[RPF Figure Skating] The four seasons [R - Capitolo 3/4]

Oct 19, 2010 18:17

Ttitolo: The Four Seasons
Autore: Meggie
Rating: R
Pairing: Stéphane Lambiel/Johnny Weir
Genere: Angst, Romantico
Avvisi: Slash, What if
Riassunto: È solo un gioco, un modo per passare il tempo.
Poi Johnny cade, e lo scherzo finisce.
Poi Johnny non può più partecipare alle Olimpiadi, ed è la vita, che sembra finire.
Ma il ghiaccio non è l’unica cosa che inizia a frantumarsi sotto le lame dei pattini.




The Four Seasons

# 3
Spring

Non era stato il colpo di testa di un momento. Il dispiacere di non aver vinto, la frustrazione di aver perso quell’unica medaglia che desiderava. Si era semplicemente ritrovato a non avere più una motivazione. E senza motivazione, dove poteva andare? Senza motivazione, come avrebbe potuto scendere in pista? Come avrebbe potuto guardare i suoi fan sapendo di non stare dando il massimo, di essere lì solo per una presenza?
Il suo lavoro non consisteva nel timbrare un cartellino. Il suo lavoro era passione. Passione e determinazione e motivazione.
Comunque lo sapeva, lo sapeva ancora prima delle Olimpiadi che non sarebbe andato ai Mondiali. Sia in caso di vittoria che di sconfitta. Lo sapeva, perché dai Mondiali aveva ottenuto tanto. Tutto. Tutto quello che poteva desiderare e per più di una volta. Era bello vincere una medaglia d’oro. Era un sogno poterla vincere una seconda volta.
Ma poi… poi c’era altro. Altro oltre ad una vittoria.
Era uscito sconfitto dalle Olimpiadi, ma in qualche modo se n’era fatto una ragione. In qualche modo, non poteva continuare a ripercorrere la strada degli ‘E se’ o ‘magari’. Era andata così. E da così, non si poteva cambiare.
Per quanto fosse doloroso, Stéphane aveva deciso di chiudere lì tutto quanto. Di trovare altre motivazioni, motivazioni che andassero al di là di una medaglia al collo, al di là di un podio, al di là del concetto di gara con gli altri. Ora era solo una gara contro se stesso.
Il suo peggior nemico. E il suo più fidato alleato.
Aveva deciso di buttarsi su altro. Per poi annunciare il suo definitivo ritiro dalle competizioni.
Thin Ice era stato divertente. Era stato un diversivo. Shizuka era stata fantastica.
Per una volta aveva gareggiato prima di tutto per intrattenere. Non per inanellare una serie di salti. Non per mostrare i passi più articolati e veloci. Ma per trasmettere al pubblico la sua passione.
Thin Ice era stato divertente. Ma, anche lui, era finito.
E uscito da lì, tutto era diventato più sicuro. Più certo. Più ufficiale.
Aveva definitivamente detto addio alle gare.
E faceva un po’ paura svegliarsi al mattino, andare là fuori e… non sapere. Non sapere cosa fare, di preciso, della propria vita.
Non sapere più chi essere.
Eppure lo sapeva da… da sempre. Lo sapeva quando era tornato, lo sapeva quando aveva fatto di tutto per andare alle Olimpiadi, che non sarebbe mai andato a Torino. Però, dire addio - dire addio per sempre, questa volta. Non per un paio d’anni. Non per vedere e poi chissà - a quello che era il suo mondo, era stato difficile.
E in quel momento, gli era tornato in mente Johnny.
Johnny che non sentiva da… sì. Da allora. Da quel momento.
Dal bacio.
Johnny che un po’ gli mancava, perché uno come lui, una volta che lo facevi entrare un po’ nella tua vita - o che lui ti concedeva di entrare un po’ nella sua - non riuscivi a togliertelo dalla testa.
Non riuscivi a prenderlo e metterlo da parte, perché continuava a tornare nei tuoi pensieri.
I pensieri di Stéphane, in quel periodo, erano estremamente affollati. Johnny doveva farsi strada a suon di occhiate e movenze leggiadre, ma alla fine conquistava sempre la prima fila. E più passava il tempo, più le ore e i giorni si accumulavano, mettendosi tra Stéphane e quel giorno - quel giorno in cui Johnny aveva deciso di doverlo baciare -, più Johnny si riposizionava lì, in bella mostra.
Stéphane aveva un mucchio di pensieri per la testa.
Eppure, quando pensava a Johnny, gli sembrava che tutto il resto perdesse di importanza.

