Fandom: RPF storico (Lucrezia Borgia)
Personaggi/Pairing: Cesare/Lucrezia/(Miguel da Corella), Alfonso d'Aragona/Lucrezia, e altri minori
Rating: R
Note: la caratterizzazione di Lucrezia è fortemente basata su quella della sua controparte in Cesare di F. Sōryō. La fic medesima è considerabile un AU del manga stesso
Teaser:
Lucrezia è l'unica donna al mondo in grado di comprendere Cesare. Ma in suo fratello ci sono menzogne che nemmeno lei può penetrare e segreti troppo profondi perché sia lei a poterli custodire.
Fic scritta per la prima edizione di
minicest-ita. La mia gifter per questa storia era
mikamikarin (♥), che ha creato
una cover visionabile qui.
Dolce come il veleno
L'Anno del Signore 1492 è segnato da un serie di eventi destinati a plasmare la storia del mondo.
La caduta di Granada, ultima roccaforte araba in territorio spagnolo, e la conseguente cacciata degli ebrei da parte della Corona di Castiglia e Aragona spostano le fiamme del conflitto verso il cuore d'Europa. Nella bella Firenze, Lorenzo de' Medici si spegne dopo mesi di segreta sofferenza e con la sua morte ha fine anche quel prezioso equilibrio che aveva unificato le sorti della penisola. Ora ai fuochi della politica si aggiungono i roghi ordinati dallo zelo religioso del frate domenicano Girolamo Savoranola.
È in questo clima d'instabilità che, in un rovente pomeriggio di agosto, il cardinale spagnolo prima noto come Rodrigo De' Borja sale al soglio pontificio col nome di Alessandro VI.
Lucrezia ha dodici anni all'epoca. È minuta per la sua età: pallida e dall'aspetto fragile, è spesso costretta a rinunciare agli eventi mondani a causa delle febbri che la perseguitano nelle stagioni calde e in quelle fredde. Quasi per compensare a questo difetto di salute, Lucrezia è dotata di una mente agile e acuta e di una curiosità sincera: ama la storia, specie quella delle casate spagnole, e dimostra un'insolita inclinazione per il latino e le lingue straniere che non esita a coltivare nel poco tempo libero che le è concesso. Come tutte le sue coetanee, si diletta nel cucito e nel ricamo, ma è solo di recente che ha imparato ad apprezzare le virtù di queste arti e a riconoscere una qualche utilità anche alle lezioni di etichetta e bassadanza. La causa di questo cambiamento non risiede nel destarsi di nuovi interessi, quanto piuttosto nei consigli e nelle raccomandazioni di suo fratello Cesare.
Cesare è quattro anni suo maggiore e ha da poco conseguito la laurea presso l'università di Pisa. A 17 anni è già arcivescovo di Valencia, e presto loro padre lo investirà cardinale.
«Comprendere la politica è importante per una donna», l'avvisa Cesare, sotto lo sguardo attento dei loro tutori. «Un giorno dovrai lasciare Roma e vivere assieme a tuo marito. È necessario che tu sappia gestire i rapporti con la tua nuova famiglia, oltre che quelli con l'estero».
Lucrezia è già stata fidanzata due volte con due diversi nobili valenciani: Don Cherubino de Centelles e Gasparre d'Anversa. Non ha mai conosciuto il viso di quelli che sono stati i suoi promessi, ma ha passato giorni interi a studiare la storia dei loro casati e i nomi delle personalità più in vista delle loro famiglie. Tuttavia, una volta eletto papa suo padre aveva sciolto ogni precedente accordo. «Sei troppo importante per andare in sposa a un uomo qualsiasi», le aveva detto prima di posarle la mano sul capo, come per benedirla. «Bisogna che io scelga con cura il tuo futuro sposo». Quello che aveva inteso, come d'ovvio, era che i suoi interessi politici erano cambiati.
***
L'educazione di Lucrezia è affidata ad Adriana de Mila, una cugina dei Borgia, e a Giulia Farnese, la giovane amante del papa.
Adriana e Giulia le forniscono indicazioni su tutto quanto una donna del suo rango è tenuta sapere: quali abiti è corretto indossare, quale acconciatura è più appropriata, e quale postura è necessaria assumere a seconda delle occasioni. Spesso assistono alle lezioni offerte dagli altri tutori e intervengono qualora notino eccessiva indulgenza nei loro metodi.
Lucrezia segue alla lettera gli insegnamenti che le vengono impartiti, orgogliosa dei propri progressi e un poco intimidita dalle punizioni che l'attenderebbero qualora si rifiutasse d'obbedire a una richiesta o ne mettesse in discussione le motivazioni. Gli unici istanti in cui manca di rispettare ogni regola di decoro sono le rare visite a sua madre, Vannozza. In quelle occasioni Lucrezia si perde nel gioco con il piccolo Goffredo, il suo fratellino minore, e risponde senza esitazione alle provocazioni del più grande Giovanni, sempre pronto ad approfittare del titolo di figlio prediletto. Si tratta sempre di momenti fugaci e, a fine giornata, Lucrezia torna inevitabilmente a scivolare in scarpe fasciate e vestiti troppo stretti. Lasciare Vannozza le suscita ogni volta una profonda malinconia.
Il giorno dopo le elezioni papali Giulia e Adriana la costringono immobile su un piedistallo mentre un nuvolo di sarte e dame di compagnia si affrettano a prenderle le misure e ad acconciarle i capelli.
Lucrezia trae un profondo respiro e annuncia, con una punta di petulanza infantile: «Questa sera vorrei indossare il mio nuovo abito». Sta pensando a un capo che Giulia ha fatto commissionare per lei alcune settimane addietro: un meravigliosa gonna dalle sfumature bluastre che mette in risalto la sua pelle diafana e sottolinea la profondità dei suoi riccioli biondi.
Adriana non solleva nemmeno lo sguardo. «No, non questa sera», replica, appuntando l'ennesimo spillo sull'orlo della sua veste.
Lucrezia si volta d'improvviso, costringendo un paio di sarte e la stessa Adriana a indietreggiare. «Perché?», insiste. Se vedersi negato il suo desiderio la riempie di stizza, non conoscerne le ragioni di rifiuto suscita in lei una rabbia quasi rovente.
A quell'affronto, gli occhi di Adriana si fanno due gelide fessure; ma, prima che la donna possa replicare, Giulia ride, divertita, e scosta una ciocca ribelle dalla fronte di Lucrezia. «Vuoi fare buona impressione a tuo padre. Non è così, Lucrezia?»
Lucrezia esita. «È un giorno importante per lui… e per i miei fratelli», ammette. Un caldo improvviso le tinge le gote di porpora.
Giulia le prende il volto tra le mani e le rivolge un sorriso gentile. «Ciò che dici è vero, ma devi ricordare che il banchetto di domani è un evento ufficiale», le rammenta. «Ed è sempre bene conservare i nuovi abiti per le occasioni più importanti».
