[FAN FIC] - Broken\It's my life\A very normal night\Imsonnia

May 10, 2011 20:18

TITOLO: It’s my life
FANDOM: Sherlock BBC
PERSONAGGI: Sherlock Holmes, John Watson
RATING: PG
BETA: nike158  ♥
PROMPT: vita a bingo_italia 
PAROLE: 1806 W

John esce dalla cucina con un tazza di tè stretta in una mano e il giornale del mattino nell’altra, si sistema sulla sua poltrona preferita del salotto, prende un sorso di tè e spiega il giornale davanti per iniziare a leggere le notizie della prima pagina. I raggi forti del primo sole del mattino hanno iniziato a inondare di riflessi dorati la stanza già da un po’ e John potrebbe quasi giurare di sentire l’odore della primavera nell’aria. A quel pensiero, ridacchia appena e si ritrova a pensare a quanto Sherlock lo prenderebbe in giro per un’affermazione del genere, commentando quanto frasi del genere siano del tutto inesatte e prive di qualsiasi fondamento perché “per l’amore del cielo, John, la primavera non ha odore e, di certo, non si sente nell’aria” e, a proposito, dov’è Sherlock? John è abbastanza sicuro che non sia ancora uscito, perché quando lo fa la cosa passa poco inosservata vista la maniera in cui travolge quello che si trova sul suo passaggio mentre si precipita fuori casa o il modo in cui gli urla di seguirlo in uno svolazzare di sciarpa e cappotto scuro. Comunque, non l’ha nemmeno trovato già in cucina, sveglio da chissà quanto o intento in solo Dio sa cosa come ogni mattina. Tuttavia, gli basta dare una rapita occhiata intorno a sé per vedere un’ombra acquattata vicino la finestra e un mezzo cespuglio di capelli neri spuntare appena oltre il bordo della tenda.
John sbatte le palpebre un paio di volte e rischia che il tè gli vada per traverso.
“Che stai facendo?” domanda perplesso, ma dentro di sé non è certo di volere quella risposta.
Sherlock non sposta di un centimetro la testa né, tanto meno, si degna di staccare lo sguardo da quello che sta fissando e che, evidentemente, ha totalmente catturato il suo interesse.
“Mi pare ovvio, John: osservo.” è tutto quello che risponde il consulente investigativo.
John sbuffa, seccato. Grazie tante, ma di quello si è accorto da solo. Peccato che non ci sia proprio nessuno fuori da quella finestra e che la strada su cui si affaccia il loro appartamento sia deserta, ancora sonnacchiosa in quella pigra domenica mattina di inizio primavera. Posa la tazza sul piccolo tavolino di fianco alla sua poltrona e si rassegna ad alzarsi e avviarsi verso Sherlock.
“E che cosa staresti osservando? Non c’è nessuno li fuori.”
Le ultime parole non gli sono ancora uscite dalla bocca che, appena arrivato in prossimità della finestra, Sherlock lo afferra per un braccio con uno scatto improvviso e lo trascina verso il basso insieme a lui.
L’ouch che esce dalla bocca di John per quel gesto che lo coglie del tutto di sorpresa si perde nella parole successive di Sherlock.
“Stai giù, John. Vuoi che ci vedano, mentre siamo qui?” lo rimprovera bruscamente, tirandolo indietro in modo che, anche lui, risulti seminascosto dalle tende.
Forse, alla fine, Sherlock è impazzito sul serio. Sono nascosti dietro le tende del loro appartamento perché devono stare attenti a non farsi vedere da qualcuno che, chiaramente, non c’è. John sapeva che avrebbe rimpianto il su tè.
“Sherlock, non c’è nessuno là fuori.” gli fa notare John e strizza la vista per avvalorare la propria tesi, spingendo lo sguardo il più lontano possibile e perlustrando più volte il panorama di fronte a lui.
“Non mi stupisca che tu non li veda.” dice Sherlock e, sta volta, si volta appena verso John “Per quanto i loro travestimenti e i nascondigli che hanno scelto siano grossolani e completamente inefficaci, mi rendo conto che un occhio poco attento non li abbia notati.”
