FanFic: La buona causa.

Jan 19, 2013 23:43



Titolo: La buona causa.
Fandom: Sherlock (BBC)
Pairing/Personaggi: Sherlock\John (Johnlock ♥), e piccola apparizione della signora Hudson.
Rating: Nc17
Beta: nessuno, purtroppo :(
Warning: Oneshot, slash.
Words: 3719 secondo Word xD (sì lo so, sono tantissime per essere una oneschot o.o)
Note: Per chi segue anche White Collar sa da dove ho preso spunto per la fic. La, diciamo, citazione riguarda il rapporto tra Peter e Neal nell'ultima puntata della quarta serie prima della pausa ♥


John osservava continuamente Sherlock. Lo osservava davvero, non solo guardava. Come Sherlock osservava le persone per analizzarle, John osservava l’investigatore. Ma John lo faceva per proteggerlo, non per analizzarlo o capirlo. Il dottore conosceva il minore dei fratelli Holmes alla perfezione e non aveva affatto bisogno di analizzarlo per riuscire a capirlo. Lo osservava per proteggerlo dagli altri, perché, oltre a lui e a Mycroft, solo poche persone erano riuscite a conoscere il vero Sherlock e a non giudicarlo soltanto come un sociopatico insensibile alle emozioni.
Certo, John osservava Sherlock quand’era ancora vivo. Da quando Sherlock era morto buttandosi da quel maledetto tetto, l’unica cosa che John poteva e riusciva a fare era osservare la sua lapide (forse voleva proteggere anche quest’ultima), chiedendo un altro ultimo miracolo, solo per lui. Chiedendo a Sherlock di smetterla, di essere morto.
John non osava neanche attraversare Baker Street, troppo doloroso. Ma quel giorno dovette farlo. La signora Hudson l’aveva praticamente obbligato a tornare per un tè. Quando arrivò al 221b di Baker Street quasi soffocò, Sherlock non era lì a suonare il violino a qualsiasi ora della notte e del giorno (incurante della possibilità di minare la salute mentale e fisica del suo coinquilino e della signora Hudson), sparare contro il muro o fare qualsiasi altra cosa che John fingeva di odiare. Ma che, in realtà, amava profondamente. Sherlock e tutte le sue strambe abitudini gli avevano cambiato la vita e riempito la giornata, ogni giorno.
***
Quando entrai nel nostro, ex, appartamento sentii una fitta di dolore alla bocca dello stomaco e al… cuore. Sì, l’appartamento non era solo “nostro”, ma anche e soprattutto della signora Hudson, ma… Sherlock lo rendeva pieno, pieno di qualcosa che somigliava ad una famiglia. Magari Sherlock non provava le stesse cose (con tutta la storia dell’essere razionale), ma lui era diventato il mio migliore amico, la cura di ogni giorno contro i fantasmi del passato. E non mi aveva mentito, neanche se me l’avesse detto mille volte gli avrei creduto. Non era un impostore, era Sherlock Holmes. E io avrò sempre fede in lui come lui l’aveva sempre avuta in me. La signora Hudson mi accolse in casa abbracciandomi. Era strano tornarci dopo 4 mesi, più che strano… doloroso, da morire. Quando andammo in cucina ciò che vidi mi fece battere così forte il cuore che temetti potesse uscirmi dal petto e scappare via. Sherlock (o almeno sembrava lui, ai miei occhi), appoggiato ad un stipite, sorseggiava tranquillamente una tazza di tè. Mi stropicciai gli occhi, non poteva essere vero, Sherlock era morto mesi fa. Pensai che il fatto di tornare lì mi avesse fatto venire le allucinazioni. Ma quando mi voltai verso la signora Hudson, che mi sorrise e disse che usciva per lasciarci soli, ci credetti. Sherlock Holmes, il mio migliore amico, aveva inscenato la sua stessa morte. Mi aveva mentito, ingannato, fatto soffrire per 4 mesi… Lo odiavo davvero, io, io… Lo odiavo ma avevo una disperata voglia di abbracciarlo. Così disperata che dovetti invocare non so quanti santi pur di non correre verso di lui e stritolarlo, letteralmente, tra le mie braccia. Sherlock, che fino a qualche minuto fa credevo morto, era davanti a me e mi guardava tra il divertito e l’indagatore. Sapevo che mi stava analizzando per capire cosa pensassi e provassi. Lui era fatto così.
