Titolo: Writing the fairytale
Fandom: God Child
Genere: Drammatico
Personaggi: Cain, Riff, Mary
Avvertimenti: Angst, Tematiche serie, Spoiler per tutto il manga
Anno: 2005 - 2008
Note: Storia in sette capitoli, la scrittura cambia moltissimo dal primo all'ultimo in quanto è stata scritta nel corso di tre anni. Citazioni musicali: Celebrity skin delle Hole (III capitolo), Dark chest of wonders dei Nightwish (V capitolo), Toast di Tori Amos (VII capitolo.)
PRIMA PARTE
I - Sorprese
Un raggio di sole sfiorò le coperte, poi salì lievemente e arrivò a toccare il viso della persona che dormiva, ma nemmeno questo ruppe quel sonno tranquillo, che durava già da un po’.
Già da un po’ troppo.
Lentamente l’addormentato aprì gli occhi. Un risveglio assolutamente normale. “Prima”, nella sua “altra vita”, aveva sempre dormito bene, e da quando era entrato a servizio in quella casa aveva ritrovato la sua abituale serenità e quiete. Beh, questo prima di conoscere certe cose nascoste agli occhi di tutti…
Però di sicuro dormiva.
E si svegliava bene.
Si svegliava presto, ottemperava ai suoi doveri.
Ecco, appunto, si svegliava che il sole a malapena illuminava il cielo e…
- Cosa?
Gettò via le coperte, fissando incredulo la luce che veniva da fuori. Il sole era ben alto nel cielo… Decisamente aveva passato il suo orario abituale di sveglia!
- Non è possibile…
Confuso e mortificato, si vestì in fretta. Non era così grave, certo, però…
“E il signor Cain, non l’ha svegliato nessuno?”
Sospirò. No, certamente no. E siccome suo padre in quei giorni era fuori per un viaggio, probabilmente anche il ragazzo aveva dormito più del solito. Almeno, quella era una cosa buona.
Uscì dalla sua stanza, e incrociò una delle cameriere. Si salutarono con cortesia un po’ formale, come sempre.
- Margaret, perdonami. Il signor Cain sta ancora dormendo?
- Se non l’hai svegliato tu…
- No, ecco… io… Mi sono appena alzato.
Lei si fermò a guardarlo, con un sorriso divertito.
- Ma tu pensa, Riff che si fa cogliere di sorpresa dal sonno! Dov’eri ieri notte?
- Non ho fatto nulla di speciale.- rispose lui, imbarazzato. Lei ridacchiò, e poi se ne andò. Trovare un aneddoto divertente sul quel cameriere così esemplare era una cosa rara…
La notte precedente…La notte precedente era rimasto fino a tardi a parlare col signor Cain. Accidenti, ma l’età delle domande non finisce intorno ai dieci anni? Ogni volta che Riff aveva provato a dirgli che forse era il caso di andare a dormire, Cain aveva qualcos’altro da chiedere. Avrebbe avuto un futuro da filosofo, il ragazzo. Domande profonde, e i suoi occhi assolutamente seri. Esigeva una risposta. E Riff si era impegnato per rispondere. Così la conversazione era andata avanti all’infinito… Già, una sera che non c’era l’incubo di suo padre, il signor Cain poteva essere rilassato e azzardare di fare una cosa che fanno i ragazzini: stare sveglio oltre l’orario consentito.
Sì, e anche Riff ne aveva fatto le spese…
Sorrise. Era divertito dalla cosa. Entrò nella camera di Cain, sicuro di trovare le tende chiuse e il ragazzo nel letto.
- Signor Cain.
Ma la luce inondava la stanza, il letto era disfatto, e Cain non era lì. Riff rabbrividì. Si sentì un po’ in colpa per averlo lasciato solo. Chiuse la porta e corse per il corridoio, guardandosi intorno. Intimandosi di stare tranquillo. Non c’erano rischi e non c’era nemmeno nulla di male, se il ragazzo aveva preso l’iniziativa di fare tutto da solo…
Incontrò Margaret con un’altra serva, ed entrambe gli sorrisero in modo non molto innocente. Riff ebbe voglia di maledirle, ma si trattenne.
- Sapete dov’è il signor Cain?
Scossero la testa, e si allontanarono senza dargli molta attenzione.
E questo avvenne con praticamente tutte le persone che incontrò. Nessuno sapeva dov’era il ragazzo. Diamine, non era mica compito loro badarlo, no? Loro in teoria non dovevano nemmeno considerarlo. Per loro non esisteva, figuriamoci se sapevano dov’era…
Dov’era.
Lui era quello che sapeva sempre dov’era Cain, no?
Ma lo stava cercando già da quasi due ore, e da nessuna parte, in nessuno dei luoghi cari al ragazzo, c’era traccia di lui. Adesso Riff aveva paura. Era uscito chissà per quale capriccio. Forse lo attraeva la prospettiva di essere libero per qualche giorno… E magari si era messo nei guai. Si era fatto male e non riusciva a tornare indietro.
No, il panico non è un buon punto di partenza.
Sì, ma anche se si imponeva di stare calmo e pensare, alla fine non arrivava a nulla!
Quando è triste, io penso a cosa sta provando e riesco a capire dov’è…
E allora perché questa volta…
Forse perché non è triste?
E allora perché è fuggito?
Beh, magari non è fuggito…
E allora che accidenti sta facendo?
Era già pomeriggio inoltrato, quando il ragazzo, infangato e divertito oltre ogni dire, comparve davanti ad un disperato Riff.
- Signor Cain!- Era così felice di vederlo che tutti i rimproveri morirono prima di salirgli alle labbra. - Scommetto che mi stavi cercando.
- Io… lei… Insomma! Ma le sembra il modo? Mi ha fatto preoccupare! E poi dov’è stato?
- Avevo qualcosa da trovare.- rispose lui, sorridendo. Nascondeva un oggetto dietro la schiena, e sembrava molto compiaciuto di questa cosa.
- Sta bene? Non si è fatto male?
