Titolo: Where’s heaven? Tenji wo hikisaki {Dov’è il Paradiso? Straziato fra cielo e terra. KAT-TUN - N.M.P}
Fandom: KAT-TUN
Personaggi: Koki Tanaka, Junnosuke Taguchi
Pairing: Koki Tanaka x Junnosuke Taguchi
Warning: Drammatico, Alternative Universe, High School
Rating: NC17
Nda:
Pairing: Koki Tanaka x Junnosuke Taguchi {AU! High School}
Prompt: Bullismo
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Taguchi ricordava con sofferenza i suoi giorni alle scuole superiori.
Quei fugaci ricordi di quei tempi passati gli balenavano nella testa come piccole istantanee di memorie ormai cadute nel dimenticatoio.
Gli veniva quasi da ridere al solo pensiero. Se solo fosse riuscito a sforzarsi un po’ di più, magari i suoi ricordi si sarebbero fatti più vividi, magari avrebbe ricordato con più esattezza cosa lo aveva portato ad essere l’uomo che era adesso.
Osservò la sua figura allo specchio, cercando di capire come fosse potuto arrivare a quei livelli. Strinse le mani sul lavandino, piegando la testa.
Poteva perdonarsi per quello che stava facendo? Forse. Non lo sapeva. Non lo avrebbe mai saputo.
Ma ne aveva bisogno. Necessitava di ricordare, di capire, cosa poteva fare per far sì che la sua vita tornasse a quella di un tempo.
Non poteva più rimanere aggrappato ad un ricordo di cui non aveva memoria.
Ne aveva bisogno.
La pioggia batteva violentemente fuori dalla finestra.
Taguchi osservò la pioggia battere contro il vetro e poi andò a stendersi sul letto.
Le luci si spensero e scivolò nel turbinio dei ricordi.
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Junnosuke Taguchi riprese violentemente fiato, come se fosse l’ultima occasione che aveva per farlo.
Le mani che gli tiravano i capelli, si strinsero ancora di più sulla testa, facendogli male.
Serrò gli occhi, ansimando.
Poi, di nuovo fu sbattuto con la faccia dentro il secchio, utilizzato da poco per lavare i pavimenti della classe.
Si agitò, cercando di forzare la presa che i compagni di classe avevano sulle sue braccia, ma senza alcun successo.
Odiava tutto quello.
Odiava quella vita, odiava dover subire tutto quello in silenzio. Odiava non poterne parlare con la sua famiglia, di non poterne parlare con i suoi insegnanti, di non potersi sfogare con i suoi amici.
Non gli avrebbero creduto, dandogli del pazzo. E se anche gli avessero creduto, non avrebbero potuto fare nulla, perché poi loro si sarebbero vendicati. E aveva paura di quello che avrebbe potuto capitargli.
Era tutto così… insopportabile.
Il fiato iniziava a mancargli e aprì istintivamente la bocca, in cerca di aria. L’acqua sporca gli entrò in gola, facendolo agitare ancora di più.
Due mani lo afferrarono per le spalle, tirandolo indietro. Senza forze, Junnosuke si accasciò a terra, tossendo e cercando di respirare.
Alzò la testa giusto in tempo per vedere Tanaka Koki, l’artefice di tutti i suoi mali, scansarlo con il piede.
Il ragazzo scoppiò a ridere, seguito dal resto della sua banda.
Senza nemmeno guardarlo, lasciarono il bagno.
Taguchi si appoggiò con la schiena a terra, mentre il petto gli si alzava e abbassava velocemente, al ritmo dei suoi singhiozzi.
Perché doveva essere tutto così difficile?
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Ogni tanto, poco prima di addormentarsi, Junnosuke si chiedeva come era riuscito a sopravvivere per tutti quegli anni.
Ormai era dicembre del terzo anno della scuola superiore e mancavano poco più di tre mesi al diploma.
Aveva subito ogni tipo di sevizie da Tanaka Koki e non riusciva a perdonargliene nessuna, indiscriminatamente.
Lo odiava.
Lo odiava con una forza tale che la sua sola vista gli bastava, a volte, per sentire le viscere contorcersi nello stomaco.
Dal primo giorno di scuola, si era selvaggiamente accanito su di lui, senza nessuna motivazione apparente.
Sembrava che la vita di Tanaka iniziasse e finisse con quella di Junnosuke. Non faceva altro nella sua giornata.
Arrivava a scuola e per tutto il tempo gli rendeva la vita un vero inferno. Non c’era un solo momento libero in cui riuscisse a provare un po’ di pace.
Lo odiava con tale violenza che a volte aveva paura dei suoi pensieri.
Avrebbe voluto vedere Tanaka appeso per il collo ad una trave. Immaginava la sua morte violenta, mentre lui si trovava su un ciglio della strada e rideva su quel cadavere che, da vivo, era stato l’artefice di tutto il suo dolore.
E quando quelle paure si manifestavano nei suoi sogni, Junnosuke si svegliava di soprassalto, madido di sudore, mentre tremava dalla paura.
