Autore:
iridaniaFandom: Cesare
Personaggi: Miguel da Corella; Cesare Borgia
Pairings: sottotoni Cesare/Miguel, con Cesare/altri, e Miguel/altri
Rating: R
Genere: introspettivo
Spoilers: generici fino al volume 8 (al momento in cui scrivo l’ultimo pubblicato in Italia); riferimenti storici post 1492
Conteggio Parole: ~3400 totali, divise in 15 vignette di diversa lunghezza
Disclaimers: Il manga appartiene alla dea; ed è un bene che sia così perché nessun altro potrebbe mai raggiungere così alti livelli di perfezione /s’inchina
Riassunto:
Miguel è il suo alter-ego. Quanto Cesare non riuscirà a ottenere da solo, l’altro sarà li a procurarlo per lui.
Sette Peccati - Don Michelotto
Superbia
Miguel ha smesso di essere un ebreo il giorno in cui si è imbarcato con Cristobal sulla nave per l’Italia. Se non fosse per i tutori di Cesare, dubita che ricorderebbe molto delle tradizioni che, in teoria, dovrebbe ancora rispettare.
La Religione non è mai stata una sua grande preoccupazione, e non crede che lo sarà mai. Perlomeno, non nella sua classica forma di dogma o credo spirituale.
Ci sono sottili fili d’argento nascosti sotto gli affreschi delle chiese. Tele invisibili formano intrichi sempre più complessi e legano tra loro gli interessi della penisola e quelli d’Europa. Mentre la Spagna porta a termine la Reconquista, il Ragno siede sul trono di Roma e divora anime per pura cupidigia: presto le gambe gli cederanno sotto il peso del suo stesso ventre. E anche allora, indifferente al sangue delle crociate, tutto ciò di cui il papato vorrà occuparsi saranno puerili questioni di semantica.
Marrano, eretico, infedele. Miguel apprende ogni definizione come uno scolaro diligente e ride della loro superfluità.
Le guerre di religione non sono che delle guerre di volontà e presto non avrà importanza che lui non sia né un ebreo né un vero cristiano. Perché lui è Miguel da Corella, l’ombra dell’uomo che plasmerà il destino del mondo, e l’unica fede di cui ha bisogno è la fede in Cesare Borgia.
Avarizia
Il clima di Roma era diverso da quello della Spagna. L’acqua stessa aveva un sapore differente: in Italia era più dolce, perché stemperata con il vino, e non bruciava la gola quando la s’ingeriva.
A Miguel piaceva la sua nuova casa, ma il viaggio per mare l’aveva debilitato e pochi giorni dopo il suo arrivo Adriana Orsini gli aveva proibito di lasciare il letto fino a che non si fosse rimesso. Non si poteva rischiare che il Signorino Cesare si ammalasse per colpa di un orfano inutile.
Il Signorino Cesare, dal canto suo, non si era dimostrato per niente felice di quell’accorgimento. Era assolutamente furioso che qualcuno l’avesse separato dal suo nuovo servo e compagno di giochi. Consapevole che protestare non sarebbe servito a nulla, Cesare escogitò presto uno stratagemma per comunicare con il suo assistito. Faceva scivolare sotto la porta di Miguel note di ogni tipo. La maggior parte erano scarabocchi affrettati, tracciati quando credeva che nessuno lo stesse osservando; altre erano vere e proprie lettere: missive composte nel buio e che Cesare doveva giustificare a se stesso come esercizi di bella calligrafia.
Miguel conserva ancora le prime note che Cesare gli ha inviato in antecedenza alla loro partenza da Roma. Le tiene rinchiuse in una scatola ai piedi del letto, celate agli occhi di tutti. Non le legge mai, ma il saperle al sicuro gli offre uno strano conforto.
Da quando le campagne militari si sono fatte più ardite, le lettere di Cesare sono cambiate: da scarabocchi infantili si sono trasformate in codici e cifrati. Sono documenti ufficiali, troppo importanti perché le lacrime di un bambino possano sbavarne l’inchiostro.
Miguel si chiede che cosa farebbe Cesare se venisse a sapere della febbre che l’ha accompagnato nell’ultima settimana. Il suo signore gli direbbe di sottrarsi alla battaglia, di ritirarsi, o forse ignorerebbe la sua debolezza, consapevole che Miguel non metterebbe mai a rischio la riuscita dei suoi piani?
