Supernatural RPS.Jensen/Jared. When the camera's off

Nov 02, 2008 18:44

Titolo: When the camera’s off
Beta: chibi_saru11
Fandom: RPS (Supernatural)
Personaggi: Jared Padalecki, Jensen Ackles (e qualcosa tipo J2)
Rating: PG13
Conteggio Parole: 1283 \0/ (W)
Disclaimer: Miei non sono ò__o e non ho la più pallida idea di cosa questi due bei figlioli facciano/dicano/pensino nella loro vita reale e bè… non ci guadagno niente. Ma proprio niente niente niente, eh.
Note: scritta per il "Come as you're not" di fanfic_italia

Perché è un costume: RPS? WTF? Sarà un limite mio ma, davvero, non ho mai capito il mondo delle RPS XD Ho sempre pensato “Piuttosto mi creo un personaggio originale e specifico da qualche parte che nelle mie seghe elucubrazioni mentali me lo vedo con la faccia e gli addominali di quell’attore là!”
Senza contare che mi sento in colpa a scrivere di persone reali come se fossero personaggi di una storia XD E nonostante il fatto che A) ne abbia appena scritta una e B) quei due lì *indica Jensen e Jared* si può tranquillamente dire che se le tirino dietro, continuo su questa linea di pensiero. Le RPS non fanno proprio per me, ecco XD



When the camera’s off

La lucina rossa della telecamera ammicca nella sua direzione e Jensen sorride automaticamente, sforzandosi di ignorare i muscoli delle guance che sono praticamente ad un passo - o meglio, ad un sorriso - dal proclamare uno sciopero generale.
L’obiettivo esita qualche secondo ed infine, grazie al cielo, il cameraman si decide a puntarlo da qualche altra parte. Jensen sospira e, pian piano, distende la faccia.
Contrariamente a quanto si pensa in giro lui non odia le interviste: dopotutto è un attore e la pubblicità è la sua linfa vitale, quindi sarebbe davvero controproducente per la sua carriera fare una cosa stupida tipo boicottare incontri con, diciamo, corpulente giornaliste ficcanaso.
Certo è, comunque, che ora come ora ha una gran voglia di prendere quella maledetta telecamera e ficcarla in gola alla Grassa Giornalista che, tutta contenta, ha appena tirato fuori dalla sua cartelletta un altro foglio pieno zeppo di domande.
Jensen si massaggia la faccia con studiata non curanza e si annota mentalmente di prendersi una lunga vacanza in Alaska o in un qualche altro luogo sperduto dove, possibilmente, non esistano né la televisione né i giornalisti.
Alla fine, reprimendo gli impulsi omicidi che - suppone - non sarebbero molto ben visti dal suo agente, si volta verso Jared, il quale sta allegramente raccontando della volta che, mentre girava una scena in cui doveva fingere di essere addormentato, s’era addormentato per davvero, lì sul set, e i tecnici non capivano se li stesse pigliando per il culo o fosse svenuto per il caldo assurdo che soffocava l’intero studio.
La Grassa Giornalista ride, estasiata, Jensen invece considera l’ipotesi di provare a fare la stessa cosa, qui in studio, su queste magnifiche poltrone rosse dall’enorme imbottitura piumosa, ma c’è il rischio abbastanza alto che la Grassa Giornalista provi a rianimarlo con una respirazione bocca a bocca e quindi no grazie, meglio evitare.
- E per quanto riguarda voi due? - chioccia ancora la tizia, rivolgendo loro uno sguardo che trasuda malizia da tutte le ciglia (finte).
- In che senso? - chiede di rimando Jensen, decidendosi a dare un segno di vita.
- Bè dev’essere difficile condividere sempre il successo con qualcun altro… - spiega lei, ma Jensen coglie al volo il luccichio malefico dei suoi occhi e, deglutendo appena, capisce che il senso della domanda non era propriamente questo.
Alla sua destra, intanto, Jared si lascia andare ad una spropositata risata, dopodiché passa un braccio intorno al collo dell’amico e poggia la testa contro la sua.
- Scherza? Io lo amo! Condivido tutto con lui e lo faccio volentieri! - esclama, e Jensen deve chiudere la mano a pugno per non schiaffarsela in faccia nella migliore imitazione di un cartone animato anni settanta. Lo ammazzerebbe se potesse.
Invece è costretto a stare al gioco e, ridendo, risponde che lui e Jared hanno praticamente la comunione dei beni. Tanto vale dargliela vinta del tutto, pensa intanto, affranto.
La Grassa Giornalista infatti è più che contenta e, avendo ormai ottenuto esattamente quel che voleva, liquida il resto dell’intervista in meno di dieci minuti.