Lucrezia fa un lieve cenno di assenso. Conosce bene questa regola che le è stata ripetuta fino alla nausea. Tuttavia, a volte le piacerebbe poter agire d'istinto: essere imprevedibile, sorprendere e meravigliare con azioni da altri ritenute impossibili, se non fuori luogo.
Suo fratello Cesare crede che nell'imprevedibilità si nasconda la vittoria e, forse, un giorno anche a Lucrezia sarà permesso testare questa sua convinzione a modo proprio.
«Ti propongo un accordo», riprende Giulia. «Cosa ne diresti se entrambe aspettassimo domani sera per indossare i nostri nuovi abiti?»
Questa volta Lucrezia annuisce con maggiore convinzione. Giulia è splendida in ogni cosa che indossa, e suo padre è sempre molto felice quando lei e Lucrezia si mostrano in accordo. «Al papa farebbe sicuramente piacere se deliziassimo i suoi invitati».
«Di certo apparire al nostro meglio non potrebbe che compiacere Sua Santità. Inoltre sono sicura che anche tuo fratello, Messer Cesare, sarebbe orgoglioso di te».
Lucrezia si apre in un sorriso. Quando le sue azioni si dimostrano utili a loro padre Cesare non dimentica mai di farle un qualche complimento. «Va bene, Giulia», concede, infine. «Ma voglio che domani sia tu ad aiutarmi a prepararmi».
Giulia annuisce e le posa un bacio sulla fronte. Il rimprovero di Adriana giunge spedito come lo schiocco d'una frusta: «Giulia, ora stai esagerando».
«Perdonatemi, madre», Giulia corregge al propria postura e abbassa lo sguardo con fare imbarazzato.
Non parlano molto, in seguito, e le dita veloci delle dame di compagnia tornano ad appuntare spilli ed intrecciare perline. In questo silenzio, Lucrezia ricorda di scene simili nel suo passato, quando le stesse donne le avevano presentato gli abiti che avrebbe dovuto indossare alle nozze con Don Cherubino, prima, e con Gasparre, in seguito. Erano capi molto diversi tra loro: il primo le aveva punto la carne ed irritato la pelle, il secondo le era scivolato indosso come fredda acqua piovana; eppure, in entrambi casi, il responso di Giulia e Adriana era stato il medesimo: 'Perfetto'.
Solo ora Lucrezia giunge a comprendere il motivo di quel giudizio e si stupisce, non per la prima volta, della facilità con cui indossare una collana di perle invece che uno smeraldo possa renderla più o meno desiderabile ad occhi altrui. Inoltre, non è sicura che sia nello spirito cristiano pensare questa permuta di fidanzati un semplice cambio d'accessori.
È lieta che né Giulia né Adriana notino il suo breve attimo di smarrimento: non sarebbe in grado di spiegarne l'origine senza assicurarsi un rimprovero. La sua unica consolazione è che, a dispetto di ciò che sarà costretta indossare nel corso della vita, nel cuore rimarrà per sempre una Borgia.
***
Col passare dei giorni le preoccupazioni di Lucrezia sull'identità del suo futuro sposo si fanno più insistenti. Non ha dubbi che suo padre provvederà a trovarle un nuovo marito nel giro di poco tempo: magari qualcuno nativo della penisola, questa volta, utile affinché il loro nome perda per sempre il suo accento spagnolo.
Ciò che la tormenta non è più, come agli inizi, il pensiero di dover sposare un completo estraneo, quanto piuttosto la consapevolezza che le alleanze di suo padre e di suo fratello sono mutabili come il vento. Più volte Giovanni le ha sussurrato d'intrighi che hanno privato del sonno la sua giovane mente: storie di veleno e tradimento che le rivelano il suo semplice ruolo di gemma da incastonare nella corona d'un re straniero.
Lucrezia s'interroga a lungo su come dovrebbe comportarsi e quale destino si troverebbe ad affrontare qualora gli interessi dei Borgia e quelli della famiglia del suo sposo dovessero mai entrare in conflitto. La conclusione a cui giunge è un suggerimento che di certo suo padre accoglierebbe con vergognosa ira.
«Vorrei non dover sposare nessuno», mormora in un piovoso pomeriggio d'inverno. La sua voce rimbalza tra le alte pareti dello studio, donando al suo sussurro una forza lei che non aveva inteso.
La penna di Cesare fa una pausa sulla pergamena, e suo fratello solleva lo sguardo dal libro di diritto canonico che sta studiando. «Lucrezia», la chiama, pacato. «Hai maggior senno di questo».
Lucrezia arrossisce, un po' per imbarazzo e un po' per rancore, e scuote con vigore i riccioli biondi. Sa bene quali sono i suoi doveri e non è sua intenzione disobbedire a loro padre; ma, allo stesso tempo, non crede di essere pronta a lasciare Roma: non ora che Cesare vi è tornato dopo una lunga assenza. «Vorrei non dover sposare nessuno», ripete, la fronte corrucciata e lo sguardo basso. «Vorrei entrare anche io come te in seno alla Chiesa, fratello».
Il silenzio che segue quell'ammissione le fa temere di aver errato nell'esprimere il proprio pensiero. Per un po', Lucrezia è restia a distrarre gli occhi dal pavimento, e quando lo fa è con uno costernato imbarazzo che si volta di nuovo verso il suo interlocutore.
Cesare scosta la sedia e si avvicina alla finestra. «Sai che preferirei indossare un'armatura che un abito da cardinale», le ricorda, fissando la pioggia con aria malinconica. Non c'è traccia di rimprovero nella sua voce; piuttosto, sembra che la conferma che Lucrezia condivida parte delle sue stesse preoccupazioni lo rattristi.
Cesare ha grande talento per l'arte politica e militare. Sebbene non osi interrogarsi sulla fede altrui, Lucrezia è consapevole che l'amore di suo fratello per il mondo e i piaceri terreni è ben più grave della devozione per Dio celeste. Ma, forse per un errore di giudizio, loro padre ha assegnato Cesare alla Chiesa, destinando ad altri le imprese militari che aveva sempre sperato d'intraprendere.
Questa differenza di ruoli e di talento, pensa Lucrezia, è sempre stata causa di attrito tra i suoi fratelli maggiori e, nel tempo, non ha fatto che accrescere il divario che li separa. Un divario che il papa ignora o finge d'ignorare.
È in questa tragica svista che Lucrezia riconosce le prove della mortalità di Rodrigo Borgia. Nel momento meno opportuno comincia a nascere in lei il dubbio che Dio sussurri con voce umana all'orecchio del papa, e che suo padre sia perciò incapace di coglierne i consigli.
«Perdonami, fratello». Mortificata, Lucrezia raggiunge Cesare accanto alla finestra. L'ultima cosa che vuole è essere un peso per suo fratello, o ricordagli che anche lui non può ottenere tutto ciò che desidera. Non ancora, almeno.
La labbra di Cesare si piegano verso l'alto. «No, hai solo detto ciò che pensavi. Ma è importante che impari a dominare questi sentimenti. Adesso che nostro padre è papa ci sono idee a cui non dovrebbe essere permesso di trovare una propria voce».