Oh, beh, certo, John avrebbe dovuto arrivarci prima.
“Di che stai parlando?” chiede rassegnato, facendosi più avanti e scrutando, ancora, verso l’esterno.
Sherlock resta in silenzio per un istante. Gli passa per la mente che tutto quello, doversi mettere a spiegare qualcosa che è, letteralmente, sotto i loro occhi a qualcuno a qualcuno che non riesce neanche a rendersi conto di essere spiato (non le dovrebbero insegnare nell’esercito, certe cose?) sia una noiosissima perdita di tempo, ma il pensiero lo abbandona quando John si fa più vicino per guardare esattamente nello stesso punto in cui sta guardando l’altro e uno strano calore che non sa proprio da dove provenga gli invade, improvvisamente, tutto il corpo.
“Lì,” inizia e fa un cenno con la testa verso l’edificio ad angolo della strada “dietro a quel palazzo c’è una macchina della polizia con due omini di Lestrade che ci stanno sorvegliando.”
John si concentra sul punto indicato dal suo coinquilino e in cui non si trova assolutamente nulla di rilevante, perciò rivolge all’altro uno sguardo dubbioso.
“Stai di nuovo tirando ad indovinare?”
“Ti ho già detto che non tiro mai ad indovinare. Da questa mattina all’alba, poco dopo le cinque diciamo, ho visto gli stessi due uomini entrare nel caffè qui sotto uscire ed entrare quattro volte e sparire proprio da quella parte. Mi pare per lo meno sospetto che due persone decidano di prendere svariati caffè nell’arco di cinque ore sempre nello stesso locale. Tra l’altro, avevano entrambi la sagoma di una pistola che si vedeva da sopra la giacca.”
John sente una leggere ansia nascergli dentro. Per quanto le deduzioni di Holmes continuino ad essere stupefacenti e, spesso, difficili da credere, ha imparato che il detective non sbaglia mai. Quindi, a quanto pare, li stanno  spiando. Davvero, molto bene.
“Se questo non bastasse, e dovrebbe perché i due uomini avevano il chiaro aspetto e modo di fare di due agenti  di polizia, sappi che ho intercettato le frequenze della polizia e li ho sentiti con le mie orecchie comunicare la loro posizione a Lestrade.”
Se non fosse perché ce l’ha attaccata alla testa, la mandibola di John si fracasserebbe contro il pavimento. Questa è pura follia, si stanno nascondendo dietro le tende da due agenti di polizia. John vorrebbe essere del tutto shockato da quella faccenda ma, in verità, non può impedirsi di esserne anche modernamente divertito e parecchio intrigato (come per qualsiasi altra cosa abbia a che fare con Sherlock).
“Quindi, Lestrade ci sta facendo sorvegliare.” dice e la sua non è una domanda, ma un’affermazione che cerca di tirare le somme di tutto quello che è successo fino a quel momento.
“E non è l’unico. Suppongo che il nostro caro amico di Scotland Yard voglia controllare i nostri movimenti ed eventuali spostamenti. Come se non dovessimo essere noi a controllare quegli inetti dei suoi agenti.” Sherlock fa una pausa e John ride sommessamente. La luce che continua a penetrare da vetri mette in risalto il collo lungo e incredibilmente pallido dell’altro uomo e John, quasi senza volerlo, si ritrova a fissare quella zona invece che la strada, “Per quanto riguarda la distinta Signora seduta lì, invece, proprio nel caffè di cui ti parlavo prima, puoi ringraziare Mycroft per la sua presenza.”
Perfetto, ci mancava solo un altro Holmes. Forse doveva starsene a letto quella mattina.
“Credo che non dovresti fare fatica a riconoscerla come la donna che era con lui la sera in cui abbiamo risolto il caso dello “studio in rosa”, come tu l’hai battezzato nel tuo blog. Anche se con una parrucca bionda che non ingannerebbe nessuno.”
“Aspetta, anche tuo fratello ci sta facendo spiare?”