- No, sto bene. Ma ti sei davvero preoccupato?
- Certo che mi sono preoccupato! Non la trovavo ed ero anche dispiaciuto di non essermi svegliato.
- Per fortuna non ti sei svegliato. O non avrei mai potuto fare quello che volevo.
- Cosa?
Cain sorrise, un sorriso così pieno di gioia e soddisfazione che contagiò anche Riff.
- Allora, mi dice cosa doveva trovare di tanto importante da farmi rischiare un infarto?
Il ragazzo mostrò a Riff cosa stava nascondendo. Una scatola di legno, molto semplice.
- Non è granché. Questa l’ho trovata tra le cose inutili in uno degli scantinati.
- E’ sceso negli scantinati?
- Stamattina. Mentre tu dormivi. E poi sono uscito. Per cercare quello che c’è dentro alla scatola.
Riff rimase immobile, mentre il ragazzo gli tendeva l’oggetto. Comprese che doveva prendere la scatola. Magari doveva anche aprirla.
- Io…
- Sì, è per te.- Disse Cain, alzando gli occhi al cielo, come per dire che era proprio seccato della lentezza del suo cameriere. Riff prese lo strano dono, stupito.
- Lo apro?
- Certo che lo devi aprire!-
Riff si affrettò a far scattare il meccanismo del coperchio della scatola. Poi lo sollevò, e guardò dentro. La meraviglia riempì il suo sguardo, e la curiosità lo invase.
Sassi colorati, piccoli fiori, foglie…
- Signor Cain, questo…
Poi notò una cosa. Non erano “sassi colorati”, erano sassi azzurri, varie tonalità di azzurro, come quelli che si trovavano vicino al torrente, poco lontano da lì, appena fuori dai limiti del parco del castello.
E poi non si trattava di semplici fiori o foglie. C’era un rametto di forstizia fiorito, piccole stelle gialle sul ramo fine. E un fiore colto da qualche albero da frutto, appena germogliato, in quella primavera che aveva voglia di esplodere. Una foglia di alloro, lunga e perfetta.
Le sue piante preferite.
La sua mente tornò alle domande della sera prima…
“Ma perché le persone hanno bisogno di circondarsi delle cose che piacciono loro?”
“Perché le cose belle sono quelle che ti fanno sentire a casa. E’ qualcosa che conosci, no?”
“Uhm, forse…Riff, a te cosa piace?”
“A me? Mmmm… vediamo… Le piante ed i fiori, ad esempio. Se avessi una casa mia, sarebbe piena di piante e fiori.”
“Quali sono i tuoi preferiti?”
“Beh, ce ne sono molti… Mi piace la forsizia, quella pianta che si riempie di fiorellini gialli a primavera, e d’estate ha delle foglie fini, verde scuro. Poi mi piacciono gli alberi da frutto in fiore. Mi piacciono i cespugli di alloro, gli aceri,…”
“E poi? Cos’altro ti piace? Cosa metteresti in casa?”
“Uhm… ecco, mi piacciono i sassi colorati.”
“Cosa? Ma che senso hanno?”
“Ha mai visto ad esempio quei piccoli sassi di una pietra dal colore azzurro, come quelli che si trovano giù al torrente?”
“No.”
“Sono molto belli. Hanno delle sfumature che non si potrebbero mai riprodurre in alcun modo.”
- Sai che avevi ragione, Riff? I sassi azzurri sono veramente belli. Sono strani.
Riff sollevò gli occhi sul ragazzo, e sorrise, incredulo. Cain godette di quella sorpresa.
- Signor Cain, come ha fatto a trovare…
- Le tue cose preferite? Beh, io me lo ricordo, quello che dici.
- Intendevo, come ha riconosciuto tutte le piante?
- Ho preso un libro in biblioteca.
- Nella biblioteca... Insomma, da solo?
- Certo. E tutto prima che ti svegliassi. Hai dormito tantissimo, per fortuna.
Riff finalmente realizzò bene l’accaduto, e si lasciò andare ad una risata.
- E’ stato incredibile, signor Cain!- Commentò. - Mi complimento. E soprattutto, la ringrazio.
- Sai, ho pensato che a stare sempre dietro a me, tu hai poco tempo per te, e per guardare le cose che ti piacciono. Ho pensato di portartele io. Lo so che i fiori appassiranno . Magari puoi metterli dentro un libro ed essiccarli. Almeno fino alla prossima primavera. E poi usa la scatola anche per altre cose, se vuoi.
Riff annuì, guardando con affetto il ragazzo e lo strano dono.
- Ne terrò di conto, può starne certo.- Rispose. Poi chiuse delicatamente la scatola.
- Spero non ti sia preoccupato troppo.- Mormorò Cain, facendosi improvvisamente serio, perdendo un po’ della baldanza allegra che aveva reso così felice Riff.
- Mi sono preoccupato, ma l’importante è che lei sia qui.
- Non te la sei presa?
- No, assolutamente. Anzi, sono felice del suo regalo.
- Bene, allora!
- Ora però vada a lavarsi! E’ completamente ricoperto di fango!
- Per prendere i sassi sono sceso al torrente. Non so se lo sai, ma l’acqua bagna il terreno, e produce del fango…
- Signor Cain, mi sta prendendo in giro?
Mentre si dirigevano verso il castello, le loro risate risuonavano nell’aria, raggiungendo le orecchie stupite di chi le ascoltava. Un suono insolito. Una rottura nella continuità del silenzio di quel luogo. Una sfida.
Quella sera appoggiò la scatola sulla sua scrivania. Poi decise di metterla in un cassetto. Il padrone era entrato nella sua camera all’improvviso, qualche volta, e se in futuro lo avesse fatto di nuovo, Riff non avrebbe avuto molta voglia di spiegargli l’origine di quell’oggetto.
Oggi in fondo è stata una bella giornata.
