[Original] Mad as a Hatter [2/2]

Nov 21, 2009 09:43

Titolo: Mad as a Hatter
Autori: fiorediloto e sarabakanashimi
Fandom: Originale
Parte: 2/2
Rating: PG (giusto per scrupolo)
Pairing(s): Uno, nessuno e centomila
Warning(s): Presenza di formaggi vari, ma niente marmellata oggi (solo ieri e domani)
Conteggio parole: 13591 (word)
Sommario: In una realtà sospesa tra la dimensione reale e l'onirica, fuori dal tempo e dallo spazio, si svolge la stravagante vicenda di 25 e 26, ospiti di una clinica psichiatrica con la passione per la corrispondenza e nessun interesse se non scriversi l'un l'altro tutto il giorno. Di lettera in lettera l'identità del mittente e del destinatario mutano senza soluzione di continuità, cambiano e si trasformano, saltellando instancabilmente di personaggio in personaggio, di maschera in maschera; reali alcuni, inventati altri, altri ancora letterari, tristi, allegri, drammatici, surreali o anche solo malinconicamente se stessi. Nelle lettere c'è posto per tutti: per la signora Pina che scrive al vicino di fare meno chiasso, per il giocatore di D&D che chiede in sposa la sua bella mezzelfa, per la Lepre Marzolina che ricorda al Cappellaio che è l'ora del tè. E anche se la realtà aspetta silenziosa ai margini della follia il momento buono per riprendere possesso delle loro vite... c'è sempre tempo per un'altra lettera prima dell'ora d'aria.
Fanart: Mad as a Hatter di dylan_mx
Note: Scritta sputando sangue per il primo BigBang Italiano! Maggiori informazioni @ bigbangitalia :D


Mad as a Hatter - parte seconda

Questa volta il conciliabolo si svolge al tramonto, poco prima della cena. Il numero 25 e il numero 26 sono dovuti venire a patti per l’ora, in virtù degli orari ampiamente diversi e degli impegni ampiamente divergenti.
Il numero 26 indossa - incredibilmente - un vestitino fiorato con una generosa scollatura e porta in testa a mo’ di parrucca la spazzola di una scopa polverosa, del tipo che si usa per tirare su la polvere, di lanetta marrone arruffata e riccioluta.
L’altro ha inforcato uno spesso paio di occhiali e indossa un pigiama spaiato troppo largo, righe verticali sotto, rosso con Hello Kitty versione farfalla sopra. Ha in mano un grosso quaderno ad anelli e una matita con Hello Kitty versione pirata.
“Maour, dichiaro aperta la seduta,” dice Hello Kitty, scarabocchiando cuori e cubi sul quaderno, senza guardare l’altro.
“Maour, potevamo parlare in un posto meno pubblico,” ribatte l’altro, guardandosi intorno con sospetto e facendo traballare pericolosamente la scopa che ha in testa. Dalle ciocche di lana casca giù piroettando un coniglietto di polvere.
“Maour, potevi anche lavarti i capelli,” ribatte Hello Kitty, arricciando il naso. “Comunque, ci sono troppi utenti qui dentro e ognuno di loro ci vuole morte.”
L’altro annuisce, osservando assente un gruppetto di infermieri in lontananza.
“Quello l’abbiamo bannato due volte, una col suo account e una con quello del suo sockpuppet. Quella non sa scrivere in italiano, quell’altra pensa che un porno sia un trattato di ginecologia...”
Hello Kitty si tira su gli occhiali lasciandoci la stampa unta del pollice.
“Dobbiamo prendere provvedimenti seri, altrimenti faranno un colpo di stato e ci cacceranno via dalla nostra stessa creazione.” Intanto, scribacchia sulla pagina, più volte, ‘Fanfic Italia Rules’ e ‘Maours for President’.
“Maour, dovremmo interpellare l’womo per quel problema...”
Hello Kitty scarabocchia un ‘interpellare womo’ incomprensibile sul bordo della pagina. Più tardi, userà quella pagina per scrivere una lettera e l’appunto andrà perso per sempre.
L’uomo con la scopa in testa prende ad arricciarsi una ciocca di lana col dito.
“Maour, che programmiamo per dicembre? Le belve non stanno facendo niente, poi si ammosciano.”
“Dunque, abbiamo il Fest del Tortellino, il Festival del Twister Nudista... poi c’è sempre il P0rn Fest, ovviamente.”
Hello Kitty sospira e guarda l’ora.
“Maour, mi sono scocciata, vado a lavare i piatti. Dopo esci?”
“Sì.”
“Cazzo.”
E così dicendo, Hello Kitty raccoglie il quaderno, la matita, la gomma profumata e i post-it col gattino e si allontana arrotolandosi le maniche del pigiama.