******

I mondiali, alla fine, li aveva seguiti da casa. E li aveva seguiti con la passione di un tifoso e l’occhio di un critico. Aveva appuntato mentalmente gli sbagli, si era congratulato con le vittorie, aveva sofferto nelle cadute.
Vederlo da fuori era sempre diverso. Non peggiore e non migliore. Semplicemente diverso. Era diverso non sentire quella gamma di emozioni che ti scuotevano tutto, dalla testa ai piedi, appena prima di entrare in pista. Era diverso non percepire il freddo del ghiaccio contrastarsi in una lotta per la supremazia con il calore del pubblico.
Era diverso perché lui era il pubblico, ora.
Era quello il massimo delle emozioni possibili, ora. Le altre non erano più disponibili.
Non era un bene e non era un male. Era solo diverso.
Si chiese se anche Johnny provasse le stesse cose nel vedere tutto da fuori.

******

Quando aveva saputo che ci sarebbe stato anche Johnny, tutto il suo corpo era rimasto come sospeso nel tempo.
Non aveva potuto impedirsi di sorridere, di pensare un ‘Lo rivedrò’scontato e banale. Quasi infantile.
E dall’altra parte, era stato colto da un attacco di panico bello e buono, di quelli che ti fanno tremare le gambe e non ti fanno più ragionare.
Che poi, era assurdo. Assurdo che lui si sentisse così per un bacio tra due mezzi ubriachi. Era un bacio, piuttosto insignificante e caratterizzato da una generale instabilità mentale dei due protagonisti. Era capitato e basta.
Stéphane, però, ogni tanto ci ripensava.
Si arrabbiava con se stesso per non riuscire a ricordarselo perfettamente. Per avere solo un miscuglio confuso di sensazioni e mezze parole e il sapore dell’alcool. Non era un vero ricordo, era la sua fotocopia sbiadita.
Forse era meglio così, forse era meglio che non ricordasse tutto tutto. Ma gli sarebbe piaciuto.
Gli sarebbe piaciuto avere nella mente l’esatta sequenza di quella serata, in modo da vederla e rivederla ogni volta che l’avesse ritenuto opportuno. Invece doveva accontentarsi di ciò che aveva.
Così, quando aveva saputo che anche Johnny sarebbe stato in Russia, che anche Johnny, nonostante tutto, era stato fortemente voluto da Evgeni, non aveva potuto farci niente. Ci aveva ripensato.
Poi, aveva afferrato il cellulare.