Sì, ma non resterà un bambino per sempre. Anzi, non lo è quasi più. Lo vedi, vero? Lo vedi bene…Ora puoi sentirti felice nel crescere questa specie di fratello che ti è stato affidato, puoi vivere per la tua missione di aiutarlo nella sua sofferenza, ma poi crescerà, e anche se si scrollerà di dosso quello che gli succede adesso, non potrà mai essere una persona normale… Sarà un uomo molto presto, e giocherà con le tenebre. Gli si legge negli occhi. Forse non avrà più bisogno di te. O magari ti trascinerà nelle sue ombre, e segnerà la tua vita. Non ti farà mai avere quello che desideri. A rimanere qui, rischi di perdere tutto.
Beh, che devo fare, lasciarlo solo?
Non puoi, eh?
No, non posso.
Ricordati cosa succederà, però.
Sarà una vita piena di sorprese, allora.
La mattina dopo si svegliarono tutti e due all’orario giusto. Appena Riff era entrato nella camera di Cain c’era stato uno scambio di sguardi, e tutti e due erano scoppiati a ridere. L’avventura del giorno prima li aveva legati ancora di più, erano complici.
Nella luce mattutina, Riff sedeva, leggendo la corrispondenza del padrone, un compito che Alexis Hargreaves gli aveva affidato prima di andarsene. Poco distante Cain stava giocando con qualcosa di non ben definito.
Sospirò, ripensando alle riflessioni della sera prima.
Che venga quel che deve venire. Prima facevo molti progetti, e sognavo una vita tutto sommato tranquilla. Ora prendo quel che viene ogni giorno, e mi si prospetta davanti un’esistenza alquanto movimentata, almeno a giudicare da quel che vedo…
- Spero solo che non mi faccia morire di infarto.
- Riff, hai detto qualcosa?
- Eh? - Realizzò solo allora di aver parlato ad alta voce. Sorrise. - No, niente.- Poi rivolse uno sguardo più attento alle mani del ragazzo. Alle cose con cui stava “giocando”. - Signor Cain! Quella è una pianta velenosa!
- Lo so.
- Ecco, appunto… Insomma… Che sta facendo?
- Voglio vedere se riesco a sintetizzare un veleno da solo. Potrei aggiungerlo a quelli della mia famiglia.
- Ma… E’ pericoloso!
- E’ per questo che è divertente.
Riff aprì la bocca per protestare, ma non trovò le parole.
Gli si legge negli occhi. Giocherà con le tenebre. Già ha iniziato. Già non è più un bambino, almeno nell’atteggiamento.
- Signor Cain, stia attento!
Un guizzo di divertimento negli occhi verde e oro.
- Ma certo…
Riff annuì, sedendosi di nuovo con le sue lettere, lanciando ogni tanto un’occhiata perplessa alle manovre del ragazzo.
Sarà una vita piena di sorprese…
II - Notte
- … se farete così, non avremo il minimo problema…
-… se dovessero scoprire che…
- Oh, andiamo, siamo praticamente a posto! Non c’è modo di…
Si fermò a pochi passi dalla porta semiaperta. Dalla stanza poteva cogliere quei frammenti di dialogo, che confermavano ogni suo sospetto.
- Ma il padrone non…
- Lascia perdere. Ancora poco e avremo finito.
Se la situazione non fosse stata disperata, avrebbe sorriso, e si sarebbe congratulato con se stesso per la sua abilità e il suo intuito. Sì, lo avrebbe fatto… Se non fosse stato tanto terrorizzato che gli era difficile persino respirare.
Erano due giorni che stava dietro a quella faccenda. Loro non vedevano lui, ma lui vedeva loro, oh, sì. E aveva notato l’inquietudine, gli scambi di sguardi, e poi quel messaggio passato di nascosto…In modo così goffo che era stato troppo semplice recuperarlo e scoprire dove e quando si erano dati appuntamento i tre camerieri e una delle cuoche…
- La roba che avete preso è già al sicuro. Prendete il resto, stanotte, e scappiamo, no?
Come aveva temuto, dunque. C’era stato un furto, e la vicenda non era ancora conclusa…
Poi, all’improvviso, una voce diversa dalle altre. Risuonò, limpida, tra le voci infide in quella stanza, e allo stesso tempo riuscì a raggelarlo e a riscuoterlo.
- Che cosa state facendo qui?
- No…- Sussurrò, avvicinandosi alla porta. Vinse il terrore e guardò dentro.
C’erano i tre servi e la donna, attorno al tavolo, con alcune mappe del castello e delle armi gettate sul tavolo. E dall’altra parte della stanza, dall’altra porta, era entrato lui. - No, no…- ansimò di nuovo, temendo quello che sarebbe successo.
Uno dei tre uomini afferrò una pistola e la puntò contro di lui.
- Riffer. Che cosa ci fai qua?
- Voi, cosa state facendo, piuttosto!- Gridò il giovane, infuriato, quasi non avesse visto l’arma che gli veniva puntata contro.
- Ci arricchiamo e ce ne andiamo.- Rispose l’uomo, ridendo. Poi abbassò la pistola, e si avvicinò di qualche passo a Riff. - Vuoi unirti a noi?
- Come osi anche solo farmi una proposta simile?
- Come vuoi. Allora morirai.- Rispose l’uomo, tornando a minacciare Riff con la pistola.
E lui per un istante vide dentro di sé la scena successiva.
No.
Si guardò attorno freneticamente, e vide un grande vaso di ceramica, accanto a sé. Senza pensarci troppo, lo afferrò e lo scagliò a terra.
L’uomo con la pistola lanciò un grido e si voltò di scatto, spaventato dal rumore. Riff gli si gettò addosso, strappandogli l’arma di mano e rivolgendola contro di lui.
- Adesso fermi!- Gridò, ansimando. In un istante li aveva resi immobili e terrorizzati.
Dietro la porta, il ragazzo vide ogni cosa, e riuscì a respirare liberamente di nuovo solo quando vide la pistola saldamente stretta nelle mani di Riff, che aveva il controllo della situazione.
Il rumore avrebbe richiamato qualcun altro, pensò. Riff sarebbe stato aiutato.