Lucrezia annuisce, consapevole del proprio errore.
«Mi addolora pensarti sola in una città straniera, ma una volta maritata la tua posizione sociale non farà che migliorare. Dovresti già saperlo».
«Sì, fratello», acconsente, inquieta.
Cesare s'inginocchia di fronte a lei e le cinge il volto tra le mani. «E comunque sei troppo bella per donarti unicamente a Dio».
«Cesare!», imbarazzata, Lucrezia allontana il tocco di suo fratello con una brusca carezza.
«Ma è solo la verità!», proclama lui, divertito. «Non sei d'accordo, Miguelito?», chiede, d'un tono più alto.
Il sorriso di Lucrezia svanisce all'istante: si era dimenticata che lei e Cesare non sono soli. Si volta appena, intimidita, alla ricerca della persona che sa troverà seduta su una delle panche in fondo alla stanza.
Miguel Rabadas da Corella è colui che agli adulti piace indicare come l'«uomo di fiducia» di suo fratello Cesare. A Lucrezia è stato chiesto d'ignorare questo attribuito e di rivolgersi a lui come 'cugino'. Il titolo è strano alle sue orecchie e sulle sue labbra, perché tra loro non vi è alcun vincolo di parentela. L'unica cosa che Miguel e Lucrezia hanno in comune è un nome spagnolo: decaduto quello dei Rabadas, adattato a nuova lingua quello dei Borja. Il resto sono solo formalità.
Al richiamo di Cesare, Miguel si distrae dal documento che sta leggendo. «Di certo un giorno tua sorella sarà una magnifica sposa, Cesare».
Lucrezia deglutisce. «Grazie, Cugino Miguel», sussurra, appena udibile.
Miguel sposta l'attenzione su di lei e scuote il capo. «Come ha detto vostro fratello è solo la verità, Madonna Lucrezia».
È raro che Miguel discorra con qualcuno che non sia Cesare e, sotto la forza del suo sguardo, Lucrezia arrossisce ancora di più: nessuno, prima di ora, si è mai rivolto a lei con il titolo di 'Madonna'.
Cesare si volta. «Forse dovresti essere tu a sposare Lucrezia, Miguelito», stuzzica. «Almeno in quel caso la saprei in buone mani».
Miguel fa un mezzo sorriso e incrocia le braccia al petto. Nei secondi che seguono, finge di prendere la proposta in seria considerazione. «Sì, forse», risponde, infine, tornando a cercare il viso Cesare. «Ma ne saresti comunque geloso. Come lo sei di tutto», aggiunge, in un tono che tradisce una reale esasperazione.
«Oh, avanti: non sono così possessivo!»
Miguel inarca un sopracciglio. Cesare sbuffa: «E tu che ne dici, Lucrezia? Sono poi così terribile?», le chiede, posandole le mani sulle spalle.
Colta di sorpresa, Lucrezia si morde le labbra e fa un passo indietro. Ancora incerta delle regole di questo strano gioco, alterna senza sosta lo sguardo tra Cesare e Miguel. Poi, rapita da un pensiero improvviso, serra le palpebre e immagina di essere sola, nel suo vecchio letto a casa di Vannozza. «Vorrei che fratello e sorella potessero sposarsi tra loro», ammette ad alta voce.
Le dita di Cesare hanno un involontario spasmo prima di allontanarsi da lei. Priva di altre opzioni, Lucrezia deglutisce e solleva il capo.
Il volto di suo fratello è un ritratto di turbamento e preoccupazione: la fronte corrucciata e le labbra serrate in una linea rigida. Una luce scura adombra il suo sguardo, e Lucrezia scorge qualcosa d'indicibile nelle sue iridi scure: l'ombra di un disegno su cui Cesare ha a lungo meditato, ma è restio a portare a compimento. Nella sua innocenza, scambia quel bagliore per rabbia, o forse per qualche altra violenta emozione, e tenta di porvi rimedio nell'unico modo che conosce: pregando per il perdono.
Lucrezia si getta in avanti, stringe le braccia attorno al busto di Cesare, e affonda il volto tra i bottoni della sua tonaca scura. Sulle prime, Cesare è restio a reciprocare questo suo gesto d'affetto; poi, con un sospiro di pena, torna ad affondare la mano tra i capelli di Lucrezia e scende a circondarle la schiena. Lucrezia si abbandona ancora di più contro suo petto e chiude gli occhi contro i ricami dorati dei suoi abiti. Un vago sentore d'incenso la culla in un torpore inatteso.
«Lucrezia», mormora Cesare. «Dovresti tornare da Giulia, adesso», impera, gentile.
«Sono perdonata?», chiede lei, mesta.
Cesare simula indecisione; poi scuote il capo e la bacia sulla punta del naso. «Sempre».
Lucrezia sorride, euforica, e fa un breve inchino di congedo. Giunta in prossimità della porta, arresta il passo. Miguel si è parato di fronte a lei, le mani strette in pugno e quell'espressione di guardinga diffidenza che è solito assumere durante le uscite pubbliche di Cesare.
«Cugino Miguel?…», l'interroga, confuso.
Miguel non le risponde a parole, ma le fa un breve cenno di scuse, così assicurandole di non essere lei la causa del suo comportamento; invece, raddrizza la schiena e sposta lo sguardo su Cesare, ora in piedi accanto allo scrittoio.
Lucrezia ha la strana impressione che Miguel stia rimproverando suo fratello di qualcosa di estremamente grave. È pronta a portarsi le mani alle orecchie e nascondersi sotto il tavolo, come faceva quando era piccola e i litigi dei suoi genitori degeneravano in un insieme distinto di grida e vetri rotti. Per contro, Cesare si limita ad un breve cenno di negazione. Tanto basta perché la tensione abbandoni le spalle di Miguel, che trae un sospiro di sollievo e si scosta di lato.
Per Lucrezia questo peculiare scambio di sguardi non segna alcun momento particolare nella sua vita. Lo etichetta come una delle tante cose che ancora non riesce a comprendere del mondo degli adulti, e non s'interroga sui sussurri che si rincorrono da dietro la porta chiusa una volta che lei ha lasciato lo studio.
Di buon umore come non lo era stata da tempo, Lucrezia fa ritorno da Giulia e Adriana danzando per i corridoi del palazzo.
***
Alla fine, la scelta del papa ricade su Giovanni Sforza, conte di Pesaro.
Lucrezia, però, è pur sempre una sposa bambina e anche suo padre la reputa troppo giovane per concedersi al suo nuovo marito. Decide così di non farla allontanare da Roma prima di qualche mese e chiede allo Sforza di essere paziente nelle sue passioni.
In questo breve periodo nulla cambia nella vita di Lucrezia, se non il fatto che ora deve raccogliere i capelli in disegni elaborati o intrecciarli con veli e perline, nel modo che conviene a una donna maritata. Cesare le assicura che queste nuove acconciature le donano, ma lei si sente quasi soffocare senza il conforto dei ricci biondi che le cadono sulle spalle. Di nuovo, è assalita da un cocente desiderio di poter fare qualcosa di sconveniente. «Di oltraggioso», precisa, sedendosi davanti allo specchio. «Di scandaloso!»