Le guerre di un adulto si sono sostituite alla malattia di un bambino. Ma le lettere di Cesare rimangono quei rimproveri e quelle raccomandazioni che sono state fin dall’inizio: prove che il Signorino Cesare si fida ancora del suo compagno di giochi preferito. Miguel le desidera come un peregrino nel deserto desidera ristoro, fosse questo offerto dalle acque di un limpido fiume o dalle onde d’un mare in burrasca.
Lussuria
La prima volta che si perde in una donna, Miguel è sorpreso di quanto l’atto gli risulti naturale.
Dove aspettava esitazione e resistenza, c’è lo scivolare fluido della sua pelle contro quella d’un’estranea; dove s’attendeva goffaggine, ci sono i gesti precisi con cui accarezza corpo intrappolato sotto il suo. Il piacere che scopre non è un piacere nuovo, ma la forma alternativa di un tumulto che ha già provato in passato.
L’eccitazione di una mente libera da ogni affanno; il calore che gli cresce alla base del ventre; la voce che sussurra al suo orecchio e che lo guida nelle sue spinte: tutto è avvolto da quella stessa nebbia che lo perseguita quando si trova in compagnia di Cesare. È una confusione in cui Miguel è incapace di orientarsi.
Ogni tocco della sua provvisoria amante corrisponde a un ricordo che ha già vissuto e che in quell’istante può rivivere. Gli occhi di Cesare he s’illuminano di eccitazione infantile mentre parla del futuro. Cesare che ragione su di un libro o una poesia. Cesare che si chiude nel silenzio e lo lascia a domandarsi che cosa stia progettando.
Cesare Borgia, che pensa pensieri così diversi dal resto degli uomini.
Miguel si volta sul fianco e affonda le dita tra lenzuola umide. A un suo cenno, la donna senza nome si copre il seno e abbandona la stanza. Miguel si passa una mano sui capelli e ride fino a che il petto non comincia a bruciargli: è questa la differenza.
Il corpo d’un amante è una fiamma che si estingue al primo soffio di vento. Ma la luce di Cesare è un sole che arde all’infinito; e Miguel può perdersi nel suo calore ancora e ancora, fino a non riconoscere più se stesso.
Invidia
Angelo da Canossa è un inconsapevole rivoluzionario.
Angelo agisce senza riflettere, non per malizia ma per candore: le sue parole non sono misurate, e i suoi gesti non sono studiati. Ciò che offre sono i suoi pensieri, incensurati e puri così come la sua mente li elabora. E per questo, quanto riceve in cambio è il sorriso onesto dei più sleali tra gli uomini.
Miguel gli invidia quest’innocenza verginale. Guarda a essa come a un fiore reciso che a volte vorrebbe preservare in eterno e a volte lasciare appassire su una tomba senza nome. È un dilemma che non può permettersi d’ignorare.
Così, quasi senza volerlo, si fa carico di proteggere Angelo. Ma la protezione che gli offre è del tutto diversa da quella che sarebbe necessaria a un uomo della loro epoca. Invece d’insegnargli l’uso della spada, Miguel gl’impartisce lezioni di retorica. Invece di suggergli il modo d’incantare i Medici, gli racconta del veleno dei Borgia.
In un mondo fatto di sussurri al miele, Miguel riserva per Angelo le nozioni più ruvide e le parole più affilate. Tutto perché non vuole che Cesare seduca Angelo così come ha sedotto lui: con la speranza di un sogno e una promessa di morte.
Gola
Cesare Borgia era una droga.
Non si trattava di un paragone o di una metafora, ma di un verità inconfutabile. Cesare, col suo carisma e la sua passione, poteva rendere schiavi con un semplice battito di ciglia. Il primo contatto metteva in dubbio ogni certezza; i successivi gettavano luce su un mondo fuori dal loro tempo: un mondo che doveva ancora venire, ma che già esisteva nella mente del suo creatore.
Miguel ricordava di quando si era seduto per la prima volta a tavola con gli eredi dei Borgia. Il contrasto delle loro dita paffute con le sue, ancora segnate dall’inedia dell’orfanotrofio, gli aveva provocato un moto di vertigini.
“Perché stai piangendo?”, gli aveva chiesto Cesare da dietro i suoi boccoli corvini.
Miguel si era affrettato ad asciugarsi gli occhi e raddrizzare il busto. “Perché sono felice”, aveva riposto, senz’alcun indugio.