Poi sentì i passi di coloro che erano stati svegliati, e comprese che lui non sarebbe dovuto essere lì. Sì, ma non poteva tornare in camera adesso, non senza riattraversare il corridoio dove tutti coloro che stavano arrivando lo avrebbero visto!
Si guardò attorno, col cuore che batteva forte. C’era un lungo tavolo, attorniato da sedie, in un angolo della sala. Vi si precipitò sotto, pregando di non essere visto, ed attese.
- Che succede?
- Cos’era quel rumore?
- Aiuto!- Questa era la voce di Riff. - Aiuto, vi prego!
In un attimo la stanza dove i servi traditori si erano raccolti fu invasa da tutti coloro che si erano svegliati.
- Riffer!
- Che sta succedendo?
- Ma cosa...
Il ragazzo, dal suo rifugio, li guardò entrare di corsa nella stanza, e sentì le loro voci. I servi negavano ogni cosa, tentarono anche di dare la colpa a Riff… se gli altri ci avessero creduto? Ma no, non poteva essere…
Se ci avessero creduto, sarebbe uscito di là e avrebbe detto ciò che aveva visto. Poi, improvviso come un brivido gelido, arrivò suo padre. Lo vide entrare, e al suo ingresso seguì il silenzio.
Forse per la prima volta nella sua vita, la voce di Alexis Hargreaves gli fu veramente gradita e rassicurante. Dette ordine ad alcuni servi di legare e rinchiudere i traditori, e di chiamare in fretta la polizia. Non prestò fede nemmeno un istante alle proteste e alle pretese che fosse Riff il vero colpevole.
Bene, le cose erano state rimesse a posto… Chiuse gli occhi e dimenticò ogni timore. In breve tutti sarebbero andati a letto, e lui sarebbe tornato senza problemi nella sua stanza. E la luce del sole avrebbe cacciato via ogni residuo di paura di quell’esperienza.
Quando riaprì gli occhi, se n’erano andati tutti, tranne suo padre. Era fermo, sulla soglia, e stava guardando qualcosa.
Lo vide chinarsi, raccogliere un oggetto. Un frammento di ceramica. Lo tenne davanti agli occhi, come domandandosi da dove venisse, e lo fissava con la sua solita espressione incomprensibile.
A un tratto fu raggiunto da Riff.
- Signor Alexis, c’è bisogno della mia testimonianza con la polizia?
- Sì, certo. Ma chissà quando arriveranno. Vai pure in camera a riposare. E prima controlla che mio figlio non si sia svegliato.
- Va bene.
Il ragazzo trattenne il respiro, e fissò con orrore Riff che si avviava.
Si avviava verso la sua stanza. Dove non lo avrebbe trovato.
E poi?
Riff aprì lentamente la porta, e lasciò che la luce del corridoio penetrasse nella stanza appena un po’, per vedere il sonno del ragazzo. Non aveva dubbi che il signor Cain fosse lì, addormentato. Non c’era modo che si fosse svegliato, la sua camera era troppo distante dal teatro degli eventi.
A stento trattenne un grido, quando vide il letto vuoto.
- Signor Cain…- Mormorò, rendendosi conto di essere stato colto da un tremito improvviso. - Oh, dov’è andato?- gemette, scostando le coperte, col desiderio irrazionale di trovarlo nascosto là sotto.
Poi qualcosa gli tornò alla mente. Un rumore… Quel rumore improvviso che aveva distratto l’uomo che stava per ucciderlo, consentendogli di salvarsi… Perché continuava a ricordarlo?
Perché era stato provocato da qualcuno, ecco. E di tutte le persone che potevano essersi trovate lì in quel momento…
Uscì dalla stanza e chiuse la porta. Con calma, avrebbe potuto risolvere la situazione.
- Sta dormendo?
La voce di Alexis lo fece trasalire. Si voltò, e si sforzò di sorridere.
- Sì. Non si preoccupi.- Mentì.
- Bene. Vai pure nella tua stanza.
Riff lo salutò e si diresse verso la sua stanza, lì vicino. Vi entrò, nel buio, e chiuse la porta. E attese. Attese il tempo in cui, facendo qualche calcolo, Alexis sarebbe tornato nella sua camera.
Finalmente Riff riaprì la porta, e lasciò la stanza. Nel buio, a tentoni, ripercorse il corridoio fino al luogo dove poco prima aveva rischiato di morire.
Arrivò nella sala del lungo tavolo, debolmente illuminata dalla luna, la cui luce entrava dalla finestra. Si guardò attorno, notò il vaso rotto e comprese.
- Signor Cain!
- Riff!
Il giovane si chinò, e rintracciò subito il proprietario della voce. Il ragazzino uscì in fretta dal nascondiglio, e corse incontro all’altro, gettandosi tra le sue braccia.
- Hai rischiato di morire!
- Ma lei mi ha salvato. E’ stato lei a far cadere quel vaso, vero?
- Sì.
- Come mai era qui?
- Avevo capito che nascondevano qualcosa. Ma tu stai bene?
Riff sorrise, e scompigliò i capelli del ragazzo.
- Stia tranquillo. Sto bene.
- Mio padre si è accorto che non sono in camera?
- Certamente no. Venga, la riporto io.
Cain dette la mano a Riff e lo lasciò guidare, fino a raggiungere il corridoio dove si aprivano le loro stanze. Il buio era quasi completo, l’unica luce veniva dalla luna, che entrava da una finestra distante, in fondo al corridoio. La casa aveva un che di irreale. Ma Riff avanzava senza indugio, con sicurezza, sfiorando appena il muro ogni tanto, per avere la certezza di camminare senza ostacoli. Dimenticate le preoccupazioni, Cain si stava quasi divertendo…
Prima che al rumore dei loro passi se ne sovrapponesse un altro.
- Chi è? Chi è ancora sveglio?
Cain si strinse a Riff e chiuse gli occhi.
- Signor Alexis…- Mormorò il giovane, abbracciando il ragazzino, e pregando che davvero Alexis stesse andando in giro senza alcuna luce.
