Titolo: Love Chronicles
Fandom: Arashi
Genere: yaoi, lemon, e diciamo romantico, ma non troppo
Rating: R
Pairing: indovinate un po'? Ebbene sì, ANCORA Sakuraiba. Ma attenzione, non solo!
Disclaimer: vedete questa mano? *alza la mano che usa per scrivere e scrocchia le dita* un giorno questa mano mi aiuterà a dominare tutto il Johnny Jimusho!
Inizierò dagli Arashi!
Lettori: *arretrano lentamente* ehm, Rosa-chan... hai preso le medicine stamattina?
Autrice: uh *sbatte le palpebre* Sì...
Lettori: .......*silenzio*
Autrice: ehm........ ARASHI FOR DREAAAAAM!!!!! *corre come un demonio*
Note: che dire? Non ho mai scritto delle long fic sugli Arashi, spero sia uscita decentemente. in realtà non ho finito di scriverla, ma non temete, la finirò, SO che desiderate ardentemente leggerla. Basta. un'ultima cosa: Sakuraiba PER LA VITA. stop.
Capitoli precedenti:
HERE Aiba lasciò cadere il capo contro il cuscino, cercando di fermare le parole del manager dal ripetersi ancora e ancora.
No, lui non era ossessionato da Sho e il loro legame non stava impedendo loro di crescere e di realizzare i loro sogni. Non aveva mai chiesto a Sho di sacrificare i suoi sogni per lui. Di questo era certo, ma allora perché sembrava che Takeshi-san avesse premuto un tasto dolente? Che avesse ragione?
‘Non sono vostro alleato né vostro nemico, quindi se vorrete un parere ve lo darò, nudo e crudo.’
Era così? Era quello il parere sincero? Ma sicuramente il loro legame non era così.
Ne, Sho-chan?
Eppure lui si era accorto dello sguardo distante di Sho, come se fosse un uccello in gabbia.
Gemette e scosse la testa, negando. Era troppo pesante da accettare; era surreale.
Sono la tua gabbia invece del tuo cielo azzurro?
Lacrime rigavano le sue guance, perché sapeva la risposta a quella domanda. Dio! La sapeva, e faceva fottutamente male.
Nelle nostre vite, c’è sempre qualcuno che, intenzionalmente o no, diventa il faro che ci guida fuori dalla nebbia della confusione. Sorprendentemente, Ohno giocò questo ruolo per Sho.
Il più anziano degli Arashi stava camminando per un corridoio con occhi socchiusi quando, passando davanti al camerino di Sakurai, sentì le ultime battute di una discussione tra Sho e il loro manager, Takeshi. Sapendo perfettamente che non avrebbe dovuto ascoltarla, si affrettò ad allontanarsi, quando la porta si spalancò e ne uscirono i due uomini.
Scambiò un inchino con il manager, che si allontanò lasciandolo solo con il compagno.
-Hai sentito?
-Mmh... quanto è bastato per farmi capire che te ne andrai.
Mormorò senza guardarlo negli occhi. Sho sospirò, passandosi una mano tra i capelli. Quella mattina Takeshi-san era entrato nel suo camerino dicendo che doveva parlargli di una cosa importante; con occhi che brillavano d’emozione, il manager gli aveva detto che i suoi sforzi nel lavoro erano stati notati e premiati, e che gli era stato offerto uno stage in America per ben otto mesi. Quando sarebbe tornato in Giappone sarebbe stato un giornalista a tutti gli effetti. Era un sogno che si realizzava.
Tuttavia... c’erano gli Arashi. Il manager gli aveva assicurato che per il gruppo non ci sarebbero state ripercussioni, avrebbero continuato il loro lavoro come sempre. Certo, magari non avrebbero potuto far uscire singoli in cui lui fosse presente, ma non sarebbero scomparsi dalla scena musicale e televisiva.
