorno dopo giorno, settimana dopo settimana.
Non erano fidanzati, ma non erano nemmeno degli estranei. Non erano amanti perché fra di loro non c'era stato nulla, ma erano più che amici.
Si trovavano al confine, in bilico su una corda che separava l'amicizia e l'amore. Perché la loro era un'amicizia troppo morbosa per essere tale, ma un amore altrettanto blando per essere considerato solido.
Hikaru odiava trovarsi in quella situazione di ignoranza. Avrebbe voluto chiedere a Kei di aiutarlo a definire quello che entrambi stavano vivendo, ma la paura, dopo quel giorno a Shibuya, non lo aveva più abbandonato.

Sentiva che Yabu e Kei si erano leggermente allontanati e questo lo faceva stare ugualmente male.
Perché loro due erano amici, forse c'era qualcosa di più e Hikaru si sentiva il terzo incomodo, quello che aveva distrutto qualcosa di appena nato.
Si sentiva in colpa, anche se non aveva fatto nulla di male. Kei avrebbe potuto rifiutare i loro incontri, avrebbe potuto non rispondergli alle mail, avrebbe potuto stargli più lontano invece di essere appiccicoso come lo era sempre.
Non doveva sentirsi in colpa perché se Yabu non era in grado di tenerlo legato a sé non era colpa sua.
Eppure... stava male. Perché leggeva il malessere negli occhi, nel volto, nei gesti di entrambi.
Eppure... non voleva arrendersi. Non voleva darsi per vinto e avrebbe continuato fino a che Kei non gli avesse detto a chiare lettere che non lo amava.
Fino a quel momento, avrebbe ignorato Yabu e le sue occhiate, nonostante queste gli facessero solo del male.

**

Alla fine, dopo qualche mese, Hikaru decise di prendere coraggio. Ormai aveva sedici anni, era ora di dimostrare a sé stesso che era un uomo e che poteva chiedere una cosa del genere a Kei.
La fine delle riprese dello “Ya-Ya-Yah” era passata da poco, eppure tutti gli altri erano già spariti e la green room era vuota. Al suo interno si trovavano solo Hikaru e Kei.
Il primo perché voleva parlare da solo con Kei, il secondo perché era lento e non gli piaceva quando la gente gli imponeva un certo ritmo.

« Kei - chan... » iniziò titubante.

L'altro lo guardò, sorridendogli, incoraggiandolo a continuare.

« Ecco... io... volevo parlarti, hai tempo? » domandò.

Kei lo fissò, mordendosi un labbro, ma annuì. Si sedette, aspettando che anche Hikaru lo imitasse, ma l'altro rimase in piedi.

« Kei, io... sai... è tanto tempo che te ne voglio parlare, ma... insomma... sei importante. Per me sei importante, perché quando non ci sei desidero che tu sia al mio fianco e so che non è normale desiderare una cosa del genere, lo so. Eppure... credo di essermi innamorato di te. Io... ti amo. Volevo che tu lo sapessi e che mi dicessi se anche tu ricambi i miei sentimenti. »

Kei lo fissò e rimase in silenzio. Il sorriso sul suo volto era scomparso e gli sembrava ancora più inespressivo del solito. Hikaru ebbe paura.
Si ritrasse istintivamente, inchinandosi ripetutamente e scusandosi.

« E' uno scherzo. » esclamò a voce « Era solo uno scherzo. Certo che tu credi proprio a tutto, hanno ragione gli altri. »

« Ti amo. » furono le sole parole che Hikaru riuscì a sentire.

Spezzarono il silenzio come un tuono e gli sembrò che tutte le sue protezioni s'infrangessero di fronte a quelle semplici parole.
Alzò di scatto la testa e lo fissò, incredulo.

« Davvero? » mormorò con le lacrime agli occhi, finalmente felice.

« Sì. Davvero. »

Il sorriso di Kei continuava ad avere un che di malinconico, ma Hikaru non ci fece caso. Era sicuro che un giorno sarebbe stato finalmente felice.