Non voleva che Tanaka morisse. Ma che soffrisse, almeno quanto aveva sofferto lui in quei tre anni.
Solo quello.
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Una nuova settimana di scuola era, come sempre, arrivata. Al suo ingresso in classe Tanaka era già seduto scompostamente al proprio banco, mentre rideva con i suoi amici e discutevano su quello che avrebbero fatto quel pomeriggio dopo la scuola.
Junnosuke storse leggermente il naso. Avrebbe dovuto studiare, ecco tutto. Per il karaoke c’era sempre tempo una volta diplomati.
Tanaka gli gettò una rapida occhiata. A Junnosuke sembrò che tutti i suoi processi mentali si interrompessero all’istante.
Aveva paura di lui. Perché era imprevedibile. Non si potevano prevedere le sue mosse, in nessuna maniera.
Inaspettatamente, Tanaka lo ignorò e tornò a parlare con i suoi amici. Taguchi tirò un sospiro di sollievo e si sedette al proprio lontano, dalla parte opposta della classe. Cercò di non farsi prendere dal panico quando l’intera banda si alzò in piedi, ma anche questa volta, il loro obiettivo non sembrava essere lui.
Lasciarono l’aula proprio mentre entrava il professore.
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Taguchi non riusciva a concentrarsi sullo studio. Si trovava al doposcuola, mancava veramente poco agli esami di ammissione all’università e non poteva permettersi nessuna distrazione.
Ancora un po’ e finalmente la sua vita da liceale sarebbe finita e avrebbe iniziato la carriera da universitario lontano da Tokyo, in qualche Accademia di Arti, magari nell’Hokkaido.
Gli sembrava abbastanza lontano da casa e lontano da Tanaka Koki.
Eppure in quel momento, mentre stava ripassando le nozioni di fisica, che proprio non gli entravano in testa, un brutto presentimento gli percorse la colonna vertebrale.
Rabbrividì, smettendo definitivamente di studiare.
Sì alzò e lasciò l’aula di studio. Una volta a casa, dopo aver chiacchierato un po’ con sua madre prima di cena, magari sarebbe riuscito a combinare qualcosa.
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Tanaka Koki non riusciva a capacitarsi di come Junnosuke Taguchi riuscisse a presentarsi a scuola, giorno dopo giorno, nonostante tutto quello che gli accadeva.
La sua presenza lo irritava, profondamente.
Sempre gentile, educato e sorridente. Aveva voglia di strappargli quel sorriso dal volto, di vederlo soffrire.
Voleva che la smettesse di essere così maledettamente ottimista, eppure nulla di tutto quello che gli faceva riusciva a piegarlo.
Perché, perché, perché rimaneva sempre in piedi nonostante non pensasse ad altro a come piegarlo?
Alla fine Tanaka Koki optò per l’unica soluzione rimasta.
Era drastica, ma finalmente Taguchi sarebbe uscito dalla sua testa e lo avrebbe lasciato in pace.
Sarebbe tornato alla sua vita, senza quell’irritante sorrise dentro il cervello.
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Junnosuke fu spintonato dentro uno sgabuzzino della scuola da Koki. Non c’era nessuno a fargli da spalla.
Dentro la stanza semibuia c’era solo loro due e Tanaka poteva avvertire il respiro terrorizzato scivolare lievemente dalle labbra del compagno.
Voleva che la smettesse di essere sempre un passo avanti a lui, nonostante tutto.
Non lo sopportava.
Tanaka gli diede un pugno in volto, per stordirlo. Lo studente cadde a terra, sbattendo fra le scope, gli strofinacci e i secchi.
Koki si sedette sopra di lui, gli afferrò i polsi e li legò ad uno scaffale e dalla borsa prese un pezzo di scotch, per impedirgli di parlare.
Junnosuke si agitò nonostante il proprio corpo fosse premuto da quello di Tanaka. Il più basso armeggiò con nervosismo con la cintura dei pantaloni, lasciandolo nudo.
Tanaka non riusciva a tenere fermo il compagno e per di più non riusciva ad eccitarsi. Si alzò in piedi, iniziando a sfogare la sua frustrazione su Junnosuke, sempre più inerme.
Alla fine l’altro non si mosse più, probabilmente troppo dolorante per fare qualsiasi cosa.
Koki riprese il suo posto fra le gambe dell’altro e, dopo aver toccato per qualche minuto il corpo ansimante per il dolore di Junnosuke, si scoprì, con terrore, eccitato.
Odiava Taguchi per tutto quello che gli stava facendo passare.
Prima gli penetrava nel cervello, obbligandolo a focalizzare su di lui tutta la sua vita e adesso, quando non aveva più niente, scopriva che lo eccitava.
Non era frocio.
Non lo era. Non gli piacevano gli uomini, lui odiava tutti, indiscriminatamente.
Non gli piaceva sentire le mani di altre persone sul proprio corpo e non gli piaceva di certo metterlo nel culo a qualcun altro.
Ma Junnosuke era diverso.
Lo eccitava.