*

“Signorina Fiorediloto?”
Sentirsi chiamare ogni volta con un nome diverso e più fantasioso del precedente è così irritante che 26 sarebbe tentato di non rispondere, di non voltarsi nemmeno. Ma sa bene che si rivolgono a lui, e non rispondere sarebbe maleducato; non voltarsi neanche, quantomeno eccentrico. Si passa frettolosamente tre dita sulla guancia, dove lo scoppio dell’ultima biro ha lasciato una larga macchia nera, col solo effetto di spalmarla per bene sullo zigomo.
“Sì?” chiede garbatamente, voltandosi.
Il Professore gli sorride placido da dietro un paio di lenti a giorno. L’infermiere vicino alla porta non sta guardando lui, ma le sue carte sparpagliate sul tavolo. C’è una busta già pronta sul bordo, il triangolino di carta aperto e solo in attesa di una buona leccata. Istintivamente, 26 combatte la tentazione di stringersela al petto e non lasciarla vedere a nessuno, ma sa che è inutile.
“Abbiamo una splendida sorpresa per lei, signorina,” annuncia il Professore.
“Signore,” corregge 26, prima di mordersi la lingua.
Il Professore annuisce. “Ah sì, sì,” replica, condiscendente.
Come fa a scambiarmi per una donna? Non sembro una donna, borbotta una voce nella sua testa, ma il pensiero viene accantonato come sempre. A parte 25, nessuno sembra mai ricordarsi il suo nome. E dire che l’ha ripetuto più volte a tutti quanti. Forse è troppo difficile da mandare a memoria. Forse dovrebbe procurarsi un cartellino e attaccarselo sul petto.
Ecco, sì, buona idea. Deve parlarne con 25; anche lui ha lo stesso problema. Magari aggiungendo un post-it all’ultima lettera... Allunga una mano verso le carte, cercando un ritaglio di piccolo formato per farne un appunto. La scelta cade su un frammento strappato con una riga di zampe di gallina nell’angolo. Dice: “Stuart ama il gorgonzola”. Qualunque cosa significhi, e al momento gli sfugge, l’altra mano corre alla penna.
Troppo tardi ricorda che non è solo nella stanza.
“Qual è la notizia?” chiede in tono un po’ sbrigativo. Cartellino al petto cartellino al petto, si ripete intanto, per non perdere l’idea finché è ancora buona. Il Professore lo considererebbe maleducato se appoggiasse il foglietto sul ginocchio e prendesse l’appunto mentre lui parla, continuando a guardarlo in faccia? Forse sì, ma intanto ci ha già provato, e come risultato si è scarabocchiato la gamba del pigiama.
“I suoi parenti - ricorda sua sorella e suo cognato? - desiderano riaverla a casa con loro. Personalmente, ho espresso un parere favorevole.”
Cartellino al petto cartellino al petto, pensa furiosamente 26, e a voce alta risponde: “Da casa posso mandare lettere?”
“Naturalmente,” risponde il Professore.
“Allora va bene.”
Non potendo trattenersi oltre, 26 si gira e si getta a capofitto sul suo appunto. La conversazione è finita. Quando la porta si richiude alle sue spalle, neanche ci fa caso.