Giulia annuisce e l'aiuta a legare l'ultimo nastro della manica. «Ne avrete più che un'occasione, Contessa».
A queste parole Lucrezia ammutolisce, sconvolta.
Giulia le appunta alcuni fiori ai lati della fronte, impassibile. «L'importante che nessuno vi scopra», le confessa, con uno sguardo distratto in direzione del letto.
Lucrezia si fa un po' più pallida del solito. «Sì, Giulia».
In novembre la pazienza di Giovanni Sforza comincia ad assottigliarsi e il papa giudica la sposa-bambina pronta a svolgere i propri doveri. Piena di ansia e paura, Lucrezia parte per Pesaro con Giulia e Adriana al seguito. La sua permanenza in città si rivela più piacevole di quanto avesse sperato e, così come una volta aveva offerto da deterrente alla partenza di Cesare per l'università, la compagnia di Giulia allevia di un poco la nostalgia di casa.
Lucrezia è quasi in imbarazzo nel constatare che ciò che più le manca di Roma non sono i suoi conoscenti, ma le abitudini dell'infanzia. Tra feste e banchetti, solo di rado i suoi pensieri hanno tempo di volgersi a suo padre e ai suoi fratelli ed è con vergogna che spesso Lucrezia dimentica di scrivere quelle lettere che aveva promesso d'inviare. Al fine d'espiare questo peccato d'orgoglio, le notti che le labbra di Giovanni si posano sulle sue, Lucrezia prega la Vergine e fa penitenza.
Sola, all'alba, si asciuga le lacrime e sorride orgogliosa al pensiero di aver assecondato i desideri del papa e di Cesare. Di certo, si convince, Dio non può che essere fiero di lei.
***
Ci vogliono quattro anni prima che il legame instaurato con il casato degli Sforza si trasformi in uno scomodo rapporto. In quei quattro anni, mentre le ambizioni di Cesare si fanno più evidenti e Alessandro VI dona un nuovo volto al Vaticano, la pressione della Francia aumenta e il commercio con le terre al di là dell'oceano comincia ad odorare di conflitto.
Nell'apparente quiete di Pesaro, Lucrezia impara a mettere in pratica l'arte della politica e tendere l'orecchio al più lieve sussurro. Nel tempo le vengono concesse delle libertà rare per una donna della sua età, e Giulia torna a dedicarsi in modo esclusivo al papa. Ma è proprio ora che le è chiesto pensare per sé stessa che Lucrezia ha più bisogno di protezione.
«Nostro padre vuole che tu prenda rifugio a San Sisto».
È una calma mattinata di sole a Roma.; i colori dell'autunno fanno vibrare l'aria dei colori dell'oro più prezioso e il cielo risplende di un azzurro limpido, privo dell'ombra delle nuvole. Lucrezia osserva la vita di Roma dall'alto del suo letto e la vive come un sogno ad occhi aperti. «Nascondermi in un convento non farà dimenticare del mio divorzio», commenta, pacata.
Cesare scuote il capo. «No, non si tratterebbe di un divorzio».
Lucrezia inclina la testa di lato, in tiepida attesa; poi, lo sguardo di suo fratello incrocia il suo e una nuova rivelazione la coglie. «Un annullamento», mormora, divertita. «Giovanni non sarà felice della cosa».
Cesare fa un cenno di rifiuto. «Tuo marito non ha più alcuna utilità per noi», le ricorda. «Ciò che pensa è irrilevante».
«Eppure, tu e nostro padre siete in ansia per ciò che potrebbe rivelare al pubblico».
«La reputazione è un'arma potente quanto fragile, Lucrezia. E certe voci possono essere smentite ma non dimenticate».
Lucrezia si snoda una treccia. «E tu credi che Giovanni possa mettere in pericolo ben più della mia reputazione».
Cesare serra le mani in pugno, ma non accetta di accogliere altrimenti la sua sottile provocazione. «Non posso proteggerti da ogni cosa e in ogni momento», ammette, sconfitto. Ed è la verità. Cesare può entrare nella sue stanze, solo e senza invito; può far scivolare spie nei vicoli più bui e sotto il sole più cocente; silenziare amici e cospiratori; ma vi saranno sempre luoghi dove nemmeno la sua ombra può arrivare.
Lucrezia scosta le coperte di lato e invita Cesare a sedersi al proprio fianco. «Lo so», lo rassicura, prendendogli il volto tra le mani. «Lo so», ripete a sé stessa.
Pronuncia queste scarse parole come fossero parte d'una promessa; e in parte, ragiona, lo sono davvero. Il prezzo da pagare per essere una Borgia è ben superiore al fardello che una manciata di muli carichi di preziosi possono trasportare in una notte di conclave; ma non sarà lei a incolpare suo padre delle conseguenze dell'ambizione. Non quando è proprio l'ambizione ciò che più ama in suo fratello.
Cesare è immobile, gli occhi chiusi e la mano premuta contro la bocca; il metallo chiaro dell'anello che porta al dito è in netto contrasto con il tono scuro della sua pelle catalana. Abbigliato nella sua più bella tonaca cardinalizia, un pugnale nascosto sotto le vesti, ricorda di loro padre quando erano bambini.
«Cesare», lo chiama Lucrezia, preoccupata.
Muto, Cesare trova la sua mano e la conduce davanti alla specchiera che domina la parete orientale della stanza. Qui le presenta un anello di rubini.
Per un istante Lucrezia è smarrita. «Cesare», sussulta, sorpresa.
Cesare le sorride e infila l'anello laddove una volta era stato quello di Giovanni, che ormai da lungo tempo giace abbandonato sul fondo d'una cassettiera.
Lucrezia ritrae la mano, ammirata. Sotto i riflessi del rubino scorge il riverbero di qualcosa di ben più torbido. Nello spazio vuoto sotto la gemma si apre un piccolo compartimento segreto che Cesare le mostra come accedere: e, in esso, della polvere bianca dall'aspetto simile allo zucchero. Cantarella, ragiona tra sé: Il veleno dei Borgia. Nessuno ne ha mai discusso in sua presenza, ma Lucrezia non è sorda ai sussurri affrettati che dame di compagnia e servitori si scambiano dietro porte chiuse e ha dedicato più d'una notte insonne alla paura di nausee improvvise e respiri sottratti al petto. «Dicono che il veleno sia l'arma dei codardi», provoca, questa volta inconsapevole.
«Codardi?», ripete Cesare; c'è un udibile degno nella sua voce. «No niente affatto». Il veleno, le rivela, è frutto dell'ingegno e strumento della fortuna: artificio degli antichi e inganno del presente.«È il vero simbolo della nostra epoca».
Lucrezia abbassa il capo. «Eppure io non desidero uccidere nessuno, fratello».