**
Inutilmente ho stretto a me quei momenti
per continuare a sognare serenamente.
Le settimane diventarono mesi e i mesi due anni. Avevano debuttato da più o meno due anni e Hikaru si poteva dire quasi soddisfatto della sua vita. Aveva un ottimo lavoro, quello che, bene o male aveva sempre desiderato e aveva accanto a sé l'uomo che amava.
Si svegliava felice la mattina, anche se con un lieve peso sullo stomaco. Si voltava per guardare Kei, lo osservare dormire e sentiva che c'era qualcosa che non andava, che non aveva mai filato per il verso giusto.
Kei gli diceva di amarlo. Kei lo amava. Kei si faceva amare. Kei lo viziava. Kei lo guardava e sorrideva, gli circondava il collo con le braccia e lo stringeva a sé, annusando l'odore della sua pelle. Kei lo faceva ridere.
Kei non lo amava.
Kei fingeva di amarlo perché era Hikaru che lo ricopriva di attenzioni, di affetto. Kei lo amava di riflesso, perché di più non poteva fare. E Hikaru lo sapeva.
Lo aveva sempre saputo. Aveva chiuso gli occhi e finto che tutto andasse bene. Perché gli andava bene farsi dei ricordi con Kei.
Perché gli andava bene guardarlo e vederlo ridere per davvero, anche se era solo per qualche minuto. Perché gli andava bene vedere il suo volto distorto dal piacere, anche se non lo amava.
Perché gli andava bene stringerlo a sé e sentirsi amato, anche se amato non lo era.

Aveva sempre visto un'ombra negli occhi di Kei. Un'ombra che non se ne era mai andata dal suo volto. Gli era parso veramente felice solo i primi tempi, al suo ingresso alla Jimusho, quando aveva appena incontrato Yabu.
Però anche quello sembrava essere un rapporto velato di malinconia. Sembrava che Yabu e Kei si rincorressero, giorno dopo giorno, che cercassero di capirsi, di arrivare ad un punto d'incontro che puntualmente non trovavano mai.
Aveva sempre visto Kei soffrire e aveva sperato che avendocelo accanto tutto i giorni magari sarebbe tornato a ridere, come i primi giorni che lo aveva conosciuto.
In parte era stato così. A volte Kei rideva di gusto, si svegliava che sembrava davvero felice, ma Hikaru sapeva che quella era solo una facciata.
Lo osservava di nascosto e lo scopriva a guardare Yabu, sempre con quel sorriso triste, con quegli occhi grandi che erano pieni di aspettativa che invece veniva sempre delusa.
Altre volte era Yabu che guardava Kei. Lo vedeva mordersi un labbro, torcersi le mani, essere sul punto di andare da lui e parlargli, dirgli chissà che cosa, come se quelle parole, che in fondo Kei si aspettava, gli avessero restituito tutti quegli anni persi.
Ma era proprio in quel momento che Yabu sembrava tornare in sé, lo fissava e spostava immediatamente lo sguardo, colpevole di aver guardato con occhi pieni di desiderio il suo fidanzato.
Hikaru li fissava e si domandava quando avrebbe smesso di sentirsi il terzo incomodo.

**

Quella sera Hikaru era sul tavolo e riguardava sorridendo tutte le foto che si era fatto con Kei negli ultimi anni. Le più vecchie risalivano al loro primo appuntamento. Le aveva divise tutte per anno, così gli era più semplice trovarle nel caso cercasse qualcosa di specifico.
Kei sorrideva quasi sempre, tranne in quelle foto in cui non si metteva in posa o in cui non erano insieme. Hikaru le osservò e sorrise a sua volta. Una foto quando studiava, un'altra mentre era steso sul divano, un'altra ancora mentre dormiva.
Non dubitava del fatto che Kei fosse stato almeno un po' felice stando con lui. Ci credeva, credeva ai suoi sorrisi, almeno la maggior parte delle volte.
Eppure... era giunta l'ora.
Era arrivato il momento di chiudere quella facciata, di lasciar perdere tutto quanto. Era stato sconfitto. Di nuovo.
Non sapeva esattamente contro cosa stesse combattendo dato che né Yabu, né Kei si erano mai avvicinati così tanto. Non si parlavano più del dovuto, non uscivano quasi mai insieme da soli.
Poteva andare avanti pensando di essere semplicemente paranoico. Magari si stava inventando tutto quanto, magari era solo un'allucinazione, uno scherzo del suo cervello.
Eppure, mentre stringeva fra le dita quelle foto, sentiva di avere ragione. Sentiva che fra l'uomo che amava più di sé stesso e il suo migliore amico c'era qualcosa.
Sentimenti mai espressi e repressi, per anni. Per anni li aveva visti avvicinarsi, sfiorarsi, senza mai stringersi.
Kei non lo aveva mai tradito e Yabu non avrebbe mai fatto una cosa del genere, ne era sicuro.
Avrebbe conservato dentro di sé ogni ricordo bello, li avrebbe custoditi come se fossero stati i suoi tesori più preziosi.
Non aveva più senso ormai tornare indietro con la mente a quei giorni felici. Lo aveva fatto per troppo, troppo tempo e non riusciva più a farlo.
Aveva raggiunto il limite. Ormai anche ripensare a Kei e al suo sorriso non gli permetteva più di dormire serenamente.
Lo osservava e si chiedeva se veramente pensava a lui e non a Yabu, in ogni momento della sua giornata.
Spostò lo sguardo su Kei, seduto sul divano mentre mandava una mail.
A Yabu?
Scosse la testa. Non poteva andare avanti così, pensando che ogni suo gesto fosse rivolto a Yabu. Sarebbe impazzito, ne era convinto.