Perché io? Si era chiesto. Che cosa rendeva un orfano bastardo degno di servire i Borgia? Di pranzare assieme a loro, persino?
Mesi dopo, all’età di soli 10 anni, aveva versato per la prima volta del sangue cristiano in nome del suo signore. L’espressione di Cesare, riverso a terra e col labbro spaccato, aveva dissolto ogni suo dubbio: Miguel non era speciale, né aveva speciali talenti. Ma Rodrigo Borgia, magnifico giudice di carattere, aveva fatto in modo che la sua più grande debolezza divenisse il suo più grande pregio: un’insanabile devozione per il più imprevedibile tra gli uomini.
Cesare era una droga. Una troppo forte perché Miguel potesse rinunciarvi sotto i ferri di Giulio II e le pressioni di Firenze. O persino ora, ad anni di distanza dalla morte di Cesare e a pochi istanti dalla propria, in un angolo buio di Milano.
Ira
Cesare gioca con la sua vita così come un bambino gioca con il fuoco d’una candela. Attratto dal colore delle fiamme, dimentica ogni precauzione e lascia che la cera gli annerisca la pelle col suo tepido respiro. Solo quando il calore muta in un dolore acuto e improvviso riacquista il suo solito acume e ritrae la mano.
Un battito di ciglia, e Miguel è lì, a immergere il pugnale nel collo di un ladro o nella schiena di una spia. Lì, a salvare Cesare da se stesso.
A volte, Miguel vorrebbe urlare. A volte, vorrebbe rivoltare la lama e premerla lungo la guancia di Cesare, vedere il suo signore sussultare e perdersi nel dubbio. Ma trapassargli il petto? Questo sarebbe impossibile anche al migliore degli assassini. Cesare custodisce il proprio cuore con troppa gelosia perché qualcuno possa scalfirlo.
Ed è per questo che le ragioni dell’ira di Miguel dovranno rimanere per sempre segrete. La sua vita si esaurisce in quella di Cesare e senza Cesare non gli rimarrebbero altro che ceneri da spargere al vento.
Miguel non uccide per altri che per se stesso.
Accidia
Una sera di Agosto Cesare bussa alla sua porta e corre a infilarsi sotto le coperte senza una parola di spiegazione.
Miguel, già abbigliato per la notte, non può fare altro che alzare gli occhi al cielo. “Non dirmi che adesso hai paura dei temporali”.
“Nah”, Cesare batte lo spazio libero sul materasso alla sua sinistra.
Miguel esita prima di chiudere la porta: “Allora cosa?”, indaga, retorico.
Cesare fa spallucce. Tutte le volte che un lampo getta un’ombra nella stanza, inarca la schiena e stringe un po’ di più le ginocchia al petto. Come quando erano bambini.
Miguel sospira, rassegnato. Sa che dovrebbe protestare e convincere Cesare a tornare in camera sua. Sa che è suo dovere ricordare al suo signore i propri obblighi e rimproverarlo delle sue azioni. Solo che, con la pioggia che cade dall’altra parte del vetro e Cesare perso in un dubbio d’infanzia, Miguel non ha la forza di reagire. Così, spenta anche l’ultima candela, si condanna a una sofferenza che sa non gli darà pace per il resto della sua vita.
Miguel si stende sul letto accanto a Cesare, le braccia di Cesare attorno alla sua vita, e le labbra di Cesare a un fiato dalle sue. Si addormenta al ritmo di un respiro che non è il suo, osservando il profilo d’un uomo che non potrà mai dire d’aver conosciuto.
Al mattino, Miguel apre gli occhi a un letto vuoto e a un mondo inedito: un mondo in cui il figlio del Cardinale Borgia è anche il figlio del nuovo papa.
Sette Virtù - Cesare Borgia
Prudenza
Cesare nasce figlio di un intrigo e cresce strumento d’inganno. Alle voci che cullano il suo sonno d’infante si sostituiscono lodi d’invidia e sussurri al veleno.
Ben prima di sfiorare i confini dell’adolescenza, Cesare impara a distinguere mille sfumature di grigio nelle parole e nello sguardo dei suoi interlocutori. Con quelle ombre dipinge un’effige ornata dell’oro più prezioso e dei rossi più profondi. Ai suoi nemici sorride un sorriso di perle; ai suoi confidenti mostra la lama nascosta sotto la sua manica.
