Nov 20, 2011 21:09
Summary: Robert e Jude ventenni. Il primo vive nel New England, il secondo in Inghilterra.
Genre: Angst, Dramatic, Introspective
Pairing: Robert Downey Jr./Jude Law
Rating: PG-15
Warnings: AU, Slash
Notes: A fine capitolo.
Chapter One: In My Place
La prima volta che quel nome comparve sotto i suoi occhi fu ovviamente per caso, come qualsiasi altra cosa d’importante nella vita di tutti quanti.
Jack credeva nel fato, nel destino, nel karma.
Credeva che ogni avvenimento avesse un suo perché, una sua ragion d’essere.
Aveva smesso di avere un dio come punto di riferimento quando si era accorto che questo cozzava inesorabilmente con le proprie convinzioni.
Nessuno nella sua famiglia gliel’aveva mai davvero perdonato, tranne suo padre, a cui semplicemente non importava.
Sua madre invece, da buona cattolica qual era, aveva lottato come aveva potuto fin quando il ragazzo non aveva raggiunto la maggiore età, prima di arrendersi infine, molto probabilmente più per non avere un’ulteriore litigata inutile che per convinzione di libera professione di fede.
Ma a Jack non importava di tutto questo, e anche se fosse stato diverso, l’avrebbe mascherato dietro a quel velo di menefreghismo che ormai da qualche tempo si portava dietro.
Cercava di ignorare qualsiasi cosa non lo riguardasse direttamente, scoprendosi anche piuttosto bravo. Fino a qualche mese prima, era fin troppo attento e premuroso nei confronti delle persone a lui care, e in tutti quegli anni ciò che aveva ricevuto in cambio non andava oltre il minimo ringraziamento, quand’anche era giornata. Molto più spesso, nessuno dava segno di apprezzare i suoi sforzi per tenere contento ogni singolo membro della propria famiglia, e tutto finiva per esser dato per scontato.
Poi nella sua vita era arrivata la musica, e lui aveva cominciato a cambiare.
Robert si fermò a quel punto, fissando lo schermo del proprio laptop e tirando un lungo sospiro insoddisfatto, avvertendo già dentro di sé quel misto di insofferenza e schifo che conosceva fin troppo bene.
‹‹ Perfezionismo del cazzo... ›› borbottò tra sé e sé, colpendo un paio di volte il legno della scrivania con la fronte e stringendo entrambe le mani in pugni serrati. Sapeva che non avrebbe mai raggiunto nemmeno le mille parole continuando per quella strada, e vedere il resto della pagina bianca di fronte a sé lo agitò ancor di più, tanto che per un paio di volte dovette resistere al forte impulso di prendere il pc e scaraventarlo contro la parete opposta. Avrebbe anche voluto gridare, ma sarebbe stato peggio. Suo fratello se ne sarebbe lamentato, e ovviamente dal basso sarebbe giunta ovattata e svogliata la voce di sua madre, che lo intimava di “smettere, ché non è un manicomio, questo!”. Forse no, pensava Robert, ma di sicuro ci andava molto vicino.
Lanciò un’altra occhiata disgustata al monitor e poi si fece scivolare indietro sulla sedia, spingendo le piccole rotelline fino ad arrivare alla finestra, e una volta lì si alzo, appoggiandosi al davanzale e guardando fuori.
La strada era semi deserta, ma questo non lo sorprese per niente, perché erano le tre e mezza del pomeriggio, e da che ne aveva memoria a quell’ora erano tutti in un altrove che variava dal divano di casa ad un ufficio in banca.
E poi era Novembre, ed era domenica. Quella prima del giorno del Ringraziamento, per essere esatti.
‹‹ Più mortorio di così... ›› sbuffò ancora, riprendendo il suo posto davanti al pc.
Lasciò vagare lo sguardo in tutta la sua camera, cercando di qualche altra cosa da fare. Passò in rassegna la chitarra (e la voce di sua madre in testa gli ricordò subito che quello non era orario), entrambi i libri che stava leggendo (e subito li accantonò, dicendosi che non aveva proprio voglia), le cinque colonne di dvd e blu-ray (soffermandocisi su per quasi dieci minuti, scartandoli ovviamente tutti quanti, uno ad uno), ed infine i puzzle e le sue nuove scatole di costruzione lego, ancora in attesa di essere aperte. Quest’ultimo pensiero lo tenne impegnato per la porzione maggiore di tempo, perché in effetti l’avrebbe tenuto distratto per una larga parte di tempo. E soprattutto, lo avrebbe tenuto lontano da quel maledetto computer.
Robert si alzò e andò vicino alla pila disordinata e senza ordine nella quale erano impilati i puzzle, cercando di decidere quale tra i due nuovi scegliere.
Aveva appena preso una mezza decisione e stava per avvicinare la mano ed afferrare la scatola quando la voce di sua madre lo chiamò dal piano inferiore.
