(Voltron) Don't want to close my eyes

Feb 09, 2018 20:20


Cow-t, quarta settimana.

Numero parole: 1702

Don't want to close my eyes

I don't want to fall asleep

'Cause I'd miss you baby

And I don't want to miss a thing

'Cause even when I dream of you

The sweetest dream will never do

I'd still miss you baby

And I don't want to miss a thing

[I don’t wanna miss a thing - Aerosmith]

Sam Holt aveva esposto il piano che avrebbe portato Voltron a sconfiggere Zarkon e l’Impero Galra una volta per tutte. Si rivelò essere un piano suicida.

Le probabilità di uscirne vivi erano così poche che gli astanti se ne accorsero anche senza bisogno dei calcoli definitivi.

Voltron sarebbe stato distrutto e loro con lui.

« Voglio tornare sulla Terra un’ultima volta »

Lance era stato sintetico e deciso. Non era una domanda o un’opzione. E non ebbero bisogno di discuterne molto.

I primi ad appoggiarlo furono Matt e Pidge. Il signor Holt stava morendo; la prigionia lo aveva debilitato e infiacchito, la sua psiche era stata compromessa dalle torture e le analisi mediche non regalavano speranze. I due fratelli erano intenzionati a riportarlo a casa, dalla moglie, perché passasse i suoi ultimi momenti insieme a lei.

Nessuno degli altri obiettò, ma non espresse neanche entusiasmo. Si trattava pur sempre di tornare per dire addio ai propri famigliari, alla vita che troppo presto avevano salutato.

Tre giorni. Il tempo di tre albe e tre tramonti, ritrovare le costellazioni estive ma non poter aspettare di rivedere quelle invernali. Non avere il tempo di imparare il tormentone del momento alla radio e men che meno spiegare nei dettagli dov’erano stati e dove dovevano tornare.

Si diedero appuntamento di lì a settantadue ore. Coran sarebbe rimasto in orbita intorno al pianeta, schermando i satelliti umani in modo da non venir scoperti. Si sarebbero mossi con un teletrasporto approntato da Slav in un momento di noia, ognuno dotato di un dispositivo per il rientro in qualsiasi momento, nel caso i saluti fossero stati troppo pesanti da sopportare.

Matt e Pidge, con il padre, furono i primi a lasciare il Castello dei Leoni. Hunk partì subito dopo, ricordandosi un attimo prima di dire a Lance di salutargli la sua famiglia. Shiro e Allura sarebbero stati gli ultimi, insieme alla bambina che la principessa altea aveva dato alla luce circa otto mesi prima; prepararla per lasciarla sulla Terra, dai nonni paterni, era stata la decisione che i neo genitori avevano preso per assicurarsi che sopravvivesse. Gli addii alla piccola speranza del gruppo erano stati quello che aveva fatto capire a tutti che non sarebbero tornarti indietro.

Prima di loro, rimasero solo Lance e Keith, ma quest’ultimo non sembrava in attesa di teletrasportarsi.

« Non hai nessuno da salutare? »

« Mio padre se ne è andato quando ero piccolo, non ho idea di dove sia. Se è vivo »

Lance lo prese per la mano. Era particolarmente deciso quei giorni. La guerra lo aveva cambiato, la cicatrice sul suo occhio a testimoniarlo. Era sempre lui ma meno tentennamenti, meno buffonate.

« Voglio farti conoscere la mia famiglia »

E le coordinate del teletrasporto li portarono entrambi a Varadero, Cuba.

Era la sera del secondo giorno.

Il primo era scivolato via tra pianti, abbracci, telefonate, feste per il ritorno di Lance a casa. Lui non era riuscito a impedire tutto quello, a smorzare gli entusiasmi o le lacrime. Si rendeva conto che si stava facendo solo del male, ma ne aveva bisogno.

Sua madre era la persona che più di tutte le era mancata e difficilmente si staccò da lei. Nessuno chiese più di una qualche spiegazione - neanche della presenza e dell’intesa tra lui e Keith - non dopo quasi sei anni in cui era stato dichiarato morto, almeno per il mondo.

Per i suoi, per i suoi fratelli, la speranza non se ne era mai andata e Lance la ritrovò incisa nelle rughe dei loro volti, nei capelli bianchi dei suoi genitori, nei racconti di come avevano cercato di sapere la verità. Di cose ne avevano provate, ma purtroppo l’unica strategia che aveva funzionato era stata quella dell’attesa.

Tra tutti, però, sua nonna non era riuscita ad aspettarlo, andandosene un paio di anni prima. I suoi gli consegnarono due lettere, una sigillata e scritta di pugno dalla calligrafia dell’anziana, e un’altra, in una busta avorio prestampata con i dati di un avvocato, dove c’era parte del suo testamento. La casa di Varadero che era stata di sua nonna era stata intestata a Lance, come ultimo gesto nella speranza che il ragazzo tornasse.

A distanza di due giorni, Lance aveva ancora entrambe le lettere con sé, ficcate nelle tasche della giacca, ed era intenzionato a portarsele nello spazio fino alla fine.

Keith si sedette di fianco a lui sul vecchio molo della casa sulla spiaggia che era stata di sua nonna. Era basso, abbastanza da permettere a entrambi di tenere i piedi ammollo.