*

Paziente: ***
Medico curante: Prof. ***
Dati preliminari: Il paziente ha trentadue anni. Non presenta alcun genere di disturbo fisico: è di costituzione sana, non fumatore, bevitore modesto, non ha mai fatto uso di droghe o altre sostanze allucinogene se non a titolo di sperimentazione adolescenziale, non risulta dipendente da farmaci. Nessun precedente penale. È in possesso di patenti di guida A e B.
Precedentemente al suo primo ricovero, il paziente collaborava all’inserto settimanale di una nota rivista cittadina, per la quale curava la “posta dei lettori”, occupandosi di redigere alternativamente le finte lettere del pubblico e le risposte del curatore della rubrica. Il paziente ha anche praticato una variegata serie di impieghi secondari, tra i quali: salumiere, disinfestatore, moderatore di un sito web di larga utenza, venditore porta a porta nel ramo sanitario-commerciale dei farmaci contro i disturbi della potenza sessuale, ecc.
Situazione familiare: Il paziente è orfano di entrambi i genitori. I parenti più prossimi sono una sorella maggiore (che detiene la tutela legale) e il di lei coniuge. Il paziente sembra disinteressato ad istituire alcun legame stretto con loro, tuttavia il precedente medico curante le ha ritenute presenze benevolenti e rassicuranti per il paziente e ha perciò incentivato le visite e i contatti.
Situazione pregressa: Prima del ricovero presso questa clinica è stato degente presso altro istituto con diagnosi di nevrastenia in forma acuta (principali sintomi: disturbi del sonno, costanti e imprevedibili alterazioni dell’umore, tendenza a scatti d’ira talvolta violenti) associata a una prima, seppure ancora blanda, sindrome depressiva. Le note dall’allora medico curante, il Dott. ***, sottolineano un collegamento tra la diagnosi di nevrastenia e le ambizioni letterarie frustrate del paziente; acclude a questo proposito le centoventi lettere di rifiuto ricevute da case editrici cittadine, regionali e nazionali.
Situazione attuale: Nell’arco di cinque anni dal precedente ricovero all’attuale, la situazione è progressivamente peggiorata fino a stabilizzarsi in una sindrome depressiva costante con forti disturbi della personalità e accentuazione degli aspetti più violenti dell’indole normalmente pacifica del paziente. Si è perciò reso necessario il ricovero in Qs. istituto, giunto adesso al suo terzo anno.
Negli ultimi tre anni la sindrome depressiva del paziente è regredita completamente, tanto da poterlo dichiarare ufficialmente guarito da tale patologia in data xx-xx-xxxx; con essa sono scomparsi anche gli atteggiamenti violenti e ogni forma di aggressività. Al contrario, i disturbi della personalità si sono accentuati costantemente e progressivamente, fino a qualificarsi come una perdita quasi totale dell’identità reale del paziente. Il paziente passa, in una progressione ininterrotta, da un “personaggio” all’altro, interpretando ognuno di essi con estrema precisione e verosimiglianza e nessuno per più di poche ore. In occasione di scadenze fisse - la cui ricorrenza è ancora oggetto di studio - il paziente ritiene di doversi mascherare con mezzi di fortuna per meglio rispecchiare la parte. Solo talvolta la personalità originale riaffiora: in questi casi, il paziente appare consapevole di trovarsi in un istituto psichiatrico e pacificamente rassegnato a questa necessità, ma al tempo stesso incapace di comprendere le ragioni del suo ricovero.
Il paziente ha istituito un rapporto privilegiato col vicino di stanza, il degente numero 25, col quale ha intrapreso, fin dal terzo giorno di ricovero, una fittissima corrispondenza cartacea. Tale corrispondenza rispecchia i salti di personalità del paziente, peraltro pienamente condivisi dal vicino. Bloccare la comunicazione tra i due pazienti non ha ottenuto alcun risultato: i due hanno proseguito in separata sede ognuno la sua parte di corrispondenza e manifestato sbalzi d’umore e crisi depressive che si sono autonomamente risolti al ripristino dei contatti con la controparte.
Interrogato sulla natura dei rapporti col vicino di stanza, il paziente ha manifestato, con diverse delle sue personalità (è infatti quasi impossibile riuscire a far coincidere una seduta con il manifestarsi della personalità primigenia), un interesse di natura, di volta in volta: puramente amichevole, blandamente sessuale, intensamente sessuale, amoroso, di blando antagonismo, di acceso antagonismo, di odio profondo, di completa indifferenza.
Riflessioni: Allo stato attuale delle cose, una completa regressione dei disturbi della personalità del paziente appare un traguardo difficile e non raggiungibile in tempi brevi. La proposta della sorella di riprendere il paziente con sé in casa e dunque l’allontanamento dall’ambiente clinico potrebbero contribuire al recupero di parte della coscienza originale, ma la ritengo una proposta rischiosa per quanto concerne i rapporti tra il paziente e il suo vicino di stanza. Un’interruzione brusca potrebbe portare alla recrudescenza di atteggiamenti violenti o depressivi al momento proficuamente eliminati dal quadro clinico. È perciò mia intenzione suggerire ai parenti del paziente di procedere al trasferimento del soggetto in casa continuando a garantire la continuità della corrispondenza col paziente numero 25.

*

Caro 26,

ho l’impressione che non ti sia arrivata la mia ultima lettera, poiché non ricevuto pronta risposta come è tuo solito. Ho pensato quindi di scriverti di nuovo, mandandoti questo brevissimo messaggio per avvisarti del possibile inconveniente. Se mi ricevi, ti prego di rispondermi a stretto giro di posta, poiché mi sono abituato a ricevere ogni giorno tue notizie e le tue illuminanti riflessioni, che mi tengono compagnia durante le giornate lunghe e noiose in questo posto piuttosto desolato. Come sai, non ho molto altro a cui rivolgere la mia attenzione, né desidero particolarmente interessarmi al mondo esterno, che ha la singolare tendenza a non capirmi e a farmi sentire come un pesce fuor d’acqua.
Sei il mio unico amico e posso fidarmi soltanto di te.