-  Ciao, John - disse, tenendo i suoi occhi fissi nei miei (come mi aveva chiesto di fare lui prima di buttarsi). Il mio cuore perse un battito, i suoi occhi fissi nei miei dopo 4 mesi passati a parlare con la sua lapide? Era troppo da reggere, davvero troppo.
- Sherl… - riuscii solo a dire. La voce che decise di abbandonarmi, rientrandomi nella gola, fino alle corde vocali, decidendo di restare nascosta lì. Il cuore che invece decise improvvisamente di soffrire di tachicardia. Avevo il respiro così affannato che facevo fatica anche solo a respirare. Deglutii con forza. Sherlock nel frattempo sorrise. E quella sì, che fu la mia morte. Mi stava uccidendo con gli occhi e con la voce.
- Tu eri… - cercai di dire.
- Morto? - continuò lui. Annuii. Sorrise. Di nuovo. Di nuovo il mio cuore non batteva più in modo regolare, di nuovo mi sentii morire.
Ho inscenato la mia morte, John - disse, come se fosse la cosa più ovvia e normale del Mondo. Sbuffai.
- Non vuoi sapere come ho fatto? - mi chiese, e capii che sperava in un mio sì come risposta. Sherlock Holmes e il suo maledetto ego. Quanto mi erano mancati entrambi… E comunque sì Sherlock, voglio sapere come mi hai fatto credere di essere morto e come hai fatto a farmi soffrire per mesi facendomi piangere la tua morte ogni cazzo di giorno. Ero arrabbiato… e felice. Arrabbiato perché per 4 mesi si era finto morto ai miei occhi e felice perché era di nuovo lì, davanti a me, nel nostro appartamento. Però ero più felice che arrabbiato. Ma che dico… morivo di felicità, avrebbe anche potuto uccidermi ma sarei stato lo stesso al settimo cielo perché l’avevo rivisto.
- Sono interessato più al perché, che al come, Sherlock - mi era mancato anche solo pronunciare il suo nome nel chiamarlo, nel parlarci. Affilò lo sguardo su di me, come se non avesse compreso a pieno le mie parole.
- So già che sei un genio Sherlock. Ma in questi 4 mesi che sono passati non ho mai pensato che in realtà potessi essere vivo. Perché ho visto il tuo sangue sul marciapiede, perché il tuo corpo sembrava immobile… morto. Perché mi hai mentito per mesi, perché ti sei fatto credere morto, anche a me? Perché lo hai fatto, hai detto che ero il tuo unico amico… Ho pianto davanti la tua lapide… -
- …e mi hai chiesto di smetterla di essere morto - Sgranai gli occhi. Come faceva a sapere…
- Ero nascosto dietro un albero, dietro la mia lapide - disse, rispondendo alla mia domanda. In quel preciso momento pensai davvero che Sherlock potesse leggere nel pensiero.
- Ma perché l’hai fatto? - chiesi di nuovo, implorandolo con lo sguardo di dirmi la verità. Sospirò e alzò lo sguardo verso di me. Come sempre il mio cuore reagii in modo incontrollato ai suoi occhi fissi su di me.
- Non potevo fare altro John. Ti avrebbero ucciso se non l’avessi fatto. Moriarty si uccise su quel tetto e se non mi fossi buttato un cecchino sarebbe stato pronto ad ucciderti - spostò un secondo lo sguardo da me alla finestra e poi riprese a guardarmi. Sentii il mio cuore esplodere… l’aveva fatto per me? Questo non era assolutamente da Sherlock, non era razionale. Quando ripresi a guadarlo i suoi occhi erano anche più azzurri del solito… sembrava quasi che da un momento all’altro si sarebbe messo a piangere. Ma no… Sherlock Holmes non piangeva, lui era il re della razionalità, lui rifiutava le emozioni. Le combatteva del tutto. Io avevo combattuto i nemici in guerra, lui combatteva le emozioni.