“Ovviamente, e la sua dipendente sa che sappiamo della sua presenza. Almeno in questo bisogna riconoscergli qualche punto in più della polizia. A mio fratello basta far passare il messaggio che mi sta controllando e sa cosa sto facendo. Semplicemente ridicolo.” Gli occhi di Holmes si stringono in due fessure, mentre sulla sua faccia appare un’espressione irritata.
Ricapitolando, il Governo britannico e la polizia di Londra li stanno tenendo sotto controllo. E loro se ne stanno nascosti a spiarli, a loro volta, dietro i tendaggi di casa.
“Tuo fratello e il capitano della polizia di Londra sono appostati sotto casa nostra per sorvegliarci. Non dovremmo, non so, andarci a parlare per farli andare via o qualcosa del genere?”
John non è sicuro di essere molto a suo agio con l’idea e la calma di Sherlock gli sembra alquanto fuori luogo.
“Non dovremmo… non so, andare a parlare con questa gente e dire loro di andarsene?” propone Watson molto ragionevolmente. Non gli va proprio giù di sapere di essere una specie di cavia da laboratorio tenuta sotto controllo da gente che se ne sta ad osservare ogni sua mossa.
Sherlock piega la testa di lato, come fa spesso, e sorride a John dolcemente. E’ uno di quei sorrisi particolari che riserva solo a John, un sorriso quasi tenero, che non ha niente a che fare con quelli di scherno o con i sorrisetti di superiorità che rivolge al resto della razza umana.
“E perché mai dovremmo? Lestrade si farà sicuramente vivo non appena avrà bisogno del mio aiuto per qualche caso, cosa che ritengo avverrà piuttosto presto dato il livello d’incapacità della polizia di questa città, e noi potremo tenere sotto controllo i suoi uomini, nel frattempo. Magari ne verrà fuori qualcosa di interessante di cui occuparci. Per quanto riguarda Mycroft… beh, sarebbe semplicemente inutile dato che noi sappiamo della spia che ha piazzato qui e lui sa che noi sappiamo.”
Sherlock si siede definitivamente a terra e congiunge le mani sotto il mento, puntando i gomiti contro le gambe incrociate. A quanto pare, non c’è niente che possano o debbano fare al momento e John dovrà rassegnarsi ad avere uno Sherlock appostato dietro alla finestra ancora per un po’. Sospira, ma neanche tanto, e si alza in piedi sentendo le gambe intorpidite per aver mantenuto troppo a lungo quella scomoda posizione; barcolla giusto un attimo mentre si rimette dritto ma, ovviamente, a Sherlock non sfugge.
“Tutto ok?” s’informa, il tono che comunica qualcosa che l’altro non sa del tutto decifrare.
“Sì, sì. Solo la gamba.” John si mette le mani sui fianchi e si guarda intorno. La tazza di tè giace abbandonata sul tavolo, il liquido al suo interno, oramai freddo.
“Beh… credo che andrò a preparare dell’altro tè.” Se deve passare la domenica ad avere a che fare con uno Sherlock assorbito da quello che si trova fuori la loro finestra, con la serie di commenti da parte del suo coinquilino che questo comporterà, e venire effettivamente a patti col fatto che c’è qualcuno che tiene costantemente gli occhi puntati su di loro, avrà bisogno del sostegno di quella bevanda miracolosa per farcela.
Sherlock, dal canto, suo, sembra quasi illuminarsi a sentire quella parola e John è quasi certo che sia l’unica sua proposta che abbia accolto con tanto entusiasmo. Bevanda miracolosa, per l’appunto. Si volta e si avvia verso la cucina, mentre Sherlock ritorna ad essere completamente assorbito dalla sua occupazione.
Sì, probabilmente tutto quello è assurdo e folle, ma è l’assurdità e la follia della sua vita e a lui, in fondo, piace esattamente così.