‹‹ Robbie! Robbie, vieni a darmi una mano con una cosa qui? Per favore, è urgente... ›› reclamava con una certa impazienza anche, e lui non poté fare a meno di inspirare profondamente, cercando di ignorare quella voce, nella assai vana speranza che dopo un paio di volte avrebbe smesso.
Ma ovviamente questo non accadde manco per scherzo, e anzi, diventava sempre più insistente, tanto che Robert si costrinse a trascinare i piedi in salotto, imprecando mentalmente contro sé stesso, già conoscendo almeno parzialmente la causa di tanta fretta.
Trovò sua madre alla sua solita postazione sul divano, stesa, con una coperta di lana che lei stessa aveva fatto poggiata sulle gambe. Era una donna ancora molto bella nonostante l’età, cosa di cui Robert andava molto orgoglioso, anche se non ne faceva mai parola con nessuno se non con lei. I suoi nonni erano portoricani emigrati nel New England subito dopo la fine della seconda guerra mondiale, e anche se lei era nata e cresciuta in quella stessa cittadina, aveva conservato alcuni tratti somatici tipici della sua razza, tra cui, ovviamente, la carnagione leggermente più scura, che insieme ai suoi folti e lunghissimi capelli neri contribuiva al suo fascino da donna latina, quando non addirittura mediorientale. Aveva anche, suo malgrado, un leggerissimo ma tuttavia percettibile accento portoricano, che se non era abbastanza evidente da richiederle un documento di cittadinanza, non mancava ogni tanto di suscitare qualche imbarazzo in lei, nonostante i suoi sforzi più che lodabili per liberarsene. Quando Robert frequentava ancora i primi gradi dell’istruzione pubblica, spesso sua madre lo aiutava nei compiti, facendo tesoro ed imparando a sua volta qualcosa dai libri di testo di suo figlio. A lui non dispiaceva, ed anzi, era contento di ricevere quello che gli sembrava un aiuto, e solo molto più tardi realizzò che quelle ore trascorse insieme erano più uno studio con un compagno di scuola che un vero e proprio ausilio.
‹‹ Robbie, vedi qua, cosa è successo alla pagina, non mi si sposta più la freccetta... ››
Appunto. Come a conferma delle sue precedenti supposizioni, sua madre gli mostrò il proprio pc, bloccato come se il tempo avesse smesso di scorrere.
Robert non poté fare a meno di lasciare andare un altro sospiro a quella visione, scoccando uno sguardo ironico verso sua madre, accompagnato da un piccolo incresparsi di labbra.
‹‹ Quante volte ci hai cliccato su, ma’? ››
‹‹ Eh... ››
La sua finta risposta elusiva, assieme ad un leggero risolino, diedero al ragazzo l’unica informazione di cui aveva bisogno: troppe.
‹‹ T’ho detto sempre di lasciare al computer il tempo di elaborare la richiesta, ma’. E soprattutto, di non cliccarci su un migliaio di volte se non ti si apre subito. Così poi è logico che si blocca! ››
Le prese il pc dalle mani e si sedette vicino ai suoi piedi, cominciando a premere un paio di tasti per avviare la procedura di sblocco. Mentre era intento a lavorarci su, sentì un bacio poggiarsi delicatamente sulla propria guancia, e quando girò lo sguardo trovò sua madre già in piedi, che gli passava una mano tra i capelli.
‹‹ Vado a fare il caffè nel frattempo... ›› gli annunciò, e mentre lui annuì scomparve in cucina, canticchiando a bassa voce una canzone pop uscita di recente in radio, già in vetta a tutte le classifiche.
Robert scosse piano la testa e non poté esimersi dal sorridere leggermente, concentrandosi di nuovo sulla tastiera del computer e rimettendolo a posto dopo un paio di tentativi. Lo poggiò sul tavolinetto di fronte al divano e si alzò, raggiungendo sua madre in cucina.
‹‹ È di nuovo okay, mamma. Cerca di ricordarti, la prossima volta. ››
‹‹ Grazie, tesoro. ››
Un cavolo, pensò lui dentro di sé, ma non disse niente a voce alta, ed anzi sorrise, annuendo e scrollando le spalle.
‹‹ Vado su. Chiama se ti serve qualcosa... ››
Ritornato tra le quattro mura della propria stanza, lo sguardo gli ricadde di nuovo sullo schermo del pc, provocandogli un leggero moto di fastidio, cosa che lo spinse a chiudere il documento di Word salvando solo all’ultimo la bozza come “Inutile (4)”.
Gettò un’occhiata all’indicatore dell’orologio e lesse che erano da poco passate le quattro.