E lo odiava per questo. Lo odiava perché lui non era… diverso.
Lui era normale.
Perfettamente normale.
Normale, come tutti quanti gli altri.
Quello che stava per fare non significava nulla. Era solo un modo per evitare di essere ossessionato ancora da Taguchi.
Perché se non lo avesse più visto, allora si sarebbe finalmente liberato di quel demone che lo ossessionava.
Perché se fosse finalmente riuscito a piegarlo forse… forse sarebbe stato solo suo e di nessun’altro.
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Furono degli insegnanti, il giorno dopo a ritrovare Taguchi, svenuto nello sgabuzzino. Era seminudo, con le mani ancora legate allo scaffale e pieno di lividi, tagli e ferite di ogni sorta.
Fu portato d’urgenza in ospedale. Vi rimase ricoverato per circa una settimana.
Dal risveglio non aveva aperto bocca. Non guardava nessuno.
Sembrava perso nel suo mondo e nulla di quello che le persone intorno a lui sembrava scuoterlo.
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Fu dimesso due giorni prima di Natale.
Taguchi girava, senza avere apparente coscienza di sé, per il proprio quartiere. Entrò in un conbini, comprò una rivista e un panino confezionato.
Uscì e l’aria fredda della notte lo colpì in pieno voltò.
Rimase fermo qualche secondo, respirando a pieni polmoni l’aria della notte. S’incamminò senza sapere dove avrebbe mangiato. Forse su una panchina, al parco vicino casa, dove da piccolo giocava sempre con i suoi amici e sua madre.
Abbozzò un sorriso.
Quei ricordi gli facevano ricordare che, comunque sia, lei gli voleva sempre bene. Gli era stato sempre vicino, in ogni momento. Da quando si era risvegliato, fino a poche ore prima, quando era uscito.
Girò l’angolo e prese la via principale. Arrivò al parco, poco illuminato e si sedette su una altalena vuota. Infilò la rivista nella borsa a tracolla e iniziò a scartare il panino.
Improvvisamente, sul marciapiede, passò Tanaka Koki. Era da solo e camminava velocemente.
Il panino gli cadde di mano. Iniziò a tremare, mentre i ricordi gli affollavano la mente, mentre quei momenti, ormai impressi a fuoco nel suo cervello, scorrevano senza sosta, come un film dell’orrore che non puoi fermare.
Si alzò, meccanicamente e iniziò a seguirlo.
Tanaka svoltò per un vicolo e l’occhio di Junnosuke cadde, forse volontariamente o forse no, su una trave di legno, appoggiata insieme ad altre cassette di legno abbandonate.
La prese, senza sapere esattamente cosa avrebbe fatto.
Tanaka si fermò, il cellulare gli squillava.
Taguchi si avvicinò, senza fare rumore. Continuava a tremare. Continuava a sentire quelle mani luride che lo toccavano, che lo stupravano.
Continuava a sentire il corpo caldo di Koki entrare dentro il suo, profanarlo, violentarlo.
Lo odiava. Lo odiava. Lo odiava.
La trave di legno si abbatté una prima volta sulla testa di Tanaka. Il cellulare gli cadde di mano, cadendo poco lontano dal corpo di Koki.
Il cervello di Taguchi si annebbiò.
Vedeva, ma senza riuscire a fermarlo, il proprio braccio che scagliava più e più volte la trave contro lo studente.
Da ogni cellula del suo corpo trasudava solo odio.
Il sangue gli schizzava addosso. Non sentiva niente. Solo il nulla che lo avvolgeva come una campana di vetro.
Solo l’odio e il nulla.
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Taguchi Junnosuke fu ritrovato dagli infermieri privo di vita, la mattina dopo essersi guardato allo specchio.
Aveva ricordato perché era finito, dopo quella lunghissima e infinita notte, in un misero ospedale psichiatrico.
Aveva ricordato perché aveva ucciso Tanaka Koki. Aveva ricordato quella sensazione di umiliazione, quelle mani, quegli occhi che tanto lo odiavano e lo ossessionavano.
Voleva ricordare. Anche se non sapeva a che cosa sarebbe andato incontro.
Non aveva preso nessuna delle medicine che gli erano state prescritte. Nessuna. E allora, una volta steso nel letto, aveva ripreso a ricordare.
Aveva pianto.
Si era disperato perché tutto quello che aveva ricordato lo gettava nell’oblio.
Poi si era alzato, di nuovo.
Aveva rotto il vetro dello specchio, nonostante la prognosi del dottore che lo aveva in cura affermava con una certa sicurezza che non aveva tendenze suicide.
Aveva stretto fra le dita quel pezzo di vetro e poi, era tornato sul letto.
Aveva alzato la mano, osservando quella piccola arma e poi si era tagliato le vene.
Adesso Tanaka Koki aveva vinto.
Era morto e la sua presenza non avrebbe più potuto ossessionarlo così tanto.
Anche Taguchi Junnosuke aveva vinto.
Era morto e la presenza del compagno di scuola non lo avrebbe più ossessionato così tanto.
Fine