TITOLO: A very normal night
FANDOM:  Sherlock BBC
PERSONAGGI: Sherlock Holmes, John Watson
RATING: PG
BETA: nike158  ♥
PROMPT: film a bingo_italia 
PAROLE: 792 W


John non sa esattamente perché abbia proposto una cosa del genere. Forse perché pur di non avere uno Sherlock Holmes annoiato per casa farebbe qualsiasi cosa e si inventerebbe di tutto per cercare di smuoverlo da quello stato in cui cade fin troppo spesso e che lo rende fastidioso in modi che, John ne è certo, prima o poi non riuscirà più a sopportare; forse perché è dotato di un istinto di sopravivenza che gli fa presente quanto sia rischioso uno Sherlock che non ha niente da fare - i proiettili vaganti per l’appartamento nascondono un’altissima percentuale di pericolo - e quello gli era sembrato un buon modo per tenerlo impegnato. Magari, invece, aveva semplicemente voglia di passare una serata tranquilla e, una volta tanto, si era illuso di poter fare qualcosa di normale come il resto dell’umanità (ma il resto dell’umanità non ha a che fare con Sherlock Holmes, gli sussurra una vocina arresa nella sua testa). Fatto sta che, qualsiasi sia la motivazione che l’ha mosso, ora John si sta odiando per aver suggerito a Sherlock che, magari, poteva guardare un film con lui per passare il tempo. Ovviamente, non doveva aspettarsi niente di diverso da quello che è successo. Il suo coinquilino, dopo essersi trascinato di malavoglia sul divano accanto a lui e aver storto la bocca in una smorfia, ha preso a criticare immediatamente le immagini che hanno iniziato a formarsi davanti ai loro occhi. Probabilmente, criticare non rende sufficientemente bene l’idea. Più che altro, l’ha distrutto totalmente. Ha smontato la trama pezzo per pezzo, affermando come fosse scontata e assolutamente prevedibile, come la maggior parte degli eventi fossero totalmente improbabili, come i personaggi agissero senza nessun senso e mancassero di qualsiasi capacità logica e deduttiva e come chiunque avesse creato una cosa del genere dovesse essere uno dei più grandi idioti in circolazione. John ha provato a resistere per un po’, ma si è reso conto di come fosse una battaglia persa in partenza. La voce di Sherlock è diventata un sottofondo insistente e impossibile da eliminare, insinuandoglisi nella mente e impedendogli di godersi il film o, solamente, di seguirlo. Se potesse, si darebbe da solo la testa contro il muro così, almeno, si libererebbe di quel borbottio fastidioso che non gli dà tregua, ma si è messo in trappola con le sue stesse mani. Osserva Sherlock al suo fianco, le ginocchia rannicchiate al petto in quella che è la sua solita posa e i riccioli che gli si muovono intorno alla fronte mentre è preso nell’inveire contro la televisione. A John pare profondamente ingiusto che sembri così affascinante - affascinante, John, sul serio? Ti sembra la parola appropriata da usare? Gli fa presente la solita vocina - anche mentre lo sta portando sull’orlo dell’esaurimento nervoso. Se non altro, pensa John, adesso è certamente attivo e per niente apatico; peccato solo che sia quasi peggio che vederlo smaniare da qualche parte o rischiare che un proiettile gli metta fuori uso qualche organo vitale.
“Oh, mio Dio! E’ davvero una noia totale. Come si può guardare una cosa del genere? Mi rendo conto che tu non sia esattamente un tipo sveglio, ma questo dovrebbe essere troppo persino per il tuo cervello piccolo e poco agile.” dice Sherlock, ad un certo punto, alzando la voce di un paio di toni e rivolgendo a John un’occhiata dall’alto in basso per, poi, riprendere a borbottare incessantemente.