******

L’aveva rivisto in albergo.
E Stéphane aveva ringraziato di non essere su una pista. Di non dover seguire degli schemi. Di non dover pensare alle prove o alla musica o agli altri.
L’aveva rivisto in albergo, con Tara, e gli aveva sorriso. E non aveva capito cosa stesse provando.
Era strano. E diverso da tutto il resto.
Forse era diverso perché Johnny era un uomo. Forse era diverso perché era Johnny e basta.
Quando stava con Carolina era tutto molto bello e molto semplice. Sì, allora sembravano esserci problemi insuperabili, come la distanza, la lingua, gli allenamenti e gli ormoni che ti facevano rimpiangere di avere una ragazza a chilometri di distanza. Ma il sentimento, quello che c’era tra loro due, era qualcosa di estremamente semplice. Quasi più da fratelli che da amanti. E poi era finita. Era finita una storia ed era proseguita un’amicizia più importante della storia stessa, quindi non è che si fosse mai lamentato.
Con Johnny era diverso. E non perché, in effetti, una storia proprio non ci fosse, ma perché non aveva più diciott’anni. E non poteva comportarsi come se invece li avesse ancora. Erano più grandi, più adulti, diversi dai ragazzini di un tempo.
Quando ti innamori nell’adolescenza, sei così preso che non pensi a nulla. Neppure al fatto che sarai a chilometri dalla tua ragazza.
Ma quando ti innamori a venticinque anni, pensi ad un mucchio di cose. Pensi che potrebbe essere qualcosa di serio, di veramente serio. E che i chilometri potrebbero essere anche di più, rispetto ad una distanza quasi banale come Germania-Svizzera.
Gli Stati Uniti erano al di là di un oceano.
Poteva realmente innamorarsi? Poteva rischiare tutto?
Forse era solo una cotta. E le cotte vanno e vengono.
Forse non a venticinque anni, però.
Johnny si mise gli occhiali da sole sulla testa e gli sorrise. “Ciao Stéphane” La sua voce era stanca, ma serena. Sembrava felice.
“Ciao Johnny.”
Stéphane ebbe appena il tempo di rispondere al suo saluto, prima che Johnny lo superasse, lanciandogli un’occhiata divertita.
Avrebbe voluto abbracciarlo, ma Johnny era già arrivato all’ascensore, trascinandosi dietro quelle enormi valige, e Stéphane pensò che probabilmente voleva solo arrivare nella sua camera abbastanza in fretta.
Quando le porte dell’ascensore si richiusero, impedendogli di continuare a fissare il sorriso di Johnny, rilasciò un respiro che neppure si era accorto di trattenere.
Johnny era lì.
Stéphane si ricordò quando gli aveva mandato quel messaggio. Sono contento che ci sia anche tu.
Johnny gli aveva risposto con un Non potevo non esserci, che Stéphane non aveva saputo veramente decifrare.
Ma vedendolo entrare in quell’albergo e sorridergli e salutarlo con quello sguardo… Stéphane sperò di essere, almeno in parte, il motivo.
Forse era solo una cotta. E le cotte vanno e vengono. Ma per essere solo un qualcosa di passeggero, era terribilmente scombussolante.

******

Stéphane lo vide subito. E non pensò neppure per un secondo di non avvicinarsi a lui.
Doveva avvicinarsi a lui. Doveva parlargli.
Non di quello, ovviamente. Non era sicuro di volerne veramente parlare a colazione. Non era veramente sicuro di volerne parlare con attorno una miriade di persone diverse. Soprattutto, non era veramente sicuro di volerne parlare in assoluto.
“È libero?” chiese, aggiungendo un sorriso alla richiesta.
Johnny sollevò lo sguardo, prima di fargli un gesto con la mano per farlo accomodare. Cosa che Stéphane non si fece ripetere.
Si sedette davanti a lui, non prima di aver lanciato un’ultima, rapida, rapidissima occhiata alle gambe di Johnny avvolte in quei fuseaux neri che si ostinava a mettere ogni volta. Un uomo non avrebbe dovuto metterli. Ma un uomo, in genere, non aveva le gambe di Johnny.
“Mangi sempre così tanto. Non è giusto” borbottò Johnny, facendogli alzare lo sguardo.
“Dovresti mangiare anche tu di più”
Johnny scoppiò a ridere, scuotendo la testa. “Certo. Poi Galina la senti tu!”
Stéphane sorrise al ricordo di Galina. E dei suoi metodi… ferrei. Era un’allenatrice che non sarebbe mai andata bene per lui, anche se per un po’ ci aveva sperato. Ma per Johnny… per Johnny era l’ideale. Johnny aveva bisogno di qualcuno che lo imbrigliasse e che non cedesse davanti alla sua testardaggine.
A Johnny serviva qualcuno più testardo di lui.
Stéphane si chiese, per un solo istante - tanto che se ne vergognò subito e riprese a mangiare più veloce di prima -, se fosse qualcosa applicabile solo al pattinaggio.
Perché sapeva essere anche lui piuttosto testardo.