« A chi scrivi? » domandò a voce bassa, osservandolo.

« A Dai - chan. Mi ha confermato per la cena di questa sera a casa nostra. » Kei smise di scrivere e lo osservò, sorridendogli « Mi piace. “Casa nostra”. »

Hikaru cercò di sorridere un altro po'. Era felice di quella frase, di quella piccola frase, ma sapeva che Kei non la sentiva veramente loro.

« Chi viene alla fine? Se siamo tutti dovremo fare la spesa per un reggimento. Insomma, è pur sempre il tuo compleanno, no? »

Kei rise.

« No no. Chinen ha proposto una cosa intelligente. Ognuno porta qualcosa. Avremo qualche primo, dei fritti e poi dopo vado a ritirare la torta. »

« Chi viene? » chiese ancora Hikaru, leggermente in ansia.

« Dai - chan, Chii - chan, Yama - chan, Ryuu - chan, Yuyan, Keito e Yuu - chan. » battè le mani « Siamo tutti. Ci staremo tutti in salotto? » chiese poi guardandosi intorno

Hikaru non gli rispose, né si voltò per osservare la stanza.

« Yabu? »

« Yabu ha da fare. » scrollò le spalle « Sarà per il compleanno prossimo. O per il tuo. O per quello di qualcun'altro. » sospirò « Lo sai che ha sempre da fare, no? »

« Anche gli altri hanno da fare ma vengono a cena da noi. » borbottò Hikaru incrociando le braccia.

« Che t'importa? E' solo una cena. »

« Non è quello. E' il tuo compleanno. E'... importante, no? »

« Non credo che il mio compleanno abbia tanta rilevanza per lui. » si alzò stiracchiandosi e gli batté una mano sulla spalla « Dai, andiamo a ritirare la torta. » si diresse verso l'ingresso, infilandosi il giacchetto.

« Kei - chan... » chiamò piano Hikaru.

Il ragazzo lo guardò. Perché si doveva accorgere di ogni lineamento triste di Kei? Perché non riusciva ad ignorarlo? Perché non riusciva ad evitare gli occhi leggermente lucidi di Kei?
Si odiava così tanto che sarebbe morto, se lo sentiva.

« Dimmi Hikacchi. »

Glielo doveva dire. Glielo doveva dire oppure non lo avrebbe più fatto. Ma quello avrebbe significato non avere più Kei al suo fianco, svegliarsi e non trovarlo nel letto e addormentarsi da solo sotto le coperte, tornare a casa e non essere più accolto con il suo sorriso.

« Sei sicuro di non voler chiamare Yabu? » domandò.

L'altro lo guardò, perplesso.

« Perché dovrei? Mica abbiamo litigato! E' solo impegnato. »

« Kei, ti rendi conto che usa questa scusa ogni volta che fai qualcosa? Ogni volta che tu e lui dovete stare insieme, è sempre occupato. Potresti chiarirti, magari... »

« Magari mi odia. » rise Kei « Magari gli sto semplicemente antipatico e non vuole vedermi, che ne sappiamo? » scosse ancora le spalle « E poi non è obbligato a parlarmi o a starmi vicino. »

« Sì ma lui... »

« Mi sta bene così. » lo interruppe bruscamente Kei alzando la testa e guardandolo negli occhi « Se non ho mai preteso altro vuol dire che mi va bene così. La mia vita va bene così. » aggiunse.