Nemmeno John è dotato di una pazienza infinita, però, ed è solo un uomo i cui nervi vengono messi alla prova troppo spesso e troppo duramente. Si volta, di nuovo, verso Sherlock e lo afferra per il colletto della camicia, andando a premere le proprie labbra contro quelle dell’altro con irruenza. Non pensa veramente a quel gesto; tutto quello che vuole è che Sherlock stia zitto e la smetta di dargli il tormento per, almeno, cinque minuti. Alla fine, funziona discretamente bene. Sherlock smette immediatamente di parlare, sarebbe una prova piuttosto ardua persino per lui parlare con la bocca di un’alta persona contro la propria, e si immobilizza del tutto. John si gode quel silenzio come un dono particolarmente prezioso e particolarmente raro e spinge un po’ di più le proprio labbra contro quelle dell’altro uomo - John non vorrebbe sbagliare, ma quella gli sembra decisamente la lingua di Sherlock che sfiora la sua - che, come unica risposta, lascia scivolare una mano sul suo fianco. Non è male, non è male per niente. Le sue orecchie lo stanno ringraziando in svariate lingue per aver bloccato quella sequela insopportabile di lamentii, così John pensa che non abbandonerà tanto presto quella posizione.
E poi, le labbra di Sherlock hanno un buon sapore considera, mentre i titoli di coda di quel film così poco apprezzato compaiono sullo schermo e passano del tutto inosservati.

TITOLO: Imsonia
FANDOM: Sherlock BBC
PERSONAGGI: Sherlock Holmes, John Watson
RATING: PG
BETA: nike158 
PROMPT: notte a bingo_italia 
PAROLE: 1120 W

La notte era stato un momento piacevole per gran parte della vita di John Watson.
Non aveva mai sofferto d’insonnia prima dell’esercito, non aveva mai avuto problemi ad addormentarsi prima di quel momento della propria vita. Al contrario, per lui prendere sonno era sempre stato qualcosa di facile e immediato: la notte si metteva a letto e si faceva dormite di dieci ore di fila senza difficoltà di sorta, senza stare a rigirarsi nel letto per chissà quanto tempo o svegliarsi senza motivo agli orari più impensabili e sapere che non ci sarebbe più stato verso di riaddormentarsi. Poi, era arrivato l’esercito ed era arrivata anche l’insonnia. O meglio, era arrivata con la guerra. Infatti, da quando aveva messo piede in Iraq John aveva trovato sempre meno semplice riuscire a lasciarsi andare alle braccia di Morfeo e continuare con quelle che erano stato le sue abitudine notturne di una vita. D’altronde, non ci si può aspettare che uno che stia combattendo una guerra abbia il sonno di un bambino, no? Non è facile riuscire a farsi belle dormire stando sempre all’erta e sul chi va là, sapendo che ad ogni istante potrebbe succedere qualcosa di disastroso che potrebbe mettere fine alla tua vita o a quella dell’uomo che hai a fianco, sentendo il rumore delle bombe che esplodono a pochi metri di distanza da te e squarciano l’aria con il loro rimbombo che si propaga ovunque. Era stato così per tutto il periodo in cui era stato assegnato, fino al momento in cui non l’avevano ferito ed era tornato in Inghilterra. La sua insonnia era diventata sempre più forte; la notte era, praticamente diventato impossibile per lui chiudere occhio e, quando riusciva a prendere sonno, si trattava sempre di sogni agitati, di risvegli bruschi e di niente che potesse essere definito riposante. Senza contare che la vita stessa nell’esercito abitua ad avere un sonno leggero e dei riflessi continuamente pronti. Tornato a casa le cose non erano cambiate, anzi, forse, erano peggiorate. John non aveva fatto altro che sognare e sognare il suo ferimento in Iraq, a rivedere quelle immagini che gli facevano accelerare il battito cardiaco fino a costringerlo a svegliarsi affannato e con un terribile sapore in bocca. Aveva continuato a rivedere ogni singola notte ciò che aveva visto e aveva fatto fino ad arrivare ad un punto in cui non solo non riusciva a prendere sonno, ma in cui aveva cominciato, anche, a desiderare che fosse così. Quando John si era trasferito nell’appartamento di Baker Street aveva temuto che tutto quello potesse essere un problema per la sua imminente convivenza con Sherlock Holmes (per quanto John non fosse, ancora, del tutto certo che andare a vivere con quell’uomo fosse una buona idea… o semplicemente