*****

Non si era ancora avvicinato a lui. Lo osservava da lontano, dal bordo pista, le braccia incrociate davanti a sé, la sciarpa attorno al collo e una stretta al petto. Era una sensazione strana. Sapeva che sarebbe successo, ma era strana comunque.
L’attendeva, ma non per questo l’avrebbe accolta.
Non la voleva. Gli riportava alla mente quello non voleva più ricordare. Se era passato, c’era un motivo. Se era passato, perché si insinuava nuovamente nel presente? Perché tornava a tormentarlo? Perché non lo lasciava in pace?
Johnny pattinava, eseguendo figure di una semplicità estrema se paragonate a ciò che sapeva fare solo un anno prima. Ma il ginocchio era quello che era.
Lui, Stéphane, lo sapeva bene. Era colpa sua.
Non dirlo.
La voce di Johnny, ogni volta che quel pensiero si infiltrava nella sua tranquillità quotidiana, lo combatteva. Alla fine vinceva lui, Johnny.
Johnny vinceva sempre.
Per lo meno nella sua testa.
La sensazione, comunque, rimaneva. Guardare Johnny avere delle difficoltà praticamente su tutto era straniante. Quello non era Johnny. Quello era…
Chi era?
Stéphane distolse lo sguardo. Non voleva avvicinarsi a lui. Non voleva neppure guardarlo, ma quello non riusciva ad impedirlo. Era più forte di lui. I suoi occhi lo cercavano, come per sincerarsi che fosse tutto a posto. Come se quella fosse veramente la prima volta che Johnny tornava in pista.
Ovviamente non era così. Ma per Stéphane sì. Stéphane, da quel giorno, quasi un anno prima, non l’aveva più visto pattinare.
Stéphane non aveva idea di come fosse in quel momento. Nella sua mente, Johnny era ancora quel ballerino classico con le lame al posto delle punte. Nella sua mente, Johnny era ancora perfetto.
Chi era quello?
Quando uscì dalla pista, Stéphane non riuscì veramente ad andarsene. Forse era colpa della musica che in quel momento veniva fatta riecheggiare nel palazzetto. Forse era colpa del fatto che conosceva quella musica.
Era quella di Johnny.
E lui non riuscì ad impedirsi di guardare.
Nonostante tutto, nonostante la semplicità estrema, Johnny sembrava bellissimo sul ghiaccio. E ciò era assurdo perché alcuni passaggi sembravano meccanici, privi di quella scioltezza che lo caratterizzava da sempre. Eppure…
Stéphane era il primo a sostenere che oltre alle qualità tecniche servisse dell’altro. Johnny aveva quell’altro. Johnny scivolava sul ghiaccio e ti raccontava una storia, una storia triste.
La sua, probabilmente.
Era stato stupido lui a non vederlo subito. A dubitare che quello non fosse Johnny solo perché mancava un salto o una trottola perfetta.
Sarebbero arrivate anche quelle. Mancava del tempo, ma sarebbero arrivate. Sarebbero tornate.
Stéphane lo guardò, non riuscendo ad impedirsi di sorridere, nonostante dentro di sé avesse ancora quella stretta che gli comprimeva ogni organo.
Era una storia triste, quella che stava raccontando Johnny, ma nel vederlo inginocchiato sul ghiaccio, mentre la musica faceva ormai risuonare le ultime note, Stéphane sperò che potesse avere un lieto fine. Che non fosse una caduta a segnare un’intera vita. Quanto piuttosto il rimettersi in piedi.
Quando Johnny si rialzò, a Stéphane sembrò che il peso al petto fosse come scomparso.