«Il veleno non è sempre per i nostri avversari».
«Cesare?… «, la confusione torna ad annebbiarle la vista.
Bonario, Cesare le prende le mani tra le sue: «Tu non uccideresti che uomini che tentano alla tua vita, Lucrezia. E uomini che provano rancore nei tuoi confronti sono per certo uomini la cui anima già arde nelle profondità dell'Inferno». Scandisce le parole in quello stesso tono con cui un insegnante si rivolge a uno studente. «Uccidendo i loro corpi e il demone che li possiede non faresti che un favore a Dio».
Lucrezia serra le palpebre. Pensa ai propri studi e si domanda, non per la prima volta, se possa davvero prendere in fiducia le parole di un libro diverso dalla Bibbia, specie se vergate dalla mano d'un uomo in lotta con l'eresia. Uomini privi d'anima e virtù posseduti e guidati da spiriti sovrannaturali le sono ormai divenuti familiari persino tra i corridoi del Vaticano, e Lucrezia non è più sicura da cosa derivi l'approvazione divina: forse da un atto di fede; forse dal rigetto del peccato stesso.
«Ci sono uomini che pensano parimenti di te e di nostro padre. Uomini che vi additano come profanatori della Chiesa e servitori del Demonio», Lucrezia si morde il labbro inferiore, confusa. «Ma di sicuro un papa non può essere destinato alle fiamme eterne».
Cesare esibisce un ghigno divertito. «Dio è imperscrutabile», decreta, indifferente ad ogni dubbio ed accusa.
Lucrezia si solleva sulle punte, gli occhi che si specchiano in quelli di Cesare. «Se la tua anima venisse giudicata indegna del Paradiso non potrei soffrire di saperla sola tra le fiamme», rivela, disperata.
Suo fratello ha una delle sue rare esitazioni. Una luce di malizia gli illumina lo sguardo e poi svanisce, ingoiata da una grigia malinconia. «Fai promesse sconsiderate, Lucrezia».
Lucrezia ride. «Non lo sono tutte?»
Cesare si ferma a riflettere e Lucrezia si volta, rapida, verso la porta: «Almeno voi datemi ragione, Cugino!»
Miguel distoglie lo sguardo dal dipinto che fino a questo momento ha catturato la sua attenzione. Gli occhi bassi, rivolge a Lucrezia un solerte cenno di saluto ma evita di guardare in sua direzione: non per mancato rispetto o vergognosa pudicizia, quanto piuttosto per rispetto del proprio ruolo di ombra. Persino la sua postura pare suggerire un disagio mortificato per essere stato ripescato dall'invisibilità in cui dovrebbe dimorare. Lucrezia troverebbe la sua reazione amabile e quasi infantile se non temesse suo cugino in così larga misura.
Il silenzio si protrae ancora per diversi istanti: Miguel lo sente farsi pesante sulle sue spalle e diviene disperato per l'aiuto del suo signore. Ma Lucrezia sa che suo fratello ignorerà questa richiesta: ormai anche lui si è fatto curioso del responso che verrà loro offerto.
Messo alle strette, Miguel prepara una vendetta per suo conto. «Allo stato attuale», mormora, senza slacciare lo sguardo da quello di Cesare. «È mia convinzione che se esiste un uomo degno di essere seguito fino alle porte dell'Inferno, quell'uomo è vostro fratello Cesare. Di sicuro è questo che intendevate, Madonna Lucrezia».
Lucrezia annuisce soddisfatta. «Sì, è esattamente questo».
Miguel ricambia il suo sorriso. «Allora siamo in accordo, Madonna».
«Non potevo sperare in meglio».
Cesare ha uno scatto repentino. «Miguel», avverte, la voce sottile. «Lasciaci soli, per favore». È un ordine più che una richiesta, e l'atmosfera perde all'istante quel gioioso spirito di spensieratezza che tanto aveva faticato a coltivare.
Diligente, Miguel prende congedo, senza dubbio per appostarsi fuori la porta e assicurarsi che nessuno disturbi la conversazione che deve seguire.
Una volta soli, Cesare posa le mani sulle spalle di Lucrezia e la costringe a voltarsi. «Non posso sempre essere con te», le rammenta, riprendendo un discorso interrotto.
«Non te ne faccio una colpa», risponde lei.
«Io sì».
«Cesare…»
Lui l'interrompe con un gesto inaspettato. Serio, porta alle labbra la mano sinistra di Lucrezia e fa a sua volta una promessa. «Il veleno sarà laddove io non posso essere», mormora, accarezzando l'anello di rubino.
Lucrezia muove le dita come in un sogno. «Artificio e inganno», ripete, incantata. «Sì: la trovo una descrizione alquanto appropriata».
Cesare aggrotta la fronte, confuso.
Invece di bearsi di questa rara occorrenza, Lucrezia scuote il capo e fa un cenno in direzione dell'uscio. «E Miguel, Cesare?», si fa coraggio d'indagare. «È lui il tuo veleno?»
Le iridi di Cesare si tingono di quel grigio lucente che preannuncia la tempesta; e Lucrezia ottiene conferma dei propri sospetti. Ma prima che possa studiare una risposta appropriata, Cesare le stringe le mani attorno ai fianchi e la cattura in un abbraccio profondo. «Così credi?», ride nell'incavo del suo collo. «Ti sbagli, sai?», la contraddice, baciandole una clavicola. «Miguel è…». Una pausa, alla ricerca delle parole perfette.
Lucrezia resta inerme tra le sue braccia, in attesa della propria esecuzione.
Cesare piega il capo in avanti. «Miguel è il pugnale legato alla mia cintola», decide. «Lui può solo donarmi morte. Ma tu, sorella mia? Tu sei il mio veleno. Il mio dolce ed irresistibile veleno».
Questa volta Cesare non sopprime le proprie intenzioni, e Lucrezia si perde nella nebbia agrodolce del suo profumo.
Ma anche se ora prende l'abitudine di baciarla sulle labbra e non più sulle guance, anche se ora i suoi abbracci scendono a catturarle il seno e le sue dita carezzano là dove il tocco d'un fratello non dovrebbe mai arrivare, Cesare non diventa mai il suo amante. Lucrezia non può attribuirgli quel titolo perché nel suo cuore nulla è cambiato: Cesare rimane il suo fratello preferito e niente di più. Ogni altro appellativo, per quanto tenero e ricercato, non farebbe che sminuirne le virtù. D'altra parte, agli occhi di Cesare lei è solo la sua dolce sorellina: la donna che sempre terrà in riguardo e colei alla quale potrà sempre rivolgersi in cerca di aiuto e conforto, in un mondo di pugnali che colpiscono nell'oscurità.
E se è così che la mente di Lucrezia percepisce il loro rapporto, allora non vi è difetto, in lei, nel cercare le serenate di altri uomini e nel perdersi nelle loro carezze. O almeno questo è ciò di cui si dissuade.
***
Roma è l'unico luogo al mondo dove una vergine può dare alla luce un figlio maschio.