- Quando mi hai chiamato perché non me l’hai detto? Che avresti fatto finta di morire? - Sbuffò. Come se io avessi già dovuto conoscere la risposta. Mi guardò come se fossi uno stupido. Eccolo il solito Sherlock Holmes.
- In quel caso non avrei potuto prevedere la tua reazione. Sarebbe stato un rischio troppo grande John -
Non ero più arrabbiato, neanche un po’. Sherlock si era davvero preoccupato di me, era difficile da credere. Mi sentii la persona più felice e fortunata sulla faccia della Terra… sorrisi col cuore in festa.
- John, io ho sempre avuto fede e fiducia in te. Sei il mio unico amico. Penso che tutto quello che hai fatto nella tua vita l’hai fatto per una buona ragione, una buona causa, anche se magari, certe volte, la gente o anche io stesso, non lo capiva. Avrò sempre fede in te. Sai benissimo che in fatto di emozioni non sono il genio che invece sono di solito… sei la mia unica eccezione. Sei la mia buona ragione, la mia buona causa John. - mi sentii svenire. Tutto quello che mi aveva detto era pura poesia… non ce la facevo più, dovevo almeno abbracciarlo.
- Davvero sono così importante per te, Sherlock? - chiesi trepidante, gli occhi incollati ai suoi.
- Sì - la sua risposta fu semplice e concisa. Non conoscendolo avrei potuto dire che fosse arrossito.
Mi avvicinai a lui e lo abbracciai. Gli avevo letteralmente gettato le braccia al collo, stringendolo fortissimo, senza preoccuparmi di fargli male vista la sua scarsa prestanza fisica. Dire che mi sentivo benissimo, con lui tra le mie braccia dopo 4 mesi immerso nel dolore per la sua perdita, era un eufemismo. Solo dopo un po’ che lo tenevo stretto, forse troppo, lo sentii ricambiare l’abbraccio, anche se debolmente. Ma mi bastava, mi bastava davvero, sapendo che Sherlock non era tipo da queste cose.
- Mi sei mancato… - dissi, arrossendo. Menomale che non poteva vedermi… o forse sì? Avevo seri dubbi sul fatto che Sherlock non potesse farlo.
- Anche tu John - pensai di essermi immaginato la sua risposta, ma poi, quando si staccò da me e mi guardò fisso negli occhi capii che l’aveva detto davvero. Pensai di stare per morire, tanto il mio cuore batteva velocemente. I suoi occhi erano così… azzurri. Mi ci stavo perdendo dentro.
- Hai esaudito il mio desiderio Sherlock - dissi poi, senza pensarci troppo. Mi guardò perplesso, inclinando la testa. La sua espressione era così dolce che avrei voluto mangiarlo.
- Di smetterla di essere morto - spiegai. Mi guardò, i suoi occhi che dai miei scendevano a guardare le mie labbra. Deglutii. Sentivo il suo respiro sulle labbra. Eravamo così vicini, mi sarebbe bastato così poco per baciarlo… ma lo fece lui. Le sue labbra si posarono sulle mie. Il contatto con le sue labbra mi provocò un brivido lunga la schiena. Mi sentivo il cuore in gola e battiti, velocissimi, rimbombarmi nelle orecchie. Le sue labbra sapevano di biancheria pulita. E fu lì che non ce la feci più. Presi il suo volto tra le mani e risposi al bacio con foga. Sherlock era anche un genio quando si trattava di capire chi aveva ucciso chi, ma in fatto di baci non se la cavava bene. Cercai di aiutarlo. Feci sì che le mie labbra si modellassero perfettamente alle sue. Schiuse le labbra e la mia lingua s’incontrò con la sua. Imparava in fretta e bene, constatai. Era pura estasi. Le nostre labbra stavano combattendo, con morsi e baci.