*****

Il Kings on Ice era andato bene. Stéphane era felice. Era felice perché sentiva il calore del pubblico. Sentiva la passione del pattinare dentro di sé. Era felice perché si era divertito, aveva riso, aveva scherzato, e non c’erano punteggi a cui sottostare o giudici da compiacere.
Johnny l’aveva abbracciato. Si erano abbracciati tutti, tutti e quattro. Lui e Brian ed Evgeni e Johnny.
Comunque, Johnny l’aveva abbracciato.
Stéphane aveva sentito il suo odore, il sudore non era abbastanza per riuscire a coprirlo.
Aveva sentito il suo odore e gli erano tornate in mente le sue labbra.
Aveva stretto maggiormente l’abbraccio e gli era tornato in mente il bacio.
Aveva desiderato non lasciarlo andare e gli era tornato in mente il momento della caduta. Anche allora non avrebbe voluto lasciarlo.
Johnny si era separato da lui e gli aveva sorriso, prima di districarsi dalle sue braccia per congratularsi con gli altri. Stéphane avrebbe voluto fermarlo.
Dovevano parlare. Forse.
Prima o poi avrebbero dovuto farlo.
Del bacio. Di loro due. Di che cosa stavano facendo. Di come Johnny lo spingesse via e poi lo afferrasse nuovamente con una semplicità disarmante.
“Johnny…”
Stéphane si interruppe quando Johnny inclinò la testa di lato, guardandolo da sotto le ciglia e con un sorriso minimo. “Dopo, Stéph…”
Poi, Stéphane lo lasciò andare, sciogliendo la presa sul suo braccio e vedendolo abbracciare Evgeni un attimo dopo.
Non sapeva cosa sarebbe successo dopo. Non sapeva neppure cosa volesse dirgli. Ma doveva trovare qualcosa. Perché non poteva continuare a pensare ad un bacio all’alcool e sezionare quella valanga di emozioni - e un paio di veri ricordi - in mille sfaccettature diverse, facendosi delle domande su ognuna di esse.
Forse per Johnny non era stato niente di importante.
E fu con quel pensiero che si accorse quanto peso ci aveva dato lui, invece.  
Fu con quel pensiero che si accorse di quanto ci fosse caduto dentro completamente.
Johnny era un ragazzo. Ed era suo amico. Ed era un ragazzo.
Johnny, però, era una persona splendida. E l’aveva baciato.
Forse l’aveva maledetto con un bacio. O forse era stato lui a scegliere di cadere nelle sue grinfie.  
Di tutti quei pensieri, l’unica cosa che in quel momento sapeva essere certa, era che ormai non avrebbe più potuto venirne fuori con la scusa di una semplice attrazione.
Merde.

