Cow-t, quinta settimana.
Prompt: Gemelli
Numero parole: 1047
Nota: in una qualche versione vecchia di Voltron spuntava un Ryu, credo, come fratello gemello di Sven/Shiro. Mi sono basata sulle
fanart di Mizu no Akira per questo Ryu.
Ci fu un periodo, nell’anno in cui Takashi Shirogane fu dichiarato morto durante la missione Kerberos, prima che facesse ritorno sulla Terra, anche se solo per un’unica notte, in cui Keith scomparve dalla circolazione.
Non che già prima fosse una presenza costante nella piccola cittadina del Texas dove viveva, abitando molto fuori dalla periferia ed essendo un tipo particolarmente solitario. Ma nessuno, per quasi un mese, lo vide più.
Nell’incoscienza, Keith avvertì qualcosa sulla spalla. Una presa salda, che lo scosse con poca premura. Il ragazzo aprì gli occhi, non così in fretta, la testa dolorante per la notte insonne e il riposo troppo breve.
Inquadrò sfuocato il viso di chi gli stava sopra e soffiò fuori un nome prima che la coscienza tornasse completamente alla realtà.
« Shiro… »
« Nope, kiddo, sempre io » la mano dell’uomo si spostò a scompigliare i capelli di Keith, svegliandolo completamente. Quando Keith tentò di allontanare il braccio malamente, questo era già lontano. « Se vuoi continuare a dormire sul mio divano voglio i soldi dell’affitto »
Keith era già in piedi, l’intontimento da sonno passato. Maglietta e pantaloni erano sgualciti e in generale aveva bisogno di una doccia, per non parlare dei capelli ormai cresciuti, sparsi in tutte le direzioni. L’espressione, con le occhiaie, nascondeva sotto l’ostinazione tutto il dolore del sentirsi solo.
L’uomo, schiena ampia e appena coperta da una canotta vecchia e macchiata di grasso per motori, sulla spalla il tatuaggio stilizzato di un ingranaggio, si era voltato a sistemare alcune cose su quello che doveva essere un tavolo da cucina ma ingombro di qualsiasi cianfrusaglia, dalla posta a una scatola di ricambi, a due ciotole impilate da colazione, lattine di birra lasciate a metà e cenci che probabilmente erano vestiti.
« Hai un aspetto spaventoso, se vuoi usare il bagno prima di andartene offre la casa. Dai due colpi alla caldaia se fa i capricci »
« Non me ne vado se non vieni con me alla Garrison, Ryu »
L’uomo chiamato Ryu gli lanciò appena un’occhiata da sopra la spalla, tornando a scartabellare con le buste della corrispondenza, tra pubblicità e bollette, più interessanti dell’ennesima richiesta, uguale a quella della sera prima, del pomeriggio prima, della mattina prima. Ne avevano già discusso fin troppo, per questo il padrone di casa, grattandosi sovrappensiero il petto, continuò a ignorarlo. Da un lato sperava servisse a farlo demordere, dall’altro sapeva con chi aveva a che fare.
Keith fece il giro del tavolo, piazzandoglisi davanti.
Ryu alzò gli occhi per incontrare i suoi, sorprendendosi che il ragazzo non abbassasse lo sguardo. Fino a quel momento non era riuscito a guardarlo in faccia più di un tot.
Increspando le labbra ironicamente, e sollevando le sopracciglia con fare stupito, l’uomo emise un fischio basso, canzonatore.
« Oh, ciao Kitty. Hai trovato il coraggio di guardarmi in faccia? Mi sento commosso, potrei offrirti un caffè, se solo la piantassi di- »
« Glielo devi »
« … insistere. Appunto »
« È tuo fratello »
Ryu roteò gli occhi, buttando le lettere sul tavolo e piantandosi le mani sui fianchi, mettendo in mostra il torace largo, la pelle abbronzata e i vestiti usurati da meccanico. Gli occhi di Keith guizzarono al movimento, per la stanchezza e per quanto il gesto gli risultasse così diverso. L’uomo non vi fece caso.
« Era mio fratello. Fattene una ragione »
Fu come gettare benzina sul fuoco. Keith piantò le mani sul tavolo, incurante di far cadere qualcosa per terra nell’urto. Aprì bocca, ma fu per prendere fiato principalmente, un respiro che sembrava una sorsata d’acqua stagnante. Non si sarebbe fatto remore a usare i pugni. La voglia c’era, il bisogno di sfogarsi pure. Stava convivendo tra rabbia e disperazione, era come cercare di bilanciarsi tra un tornando e una tormenta di neve, in mezzo solo qualche ora di sonno ogni tanto.
E Ryu non era Shiro. Non lo era, non lo sarebbe mai stato. Non era che un’ombra uguale a lui. Erano gemelli, ma solo d’aspetto. Ryu era così maledettamente uguale a Shiro che a Keith faceva male il petto a guardarlo, perché era un’illusione dolorosa, e la tentazione di abbracciarlo, quando era arrivato lì il primo giorno, era stata tremenda da contenere.
« Se tu andassi alla Garrison- »
« Cosa, Keith? A fare cosa? Ti sei fissato con questa storia che ti stiano nascondendo qualcosa! »
« UN ERRORE DEL PILOTA! » Keith esplose. Aveva urlato, buttando a terra cose che neanche sapeva cosa fossero, rompendole. Non si trattenne più, non quando la rabbia prese il sopravvento e finalmente ebbe l’attenzione di Ryu. « Hanno dato la colpa a Shiro! »
« Mio fratello non era un dio, Keith, anche lui- »
« No! Shiro non commette errori se di mezzo ci vanno i suoi compagni! »
Ryu rimase in silenzio, il viso rigido e concentrato a sondare il volto pallido di Keith, il suo affanno e le lacrime. Non se ne era accorto, ma stava piangendo, e Ryu aveva un pessimo rapporto con i pianti, ma prima ancora con le cose che riguardavano suo fratello. Che fossero oggetti o persone.
Takashi, il ragazzo d’oro. Non ce l’aveva con lui, ma con tutto quello che lo circondava e gli ricordava quanto fossero diversi.
La verità era che ancora stentava a crederci. Si costringeva a usare il passato per abituarsi alla sua scomparsa. Non che fossero chissà quali fratelli, loro due, non più da tempo.
Si massaggiò il petto di nuovo. La presenza di quel ragazzino, quel randagio di cui Takashi gli aveva parlato qualche volta, lo stava mettendo a dura prova.
Forse doveva dargli almeno una possibilità di spiegarsi, anche solo per tutto l’attaccamento e la fiducia che stava dimostrando alla memoria del fratello.
Sospirò arrendevole.
« Facciamo così: tu ti vai a fare una doccia e poi parliamo, va bene? »
Keith si calmò all’improvviso. Fu come se la collera che aveva appena buttato fuori gli si sciogliesse addosso, scivolando via. Si passò le mani sul viso, pulendosi le lacrime e ricomponendosi.
« Grazie » e lo disse con tono di sollievo, anche se rauco.
Keith lo fissò ancora negli occhi, e Ryu, rimasto impressionato sin dalla prima volta dalla sfumatura violacea, dovette ammettere che suo fratello aveva davvero buon gusto.