Proclamata intatta, Lucrezia fa un inchino e ringrazia i giudici canonici con deliziose formule latine. Il veleno, ha nuova conferma, non è solo polvere e pozioni, ma anche segreti e menzogne: bugie che corrodono le vene e consumano le ossa. Confidenze, persino, che portano poeti e dame di compagnia a gettarsi nel Tevere - e non certo per propria iniziativa.
Ma, a volte, il veleno si mischia al sangue dell'avvelenatore.
In un giugno soffocante, un messaggero porta la notizia che il cadavere di Giovanni Borgia, duca di Gandia è stato scoperto nelle acque di Roma. Ucciso, senza ragion di dubbio, per una vendetta personale. Il duca aveva ancora la borsa piena di denaro e il corpo svuotato d'ogni goccia di sangue; i medici stanno ancora contando gli affondi di pugnale.
Sola e sconvolta dalla febbre nella sua stanza di San Sisto, Lucrezia guarda triste alle lettere tinte di lacrime che suo padre le ha inviato; si domanda quanti giorni Cesare ha deciso d'attendere prima di chiedere al papa una dispensa ecclesiastica e lasciare la Chiesa.
«Quale guadagno da un'apparente tragedia», mormora al fardello che custodisce nel ventre. «Quale ironia».
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Il secondo matrimonio di Lucrezia è un matrimonio d'amore, oltre che di politica.
Questa volta il prescelto è Alfonso d'Aragona, figlio illegittimo del Re di Napoli. Non è la prima volta che Lucrezia ode tessere le lodi di questo principe senza corona: a suo fratello Goffredo ne è stata fatta prendere in sposa la sorella, Sancha, e non passa giorno senza che quest'ultima accenni, più o meno consapevole, alle virtù dei suoi famigliari. Nonostante ciò, il duca riesce comunque a rivelarsi di una sorpresa infinita. Lucrezia lo dice senza timore il più bel giovane su cui abbia mai posato lo sguardo; e Alfonso, dal canto suo, sembra ricambiare la sua subitanea infatuazione.
Ben presto la loro passione si trasforma in affetto e l'affetto in sincera dedizione. Lucrezia è in preda a una lucida confusione, perché non ha mai provato una simile fedeltà per qualcuno che non fossero il papa o Cesare. Ed è forse per questo che vive con insperata serenità l'annuncio dell'unione di suo fratello con la francese Carlotta d'Albret. Preda di una gioia incontenibile, Lucrezia quasi dimentica che nella sua vita non vi è posto per pacifiche illusioni. E poi la marea si leva a inghiottire tutto ciò che incontra al suo passaggio.
Le voci del papa e quelle degli Aragona cominciano a stridere in acuto contrasto finché, un mattino, Alfonso è aggredito da sicari senza volto mentre passeggia per le strade di Roma. Lucrezia e Sancha sono rapide a presentarsi al suo capezzale, ma le sue ferite sono profonde e provocano un quieto orrore nel posarvi lo sguardo.
Animate dal sospetto e dalla paura, Lucrezia e Sancha ordinano a un corpo scelto di guardie di vegliare giorno e notte la camera di Alfonso. «Il Duca non deve mai essere lasciato solo», avvertono, pena la morte. È una veglia lunga e costante e la prova più ardua che Lucrezia si è mai trovata ad affrontare; ma Alfonso è caparbio e desideroso di vivere, e tutte le volte muove la mano è solo per cercare e stringere la sua.
Lucrezia prega.
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Roma e il Vaticano sono il centro del mondo: la culla dove ogni menzogna viene concepita e allattata. E quale madre d'un figlio dimenticato, degli intrighi che vede dipanarsi di fronte a sé Lucrezia sa riconoscere ogni filo.
Chi è vittima d'un inganno ben ideato vive alla fioca luce d'una candela e la scambia per un sole splendente. La forma degli oggetti rimane un segreto del buio e quanto di giorno arreca terrore di notte si trasforma nel tesoro più prezioso. Cesare è quel mostro d'ingegno che conserva la vista in entrambi i mondi: abbagliato dagli astri, o privo anche del più sottile raggio di luna distrae col fascino e con le parole e occulta la sua lama più affilata tra i meravigliosi luccichii dell'oro e dell'argento. E anche Lucrezia cade vittima del magnifico inganno. Inaccorta, si lascia distrarre dal proprio dolore e dalla propria indignazione. Più di tutto, si lascia rendere cieca dalla visione di luce che la presenza di Cesare proietta su di lei e dimentica il vero significato del veleno.
«Il papa richiede la vostra presenza e quella di Madonna Sancha».
«Per quale motivo?»
«Sua Sanità crede che il Duca dovrebbe lasciare il palazzo».
Così raggirata, Lucrezia abbandona il capezzale del suo adorato Alfonso. Le è sufficiente il lampo di confusione che attraversa il volto del papa per comprendere il proprio errore; ma, per quanto i suoi piedi siano veloci, non può sperare di fermare la mano di Miguel.
La vita abbandona Alfonso in pochi istanti di lotta disperata: la porta chiusa e un cuscino applicato al volto. Sancha s'accascia sul pavimento, scossa dai singhiozzi: «Fratello», geme tra le lacrime.
Sconvolta dall'ira, Lucrezia imprime l'impronta della propria mano sulla guancia del sicario di Cesare.
Miguel non vacilla per un solo istante. «Sarò fuori dalla porta, se avete bisogno di me», annuncia, impassibile, e Lucrezia maledice il suo nome.
Il papa non è felice degli ultimi eventi: domanda una spiegazione, un motivo. «Una scusa qualsiasi!»
Cesare pare una visione di pace suoi vestiti ben piegati: «Ho agito in mia difesa», dice, composto.
«Spiegati», lo incalza il papa.
Una freccia di balestra, racconta Cesare, quasi gli era penetrata nel petto; e a scoccarla, ne è certo, era stata la mano di Alfonso. Un tentato omicidio proprio sulla soglia di San Pietro!
Il papa accantona le proprie proteste e ricusa ogni peccato con un sorriso affettuoso: «Non vi è fallo nel difendere la propria vita».
Ricusata, Lucrezia ingoia lacrime e ingiurie. La notte, quando il dolore cessa di affaticarle il respiro, si abbandona a una risata priva di gioia. Quale favore le ha dimostrato, il suo adorato fratello! Nessuno avrebbe potuto vedersi riservare assassino più cortese di quello che ha preso la vita di Alfonso. E tutto perché Cesare non ha mai potuto soffrire vederla penare.
Lucrezia si asciuga il volto e fissa la propria immagine nello specchio.
Quanta verità si nasconde tra le menzogne di suo fratello?… Quante delle sue accuse corrispondono a verità?… È questo il dubbio in cui Lucrezia rifiuta di perdersi. Anche se il racconto di Cesare fosse del tutto veritiero, lei non potrebbe mai considerare la perdita di Alfonso un sollievo, così come il papa sembra sperare.