Nessuno può arrivare tanto vicino da infliggergli il colpo mortale: non Lucrezia, col suo sorriso di stelle, e non Miguel col suo sguardo affilato. E quando per sbaglio la lama penetra troppo a fondo Cesare tampona la ferita e ignora l’emorragia. Le cicatrici rafforzano il suo cuore.
Fortezza
Non c’è posto al mondo per i figli bastardi dei Cardinali. La loro vita è decisa dalle azioni di completi estranei; il loro futuro, plasmato per accomodare una profezia formulata degli dei del passato.
Un rito pagano perpetrato e protetto in seno alla Chiesa. Quale assurdità.
Se davvero non c’è posto al mondo per accomodare la sua volontà, Cesare ridurrà quel mondo in frantumi e ne ricomporrà l’immagine a sua somiglianza. Anche al costo di ferirsi con le più infide schegge di vetro.
Giustizia
Non ci sono regole precise nell’intricato gioco della politica. Chi ti è amico al mattino può pugnalarti a mezzogiorno e offrirsi di curare le tue ferite prima che venga sera.
Ogni mossa è pianificata in anticipo, ma se il giocatore non prevede una controffensiva anche i più meticolosi dei suoi piani si risolvono in un inutile spreco di tempo ed energia. La strategia viene affinata nel corso della partita e solo un obiettivo rimane invariato: impedire la caduta del Re. Cavallo, torre, pedone: ogni pezzo ha importanza diversa; ognuno può divenire prezioso nel fornire una distrazione all’avversario, o nell’essere lasciato alla cattura.
Certi arrocchi non richiedono molto sforzo: non vi è niente di più semplice che baciare il collo di una nobildonna o attirare lo sguardo lussurioso di un cardinale. Troppo spesso, però, Cesare è costretto a contemplare offensive che potrebbero causargli perdite insidiose: uno strategico pedone, un fidato alfiere, o persino la sua incomparabile regina.
In quelle occasioni Cesare pondera più a lungo sulla decisione; e quando finalmente la prende, una fiamma si accende nel suo sguardo.
Tutto viene secondo alla vita del Re; ma a coloro che tentano di catturare i pezzi a lui più preziosi Cesare riserva le peggiori punizioni. Nessun sacrificio rimane ingiustificato.
Temperanza
Cesare ha una curiosità e un’immaginazione fuori dall’ordinario. Sono doti che i suoi tutori apprezzano e lo incoraggiano a coltivare, seppur con delle severe limitazioni.
Vi sono degli obiettivi che Cesare deve perseguire sopra altri, e regole a cui Cesare deve obbedire senza indugio. Non vi è abbastanza tempo perché i suoi interessi e le sue energie possano venire deviate da particolari dalle conseguenze irrilevanti. Non importa che si tratti di visitare le rovine di Roma o d’imparare i modi dei popolani: tutto ciò che non è necessario alla realizzazione d’un piano è posticipato, trasposto, o abolito.
Cesare si concede un momento, tra il sonno e la veglia, in cui si perde nei suoi desideri più segreti e immagina cosa sarebbe stata la sua vita se non gli fosse stato concesso il nome dei Borgia. A volte, l’immagine che riesce è evocare è così vivida da suscitargli una febbre umida che lo perseguita per giorni.
Ma tutte le volte che apre gli occhi al nuovo giorno, Miguel è già alla sua porta, un bicchiere di vino alla mano e il pugnale legato alla cintola, e Cesare torna a ricordare sé stesso e il proprio dovere. Ricorda il sogno a cui vuole dare forma.
Fede
Il respiro di Miguel fende l’aria come una pioggia di frecce mortali. C’è sangue sul suo viso e sul suo farsetto: un rivolo scuro che gli bacia le labbra e gli accarezza mento. C’è sangue anche sulle mani e sulle braccia di Cesare, dove la lama d’un estraneo ha sfiorato la carne.
Miguel deglutisce. “Cesare…”, mormora, il capo chino, come se avesse fallito la sua missione. Come se il peccato che ha appena commesso non sia l’aver ucciso un uomo, ma l’aver esitato a farlo.
Cesare solleva lo sguardo e lì, a terra con gli abiti sgualciti, ha una visione. Un angelo dagli occhi di fuoco si erge su una colonna d’ambra, le ali spiegate e la spada sguainata in sua difesa: San Michele, Capitano dell’esercito divino. Colui che ucciderà il Drago.