In attesa di una tua risposta,
25

*

All’attenzione del Chiarissimo Prof. Moriarty,

le ho inoltrato all’incirca quindici giorni fa la bozza definitiva del mio elaborato finale, come concordato in precedenza. Le sarei estremamente grato se potesse accusare ricevuta, poiché come certamente sa, il termine per la consegna degli elaborati completi non è che il mese prossimo. Gradirei moltissimo avere un suo parere in merito, in particolare sulla relazione tra ampiezza del passo e altezza come anche tra peso dell’individuo e profondità dell’impronta. Se avrà la cortesia di sfogliare il plico che le ho mandato, noterà in appendice una breve dissertazione relativa a tredici diversi tipi di tabacco da pipa o da fiuto. Ritengo infatti che l’analisi della cenere prodotta da diverse marche di uno stesso prodotto possa aiutare, durante le indagini, a restringere il campo di ricerca. Nelle ultime pagine ho provato a schizzare un profilo sociologico, necessariamente abbozzato e incompleto, riguardante le percentuali d’uso delle diverse varietà di tabacco, facendo confluire i risultati parziali in una tabella che potrebbe avere utili riscontri.

Attendo fiduciosamente una sua risposta,
Sherlock Holmes

*

Gentile Signor Risciacqui,

le scrivo in veste di legale assunto dal Signor Spuntature, titolare dell’esercizio di parrucchiere ‘Mai di lunedì’.
Il mio cliente accusa la mancata ricevuta di una fornitura di articoli necessari al normale svolgimento della sua attività lavorativa, elencati in dettaglio nell’Allegato A.
Il mio cliente ha provato in più occasioni a mettersi in contatto con lei, senza alcun risultato.
È altresì acclusa una copia della fattura emessa dalla sua società e regolarmente pagata dal mio cliente, come da Allegato B.
Prego quindi il signor Risciacqui di contattare immediatamente questo studio legale affinché sia possibile giungere ad una conclusione della transazione.

Studio Legale ‘Cavilli e Parcelle’

*

Agenzia L’Eterno Riposo

Da: Isabella@eternoriposo.it
A: grandecapo@eternoriposo.it

Soggetto: Bare

Papà, ti volevo solo dire che è arrivata la fornitura primavera-estate, ma dobbiamo scegliere il modello della fodera. Per la collezione femminile preferisci rosa pallido in tinta unita o rosa antico con rose e violaciocche?
Per la collezione maschile preferisci un sobrio rigatino Regimental o un motivo a mazze e palle da golf?
Rispondi appena puoi.
Baci,

Isabella

*

Agenzia L’Eterno Riposo

Da: Isabella@eternoriposo.it
A: grandecapo@eternoriposo.it

Soggetto: Bare

Papà, potresti rispondere? Papà?

*

Edward,

xkè nn risp +? Cs t ho ft? Nn mi ami +? T prego risp. Nn px vivere snz d te.
Noi siamo 2 angeli kn 1 ala sola, poxiamo volare solo abbracciati, qnd t prego risp oppure muoio.
Ieri m sn tagliata pensando a te... xkè io soffro trp snz di te.
T prego. Risp.
TAT.

Bella -- ~~These wounds won’t seem to heal/This pain is just too real/There’s just too much that time cannot erase~~

*

Concetta,

io sono alla fine della mia pazienza. Si può sapere dove minchia sei? Io ho bisogno di vedere i miei figli, ho bisogno di sapere dove sanno.
Concetta, tu non puoi farmi questo, rispondi a quel cazzo di telefono, rispondi alle mie mail, alle mie lettere, AL CAMPANELLO DI CASA.
Io non voglio che questa cosa diventa troppo brutta, non voglio mettere in mezzo gli avvocati, voglio che i panni sporchi ce li laviamo io e te.
Io non ho nessun rancore, te lo giuro.
È vero, mi sono incazzato un po’ tanto quando ho scoperto il fatto, però ora voglio parlare e voglio parlare solo con te, e vedere i nostri figli.
Non puoi farmi questo, Concè, non dopo tutto quello che abbiamo passato.
Ti prego, rispondimi alla letera oppure apri la porta la prossima volta che ti vengo a cercare. Non me ne frega niente di quell’altro, se mi dici che l’hai lasciato ti credo. Mi manchi troppo. Dai un bacio ai bambini per me. Ti prego.