- Andiamo in camera mia - disse tra un bacio e l’altro, la voce roca, rotta dall’agitazione. Andare in camera sua voleva dire… continuando a baciarci salimmo in camera sua (non so nemmeno io come ci riuscimmo senza cadere) e appena entrammo Sherlock chiuse la porta alle sue spalle. Gli baciai e succhiai il collo avidamente nel frattempo che la mia mano artigliava i suoi riccioli neri. La sua risposta fu quella di baciare e leccare anche lui il mio collo, concentrandosi sul mio pomo d’Adamo, leccando e mordendo proprio dove la pelle e la carne coprivano l’osso. Ansimai, sentendo il sangue confluire verso il basso del mio corpo. Lo buttai sul letto e salii su di lui a cavalcioni. Strappai, letteralmente, di dosso a Sherlock la camicia che indossava e ecco che la sua pelle candida si presentò ai miei occhi. Sospirò. Scesi con le labbra a torturargli un capezzolo, che sotto la mia lingua e i miei denti divenne subito turgido. Lo sentii mugolare rumorosamente, sorrisi. Con una mano torturai l’altro capezzolo e con l’altra esplorai la sua schiena nuda. Sentii che qualche goccia di sudore bagnava la sua pelle bianca. Lascai stare il capezzolo che stavo torturando con le labbra e mi interessai all’altro. I suoi erano diventati veri e propri gemiti di piacere che mi stavano letteralmente facendo morire. I miei pantaloni erano diventati troppo stretti per la mia erezione che cresceva ogni volta che Sherlock gemeva. Scesi a baciargli l’ombelico e fu lì che inarcò la schiena e con un colpo di reni ribaltò le posizioni. Essere sopra o sotto Sherlock non importava, importava solo che, non so come, mi ritrovai mezzo nudo, solo con i boxer addosso. Si stese su di me in modo che, essendo più alto di me, il suo e il mio viso fossero alla stessa altezza. I suoi occhi, azzurri e lucidi per l’eccitazione al massimo, mi stavano scrutando, mi stavano leggendo dentro. La mia erezione crebbe a dismisura. Prese a strusciarsi su di me mentre mi divorava le labbra. Sentivo la sua erezione, anche se costretta nei pantaloni, cozzare contro la mia. Gemetti rumorosamente, ma le sue labbra furono subito abili a zittirmi con un bacio. La frizione che stavano generando la mia e la sua erezione che si sfioravano mi stava facendo impazzire del tutto. Gli sfilai i pantaloni e lo baciai con tutta la passione e la foga che potevo. Ormai entrambi gemevamo del tutto incontrollati torturandoci a vicenda, l’eccitazione che aumentava ogni volta che la sua erezione toccava la mia. Ma fu quando mi morse il collo che la mia mano scese a massaggiare la sua erezione pulsante. Inarcò la schiena, sentivo il suo respiro affannato direttamente nell’orecchio. Appoggiai la mia fronte alla sua e gli artigliai i fianchi, premendomi con tutto il mio corpo su di lui. L’urlo che uscì dalle sue labbra mi fece perdere completamente il senno, il mio cervello era del tutto scomparso insieme ai nostri vestiti sul pavimento. Ribaltai di nuovo le posizioni e con urgenza gli sfilai i boxer. Con infinita lentezza, ma anche con molta foga, baciai e leccai il suo petto scendendo fino al ventre. Ogni volta che le mie labbra e la mia lingua incontravano la sua pelle, di solito bianchissima, già arrossata per i baci precedenti, lo sentivo ansimare, gemere, urlare. La sua sembrava una preghiera a continuare il mio lavoro, e io non intendevo affatto fermarmi. Quando scesi ancora più giù e vidi la sua erezione proprio sotto le mie labbra non ci pensai due volte e cominciai a leccarne la punta. Non seppi neanche descrivere i gemiti che fece uscire dalla sua bocca, erano troppo osceni per far sì che il mio cervello potesse ricordarli per bene. La mia erezione stava per esplodere, sarei anche potuto venire in quel momento se Sherlock avesse pronunciato il mio nome mentre gemeva. Per mia fortuna non lo fece. Mi dedicai al suo pene, prendendolo tutto in bocca, leccando e mordendo finché non arrivò a toccarmi il palato. Appena lo feci il gemito che questo gli provocò rimbombò