« Questa casa è mia » esordì Lance, un sorriso biricchino che andava da orecchio a orecchio. La luce non era molta, ma Keith lo notò lo stesso. « Ho deciso che passeremo la notte qui, ho già avvertito i miei. Ti porterò a vedere la mia vecchia stanza e la cucina, dove mia nonna sfornava il cibo migliore che si potesse mangiare in tutta Cuba. Ti sarebbe piaciuta e tu saresti piaciuta a lei. Adorava i randagi »

Keith annuì e riuscì anche ad accennare una smorfia di sorriso, ma non disse nulla. L’alone di tristezza che avvolgeva Lance era sottile, ma diventava più resistente man mano che le ore passavano. I suoi sorrisetti e le sue parole riuscivano quasi a essere sinceri, ma in un momento in cui Lance era stato fuori con i suoi nipoti, Keith aveva origliato per sbaglio una conversazione tra i signori McClain. Era stata pronunciata tutta in spagnolo, non aveva capito nulla, ma i singulti, le nuove lacrime, non avevano avuto bisogno di traduzioni. Anche se Lance non l’aveva detto, loro sapevano che se ne sarebbe riandato di lì a breve.

« Sai… vorrei fare l’eroe » ricominciò Lance, falciando l’acqua come un bambino, ma interrompendosi dopo appena un paio di calci. Rimase a fissare la superficie scura del mare, cupa e senza apparente fondale nella notte. « Vorrei lasciare almeno Pidge sulla Terra. Come quei vecchi film in cui il protagonista finge che si andrà insieme fino in fondo e poi all’ultimo si sacrifica e salva almeno uno degli altri personaggi »

« Senza Pidge, Voltron- »

« Lo so Keithy Boy, lo so… è che non se lo merita. Ha sacrificato più di tutti noi per ritrovare suo fratello e suo padre, e ora il signor Holt sta anche per morire e lei non potrà rimanere con lui fino all’ultimo. Non si merita di tornare lassù a soffrire con noi… » si interruppe per rialzare la testa verso quel lassù appena nominato e scrutarlo come a cercare gli orrori che per sei anni avevano contrastato e che, fino all’ultimo, si stavano portando via il meglio di loro. Eppure era solo un’immensa volta celeste piena di stelle. « Shiro e Allura non meritano di abbandonare la loro bambina, neanche Hunk merita di- »

« Nemmeno tu »

Il cielo perse di importanza. Lance abbassò lo sguardo su Keith.

« … mi hai appena detto una cosa carina? »

« Non dovresti tornare »

« Non sono indispensabile anche io per Voltron? »

« Lo sei anche per la tua famiglia. Gli spezzerai il cuore »

« Crudele e sincero » sbuffò Lance, appoggiandosi con la testa alla sua spalla, chiudendo gli occhi. Respirò a fondo, per percepire anche il suo odore, sentendone il bisogno. Quando avrebbero messo in atto il loro piano, sarebbero morti insieme, ma pur sempre lontani. Nei giorni successivi ci sarebbe stata un’ultima volta in cui lo avrebbe baciato, in cui lo avrebbe sentito nudo contro la propria pelle, un momento in cui le loro dita si sarebbe toccate e poi ci sarebbero stati solo i passi che li portavano ai rispettivi leoni. Aprì gli occhi, perché aveva bisogno di vedere Keith il più possibile.

Fu Keith a scostarsi e a prendergli il volto tra le mani. Non aveva quasi detto una parola in quei due giorni. Era stato una presenza, una cornice. I suoi lo avevano accolto come se ci fosse sempre stato, intuendo che forse se la loro briciola era lì era anche grazie a Keith - che in effetti gli aveva salvato la vita più di una volta - o forse perché avevano capito che doveva essere importante. Si accorse in quel momento che nessuno aveva fatto battute riguardo al suo “aver cambiato sponda”, o simile. Gli avevano solo dimostrato tutto l’affetto che un figlio creduto morto meriterebbe. Avevano combattuto contro la rassegnazione, contro chi gli aveva sbattuto in faccia documenti siglati che lo davano per scomparso a tempo indeterminato, contro il tempo che passava. E quando lo avevano riavuto, lo avevano semplicemente amato.

E ora Lance stava per abbandonarli di nuovo. Dovette farsi coraggio a dire quello che seguì.

« La mia famiglia è forte. Credono in me. Torno sapendo che li sto proteggendo. Vinceremo anche per loro e lo farò sapendo che nessun Galra si presenterà alla loro porta per renderli schiavi »

« Lance » Keith sembrava a corto di parole, nonostante gli stesse esplodendo un mondo dentro. Ma lui era così, incapace di esprimersi. « Ci hai già dati per spacciati »

« È un piano suicida, cosa dovrei pensare? »

« A non fare nulla di stupido »

Lance dovette baciarlo. Sembrava che i loro ruoli si fossero invertiti, che quello avventato fosse diventato lui, mentre Keith esprimeva i suoi timori. Le cose erano davvero cambiate negli anni.

Rimasero fronte contro fronte, dita intrecciate, il battito del cuore nelle orecchie.

« Se ne usciremo vivi… ti porterò a vivere qui. Promesso »

Mamma,

lo so che avevo detto che sarei rimasto fino a domani sera… ma è difficile dirvi addio. Avremmo passato un’altra giornata abbracciati a piangere, ma poi non saremmo riusciti a separarci. Non volermene…

Ma non tornerò. È la mia ultima possibilità di essere sincero e non voglio che tu possa passare anni ad aspettarmi perché sono tornato una volta dopo che mi hai creduto morto.

Non farlo mamma, non aspettarmi. Lo so che ti sto scrivendo delle cose terribili, ma sono partito perché vi voglio bene e ho intenzione di difendere la mia famiglia fino all’ultimo respiro.

Sei la madre migliore che potessi mai avere.

Grazie di tutto. Vi voglio bene.

Lancey Lance

voltron, cow-t

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