-Non ti preoccupare... domani sera faremo una riunione con tutto lo staff per annunciarlo. Non me ne andrò via in sordina.
Ohno scosse la testa. Non era quello che gli importava.
-Aiba-chan lo saprà insieme a tutti gli altri?
Quell’improvviso senso di colpa ed esitazione che vide nei suoi occhi fu la risposta. Non capendo quale fosse l’opinione del compagno dal suo sguardo neutro, Sho scrollò le spalle e si appoggiò al muro.
-Cosa faresti se fossi al mio posto?
Una simile infida domanda. Così semplice ma allo stesso tempo così difficile, ma lui la prese con calma.
-Glielo direi di persona.
-Ma lui...
-Glielo direi comunque, specialmente se quando tornerai in Giappone non vuoi tornare con lui. Devi mettere le cose in chiaro.
-Io...
Nonostante tutto, lui non voleva ferire Aiba. Non voleva assolutamente. Dio, era stato bene con lui, gli voleva così tanto bene... Ohno lo percepì.
-Senti. Aiba-chan soffrirà in ogni caso, ok? Ma fargli sapere della tua partenza insieme allo staff e partire senza dirgli che lo stai lasciando, gli impedirà solo di crescere. Se fai così non sarà mai in grado di voltare pagina, capisci?- decise di spingersi oltre per il bene dei suoi amici che non riuscivano a distinguere una cosa dall’altra. -Ti consiglio di dirglielo, se davvero ci tieni a lui. Starà male, ma devi farlo.
Sospirò. Ohno aveva ragione.
-Non oggi... domani... domani glielo dirò.
Avrebbe avuto ancora una notte per chiamare a raccolta il suo coraggio per chiudere la loro relazione.
Si schiarì la gola, cercando di tirare fuori la parola ‘addio’ che gli stringeva le corde vocali. Era così amaro e così pesante, si sentiva soffocare. Perché era così difficile? Perché dire ‘addio’ è difficile quanto dire ‘ti amo’?
Dopo non aver fatto nulla che stare a letto, verso l’ora di pranzo Aiba dovette alzarsi per andare al lavoro. Ovviamente non sapeva che, una volta arrivato lì, gli avrebbero detto che per quel giorno non ci sarebbero state riprese e che la sera ci sarebbe stata una riunione con tutto lo staff che si occupava degli Arashi.
Stava per uscire di casa quando il campanello suonò. Non appena aprì la porta Sho entrò in casa sua, stupendolo.
-Sho-kun?
Mormorò e rimase semplicemente ad osservare il suo amante accorciare le distanze tra loro. Quando fu di fronte a lui con un’espressione determinata sul viso il suo cuore sbatté contro il petto e campanelli d’allarme risuonarono nella sua testa. Aiba in qualche modo sapeva, ma rimase lì dove era piuttosto che scappare via.
-Devo dirti qualcosa.
-Te ne vai.
Sho parve leggermente sorpreso. Era così ovvio?
-Mi hanno offerto di partecipare a uno stage all’estero...
-Quando?
-Ieri mattina.
Invece di piagnucolare perché il suo ragazzo non gliel’aveva detto subito, Aiba annuì semplicemente, perché non c’era altro che potesse fare.
-Parto in America.- continuò. Era più facile parlare quando Aiba stava in silenzio ad ascoltarlo, quindi si fece coraggio e continuò a parlare. -E non posso stare con te. Non voglio più stare con te.
Internamente, Aiba gemette a quelle crude parole. Faceva male.
Amare non vuol dire possedere.
-Quindi stai chiudendo la nostra storia?
Chiese, ma era più un’affermazione che una domanda. Sho annuì solamente, e fu testimone di come Aiba si frantumava silenziosamente davanti ai suoi occhi. Nonostante tutto, non voleva altro che stringerlo a lui... averlo per l’ultima volta. Colse una singola lacrima cadere e il suo cuore dolse. Era giusto quello che stava facendo? Era giusto abbandonarlo così?