‹‹ Che palle... ›› bofonchiò, abbandonando la testa contro il palmo della mano e cominciando ad ingrandire di nuovo una dopo l’altra tutte le finestre che aveva precedentemente ridotto ad icona, in ordine. Passò in rassegna la sua breve lista di contatti su messenger, considerando per un secondo e mezzo di mettersi in linea, prima di ripensare che in effetti non aveva niente da dire a nessuno di loro, e che comunque nessuno aveva voglia di parlare con lui. Aprì il primo browser di internet e cliccò su tutte le pagine già aperte, consistenti in un paio di social network ed un sito con un articolo su un film che doveva leggere già da tre giorni, dopodiché passò al secondo, che invece ne conteneva una sola, l’aggiornò e la scrollò per qualche istante, fino ad arrivare all’ultima volta che l’aveva controllata, prima di chiudere di nuovo il tutto, rimanendosene a fissare il desktop.
Odiava le domeniche pomeriggio. Soprattutto quando non c’erano né il football né il baseball in tv a fargli perdere un po’ di tempo.
A suo dire, erano la rappresentazione perfetta dell’ipocrisia della gente. Tutti si lamentavano di non avere mai niente da fare, ma nessuno si degnava di tentare di dare un’impronta diversa alla giornata. Poteva star lì tutto il pomeriggio ad aspettare che il suo telefono desse qualche segno di vita, sarebbe stato inutile, non avrebbe mai squillato, se non fosse stato lui il primo a lanciare un’ancora di salvezza. E da un po’ di settimane a quella parte si era stancato di quel compito che nessuno gli aveva mai davvero affidato, ma che tutti all’apparenza sapevano lui aveva.
Lasciò andare la mente per qualche minuto ancora, dopodiché ricominciò con il suo aprire e chiudere le finestre al computer, sperando - per la verità senza riporci molta fiducia - che qualcosa, qualsiasi cosa, arrivasse a trarlo via da quell’apatia che stava cominciando ad impadronirsi di lui.
Era sul punto di alzarsi di nuovo dalla sedia e vagare senza meta per tutta casa quando gli venne in mente che, in effetti, c’era qualcosa che poteva aiutarlo a perdere un po’ di tempo.
Aprì il primo browser e successivamente una nuova pagina, digitando su google il nome di una community per amanti di film che il suo migliore amico gli aveva consigliato. Nell’ultimo anno aveva progressivamente perso interesse verso quella parte di internet, principalmente perché si scocciava troppo a star dietro ad ogni minima stupidaggine che veniva pubblicata e perché, in ogni caso, a lui piaceva ricevere le notizie di prima mano, subito, e non mediate dal giudizio - molto sindacabile - di altri utenti pseudo esperti. Qualche volta alcuni di loro erano persino riusciti nella difficilissima impresa di farlo incazzare, e da quel momento aveva prestato un po’ più di attenzione a non farsi di nuovo contagiare da forum e robe simili.
Ma in quel pomeriggio autunnale di domenica Robert non aveva davvero molte altre alternative, e cominciava già a trovare il letto come un’allettante prospettiva, nonostante fuori ci fosse ancora il sole. Così mise da parte le proprie promesse e cercò il sito in questione, dando una rapida occhiata prima di compilare lo stesso, noioso questionario per la registrazione. Attese qualche secondo la mail di conferma e poi entrò per la prima volta da utente ufficiale della community, cominciando a leggere svogliatamente tutti i vari argomenti di discussione, e sentendo scemare ad ogni minuto di più la propria voglia di partecipare attivamente ad uno qualsiasi di questi.
Era già sul punto di rinunciare, dopo averne dato una rapida occhiata alla maggior parte, quando lesse la risposta di un utente ad un film che aveva recentemente visto al cinema, apprezzandolo in larga parte. Il tipo o la tipa in questione ne metteva in evidenza soprattutto l’ottima fotografia, giudizio che lo stesso Robert condivideva.
Un piccolo sorriso si fece lentamente largo sulle sue labbra.
Forse quello non sarebbe stato solo un modo per passare una noiosa domenica pomeriggio.
AUTHOR'S CORNER: Vorrei dirvi qualcosa di sensato su questa nuova AU, tipo come mi è venuta l'idea, e perché, e cose simpatiche come queste, ma la verità è che ho cominciato a scriverla completamente di getto, per non esplodere. Ed è esattamente così che ve la presento: senza aggiunte, senza riletture, così com'è stata messa giù, interamente. Non so come andrà a finire, non so come si evolverà passo per passo, non so un cazzo di niente.
Anzi, una cosa la so. E' la mia fanfic più personale, quindi trattatemela bene.
Se fallisco con questa, sarà un addio alla scrittura, probabilmente.
genre: introspective,
genre: dramatic,
genre: angst,
tag: slash,
rating: r/mature,
fandom: rpf,
sub-type: chaptered,
tag: alternate universe,
pairing: robert downey jr./jude law,
type: fanfic,
sub-fandom: rdjude