Tuo,
Ciccio

*

Lo studio del professore è il posto più elegante e inquietante dell’Istituto. Tanto per iniziare è sempre in penombra, e il poco di luce che c’è proviene da una lampada sulla scrivania del professore, un cono di gelida luce a neon perfetta per inquadrare le sue mani, il foglio sul quale scrive con grafia incomprensibile, e i dischi ghiacciati degli occhiali.
Poi ci sono i due enormi ficus proprio sulla porta, innocenti e frondosi in piena luce, mostruosi al buio, con le dita tese per aggrovigliarsi a capelli e indumenti.
Alla luce del giorno il professore è un uomo avanti con l’età ma in ottima forma, con capelli e barba argentati, curatissimi, gli occhi color ghiaccio, gli occhiali con la montatura leggerissima, un sottilissimo filo d’oro che congiunge due lenti evanescenti.
Nel buio dello studio i due dischetti si condensano in pozze di gelo abbagliante, dietro alle quali non è possibile scorgere alcuna umanità.
I pazienti presentano una vasta gamma di reazioni alla presenza del professore. Gli infermieri - che non sono pagati per esibire varietà di emozioni - si limitano a provare una sorta di indifferente disagio. Dopotutto, l’importante è la busta paga alla fine del mese.
“Paziente numero 25,” mormora, annotando qualcosa a margine di una cartella clinica, “maschio, 35 anni, apparentemente privo di famiglia in vita... “
Il professore fa una pausa e mordicchia il cannello della penna, spingendo su gli occhiali con il medio. Le lenti colgono un riflesso e si tingono d’argento.
“Ha vissuto fino a circa un anno fa con la madre anziana, che è poi deceduta per cause naturali...”
Si appoggia allo schienale della poltrona presidenziale imbottita, scranno ambito dall’intera popolazione dell’Istituto. I pazienti vorrebbero farla girare vorticosamente sul sostegno dotato di rotelle, farci le gare di velocità lungo i corridoi (è tanto più ergonomica e aerodinamica di una sedia a rotelle o una barella), gli inservienti lanciarvisi dentro e possibilmente morirci di colpo.
“Il paziente soffre di violenti sbalzi di umore privi di qualsiasi causa fisiologica e/o proveniente dall’ambiente che lo circonda. Tali sbalzi di umore sono imprevedibili e ingestibili. La frequenza e la tipologia degli sbalzi umorali è ancora in corso di indagine.”
Il Professore tippetta la penna sul piano immacolato della scrivania - la penna ha un comodo feltrino incollato all’estremità del cannello, sia mai dovesse graffiare il legno pregiato del mobile - e cogita.
“Il paziente sembra aver stretto un rapporto di amicizia con il degente della stanza accanto, il numero 26. Tale rapporto si estrinseca in realtà in una fittissima corrispondenza priva di alcun senso logico, nel corso della quale i due impersonano - apparentemente senza rendersene conto - di volta in volta personaggi tra i più disparati per livello sociale e culturale. Le lettere hanno senso soltanto nel corso di un singolo scambio, sebbene a distanza di tempo dall’inizio della corrispondenza si intravedano degli scorci di trame o personaggi ricorrenti.”
Il professore si ferma nuovamente, lo sguardo fisso sulla sommità invisibile della parete di fronte, ammantata di oscurità, gratta con la penna (meno il feltrino) un punto fastidioso nella barba, e riprende a scrivere.
“Mi chiedo se oggi avremo minestrone o pasta al sugo.”
Un’altra grattata di barba. Un’altra cancellatura.
“O forse pizza?”
Le lenti degli occhiali colgono la luce dalla lampada e implodono in una contenuta sinfonia di gelidi fuochi d’artificio.
“No,” il professore borbotta con un sospiro sconfitto, “la pizza costa un po’ troppo. Probabilmente sarà minestrone.”
La porta si apre mentre appoggia nuovamente la penna sul foglio pasticciato, ed entrano Travis e Ross.
“Prof, è suonata la campana del pranzo, non vuole venire a mangiare?” lo interpella Travis, asciugandosi una macchia di sugo dal camice non-tanto-bianco. Senza accorgersene, occhieggia la sedia presidenziale con amore.
Il professore depone la penna e fa una pericolosa manovra con le dita intrecciate, per stirarle.
Ross storce il naso quando il professore inizia a far scrocchiare falangi, falangine e falangette in un’ennesima disordinata sinfonia.
“Su, venga professor Freud, oggi c’è la pizza,” incalza Ross, che di pizza se ne intende.
Gli occhiali del professore avvampano di gioia.
“Pizza! Ma è fantastico, meraviglioso, spettacolare…”
Mentre Ross conduce il professore verso le meraviglie della mozzarella fusa, Travis controlla le carte scarabocchiate sulla scrivania, ne sottrae un paio non troppo danneggiate e spegne la luce.
“Ah eccola qua. Come ha fatto a prenderla è un mistero. È già abbastanza assurdo che lascino al professore tanta libertà, non dovrebbe essergli concesso di pasticciare le cartelle cliniche, anche se sono quelle di venti anni fa,” pensa, chiudendo la porta con il numero 24 e affrettando il passo prima che la pizza sparisca del tutto. “Ma rubare e scarabocchiare quelle in uso? Mah. D’altra parte il Professore ha detto che è innocuo… e ha una famiglia ricca… però potrebbero comprare una sedia figa anche per noi, le nostre schifezze pieghevoli mi lasciano il segno nelle chiappe.”
Allontanandosi lungo il corridoio capta il profumo della pizza. Ogni altro pensiero è presto dimenticato.