Hikaru ebbe l'impressione che Kei sapesse molte più cose di quelle che voleva far credere, come se si fosse benissimo reso conto dei dubbi di Hikaru, della sua confusione, della sua tristezza. Chinò la testa, annuendo, senza dire altro. Ma dentro di sé sapeva che Kei non ci credeva, perché se ci avesse creduto veramente avrebbe smesso di stargli intorno negli ultimi sei anni e invece non faceva altro che cercare di raggiungerlo, di farsi notare, come un figlio che si avvicina ad un padre anche solo per una carezza.
Carezza che Yabu non gli aveva mai dato.

« Questo non vuol dire che tu debba ascoltare ogni suo capriccio. » mormorò poi.

« Non è un capriccio. E' la sua vita, la gestisce come gli pare, se decide di tagliare ogni ponte con me, è libero di farlo. »

« Quali ponti vi legano esattamente? » chiese Hikaru guardandolo « Siete due estranei che per caso fanno parte dello stesso gruppo. »

Kei divenne rosso dalla rabbia e si morse un labbro, rimanendo comunque in silenzio, quindi Hikaru ne approfittò.

« Cosa è successo quando eravamo dei Junior? Perché tu hai deciso di metterti con me? Non lo hai fatto perché mi ami, lo sappiamo tutti e due Kei. Tu non mi hai mai amato, non quanto ti amo io per lo meno. Voi due avete iniziato ad allontanarvi qualche mese prima. Perché? »

L'altro scosse la testa.

« Non so di che cosa stai parlando. Se sto con te è perché ti amo. Sono venuto a vivere con te perché ti amo. Ti sto accanto ogni giorno perché ti amo. Non ti dovrebbe bastare? »

« No, perché so che non sei felice con me. Perché non sono io la persona giusta, perché... perché tu mi vuoi bene. Ma non mi ami. Non quanto ami Yabu almeno. »

« Yabu! » esclamò Kei « Yabu, Yabu, Yabu, Yabu! » ripeté mentre il tono non faceva che alzarsi « Io e Yabu ci siamo esclusi l'uno con l'altro dalle nostre vite. E' stata una nostra decisione. »

« Allora smetti di guardarlo con quell'aria triste. Smetti di avvicinarti a lui e di allontanarti, smetti di stargli intorno. » urlò Hikaru « Non cercare continuamente la sua approvazione, non cercare il suo sguardo, non ci rimanere male quando lui ti allontana. »
ansimò, spostando lo sguardo, serrando le mani a pugno « Smetti di sperare che lui un giorno bussi alla tua porta per dirti che ti ama, smetti di amarlo, smetti di amarlo anche se stai con me. »

« Pensi che io sia stato con te due anni solo perché Yabu non mi ha mai voluto? Non sono così stupido Hikaru e se volevo fare solo sesso con qualcuno uscivo di casa e aprivo le gambe. » prese un profondo respiro, socchiudendo gli occhi « E' il caso di interrompere questa conversazione Hikaru. Sta finendo su una strada che non piace a nessuno. »

« Fra noi è finita. » esclamò Hikaru guardandolo « E' finito tutto. Rimandiamo la cena, inizia a portare via la tua roba, adesso. »

« Tu sei pazzo. » replicò Kei « Sei pazzo, questa è l'unica spiegazione. Perché mi ha chiesto di andare a vivere insieme? Perché mi hai detto di amarmi? Perché mi hai chiesto di uscire? Se sapevi che tutto questo non avrebbe portato a niente, perché siamo in questa situazione? » urlò andandogli vicino.

« Perché speravo che tu avresti imparato ad amarmi. » sussurrò con gli occhi lucidi.

« Vuoi fare la vittima Hikaru? Allora va bene. Fai la vittima. » entrò nella stanza da letto e da dentro l'armadio prese la sua valigia.