Per la prima volta da quando Cesare gliel'ha donato, Lucrezia si sfila dall'indice l'anello di rubino. L'espone alla pallida luce d'una candela, e versa un poco della sua dolce polvere bianca in un calice. Sprofonda in una strana forma d'estasi mentre il veleno si mesce a un vino dall'aroma profondo. «Più denso del sangue», mormora nell'immergere le dita in quel liquido letale.
Alle prime ore dall'alba la fiamma si spegne e Lucrezia getta il calice dalla finestra. Il contenuto si confonde alla pioggia battente e svanisce senza lasciare traccia. Come se non fosse mai stato lì.
***
Nel tempo Lucrezia sviluppa la convinzione di essere l'unica donna al mondo in grado di comprendere suo fratello Cesare. I suoi passati errori di giudizio sono da attribuirsi a all'innocente desiderio di voler ignorare in lui difetti altrimenti evidenti: una debolezza alquanto diffusa, in Vaticano. I mesi che seguono la morte di Alfonso colmano in lei questa mancanza.
Ora che la sua lealtà non è più contesa tra due fazioni rivali, Lucrezia torna ad esercitare appieno il ruolo di figlia del papa. Stavolta, tuttavia, s'impegna a prendere controllo del proprio destino. Con Cesare occupato a cambiare la mappa della penisola e Goffredo ancora perso in sogni infantili, Lucrezia insiste per prendere parte alle trattative della sua nuova unione.
I suoi pensieri non vanno più al solo nome dei Borgia o alla sua privata felicità, ma a qualcosa di più complesso: uno schema, perfettamente tracciato, che si compone di più pagine e livelli. Non vuole rischiare un nuovo annullamento o una nuova vedovanza e un divorzio è fuori questione. Lucrezia è merce avariata: ma ha ancora molto da offrire ai potenziali compratori; e loro, per contro, hanno molto di più da offrire a lei.
Alfonso d'Este si dimostra il perfetto candidato. Dietro insistenza di Lucrezia, le lettere del papa a Ferrara si fanno ogni giorno più caparbie e il Duca non può che capitolare. È una grande vittoria politica per il papa e Cesare, e un trionfo ancora più grande per la sposa dei Borgia.
Nel gennaio 1501 Lucrezia parte per Ferrara. E qui, circondata da nuove ombre ed intrighi, comincia a vedere la sua famiglia sotto una nuova luce. Con sua sorpresa, rimane ammirata dal caparbio spirito d'unione che ha consentito ai Borgia di vivere e prosperare tanto a lungo in una città di sicari e tagliatole. La loro opera è frutto d'un lavoro di sagacia tanto ammirevole che, di certo, non può che essere stata in qualche modo ispirata da Dio Redentore.
Così, per quanto disapprovi dei suoi metodi, Lucrezia rimette a Cesare ogni colpa e ogni errore. Nel profondo suo fratello rimane quel demone virtuoso al quale lei ha venduto la propria anima. Che può dunque importarle dei sibili della malelingue, quando nemmeno lei potrebbe descrivere il sentimento che li unisce? Una passione priva di lussuria. Una lussuria priva di passione. Brama. Innocenza. Abominio? Lucrezia è stanca di rincorrere nomi che non esistono.
Forse l'unico uomo al mondo in grado di comprendere la sua devozione è proprio colui che ha donato la morte ad Alfonso. Ma a qual punto si spinga la fedeltà di Miguel e in qual misura essa sia ricambiata da Cesare, Lucrezia non vuole e teme di scoprire. Suo fratello ha sempre agito per amore (amore del potere, amore del proprio nome, amore della vanità), ma non le è chiaro quante volte abbia amato col cuore, anziché col solo intelletto.
Quella di Lucrezia è una paura fondata, e la conferma che qualcuno venga prima di lei nella fiducia di Cesare le risulterebbe uno smacco intollerabile. Specie se quel qualcuno si rivelasse essere un pugnale immerso nel veleno.
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La notizia della morte del papa giunge rapida e inattesa come lo scocco d'una freccia.
Lucrezia prende congedo dalle attività di corte; si chiude nella sua stanza, sola, e siede sul bordo del letto con le mani in grembo. Fissa la parete davanti a se come se gli arazzi che vi sono appesi nascondessero rivelazioni segrete. D'improvviso, corre a inginocchiarsi di fronte al ritratto della Vergine e le chiede di perdonarle l'orribile pensiero in cui sta indugiando.
La perdita di suo padre le ferisce il cuore e l'anima, ma non è per lui che sta versando le lacrime più amare. Cesare sta combattendo contro quello stesso malore che ha già stroncato il papa; veleno, dicono i medici: una pozione ingerita per errore o per complotto. Forse proprio quella stessa polvere che Lucrezia ancora nasconde nel suo anello di rubino.
«È una punizione?», si domanda Lucrezia, tra lacrime silenziose. Ma per quali peccati? Certo non la mancanza di fede; certo, non la cupidigia.
Lucrezia rilegge ogni missiva con esagerata operosità: il Duca Valentino è sulla via di guarigione; combatte al meglio delle sue forze; ancora possiede lucidità di pensiero. Dei nemici in agguato in seno a Roma e al Vaticano, nessun accenno. E Lucrezia è lontana, in una Ferrara che le sembra distante mille oceani.
Eppure, la situazione le è chiara. Lucrezia si accascia al suolo e piange la morte del suo amato fratello: anche Cesare dovesse sopravvivere a questa prova è già infetto d'un secondo veleno, uno su cui non ha controllo.
Lucrezia riceve notizie di accordi stretti da Cesare con cardinali, famiglie, e nazioni: accordi con cui rinnega sé stesso e la sua morale. Sopravvivere, ricorda Lucrezia, è il primo istinto dei Borgia; ma, privato del proprio orgoglio, Cesare non potrebbe mai resistere a lungo. Lucrezia tenta di aiutarlo al meglio delle sue possibilità: interroga amici, conoscenti, e amanti perché si operino nell'offrirgli ogni aiuto necessario. Poi, Giuliano della Rovere, storico nemico dei Borgia, sale al soglio pontificio. Dietro ordine del nuovo papa, Miguel viene imprigionato a Castel Sant'Angelo e torturato quasi fino in punto di morte. A Cesare rimangono solo due possibili strade da percorrere; entrambe conducono alla morte.
Per mesi, tutto tace. Lucrezia segue le vicissitudini di suo fratello col metodo di uno studioso che debba scrivere una biografia: raccoglie ogni frammento d'informazione con estrema difficoltà, e con estrema difficoltà ne verifica la fonte e l'attendibilità, in evitabile attesa della risoluzione finale.
Cesare fugge dalle fortezze spagnole in cui viene rinchiuso e, ancora separato dai suoi alleati, riceve l'insperato aiuto di Giovanni d'Albret, fratello di Carlotta, che lo recluta tra i capitani del suo esercito. L'assedio di Viana si prova fatale per lui. Cesare si spegne al comando di un altro re: ancora prigioniero, perché spogliato della gloria che era sempre andato cercando. È il marzo del 1507.