Cesare ride, isterico. Questa, si dice, è la prova che gode della benedizione divina. Finché Miguel resterà al suo fianco nulla gli sarà impossibile. Nemmeno la conquista del mondo.
Speranza
A dispetto del suo talento e del suo potere, ci sono eventi che sfuggono al suo controllo: strascichi emozionali che mutano il pensiero degli uomini e alterano le passioni delle donne. Veleno, malattia, e frecce scagliate a occhi bendati da un arciere incauto lo rendono vulnerabile quanto un bambino in una notte di pioggia.
Ma la resa è improponibile e la sconfitta incontemplabile. Così, Cesare si allena a cadere.
Laddove mette il piede in fallo, fa in modo che qualcun altro prosegua la sua corsa. Laddove il suo talento non è sufficiente, prende in prestito il pugnale a lui più vicino. E quando la vittoria è a portata di mano, Cesare la fa sua e la stringe al petto come un amante geloso.
Solo allora può immaginare di essere al sicuro, protetto da qualcuno che lo desidera al di là dei suoi vizi e delle sue virtù: un’ombra disposta a onorare il suo nome anche a costo di rinunciare al proprio.
Carità
La carità di Dio è l’esca con cui un Re ingiusto si assicura la fedeltà di servi indigenti. Non vi è onore nel praticarla come non vi è riscatto nel riceverla.
I poveri di Kinzica e gli affamati di Roma sono a cani al guinzaglio, soggetti a un padrone ingiusto che con la grazia della porpora si finge salvatore misericordioso. Le loro menti sono assuefatte dal profumo del pane secco e dal tepore di sudice coperte bucate.
È tra quei buchi che s’insinuano le bugie di predicatori senz’anima come Girolamo Savonarola, con il suo odio sommario e la sua cieca ignoranza. Nel nome del Padre, del Figlio, e dello Spirito Santo.
Cesare freme di rabbia al pensiero delle ricchezze andate perdute nel fuoco dei secoli. Sono tesori di speranze estinte sul nascere e di talenti appassiti prima di essere sbocciati. Sono un destino che non è potuto essere compiuto: un affronto tanto alla Chiesa quanto all’Impero.
Un giorno Cesare appenderà ogni eretico a una forca e ne presenterà il cadavere agli uomini degni della grazia di Dio. Della morte dei suoi nemici farà la pietra su cui costruirà la sua ventura.
Fortuna
Un bambino spagnolo, orfano, di bell’aspetto, e dall’aria intelligente. Questi i requisiti chiesti dal cardinale Borgia per il compagno di giochi di suo figlio Cesare.
Un ragazzo d’origini spagnole, ebreo, di singolare fascino, e dallo straordinario acume. Questo ciò in cui Miguel cresce durante gli anni in Italia. Non che lui si renderà mai conto dell’eccezionalità dei suoi talenti: non con la sua ammirazione e il suo timore nei confronti di Cesare.
Ma è curioso, se non ironico, di come due uomini che possiedono concezioni così particolari dell’epoca in cui vivono si incontrino del tutto. O che si adoperino a un obiettivo comune.
È solo un regalo della sorte. La nave di cui è Cristobal è capitano attracca in un porto diverso da quello in cui avrebbe dovuto. E lì, con sua sorpresa, Cristobal trova quel che gli serve senza nemmeno iniziare a cercarlo: un marmocchio pelle e ossa che infila la mano nella borsa di un commerciante e se la svigna prima che quello si accorga di nulla. Scaltro, per la sua età; e dal viso ben proporzionato, sotto il fango e la cenere della strada. Generoso, anche: perché Cristobal lo vede dividere il bottino con altri della sua età prima d’infilarsi sotto il cancello d’un edificio religioso. Non ci vuole molto a Cristobal per convincerlo ad andare con lui (“Roma è un altro mondo, Miguel”) e i preti dell’orfanotrofio sono ben felici di disfarsi della sua presenza in cambio di qualche moneta d’argento.
È una storia semplice che sfocia in un intrigo ben più complicato: è l’intesa che il sangue di tutti gli uomini è tinto di rosso, e una promessa d’infanzia che nulla è in grado di sciogliere. Luce e ombra si fondono nell’incrocio di due vite e la conclusione è una sola: ciò che favorisce l’incontro tra Cesare Borgia e Miguel da Corella è un capriccio di quella stessa Fortuna che gli uomini chiamano Destino.
Tutto il resto non è che una leggenda costruita su un sogno.
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