La buttò sul letto e poi si diresse verso l'armadio. Preso dei mucchi di vestiti, gettandoli dentro la valigia, mentre Hikaru era impietrito sulla soglia.
Finito con i vestiti, Kei lo scostò malamente, dirigendosi in bagno. Prese tutte le sue cose, gettando anche queste sopra i panni. Fece un giro per casa, prendendosi altri oggetti, libri o altro che intravedeva.
Chiuse la valigia, sempre con Hikaru in silenzio.

« Sei un pazzo Hikaru. » sussurrò solo passandogli accanto.

Poi si fermò sulla soglia e si voltò Hikaru non c'era, era nella stanza da letto, lo sentiva trattenere i singhiozzi.

« Posso sempre tornare indietro. » disse continuando a fissare la porta « Possiamo dimenticarci di questa conversazione e possiamo dimenticarci di Yabu. Possiamo farcela se tu lo vuoi ancora. »

Aspettò qualche secondo.

« Tu non dimenticherai mai Yabu. » lo sentì sussurrare.

Di nuovo la rabbia s'impossessò di Kei.

« Va bene. Addio Hikaru. » mormorò sbattendosi la porta alle spalle.

**

Kei si guardò intorno.
Quanti anni erano passati dal primo momento che aveva visto Yabu? Ormai circa nove anni.
Quanto tempo era passato da quando Hikaru lo aveva lasciato? Più di un anno.

Kei si guardò intorno.
Nonostante abitasse in quella casa da altrettanto tempo, Kei non riusciva a sentirla veramente casa sua. Si guardò intorno, sperando di trovare qualche piccola cosa che gli ricordasse Hikaru.
Un libro fuori posto, la cucina in disordine, il kotatsu quasi sempre accesso.
Invece nulla. Quando ritornava a casa tutto era esattamente come lo aveva lasciato.

Si sentì picchiettare su una spalla e si voltò. Vide Yabu.
Da quando lui e Hikaru si erano lasciati, il più grande aveva provato più volte a parlargli seriamente sulla sua rottura con Hikaru, ma Kei aveva sempre sviato il discorso.

Ma quella sera era diverso. Voleva parlargli, gli doveva delle spiegazioni sul proprio atteggiamento per lo meno.
Accennò un sorriso ed entrarono in casa, togliendosi le scarpe. Kei lo precedette in cucina e gli indicò il kotatsu.

« E' acceso. » disse solo iniziando a mettere su l'acqua per il tè.

Yabu infilò le gambe sotto al kotatsu, in silenzio e si limitò a fissargli la schiena.

« Sei bello. » mormorò solo il più grande.

Kei si voltò, accennando un sorriso. Si sedette su di lui, circondandogli la vita con le gambe, baciandolo e tirandolo verso di sé.
Yabu lo spinse a terra, iniziando a morderlo e a leccarlo, a toccare la sua pelle già nuda, a sfiorare la sua erezione, a spingersi e a muoversi contro di lui. Kei gemeva sotto le sue mani e la sua bocca e quello gli parve lo spettacolo più bello del mondo.
Aveva desiderato Kei per anni, ma non era mai riuscito ad averlo, principalmente per colpa propria.
Adesso invece si vedeva sempre più spesso, anche se Kei continuava a rifugiarsi dietro le parole “E' solo sesso”.

« Stai pensando ad Hikaru? » domandò piano mentre spingeva dentro di lui, il respiro affannato dall'eccessivo sforzo per non muoversi.

Kei schiuse gli occhi e lo tirò a sé baciandolo e facendogli poggiare la fronte contro la propria.

« Purtroppo penso solo a te. » sussurrò sulla sua bocca prima di baciarlo di nuovo, prima che Yabu si lasciasse andare e tornasse a farsi comandare dalle emozioni.

Aveva bisogno di tempo, questo si ripeteva Yabu. Aveva bisogno di tempo per farsi perdonare da Kei, per farsi perdonare da Hikaru.
Aveva bisogno di tempo per capire veramente che adesso Kei era solo suo e che non doveva farselo scappare di nuovo.
Lo avrebbe tenuto stretto questa volta, per sempre.

Fine

pairing: yabu x yaotome, challenge: 3 songfic, challenge: corte-miracoli, pairing: yabu x inoo, fandom: hey!say!jump

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