- Riffer? Non riesci a dormire? Perché te ne vai in giro al buio?
La voce era in avvicinamento, e la figura si faceva visibile. Riff fece un passo indietro, trascinando con sé anche Cain.
- Avevo bisogno di un po’ d’acqua.- Rispose Riff, riconquistando la padronanza della sua voce, e facendo nascondere il ragazzo dietro di sé. Dall’ombra emerse Alexis, che si fermò a pochi passi da Riff. Il giovane rimase immobile.
- Capisco. Ora però è il caso che tu dorma.- Disse il padrone.
- Sì. Vado subito.
Come un alito di vento freddo, Alexis transitò accanto a Riff. E passò oltre.
- Se n’è andato.- Mormorò Riff dopo un interminabile minuto silenzioso. Cain non rispose. Riff lo sentiva tremare accanto a sé. - Stia tranquillo, se n’è andato.
Poi guidò il ragazzo attraverso le ombre, fino alla sua stanza. Entrarono, e in fretta Riff lo riportò tra le coperte.
- Ora dorma e non pensi a nulla.
- Riff…
- Che c’è?
- Margaret è davvero sbadata, non trovi? Appoggiare quel vaso così in bilico, sulla mensola.
Nel buio, Riff sorrise.
- Stia tranquillo.- Ripeté. - Non dirò una parola su quel vaso. Parlerò di un rumore improvviso assolutamente provvidenziale.
- Buonanotte Riff.
- Dorma bene. Non pensi a tutto ciò che è successo.
- Sei tu che stavi per morire, noi io.
Uscì dalla stanza, chiuse la porta, ascoltò il buio. Non c’era nessuno, e poté tornare nella sua stanza, dove non dormì, ma fu comunque un’insonnia a cuor leggero.
III - Celebrity skin
“Oh, lasciami andare!
Sono tutto ciò che voglio essere
Uno studio ambulante in demonologia
Oh, la mia esistenza notturna e sfavillante, la mia figura elegante che vaga per la città, la mia risata che li inquieta, li scuote, li scandalizza, li affascina, li eccita…Risveglio la loro curiosità più perversa, sono affamati di dettagli, di sempre più oscuri particolari…
Sì, dipingono nella loro mente la mia storia, la mia presenza tenebrosa, e mi immaginano con piacere e terrore, demone, spettro, creatura delle ombre, incubo incarnato…
Così mi vedono, così mi immaginano.
Così sono. Perché io sono una graziosa menzogna, un’ombra iridescente, un filo di nebbia che prende consistenza solo quando è immaginato, richiamato, evocato dalla curiosità morbosa e dal desiderio segreto.
Sì, sono così felice che tu ce l’abbia fatta
Ora ce l’hai fatta davvero
Sì, sono così felice che tu ce l’abbia fatta
E dietro a quegli sguardi feroci e ammirati, sprezzanti e desiderosi, c’è un velo che non si può cancellare, sottile ed infido: l’invidia, perché io ce l’ho fatta, ho tutto ciò che si può desiderare, nella loro mente superficiale e abbagliata dalle luci del mondo meravigliosamente vuoto e ipocrita in cui viviamo.
Io ce l’ho fatta, e loro lo sanno, lo vedono. Ho il nobile nome della mia famiglia, la mia ricchezza, la mia bellezza e la mia giovane età, e questo incantesimo malvagio che fa voltare verso di me gli occhi e attira a me gli animi, quando passo, quando sorrido, quando parlo…
Ho sempre qualcosa in più di loro. Nessuno ha tutto questo. Nessuno ha la mia perfezione. Così mi guardano, sorridono, e bruciano di invidia velenosa.
Oh, guardami in faccia!
Il mio nome è “avrebbe potuto essere”
Il mio nome è “non è mai stato”
Il mio nome è dimenticato
Sì, ma guardatemi davvero.
Cosa vedete?
Non dite il mio nome, quello che conoscete, accompagnato dal titolo nobiliare, pronunciato con l’accento che si ferma sul cognome, segno della mia appartenenza ad una delle famiglia più nobili e famose, antiche e rinomate. Non dite quel nome. Almeno, non dite il mio nome con leggerezza, come se non significasse niente, come se non sapeste tutti chi è che per primo portò il mio nome, come se fosse soltanto il risultato di un capriccio dei miei genitori, il nome spaventoso che porto, e che mi si addice tanto.
Guardatemi negli occhi, e leggete il vero significato del mio nome.
Significa tutto ciò che sarebbe potuto essere. Tutto ciò che non c’è mai stato. Tutto ciò che ho perduto prima ancora di conoscerlo.
Significa tutto ciò che non avrò mai. Tutto ciò che desidererò per sempre, senza poterlo raggiungere mai. La mia corsa infinita ed infruttuosa.
Dite il mio nome, e nella vostra voce non risuona niente. Perché voi non dite il mio nome, in realtà, ma solo il modo in cui tutti mi chiamano.
Il mio nome, in realtà, è dimenticato.
Sì, sono così felice che tu ce la faccia
Ora ce l’hai fatta davvero!
Sì, siamo rimasti solo noi
E poi, ancora i vostri inchini e i vostri sorrisi. Vi congratulate per la mia bella esistenza. Esprimete la vostra contentezza nel trovarvi qui con me. Nutrite la vostra brama segreta di affacciarvi per un attimo nel mio mondo di tenebre.
E non avete idea di cosa significhi.
Quando mi sveglio, nel mio trucco di scena
è troppo presto per quel vestito
Appassito e svanito da qualche parte…
Sono felice di essere arrivato qui, con la tua libbra di carne.
E qualche volta la notte vince le mie resistenze, e mi lascio trascinare da lei, vagando per le sue stanze, in cerca di compagnia o solitudine, e compro amore con un sorriso, o alzo le cortine che coprono qualche mistero oscuro.
E poi torno a casa all’alba, e il sonno mi vince. Quando il sole mi sveglia, ho dimenticato tutto.