Nel ricevere la notizia Lucrezia sperimenta uno strano senso di pace. Incapace d'esprimere altrimenti la propria emozione, porta l'anello di rubino alle labbra in un bacio a lungo atteso. «Fratello», saluta. La gemma pare scaldarsi sotto le carezze del suo fiato e Lucrezia sorride tra le lacrime.
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Il corpo di una Miguel è una mappa di ustioni e cicatrici.
Sfregi e sferite s'incrociano tra loro, tracciando il profilo di mille storie diverse: quelle di mercenari che hanno fallito la loro ultima missione e quelle di uomini che ancora provavano amore per la vita e hanno combattuto fino all'ultimo respiro. Ma, nell'insieme, è la storia di Cesare a trasparire da quei segni.
Lucrezia la svela un poco per volta, consumando ogni evento con meditata lentezza e sensualità. Risale ai tempi in cui erano ancora bambini, scende tra gli intrighi del Vaticano, e si muove tre gli anni con la rapidità di una carezza, alla ricerca della Francia e delle campagne in Romagna.
«Credo che siate voi il mio veleno, Cugino Miguel».
C'è silenzio nelle stanze di Lucrezia Borgia a Ferrara: un silenzio rotto solo da sospiri affannati e da un sottile fruscio. Piove, fuori dalla finestra, e la pioggia porta con s'è una strana quiete malinconica. Lucrezia posa la guancia contro il petto di Miguel e rimane in ascolto mentre muove la mano tra le cicatrici. Alcune non sono ancora sbiadite nei colori tipici delle vecchie ferite e catturano l'attenzione con la loro forma sottile e allungata: truci ricordi dei colpi di frusta inferti dal nuovo papa.
Lucrezia sospira e Miguel scende ad accarezzarle il fianco. Il suo tocco indugia là dove le gravidanze di lei hanno più lasciato il segno: ventre, anche, e seni. Miguel v'imprime le proprie unghie, rapito, e Lucrezia pensa che, a modo suo, anche lei può esibire vestigia di vecchie battaglie.
«È questo il vostro modo di perdonarmi?», le chiede Miguel.
La domanda giunge inaspettata non solo per la sua natura inquisitiva, così atipica per suo cugino, ma perché dal suo arrivo a Ferrara le loro conversazioni non hanno mai avuto luogo altro che nello studio privato di Alfonso o nell'anticamera di Lucrezia. Certo mai nel suo letto prima.
«Perdonarvi?…», ripete Lucrezia, incerta. Miguel affonda un po' di più i polpastrelli nella carne del suo fianco, e Lucrezia ha una subitanea illuminazione. «No», nega. «Non vi è nulla che possa perdonarvi».
«Capisco». Miguel si solleva sui gomiti, alla ricerca dei propri indumenti. Lucrezia gli posa una mano sul braccio, gentile, e gli impedisce la fuga. «Non vi ho mai incolpato della morte di Alfonso», chiarisce.
Un sorriso triste e striato d'ironia appare sul volto di Miguel. «Non l'avete fatto, dite il vero», acconsente. «Ma non potete negare che mi avete sempre visto come un ostacolo posto tra voi e la felicità che davvero desideravate».
Lucrezia riflette con attenzione sulle sue parole. E Miguel le lascia il tempo di farlo senza esercitare su di lei alcun tipo di pressione; chiude gli occhi, la testa adagiata contro il cuscino e attento che i loro corpi non si sfiorino in alcun punto. Per diversi minuti il rumore della pioggia rimane indisturbato. Poi, finalmente, Lucrezia prenda una decisione e torna a stendersi al fianco di Miguel. «Credo di essere io stessa la causa della mia infelicità», ammette con candore. «Tu non hai alcuna colpa».
«Madonna Lucrezia…»
«Avrei dovuto essere più sfrontata», precisa, nel ricordare una vecchia conversazione con la bella Giulia Farnese.
La sua risposta suscita la risata di Miguel. «In tutta franchezza, mia Signora, non conosco donna più sfrontata di te».
Lucrezia si mette a cavalcioni sopra suo cugino. «È una caratteristica di famiglia», gli ricorda.
«Sì», replica lui. «Lo è senza dubbio».
***
Corrompere il ricordo di Cesare è qualcosa che non vogliono rischiare. Lucrezia e Miguel hanno visioni diverse di ciò che Cesare era e di ciò che rappresentava: idee che andavano al di là della semplice conoscenza o ricordo. Entrambe esatte, entrambe incomplete.
Lucrezia ha la certezza che i segreti di suo fratello non lasceranno mai le labbra di Miguel e moriranno con lui, per opera della spada più ancora che della vecchiaia. Ed è in quell'alone di mistero che la leggenda di Cesare vivrà per sempre, irraggiungibile e incomparabile.
Lucrezia non ha più bisogno del suo anello di rubino: conservarlo sarebbe come evocare lo spirito di suo fratello e chiedergli di compiere per lei nuovi atti di sacrificio. Un pensiero intollerabile, specie ora che ha preso consapevolezza del suo ruolo nel mondo.
Il giorno della sua partenza da Ferrara, Lucrezia dona a Miguel il suo anello e l'ultima dose del prezioso veleno in esso contenuto; non si cura del digli di non consumarlo, perché entrambi hanno compreso da tempo che non era la Cantarella il veleno con cui Cesare rovinava i suoi nemici. Invece, Lucrezia decide di dimenticare le accuse che le sono state rivolte nel corso degli anni e di ricordare solo la parte migliore di suo padre e dei suoi fratelli. L'unica eredità che si sente di accogliere è un'eredità libera da ombre.
Quando Miguel prende la strada per Firenze e la saluta con un bacio sulla fronte, Lucrezia ha il presentimento che i loro cammini non s'incroceranno mai più. Per lei è la morte come una Borgia.
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L'Anno del Signore è il 1507. Il Vaticano prospera sotto la guida di un nuovo papa, e le voci dell'Europa si confondono in un indistinto brusio di potere e vendetta. Alla splendida corte ferrarese, libera dagli spettri del passato, Lucrezia decide che le fiamme dell'Inferno non possono bruciare quanto la più innocente carezza di suo fratello Cesare.
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L''uomo in lotta con l'eresia' a cui si riferisce Lucrezia nella scena dello studio è Dante. Il <canto XXXIII dell'Inferno>, da lui scritto, si svolge nella seconda e nella terza zona del nono cerchio, nella ghiaccia del Cocito, dove sono puniti rispettivamente i traditori della patria e del partito e i traditori degli ospiti. Molti dei peccatori ospitati in questo girone scontano già la pena mentre il loro corpo continua a vivere sulla terra, governato da un diavolo.- 'Rabadas' è, almeno secondo alcune fonti, il cognome (o meglio: la famiglia o casato di appartenenza) di Miguel, a cui in genere ci si riferisce più semplicemente come 'Miguel da Corella' o varianti simili, dal nome della sua città natale.
La storia è disponibile anche su
AO3.