*

Caro 25,

credo di aver trovato la soluzione allo spinoso problema della scarsa memoria degli abitanti di questo luogo. So che anche tu condividi la sciagura di essere circondato da strani soggetti (non malvagi, mi affretto a specificare: solo un po’ bizzarri) che continuano a dimenticare il tuo nome, i nostri nomi, declinandoli in ogni sorta di pittoresca variante. (Proprio quest’oggi il Professore mi ha chiamato “signorina Giglio Tigrato”. O era “Black Lotus”? Confesso che non ricordo bene.)
La mia proposta...

[Interrotta dalla pausa pranzo e mai terminata. Poi riposta da Travis nell’Archivio.]

*

Oh, Peter, Peter,

com’è triste Londra di questi giorni! Dopo l’Isola, tutto mi sembra grigio e prevedibile come un quadro scolorito appeso da vent’anni allo stesso muro. Ieri, vedendo mio padre di spalle con la sua nuova vestaglia color vinaccia, ho pensato per un attimo: Capitan Uncino! E mi sarei aspettata di veder spuntare Spugna e tutto il resto della ciurma da un momento all’altro; magari sarebbero venuti fuori dallo stanzino delle scope, chi lo sa. Ma non è successo niente. Mio padre era sempre mio padre, e Londra era sempre Londra.
Michael si fa ogni giorno più grande, e John assomiglia sempre di meno al bravo fratellino di mezzo che era un tempo: è stato accettato a Eton, e non ha più voglia di ascoltare storie. Michael ancora sì, ma sento che non durerà.
Oh, Peter, quando verrai a trovarmi? Lascio sempre la finestra aperta, anche d’inverno (solo uno spiraglio, però). Non dormo più nella stanza coi miei fratelli, ma è quella accanto, non puoi sbagliare. E ho sempre pronti ago e filo se la tua ombra dovesse scucirsi di nuovo, ma forse di questi tempi non ti capita più di perderla in giro per Londra. O forse un’altra Bimba Sperduta potrebbe farlo per te. Chi lo sa.
Mi sposo il mese prossimo. Sai cosa vuol dire sposarsi, Peter? È difficile da dire in due parole. Forse il Grande Capo te lo spiegherà, se glielo chiedi.
(A ripensarci, è meglio che tu non glielo chieda; potrebbe mettersi in testa strane idee.)
Se non puoi passare a trovarmi, almeno scrivimi! Anche una riga va bene. Ti lascerò carta, penna e inchiostro sul davanzale insieme a questa lettera.

A presto,
Wendy

[Deposta sul davanzale; scomparsa il giorno dopo.]

*

Donna crudele,

addio. Ho deciso di porre fine a questa inutile vita, e per questo ti do l’estremo saluto. Addio. Au revoir. Auf Wiedersen. Sayonara. A mai più rivederci. Me ne vado al diavolo: ti farà piacere saperlo, visto che tu stessa mi ci hai mandato più di una volta.
Morirò sul tuo letto mentre tu non ci sei, con le tue pantofole di pelo ai piedi, e no, non mi pulirò le scarpe sul tappetino prima di entrare in casa. Non metterò le chiavi nella ciotolina così-non-graffiano il tavolino di mogano tardo rococò. Non scuoterò l’ombrello prima di entrare in casa (pioverà, lo dice anche il meteo) e non farò attenzione che non sgoccioli sul prezioso parquet che-Dio-ce-ne-scampi. Non farò nulla di tutto ciò che ti piace raccomandarmi di fare, e sai perché? Perché sarò morta, e non potrai farci proprio niente. Non potrai rimproverarmi e dirmi che me l’avevi detto - be’, tecnicamente sì, ma tanto io non ti sentirò, quindi è uguale.
Divertiti, quando io non ci sono. Divertiti senza di me.
Voglio proprio vedere con chi te la prenderai.
Con chi?
Non con me, perché io non ci sarò.

EmoGirl96

[Letta con preoccupazione e cestinata sotto una buccia di banana e gli avanzi del timballo di riso. Seguita da tentativi fallimentari di conversazione: George Michael ha negato di aver mai scritto una lettera di addio.]