******

Quando Stéphane aprì la porta dello scompartimento che divideva con sua sorella non si aspettò di trovare Johnny davanti a lui.
Che il viaggio in treno fosse una noia mortale, era indubbio. E che ognuno cercasse un modo per evadere, anche. Quando avevano saputo che avrebbero dovuto viaggiare in treno, molti avevano protestato. Alla fine, si erano tutti più o meno rassegnati. Loro compresi. E una cuccetta poteva essere anche più comoda di un sedile di un autobus a ben vedere. Solo che la cuccetta di Johnny e Brian era in fondo al vagone… e se si trovava lì, davanti alla sua, significava che…
“Hey.”
Johnny gli sorrise appoggiandosi contro il finestrino del treno, mentre Stéphane si affrettò a richiudere la porta dello scompartimento per non svegliare sua sorella.
“Che ci fai qui?”
Johnny si strinse nelle spalle, e Stéphane lo trovò adorabile. Indossava quelli che presumeva fossero i pantaloni del pigiama - dato che su di lui sembravano enormi tanto era abituato a vederlo con addosso cose strettissime - e la sua felpa azzurra di Sochi. “Speravo che uscissi?” rispose sottovoce.
Stéphane scosse la testa. “Avrei potuto non uscire mai. È notte, Johnny…” bisbigliò in rimando. Il treno era immerso completamente nel silenzio, ma da qualche cuccetta filtrava della luce, segno che non tutti stavano dormendo.
Forse non erano gli unici ad avere conti in sospeso.
“In quel caso sarei andato a dormire” concluse Johnny.
Stéphane si avvicinò a lui, ma quando stava per aprire bocca, fu ancora Johnny a parlare. “Credo che abbiamo qualcosa di cui parlare, no?”
Sembrava sereno. Tranquillo.
Forse era così che Johnny scaricava pretendenti che neppure si erano dichiarati tali.
Stéphane avrebbe preferito non saperlo.
“Lo penso anch’io…”
Johnny annuì, prima di incrociare le braccia al petto e voltarsi verso il finestrino. Al di fuori era tutto così scuro che avrebbero potuto essere immersi nel nulla. “Mi dispiace per quello che è successo dopo le Olimpiadi, Stéph” sospirò pianissimo, e il suo alito caldo andò a creare un alone bianco sul finestrino gelido del treno. “Mi dispiace se… se ti ho messo in difficoltà. O in imbarazzo. Non bevo spesso e quando bevo mi basta poco per…” si interruppe un istante, voltando il viso verso di lui per guardarlo in faccia “… per fare cose avventate, penso. E… non vorrei che-“
“Non mi è dispiaciuto” lo interruppe lui, senza spostare lo sguardo dagli occhi di Johnny. Era buio, riusciva a malapena a vederli, ma sapeva che lo stavano guardando. “Mi hai sorpreso e… sì, beh, non me l’aspettavo” ridacchiò sottovoce, passandosi una mano tra i capelli, “ma non mi è dispiaciuto”
Johnny inclinò la testa e a Stéphane ricordò un bambino piccolo. “No?”
“No.”
Rimasero in silenzio, a guardarsi nel buio e a soppesare ciò che si stavano dicendo. Tra le pieghe delle parole dette ce n’erano tante altre che pesavano molto di più. Ed entrambi lo sapevano.
“Immagino di dover cambiare il discorso che volevo farti, allora…” sussurrò Johnny.
“Ti eri preparato un discorso?” chiese Stéphane, ridacchiando.
“Più o meno… ma ormai non serve più.”
Stéphane annuì, non sapendo che dire. Appoggiò la fronte al finestrino gelido e un brivido lo scosse completamente.
Accanto a lui, Johnny sbuffò e Stéphane si avvicinò maggiormente a lui quando sentì che stava per parlare. Erano così vicini adesso. Avrebbe potuto baciarlo. “Senti, io in queste cose sono un disastro. Quindi… beh, diciamo che non è stata totalmente colpa dell’alcool. Non avrei mai fatto nulla senza il suo aiuto, ma… sì, non è totalmente colpa-“
Johnny non finì la frase.
Stéphane non sapeva cosa dire o come spiegarsi. Come spiegarsi per bene e sul serio. Aveva troppi pensieri per la testa, troppe alternative, troppe idee catastrofiche.
Una, però, sembrava giusta.
Quindi lo baciò.
E Johnny sembrò non aspettare altro da come gli strinse le braccia attorno al collo, sospirando contro le sue labbra e premendosi contro di lui.
Stéphane ricordava poco di quel bacio all’alcool, ma sapeva che questo era diverso. Lo sentiva da come Johnny si muoveva contro di lui, lo sentiva sotto la punta delle dita che sfregava contro la pelle dei fianchi scoperti di Johnny, lo sentiva da come avvertiva le guance andare a fuoco, da come, in un angolo della sua mente, pregò che nessuno uscisse nel corridoio in quel momento.
Era tutto molto più reale e tangibile. E più bello.
Questo bacio se lo sarebbe ricordato. Non ci sarebbero stati bicchieri di troppo da incolpare o una musica assordante o il dolore per una sconfitta. Qui era diverso.
Era vero.
Quando Johnny si separò da lui, Stéphane serrò le mani attorno ai suoi fianchi per non farlo allontanare. Se non se ne andava significava che sarebbe rimasto lì. Che sarebbe rimasto contro di lui.
Era caldo. E in quel corridoio gelido di quel treno immerso nella Russia sembrava quasi assurdo. Assurdo come quello che stava capitando loro. O che avevano fatto capitare.
“Stéphane…”
Stéphane sospirò, stringendo a sé Johnny e appoggiando la testa sulla sua spalla. “Credo che adesso abbiamo ancora più cose da dirci…” mormorò contro il suo collo. E quando Johnny rise piano, quasi sottovoce, riuscì a sentirlo attraverso la sua pelle.  
“Penso di sì.”
Stéphane annuì e si separò da lui. “Ma non so se questo sia un buon momento… domani dovremo essere in forma…”
Johnny si strinse nelle spalle e sorrise leggermente. “Tanto, dopo questo, non riuscirei comunque a dormire…”
Stéphane sorrise. Era vero, non sarebbe mai riuscito ad addormentarsi.
E per quanto affrontare tutto, affrontarlo veramente e non chiuderlo con un bacio di comodo, facesse decisamente più paura che non la sua cuccetta, sapeva anche che avrebbe potuto essere bello. Molto più bello di una notte passata a dormire su un treno.
Valeva la pena tentare.