A volte però, non appena i miei occhi si aprono al giorno, un attimo prima che la mia mente cancelli ogni pensiero notturno che si è attardato, sento il vuoto e il nulla. Sento la solitudine senza senso e le ombre che mi inseguono. Resto al buio, non è ancora tempo di alzarmi, e posso tormentarmi ancora, tra le braccia delle tenebre.
E a volte, sì, a volte accade che mi congratuli con me stesso per quanto in basso sono riuscito a cadere.
Nessun secondo avviso
perché sei una star, ora
Oh… loro non sono puttane come te
Meravigliosa spazzatura, meravigliosi vestiti
Riesci a stare in piedi, o cadrai a terra?
Ma ormai ho preso questa strada, no?
E non si torna indietro.
Compro amore con un sorriso, ma in realtà mi svendo io stesso per primo. Il mio incedere divertito, tra le luci, tra le ricchezze, tra la folla ammirata e sconvolta, è solo uno svendersi. La più nobile puttana di Londra.
E vado, tra la folla estatica, tra vesti superbe e superbia che nasconde i segreti più orribili. Perché se io sono un demone, tutti loro sono solo candide stanze dai begli ornamenti…ma provate ad aprire gli armadi e le piccole porte segrete…
In realtà, io rimango in piedi solo perché ho il coraggio - o la spavalderia - di indossare le mie ombre.
Meglio stare attento a ciò che desideri
meglio che sia qualcosa per cui vale la pena morire…
Che cosa desidero davvero?
Non lo so…
A volte, quando è giorno, quando ho dismesso i miei panni di attore, quando non c’è il passato a farmi compagnia, perverso fantasma, quando riesco anche a guardarmi senza provare ribrezzo…Ecco, in quei momenti, vorrei solo che il tempo si fermasse.
Sì, il mio desiderio è questo.
Quali sono quei momenti?
…quelli in cui loro sono con me. In cui vivo dei loro sorrisi, delle loro mani, del loro abbraccio. I momenti in cui respiro la loro dolcezza, la loro premura. Il loro modo diverso di volermi bene, di curare le mie ferite, di lottare per me. I momenti in cui la loro voce infrange le tenebre e rende ridicole le ombre.
Allora non sono più una menzogna, sono semplicemente io, piccolo, meschino, sciocco, macchiato, eppure con una fragile speranza di…di redenzione, forse.
Ed è tutto merito loro.
Se li perdessi, io…
Ecco, io vorrei che loro ci fossero sempre, e per il loro amore, vorrei imparare a vivere davvero. Sì, credo che valga la pena anche di morire, per questo desiderio.
Sì, sono così felice che tu ce l’abbia fatta
Ora ce l’hai fatta davvero
Sì, siamo rimasti solo noi
Chissà, se dicessi alla folla rumorosa e superba che questo è il mio desiderio, che cosa direbbero?
Se rivelassi che il mio vero orgoglio non è il mio nome, ma il sorriso di una bambina…
Se cercassi di spiegare che la mia vera ricchezza non è il patrimonio della famiglia, ma la presenza di una figura nell’ombra, sempre accanto a me, a darmi la forza di cui ho bisogno…
E così via.
No, non credo che capirebbero.
Quando mi sveglio nel mio trucco di scena
ti sei mai sentito così usato?
E’ tutto così senza zucchero…
…forse sono soltanto senza nome
Però io dimentico il mio orgoglio e la mia ricchezza, e torno a perdermi nelle tenebre, garantendomi notti senza coscienza e risvegli colmi di terrore.
Perché?
Perché non riesco a dimenticare la mia maledizione. Perché ormai ho giocato così tanto con l’oscurità, che non posso più farne a meno. Perché a volte ho l’impressione che, per quanti innocenti io cerchi di salvare, non potrò mai pareggiare i conti con quel che sono.
Io non desidero il male. Io credo di odiare il male. Ma a volte, quando cerco di “fare giustizia”, ho l’impressione di cedere molto più al male, dentro di me, che alla luce.
Io non vorrei essere solo questa maschera senza consistenza, ma il mio nome - quello che nessuno pronuncia davvero - mi ricorda sempre che ormai è così.
… lui è pieno di veleno
ha annientato tutto ciò che ha baciato
e adesso sta appassendo da qualche parte…
Sono felice di essere arrivato qui, con la tua libbra di carne
E la gente, la gente di tutto questo non vede che l’apparenza, e si riempie la bocca di parole, narrando le mie imprese da demone e da servo della notte. Parla di veleni e di rovina, quella che mi accompagna sempre.
E io…
…io mi sento quasi benedetto e consolato da questa maldicenza.
E’ come un risultato, per me. Il mio animo diviso sente la ferita di quelle parole, e allo stesso tempo ne gioisce. Sono arrivato in alto. Tutto ciò che tocco, viene corroso dal mio veleno.
Sono arrivato davvero in alto...
Vuoi una parte di me?
Beh, non mi vendo a poco.
Volete avvicinarvi, vedere, toccare, inventare un’altra leggenda su di me?
Ma certo, io non aspetto altro.
Sappiate però che è molto rischioso…”
Sorride, nella sua stanza in penombra. Davanti al suo specchio. Lui lo odia, quello specchio, però è sempre lì, perché possa ammirarsi in tutto il suo splendore maledetto.
Sorride, e ride di sé, così bello, così stupido. Sta per uscire, come sempre. Il mantello giace sul letto, adesso lo prenderà e correrà fuori, il passo veloce e sostenuto. Ci sarà una carrozza ad aspettarlo, e lui vi salirà sopra, dimenticando tutto e proiettando la mente verso il piacere di passare un’altra notte in giro per la città, che è quasi più maledetta di lui.
Così esce dalla stanza, in fretta.
- Non so quando tornerò.- Dice, facendo un cenno di saluto al giovane uomo che lo attende, a fianco della porta.
- Sarò ad aspettarla.
Esce, sale sulla carrozza, che parte, lasciando entrare dal finestrino l’aria fredda e la notte.
“Sarò ad aspettarla”.
Quelli che ti amano, ti aspettano.