*

Hatta,

il tuo posto è stato occupato da una odiosa bambina coi capelli lunghi. Se non torni in fretta, non ci sarà più tè per te, e neanche per me, perché se lo sarà bevuto tutto lei. E comunque mi sono stufato, è sempre marmellata ieri e marmellata domani, mai marmellata oggi.

Marchie

P.S. Buon Non Compleanno!

[Macchiata di tè, ma ancora leggibile; appallottolata e buttata nel camino.]

*

Gentile Sistema Postale Nazionale,

avrei piacere di sapere come mai le mie lettere, regolarmente indirizzate e affrancate, continuano a non ricevere risposta dai destinatari. Ritengo altamente improbabile che essi non abbiano ritenuto di rispondere alle succitate; essi hanno invece ogni interesse a rispondere il più celermente possibile. L’unica possibilità è, dunque, che si siano verificati degli errori di trasmissione nel complesso sistema di comunicazione da Voi gestito.
Gradirei ricevere qualche ragguaglio.

Un contribuente di questo Stato

[Recuperata dalle mani del postino un isolato più in là e prontamente strappata.]

*

Stuart,

dove ti sei cacciato? Torna a casa! La mamma ti aspetta col tuo groviera preferito, comprato fresco fresco dal signor Peppino, appena tagliato come piace a te. Non farmi preoccupare, Stu, bello di mamma tua. E non dare confidenza a quei brutti topacci di fogna!

[Infilata in un buco nel muro sotto la tappezzeria. Trovata e rimossa con le pulizie di primavera.]

*

26 si aggira spaesato tra le stanze, contemplando con perplessità l’ordine splendido della casa tramutato in un cantiere dalle grandi pulizie di primavera. Al momento, sua sorella è impegnata a ciabattare da una porta all’altra dando di lucido agli stipiti delle porte. Ha le maniche della camicia arrotolate sopra i gomiti e un grosso fazzolettone sui capelli per proteggerli dalla polvere. O almeno questo 26 crede che sia; ma potrebbe sbagliarsi. Ultimamente le azioni di sua sorella gli sembrano del tutto incomprensibili, ma gli hanno detto che è per via della sua malattia, quindi è tutto a posto.
26 la segue nel suo andirivieni frenetico, e già che c’è le dà una mano: al momento sta reggendo la bottiglia col Lucido Per Superfici In Legno, anche se crede che un tavolino potrebbe svolgere il compito altrettanto bene.
“Non mi ha risposto neanche oggi,” osserva calmo. Il tono va avviandosi rapidamente alla rassegnazione. Si è già, nell’ordine, irritato, arrabbiato e depresso. Dopo la rassegnazione tornerà alla depressione e ci resterà. 26 annusa la puzza chimica che sale dalla bottiglia aperta e arriccia il naso.
“Il tuo amico?” chiede sua sorella, senza smettere di strofinare lo stipite. “Com’è il nome, tesoro? L’ho dimenticato.”
Fosse il Professore e non sua sorella, 26 lo prenderebbe per quello che è: un elaborato trucchetto per ottenere la risposta sbagliata e provare una volta di più al mondo che 26 è malato. Ma è sua sorella, e 26 non sospetta di sua sorella.
Sorge alla mente qualcosa a proposito di un topolino domestico, ma scarta l’idea come bizzarra.
“Non lo so,” dice dopo qualche secondo di riflessione. “Di solito lo chiamo 25. Per il numero della stanza, no?”
“E lui non ci resta male a sentirsi chiamare con un numero?” ribatte lei, accanendosi con lo straccio su uno spigolo graffiato.
“Perché?”
“Non lo so. A me non piacerebbe, credo.”
26 considera la questione. Non ci aveva mai pensato. “Lui mi chiama 26.”
“Be’, allora siete pari, suppongo.”
“Sì,” concorda 26, perché la parità è una cosa molto importante nel loro rapporto. Si scrivono sempre lo stesso numero di lettere, contate scrupolosamente dall’alba al tramonto. Il che gli ricorda che è passato un mese e 25 non ha ancora risposto. “Forse sta male e non può scrivere.”
“Forse” concorda la sorella. “O forse è stato, non so, impegnato?”
“A fare cosa?”
“Magari ha iniziato il corso di bricolage. O quello di musica classica.”
26 scaccia l’immagine di un uomo alto e magro con penetranti occhi grigi e un violino incastrato tra il mento e la spalla.
“O forse non le ha ricevute,” borbotta.
“Quello che voglio dire,” riattacca lei, voltandosi, “è che non devi per forza stare ad aspettare che lui ti risponda. Puoi fare tante cose. Puoi fare tutto quello che vuoi.”
“No,” risponde 26, adamantino.
Lei sospira. “Perché non riprendi a scrivere?”
“Io scrivo.”
“Non lettere. Storie. Magari un romanzo. Eri tanto bravo...”
“No.”
26 appoggia la bottiglia sul mobile più vicino. Si muove a scatti, rigido. Si passa una mano sulla faccia e sua sorella è subito alle sue spalle, ad abbracciarlo, a scusarsi.
“Scusami. Non devi farlo se non vuoi. Non devi fare niente che non vuoi fare. Dicevo tanto per dire. Fai finta che non l’ho mai detto, okay? Okay?”
Gli occhi di 26 sono umidi e lucidi come l’infisso ancora unto. “Ma se invece mi ha scritto, perché le lettere non arrivano? Non è così lontano. Un messaggero a cavallo impiegherebbe un’ora al peggio...”
“Che dici, tesoro? Non ho capito.”
“Un’ora, sœurette. Dicevo che un’ora a cavallo è quanto distano le Tuileries dalla nostra maison.”
Sua sorella capisce, e sorride con sforzo. “Certo,” risponde, con una voce stranamente sottile, sulla quale Maximilien de Robespierre non si interroga, avendo questioni di Stato ben più importanti a cui badare. “Perché non vai a riposarti, caro? Se arriva il... messaggero ti avviso subito.”
Robespierre annuisce, distratto, e torna in camera da letto meditando di editti e ghigliottine.