un’idea salutare), oltre ad avere avuto inizialmente l’intenzione di tenere privato quell’aspetto della propria esistenza. Ben presto, John aveva capito che non solo era del tutto inutile preoccuparsi per un fatto del genere (Sherlock andava ben oltre il semplice concetto di insonnia) ma che, anche volendolo, non sarebbe riuscito a nascondere proprio un bel niente. Perciò, le prime notti di John nella sua nuova casa erano passate esattamente come si era aspettato, ovvero da sveglio per la maggior parte del tempo. Beh, non esattamente come John si aspettava, ad essere onesti. C’erano state volte in cui John si era limitato a restare in camera sua a rigirarsi senza sosta nel letto o a fissare il soffitto fino al sorgere del sole, altre in cui era sceso al piano di sotto e aveva trovato Sherlock appollaiato su una sedia (intento a ragionare su un qualche caso o preso in chissà quale diavolo di esperimento) e si era limitato ad andare in cucina a preparare un tè per entrambi - col tempo John aveva imparato che Sherlock non degnava nessuno della minima attenzione se era intento in qualsiasi attività che lui ritenesse importante e così John si limitava a poggiare la tazza di tè accanto al suo eccentrico coinquilino e sorseggiare la propria mentre leggeva un libro o faceva svogliatamente zapping con la televisione, osservando, in realtà, Sherlock -; c’erano stati casi in cui, semplicemente, aveva sentito la musica del violino di Sherlock diffondersi per l’appartamento ed arrivare fino a lui, così che starsene nel proprio letto invocando un sonno che non sarebbe arrivato a breve non era più stato tanto male, ma, addirittura, qualcosa di piacevole. E, ovviamente, c’erano state tutte quelle occasioni in cui Sherlock lo aveva trascinano per un braccio, ancora mezzo in pigiama, e gli aveva urlato che dovevano uscire perché lui aveva risolto il caso di turno o perché era assolutamente indispensabile che andassero ad ispezionare un magazzino o cercare il tassello che gli mancava per completare il suo puzzle. Poi, lentamente, col passare dei mesi era successo qualcosa. Le immagini nella mente di John erano rimaste, così come i ricordi di quello che aveva vissuto e la cicatrice sulla sua spalla, ma erano diventate meno ossessionanti e insopportabili del solito. Piano piano, John aveva ricominciato a dormire la notte, magari non come dormiva prima, ma comunque molto meglio della situazione in cui si era trovato negli ultimi anni. John si era reso conto che il tramestio che sentiva sempre dal piano sottostante per le continue attività notturne di Sherlock, l’eco attutito dei suoi passi nell’appartamento, il suono del suo violino nel cuore della notte erano, paradossalmente, le uniche cose in grado di portare un po’ di meritato sonno ristoratore nelle sue notti.

Le notti di Sherlock, invece, avevano sempre avuto l’insonnia come costante tanto che la si sarebbe potuta descrivere tranquillamente come cronica. E, soprattutto, era sempre stata qualcosa che Holmes aveva voluto e cercato. Fin da quando era bambino, Sherlock aveva trascorso le notti in centinaia di modi, ma non dormendo. Non era mai riuscito a capire come la gente potesse spendere tempo facendo qualcosa di così banale e inutile, qualcosa di così poco produttivo e che, chiaramente, non era altro che una perdita di tempo. Lui la notte preferiva pensare, ragionare, far funzionare il cervello. Sherlock si limitava a dormire le poche ore che erano strettamente necessarie al proprio organismo e, come facesse la gente a sprecare tempo prezioso in quel modo, era una delle tante assurdità che il suo cervello, per quando decisamente geniale, non era in grado di capire.
Quando aveva iniziato a vivere con John Watson, Sherlock aveva scoperto che c’era qualcosa di non esattamente elevatissimo a livello intellettuale o di utilità - benché fosse estremamente piacevole, Sherlock sapeva che quella particolare occupazione non poteva essere considerata al pari di tutte le altre che lo impegnavano normalmente - che poteva accettare divenisse il suo modo di trascorrere le ore notturne: osservare John Watson mentre dormiva.

autrice: nessie_sun, personaggio: sherlock holmes, personaggio: john watson, fan fiction

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