Lo coglie un brivido. Volge lo sguardo verso la sua casa, che si allontana, e sparisce dalla sua vista.
Se non avesse promesso che non avrebbe pianto mai più, ora piangerebbe. Perché sa che, per quanto si senta macchiato e perduto, ha ancora qualcosa, qualcosa per cui morire. E sa che la sua vita veloce, la sua reputazione terribile, la sua maledizione e il suo ostinarsi ad esserne vittima, fanno soffrire anche loro.
Ma l’incantesimo della notte è forte, e lui non sa come difendersi. Così allontana il pensiero grazie ad un’arma infallibile: il ricordo. Da sempre ho fatto soffrire quelli che amavo. Da sempre ho ritenuto giusto fare quel che desideravo. Ormai è così. E torna a calarsi nel suo stato d’animo combattuto, nel suo sentire lacerato, e gli va bene così.
Ma in realtà è solo un bambino perso nella notte, lo stesso che anni prima si nascondeva tra gli alberi e piangeva da solo, e faceva penare il suo unico amico, quando non riusciva a trovarlo. E tutti i bambini hanno paura del buio.
“Vuoi una parte di me?
Beh, non mi vendo a poco."
Volete avvicinarvi, vedere, toccare, inventare un’altra leggenda su di me? Ma certo, io non aspetto altro.
Sappiate però che è molto rischioso…"
IV - Ghost Stories
- E così il giovane signore che la cameriera credeva di avere ucciso era lì, di fronte a lei…E la guardava, sorridendo, come se non fosse mai accaduto niente, mentre la donna lo fissava, colma di terrore…
Ci risiamo.
Guardò il gruppetto di giovani dame, ragazzi e anche qualche signora non più esattamente giovane, che si era raggruppato attorno al ragazzo, e sospirò. Tutti erano protesi verso di lui, in attesa delle sue parole, avvinti dal fascino del suo racconto e della sua persona.
E lui naturalmente dava spettacolo, era nella sua natura. Stava raccontando una raccapricciante storia di fantasmi. Gli riusciva piuttosto bene…e la cosa sembrava essere gradita al suo pubblico. Cosa c’è di meglio che farsi catturare da un’oscura novella, e lasciarsi terrorizzare da vicende di sangue e rovina, quando si è seduti in un lussuoso salotto nobiliare, circondati da luci e bei volti splendenti?
Peccato che spesso nella stanza accanto a questi salotti, si consumino drammi degni delle più spaventose storie di paura. E peccato che quelle che lui racconta non siano solo storie.
- “Hai sepolto le mie ossa sotto il ginepro, e il ginepro mi ha fatto tornare in vita!”, disse il ragazzo, e lei…
Una delle ragazze rabbrividì, e il narratore le sorrise, prendendole la mano, come per cacciare la sua paura…quasi non fosse stato lui a procurarla. Per la gioia della ragazza, che arrossì, abbassando gli occhi.
Ormai quelle manovre non avevano segreti, per l’osservatore, per quanto avessero sempre effetto sul pubblico femminile che circondava l’affascinante narratore.
Il ragazzo riprese a raccontare, modulando la voce per adattarla alle parole. L’osservatore scosse la testa, rabbrividendo al finale della storia.
- Si dice che la donna sia morta di paura…
Basta. Per favore.
Oh, le aveva già vissute una volta, perché adesso doveva riviverle, trasfigurate da quella voce apparentemente divertita e rilassata?
No, non morì di paura, e lo sappiamo bene. Ma preferisco questo finale, a quello vero.
La memoria gli andò a quei momenti… Beh, a dire il vero quella era stata una delle poche volte in cui non avevano rischiato la loro vita. Ma non era un ricordo piacevole comunque. E poi non gli piaceva sentire quelle storie, e basta.
Finalmente il racconto era terminato, ed il gruppetto lentamente si sciolse. Qualcuno ancora si attardava accanto al narratore, per fargli un’altra domanda o complimentarsi per la sua fantasia. Gentilmente lui li congedò uno dopo l’altro, e raggiunse la persona che lo aveva osservato da lontano, e che lo aspettava in un angolo del salone, da solo.
- Credo sia l’ora di andare.- Disse, con un sorriso.
- Come vuole.
Quando in realtà avrebbe voluto dire “sì, andiamocene, è notte fonda, e io non ne posso più di stare qui a sentire i momenti della mia vita trasformati in novelle da intrattenimento di nobili annoiati…”
Ma non lo avrebbe mai fatto.
Gli mise sulle spalle il mantello, e lo seguì nella notte.
Cosa che, in fondo, faceva sempre.
*
Lo stesso scenario: luci, sorrisi, una sagoma nera e fascinosa attorniata da ammiratori adoranti, in attesa di ascoltare ancora una storia tenebrosa, partorita dalla fervida mente del giovane conte.
Storia che, come sempre, sarebbe stata drammaticamente vera.
- La bambina viveva da sola nella grande casa, insieme alla sua serva…
Voltò la testa, stizzito. Basta, aveva raggiunto un limite! Tornò a lanciare un’occhiata al suo padrone, attorniato dai soliti ammiratori, poi distolse lo sguardo di nuovo.
- …e tutti coloro che ella avrebbe desiderato tenere con sé per sempre, li trasformava in terribili bambole vive, perché non potessero lasciarla mai…
Perché mi disturba così, il fatto che racconti con tanta leggerezza le vicende che ha vissuto veramente, degradandole a racconti di intrattenimento?
Riff sollevò il viso, e incontrò per un istante lo sguardo vivace del conte.
Io… devo dirglielo.
Non disse nulla, mentre gli apriva lo sportello della carrozza, e tenne la bocca chiusa mentre lo faceva entrare in casa. Non parlò nemmeno mentre riponeva il mantello del conte e il proprio, poi mentre lo conduceva in camera, e lo aiutava a svestirsi.
All’improvviso però si fermò, stringendo convulsamente tra le mani la giacca che aveva appena tolto al ragazzo, con gli occhi bassi e il viso contratto in un’espressione addolorata. Subito gli occhi del conte si riempirono di quell’ansia completa e quasi disperata.