****

Quando gli capitava il cellulare tra le mani, la prima cosa che faceva era controllare se per caso Johnny si fosse fatto sentire.
Ipotizzava che fosse in quella fase in cui aveva bisogno di vederlo e sentirlo e semplicemente sapere che ci fosse.  
Era difficile farlo, però, quando Johnny era al di là di un oceano. In un altro continente.
In quei momenti Stéphane si chiedeva spesso perché avessero deciso di provarci. Provare a fare cosa, poi, non è che lo sapesse di preciso. Non erano propriamente insieme… non si erano giurati amore eterno, non era giusto, non potevano. Non avevano neppure il tempo di pensare troppo all’altro.
Non avevano quasi tempo di pensare e basta.
Johnny avrebbe presto ripreso la preparazione per la prossima stagione.
Lui si sarebbe semplicemente goduto le prime vere vacanze da… da un sacco di tempo.
Avevano deciso di vedere come andava. Di vedere se, a mesi di distanza, ci fosse ancora qualcosa. Di non spingere troppo in una determinata direzione, ma vedere come sarebbe andata.
Ma Stéphane si era accorto di quanto fosse facile dirlo e quanto fosse difficile metterlo in pratica.
Uno dei tanti motivi per cui si era lasciato con Carolina, ai tempi, era proprio quello. L’impossibilità di vedersi. Il pensarci continuamente a discapito della concentrazione su una gara. A discapito della concentrazione sulle Olimpiadi.
Adesso ci stava riprovando con qualcosa di ancora più grosso e… non sapeva come sarebbe andata.
Per adesso andava e basta. Ma era un bene? Era un male?
Soprattutto, che cos’erano loro due?
Non stavano insieme, non per come le persone lo intendevano di solito. Eppure… Stéphane non era sicuro a quale definizione avrebbero potuto far parte.
Sapeva solo che c’era qualcosa. Qualcosa a cui non avevano dato un nome, ma che non potevano negare. Qualcosa che forse sarebbe rimasto anche nel futuro.
Qualcosa che costringeva Stéphane a momenti interminabili davanti ad un cellulare nella speranza di ricevere qualche notizia da Johnny, perché… perché non voleva la parte di quello appiccicoso.
Ma non era colpa sua se ci pensava.
E non riuscì ad impedirsi di sorridere quando il cellulare gli vibrò nella mano, annunciando un nuovo messaggio.
Eppure, anche quel sorriso, un sorriso che esprimeva tutta la felicità nel leggere il nome di Johnny come mittente, sembrò solo un pallido riflesso di quello che lo seguì subito dopo, quando lesse effettivamente il messaggio.
Quando vieni qui a trovarmi?
Non stavano insieme, non per come le persone lo intendevano di solito. Eppure Stéphane era sicuro che i sentimenti in gioco non fossero molto diversi e che un diverso nome alle cose non cambiava la sostanza.
Non cambiava proprio nulla.

*
NOTE:  Ed ecco finalmente il terzo capitolo. Mi scuso per il ritardo… ma la buona notizia è che il quarto (e ultimo) è praticamente fatto. Manca proprio poco =)
Un grazie enorme a Liz che l’ha betata, l’ha amata e ha detto delle cose bellissime e boh, io non saprei neppure come rispondere. Grazie, ecco <3
E grazie a voi che la leggete <3

fandom: rpf figure skating, anno: 2010, !longfic, rating: r, longfic: the four seasons, !warning: slash

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