nella stanza. Lo sentivo muoversi incontrollato, come se stesse per scoppiare, intanto io mi riempii sempre più la bocca di lui. Mi stavano facendo impazzire, lui e i suoi gemiti osceni. Alzai lo sguardo verso di lui, i suoi occhi fissi nei miei. Sorrise, io di risposta succhiai ancora più forte, tanto da fargli gettare la testa all’indietro e fargli posare una mano sulla fronte. Continuai così finché non decisi che era venuto il momento di fare davvero l’amore con lui. Così, di malavoglia, mi staccai dal suo pene. Anche se riluttante per il mio gesto, sospirò cercando di riprendere una normale respirazione, ma i suoi polmoni sembrarono non collaborare quando mi stesi su di lui e le nostre erezioni entrarono in diretto contatto. Infatti riprese a gemere, ansimare, urlare, come se non ci fosse un domani. Il mio cuore quasi si fermò e poi riprese a battere come un treno in corsa senza qualcuno che lo guidi. La reazione della mia erezione fu quella di indurirsi ancora di più, tanto da far male. In quel momento  ci guardammo e pensai che tutto quello che avevo visto fino ad allora non era niente in confronto a Sherlock nudo, con il fiato corto, le labbra dischiuse, i capelli arruffati e un po’ appiccicati alla fronte per il sudore, le guancie arrossate e gli occhi così azzurri, così eccitati, così vogliosi di me. Mi mancò il respiro, pensai di poter morire in quel momento ed essere felice perché ero morto baciando le sue labbra. Volevo fare l’amore con lui, subito. Gli accarezzai le labbra, che lui leccò, e poi scesi verso la sua apertura inserendo un primo dito. Si attaccò a me cercando di sopprimere il dolore. Per cercare di farlo rilassare gli baciai la fronte e lo abbracciai, accarezzandogli la schiena. Non ero stato così dolce neanche con tutte le donne con cui ero andato a letto. Di risposta Sherlock mi stampò un bacio sulla scapola. Quando capii che era pronto, inserii un secondo dito e Sherlock inarcò la schiena, per il dolore. Continuai ad accarezzarlo per farlo tranquillizzare.
- Ti prego John… sto impazzendo… cercando di analizzare la situazione ho capito che non posso più continuare così… - disse, ansimando. Lo guardai e scoppiai a ridere. Sherlock Holmes analizzava la situazione anche mentre stavamo per fare l’amore.
- Tu hai analizzato la situazione? - chiesi infatti, scettico. Mi guardò storto e sbuffò. In quel momento era la tenerezza in persona. E questo non faceva che aumentare la voglia che avevo di lui.
- Va bene, va bene… - dissi, sorridendo. Lo baciai con trasporto e poi sfilai le mie due dita dalla sua apertura. Lo vedevo teso, sapevo che aveva paura del dolore. Presi dolcemente il suo volto tra le mani e gli baciai prima la fronte, poi le guancie e infine le labbra. Mi sorrise. Lo feci stendere e pian piano mi feci spazio in lui, stando attento a non fargli provare troppo dolore. Entrare dentro di lui fu l’emozione più bella della mia vita. Continuai ad accarezzarlo finché mi accorsi che i suoi muscoli si stavano rilassando e il dolore pian piano stava andando via. Spinsi leggermente in lui e lo sentì gemere, un po’ per il dolore, un po’ per il piacere. Mi sentii morire. Era così caldo, così stretto. Andai avanti così, spingendo ogni volta più in fondo e più velocemente. Quando poi mi accorsi che non provava più dolore spinsi fino in fondo, facendo gemere entrambi, questa volta solo di piacere. Lo strinsi a me e lo baciai. La sua lingua stuzzicò la mia e io affondai le mani nei suoi riccioli neri. D’un tratto, mi prese per i fianchi e mi spinse ancora di più dentro di lui e muovendosi con il bacino verso di me. Gemevamo uno nella bocca dell’altro. Gli morsi così tanto le labbra da fargliele sanguinare. Continuammo così per poco, infatti dopo qualche minuto lo sentii tendersi, graffiarmi la schiena con le unghie (così tanto da lasciarmi i segni e qualche goccia di sangue, forse voleva vendicarsi per il mio morso precedente) e i suoi muscoli si chiusero attorno al mio pene.