- Che hai, Riff?
- Perché lo fa? Perché ha bisogno di raccontare le sue vicende alla gente, come fossero fiabe? Perché non rispetta la pace di quei morti? E perché vuole che la sua vita diventi una storia? Lei è vivo, e…
Tacque, arrossendo violentemente, come pentendosi di quelle parole.
Cain rimase in silenzio a lungo. Poi, freddo e distante, cercò di ridere.
- Ti senti meglio, dopo questa predica?
- Sì.- Mormorò Riff. Alzò gli occhi. - Perché almeno sono stato sincero.
Cain ricambiò lo sguardo con un’occhiata sprezzante.
- Bene. Grazie di avermi fatto sapere cosa pensi.- Rispose il conte, voltandogli le spalle.
- Si è almeno reso conto di ciò che intendevo dirle?- chiese il maggiordomo. Il ragazzo strinse i pugni, e non si voltò.
- Qualunque cosa volessi dirmi, non m’importa!
Si girò verso il maggiordomo, gli rivolse lo sguardo più furioso di cui era capace.
Se potesse vedersi ora, cosa direbbe?
E all’improvviso quell’espressione crudele abbandonò il suo volto, e il ragazzo abbassò gli occhi.
- Perdonami, Riff, non volevo.
- Va bene.- Lo interruppe Riff, sentendosi improvvisamente in colpa, senza motivo.
- No, non va bene! Mi dispiace!
Sembrava sconvolto lui stesso della capacità delle sue parole di ferire.
- E’ normale esagerare, qualche volta.
- Non dovrei farlo, con te!
- Signor Cain, adesso non…
- Lo sai perché lo faccio? Lo sai perché racconto quelle cose? E’ perché vorrei che fosse veramente una storia di fantasmi.
Finalmente ebbero il coraggio di guardarsi negli occhi di nuovo, gli occhi chiari e sinceramente preoccupati di Riff in quelli agitati e confusi di Cain.
- Mi credi? Mi capisci?
- Sì.
Anche se…
Riff sorrise, decise che era troppo tardi per continuare a confonderlo e metterlo in crisi.
- Mi scusi ancora se le mie parole sono state eccessive.- Disse soltanto. Cain si sforzò di sorridere anche lui. Riff riprese a svestirlo, chiedendosi se avesse fatto più danno o beneficio, con quelle parole.
- Tutte le cose spaventose che viviamo… Non è facile conviverci.- Disse Cain all’improvviso. Fissava il se stesso nel grande specchio davanti a lui. - Credi che lo desideri davvero, di portare alla morte così tanta gente? Innocenti o colpevoli… A volte sento le loro voci, non mi fanno dormire. Non mi abbandonano mai. Qualunque cosa io abbia fatto, per qualsiasi motivo, ho sempre provocato solo morte e dolore, anche quando desideravo sinceramente tutto il contrario!- Si interruppe, la sua voce vibrava di tristezza.
- No, signor Cain, lei…- Mormorò Riff, spiazzato dallo sfogo dell’altro.
- La verità è che sono un demone! Alla fine, la mia vita è davvero una storia di fantasmi. Perché io sono uno spettro. Un demone. Nient’altro.
Lo specchio rimandava la sua figura esile ed elegante, il suo viso sconsolato. E poi le cicatrici, il suo segreto, e Riff si accorse che gli occhi di Cain erano tornati lì.
Non disse nulla, si limitò a fare un passo.
Un passo tra Cain e lo specchio.
- Non è un demone, signor Cain.- La sua solita voce bonaria e dolce, ma anche ferma, e rassicurante. Adesso Cain non vedeva più se stesso, di fronte a sé, ma Riff. - E poi, signor Cain… In realtà c’è anche un altro motivo per cui non mi piace sentirla raccontare quelle storie. Io so che abbiamo vissuto molte vicende difficili, oscure. Però sono le nostre vicende. La nostra vita. Ci sono state anche cose buone, non crede? Cose che io voglio ricordare. E… spero anche lei.
- Riff…- Incredulo, spalancò gli occhi in modo ingenuo. - Io mi ricorderò delle cose buone.- Promise, con l’impeto di un bambino.
Riff sorrise.
- Stare in questa casa è una gioia per me, e nonostante tutto ciò che attraversiamo, io sono felice.- Confessò il maggiordomo. - La prego, non pensi solo ai morti. Io lo so che lei non desidera questa maledizione. Non ricordi solo i fantasmi, si ricordi anche delle persone che le vogliono bene.
Cain fece cenno di sì con la testa, poi cedette alla tentazione di farsi abbracciare da Riff, come un tempo, come ogni tanto avveniva ancora. Riff lo strinse per un attimo, poi lo sciolse dall’abbraccio.
- E’ tardi. Domani deve partecipare ad almeno tre ricevimenti ufficiali.- Disse Riff, comprendendo che il momento di libertà da ogni maschera era finito, e che Cain si sarebbe rimesso i panni del solito conte arrogante e indifferente.
In un certo senso, significava che il momento difficile era stato superato.
- Oh, beh, aspetteranno…- Borbottò Cain, infilandosi sotto le coperte. - Buonanotte, Riff.
- Buonanotte.
Il giovane uscì dalla stanza in punta di piedi, quasi Cain si fosse già addormentato e lui volesse evitare qualsiasi rumore.
Lei è tanto oscuro e macchiato dalle ombre, ed è anche tutto il contrario. Non può evitarlo. Tutti quelli che la vedono, e sanno guardare oltre le apparenze, se ne rendono conto. Può ingannare il mondo, ma non noi, che l’amiamo.
Noi sappiamo la verità su di lei, e io per primo so che lei è tutto, tranne un demone.
I morti si lamentano, e io stanotte pregherò per le loro anime.
Perché trovino pace.
Perché concedano anche a lei un po’ di pace.
Fantasmi e spiriti, dormite… E lasciate dormire anche noi.