-Posso tenerti finchè non parto?
Regolarizzò il respiro prima di chiedere:
-Quando parti?
-Stasera.
Senza una parola, Aiba chinò il viso verso di lui e premette velocemente le labbra sulle sue, prima di scostarsi dopo poco. Il cuore di Sho si strinse nel vedere la risposta scritta negli occhi dell’altro, e lo ammirò per essere così forte da accettare le cose come stavano e arrendersi al suo stupido egoismo. Quando poi Masaki gli regalò uno dei suoi sorrisi, in quel momento Sho seppe che lo amava, e che mai avrebbe smesso.
Tirò Aiba più vicino a sé prima di unire le loro labbra. Con la consapevolezza che il loro stare insieme aveva i minuti contati, si comportarono con urgenza e disperazione.
Ansimarono i reciproci nomi più e più volte mentre vorticavano e danzavano attorno al loro fuoco; mentre galleggiavano e nuotavano nel loro oceano di desiderio; mentre ascendevano e scivolavano verso il loro apice.
Come l’ora della riunione finale con lo staff si avvicinava, i loro movimenti divennero più lenti. C’era ancora brama in loro, ma l’urgenza era sparita da un pezzo; non era l’orgasmo ciò che importava in quel momento, ma il loro essere un tutt’uno. Per questo motivo, quando le dita dell’orgasmo sfioravano i confini delle loro coscienze per reclamarli, entrambi si fermavano e lasciavano che il vuoto li prendesse.
Durante una delle loro pause, Aiba aprì gli occhi e fissò il volto di Sho, che era leggermente contratto con controllo. C’erano un po’ di cose che voleva dirgli. Voleva dirgli che non aveva mai pianificato di stare tra lui ed i suoi sogni; che gli dispiaceva e che lo amava, ma era spaventato che l’altro lo considerasse un tentativo per farlo rimanere.
Percependo il pesante, ma dolce sguardo del ragazzo, Sho abbassò gli occhi ed il suo cuore si frantumò al modo in cui il suo ex-amante lo guardava. Una parola si alzò dalla sua gola. Una singola parola stritola cuore.
-Scusa.- gracchiò.
-Non scusarti... - replicò l’altro tremante mentre tentava di combattere indietro le lacrime. Aveva giurato di non piangere... beh, almeno non di fronte a Sho, così la separazione sarebbe stata meno dolorosa. Le sue iridi si socchiusero quando il suo amante iniziò a muoversi di nuovo, colpendolo nel profondo.
La gola di Sho si strinse quando aprì la bocca per dire addio e per ringraziare Masaki per ogni cosa, ma quelle parole, prima di essere dette, divennero lacrime. Perché non poteva avere entrambe le cose che voleva di più? Era così egoista da parte sua chiederle?
Lacrime rotolarono dolcemente dal mento di Sho toccando le labbra dischiuse di Aiba. In un primo momento, pensò che fossero gocce di sudore, ma qualche secondo più tardi realizzò che erano troppo salate per esserlo. Costrinse i suoi occhi ad aprirsi e vedere il volto del suo migliore amico rigato dalle lacrime. Piangendo, si spinse su e avvolse le sue braccia intorno al corpo dell’altro. Lo abbracciò più vicino... lo abbracciò stretto.
-No.
Disse duramente. Nessuno di loro seppe cosa voleva dire. Stava chiedendo a Sho di non piangere? Di non scusarsi? Di non fermarsi o di non lasciarlo?
-Ti amo.
Aiba sussurrò le parole che gli erano state difficili da dire fino a quel momento e che aveva cercato di trattenere quel giorno. Non fecero altro che far piangere l’altro ragazzo.
Non riuscivano più a trarre conforto dalle parole l’uno dell’altro... potevano solo aggrapparsi l’uno all’altro fino a quando non avessero trovato la loro tardata liberazione.