- John… - venne invocando il mio nome e appoggiandosi alla mia spalla. Sarei morto di lì a poco, lo sapevo.
- Sher… - diedi un ultima spinta e venni anche io, stendendomi su di lui.
Ci abbracciamo e io gli accarezzai il viso e i capelli. Lo guardai… sorrideva. I suoi occhi, come sempre del resto, erano uno splendore. Appoggiò la sua fronte alla mia e mi rubò un bacio a fior di labbra. Restammo così per un po’ finché Morfeo non mi prese tra le sue braccia.
***
Quando mi svegliai non lo trovai più accanto a me. Arrivai a pensare che fosse stato solo un sogno, ma poi vidi i graffi sulla mia schiena e allora capii che invece era successo davvero. Mi vestii velocemente e andai a cercare Sherlock. Lo trovai in cucina, intento a preparare il caffè. Mi avvicinai e lo abbracciai da dietro baciandogli la spalla. Lui non fece niente, e io per questo mi preoccupai. Si era pentito di quello che era successo? Se lo avessi perso non me lo sarei mai perdonato. Poggiò le due tazzine di caffè sul tavolo e poi si sedette di fronte a me. Ero davvero triste. Non lo guardavo nemmeno, semplicemente presi il cucchiaino e cominciai a farlo girare all’interno della tazzina. D’un tratto mi alzo il viso e mi costrinse a guardarlo. Stavo per piangere.
- John, ho analizzato la situazione e quello che è successo… -
- No, Sherlock. Non puoi fare il cinico sociopatico anche in questo caso… -
- …e ho capito che non sei il mio unico amico - mi sentii morire per quello che aveva detto. Era come se il mio cuore avesse smesso di respirare e i miei polmoni di inspirare ed espirare l’aria.
- Perché sei molto di più. Credo che in questo caso il sentimento che ci lega sia un altro. Voi gente comune lo chiamate amore giusto? - Ok, il mio cuore stavolta non resse. Spostando lo sguardo da Sherlock alla tazzina credetti di averlo visto scappare e buttarsi nella tazzina col caffè. Forse ce l’aveva con me perché gli avevo fatto provare una specie di serie di infarti in una giornata sola e per lui erano davvero troppo. Sorrisi come un bambino.
- Ti amo anche io Sherlock - dissi, senza nessuna paura. Sorrise. Capii che quel sorriso voleva dire: ti amo anche io John, solo che non sono ancora pronto a dirlo. Non posso passare, in un giorno, da sociopatico a romanticone. Accontentati. E io mi accontentavo eccome. Gli stampai un bacio sulle labbra.
- Stavolta non mi hai drogato col caffè, vero? - chiesi, ridendo. Rispose facendo no con la testa mentre sorseggiava il caffè.
- Quindi non vuoi proprio saperlo come ho fatto? - chiese poi. Capii subito che si riferiva al fatto di aver inscenato la sua morte. Lui e il suo insanabile ego.
- Dai, dimmelo Sherlock - dissi, sospirando e sorridendo nello stesso tempo. Ma, proprio quando stava per dirmelo, la signora Hudson entrò in casa chiedendo se era successo qualcosa. Rispondemmo entrambi di no. Guardando la signora Hudson la ringraziai per avermi obbligato a tornare qui, al 221b di Baker Street. E sorrisi.
- Quindi John, ti stavo dicendo… quando mi sono buttato… - e continuò a parlare. Più guardavo Sherlock spiegarmi come aveva fatto a fare finta di morire e più sorridevo ascoltando la sua genialità. Di quello che successe dopo non so dire molto, ricordo solo che mi vendicai di quei 4 mesi in cui non era stato accanto a me. Mi vendicai molto e tante volte, per tutta la notte.

personaggio: sherlock holmes, personaggio: john watson, slash, fan fiction

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