*

25 è in giardino, seduto sul bordo di una fontanella ornamentale. Non sta guardando i pesci rossi grossi come tonni che nuotano appena sotto la superficie dell’acqua, ricoperta da un sottile strato di alghe verdine, né il cerchio di pietra macchiata e muschiosa che racchiude la fontana.
Oggi indossa un paio di braghe rossicce troppo larghe, che di tanto in tanto calano quanto basta per mostrare una mezza luna piena bianca bianca, la testa di un mocio vileda calato sul cranio a mo’ di parrucca; una sorta di armatura ricavata dalla carta stagnola. Brandisce in una mano il bastone del mocio e si guarda intorno con aria torva.
Nessuno deve minacciare la fortezza dei Grayskull!
Una donna con braccialetti a forma di serpente sulle braccia si avvicina con fare sospetto.
Vuole soltanto chiedere se è l’ora di tornare in Egitto, ma 25 non tollera invasioni, aggressioni e sconfinamenti.
Si erge dunque dritto e poderoso, la potente spada dei Grayskull sfoderata e alta per riceverne tutta la forza e... non si rende conto che le braghe hanno tentato nuovamente la fuga verso la libertà.
Si ricompone in fretta, controllando se vi siano testimoni dell’incidente, ma il parco è pressoché sgombro e i pochi convenuti sono tutti raccolti disordinatamente nei pressi del cancello d’entrata che è... aperto?
25 si raddrizza in testa il mocio vileda e si avvicina a grandi passi, calcando bene nel brecciolino del vialetto. È il dovere di un Dominatore dell’Universo controllare qualsiasi situazione fuori dal normale.
Ecco, c’è un’auto - non è in grado di riconoscere il modello, dopotutto mamma guidava un macinino comprato di terza mano nel ‘69, verniciato di rosa con enormi fiori psichedelici e poi arredato con disgustose tendine, pupazzetti, dadi pelosi... insomma, la sua conoscenza in fatto di veicoli semoventi si ferma qui - e dall’auto stanno uscendo due persone.
E poi la vede.
“SHE-RA!” urla a pieni polmoni, “SHE-RA! Che fine avevi fatto?”
She-ra, che è un uomo dall’aria un po’ confusa, che si guarda intorno come se stesse tentando disperatamente di ricordare qualcosa - borbotta sottovoce alcune parole che suonano come ‘cartellino col nome, cartellino col nome’ - osserva per un attimo 25 dalla testa mocio-viledata ai piedi ricoperti da calze di natale rosse col pelo bianco.
Poi nei suoi occhi si accende una luce e con tutto il corpo si atteggia ad una profonda sebbene sconfitta solennità.
“Fratello, sono stata catturata dal perfido Skeletor. Non avevo modo di farti avere mie notizie.”
He-Man annuisce con evidente sollievo.
“Ma ora sei tornata.”
She-ra annuisce ancora.
“Ti aspetto tra due ore al castello. Sorceress ci attende.”
She-ra ha un ultimo gesto di assenso, prima di essere portato via da due infermieri dall’aria incredibilmente contenta.
He-Man torna a fare la guardia ai pesci rossi, ma si sente felice.

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