****

Quando escono dagli studios è già buio: tra un impegno e l’altro il pomeriggio è volato via velocemente, chiudendosi non proprio in bellezza con quell’antipatica intervista.
- Ti odio Jay. - dice Jensen ad un certo punto, mentre salgono in macchina.
- Per un motivo specifico o è un raptus temporaneo? - chiede candidamente l’altro, senza scomporsi più del dovuto.
- Perché vuoi a tutti i costi che l’America ci creda amanti? -
Jared si volta, sulla faccia ha stampato un ghigno che non si lascerebbe mai e poi mai sfuggire davanti ad una telecamera accesa - ha la sua reputazione lui - poi, con estrema naturalezza, gli mette una mano sulla spalla.
- Perché sono un uomo d’affari. - annuncia, pomposo.
Jensen lo fissa per qualche secondo, scettico, poi lo spinge via in malo modo.
- Io invece dico che sei solo stupido. - sospira, mettendo in moto.
- I nostri agenti la pensano come me. -
- Questo perché sono stupidi anche loro. Magari il fatto che la gente pensa che siamo gay ci dà davvero un pizzico di popolarità in più, ma certo non dipende tutto da questo. -
- Quindi se la prossima volta scopiamo in diretta davanti alla telecamera non ci conferiscono un qualche oscar secondo te? Io sono convinto di sì. -
Jensen finge di riflettere sulla questione, poi scuote le spalle e sorride.
- Se tu vuoi provare io ti vengo dietro. -
- … Questa era degna di Dean Winchester. -
- E tu sei quasi arrossito come Sam. Vedi? Siamo bravi comunque, anche senza andare a letto insieme. Siamo attori nati! -
- Non capisco perché continui a dare una connotazione negativa al fatto di andare a letto insieme. Potrei offendermi. -
Per un secondo Jensen resta spiazzato da quella frase che, a parer suo, sottintende un po’ troppe cose. Senza nemmeno accorgersene schiaccia un po’ di più sull’acceleratore, poi, dopo qualche istante di silenzio, si gira verso l’amico.
- Perché? -
Jared sorride. Si aspettava quella domanda, probabilmente.
- Perché scopare con me sarebbe un onore. - dice, serissimo.
“Il solito attacco di vanagloria delle otto e trenta” pensa intanto Jensen roteando gli occhi.
- Come no. - risponde, e il piede si solleva di poco dal pedale, riportando la velocità nei limiti di sopravvivenza.
- Nessuno si è mai lamentato finora. E ti assicuro che ho sperimentato le mie performance su un campionario piuttosto vasto. -
- Jared… -
- Se vuoi posso provartelo: dammi una festa e un po’ di alcol e la mattina dopo potrai raccogliere le interviste dei diretti interessa…-
- Jared! -
- Cosa? -
- Non mi interessano le tue performance. -
- Sì che t’interessano. -
- Perché, per l’inferno, dovrebbero interessarmi? ­-
- Chiedilo al tuo strizzacervelli, io non sono pagato per entrare nelle teste altrui. - La cosa preoccupante è che Jared è rimasto serio per tutto il tempo.
Jensen scuote la testa, disperato.
- Questa discussione sta degenerando. Non ricordo nemmeno perché l’abbiamo iniziata. - ed è sincero mentre lo dice. È che Jared ha questa cosa di parlare tanto e a sproposito e lui ci prova a seguirlo, davvero, ma poi deve bloccarlo per forza, per non prenderlo a calci.
- Perché tu non vuoi venire a letto con me. - risponde intanto l’altro e, ancora una volta, l’automobile accelera sensibilmente. Jensen si prende qualche istante di riflessione, giusto per calibrare al meglio le parole, infine si volta di poco verso l’amico.
- Sono sicuro di non averlo mai detto. - dice, prudente.
Stavolta è il turno di Jared di esitare.
- Quindi alla fine vuoi venirci. -
Forse è il tono in cui lo dice, la particolare inclinazione che dà alla frase, a metà tra domanda ed esclamazione, o forse è la tensione che gli gioca brutti scherzi, fatto sta che Jensen ridacchia sottovoce.
- Puoi evitare questi tentativi di seduzione quando siamo fuori dal set? - chiede, semi-serio.
- Perché? -
- Perché qui non ci sono telecamere a riprenderci. -
Jared mette il broncio. Non quello solito che indica un nuovo, stupido, capriccio-da-star bensì quello genuino che sta ad indicare una delusione prossima all’incazzatura.
- Ci sono un sacco di cose che si possono fare a telecamere spente. - borbotta infine, con voce irritata, mentre appoggia la testa al vetro del finestrino.
Jensen stringe più forte la presa sul volante e osserva, senza troppa attenzione, il paesaggio scorrere via velocemente. I minuti passano e il silenzio diventa stagnante.
Ad ogni modo, quell’ultima frase è stata detta così a bassa voce che Jensen non si sente minimamente in colpa nel fingere di non averla sentita.
Non per cattiveria, eh.
È che le telecamere intorno a loro non sono mai davvero spente.

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