Titolo: Fragments
Capitolo: 4. Cane
Fandom: Final Fantasy VIII
Rating: PG13
Warning: Long-fic, incompiuta, het
Word Count: 2000
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S.o.a.P.Note: Ambientata un anno dopo il finale. Nel mio canon mentale, Seifer torna sempre al Garden. Inizio in medias res.
Si chiese, rigirandosi nel letto per l’ennesima volta, chi mai avesse decretato che i cani fanno “bau”. Il rumore che la teneva sveglia da una mezz’ora buona non aveva nulla a che spartire con un “bau”. E neppure con un “woff”. Non avrebbe saputo trascrivere quel lamento ancestrale; sapeva soltanto che era impossibile ignorarlo e scivolare in tutta tranquillità nel mondo dei sogni.
Provò a coprirsi le orecchie con il cuscino di piuma, chiudere gli occhi e pensare a qualcosa di piacevole. Ma quando sentì grattare contro la porta, non riuscì a trattenersi dall’urlare.
-Maledizione, Angelo!-
Cercando controvoglia le pantofole, si chiese da dove avesse tirato fuori quel nome Rinoa: quella bestia non aveva nulla di angelico. Era una belva feroce. E, a giudicare dalla zampa che stava pericolosamente alzando, era prossimo a farle pipì in camera.
-Non ci provare!- urlò. Per tutta risposta, la bestiola gli rivolse un occhiata sofferente, e riprese ad… abbaiare? Ad essere precisi, sembravano più latrati.
-E va bene-, sospirò. Corse all’armadio e, dopo aver represso il suo primo istinto- quello di prendere la frusta- afferrò l’ abito più vicino che trovò e lo sostituì al pigiama, gettandolo disordinatamente sul letto.
Il sorriso candido di Rinoa le ritornò in mente mentre rovistava nello scatolone che le aveva lasciato in cerca del guinzaglio.
Oh, perché diavolo aveva deciso di tenerle Angelo? Lei non aveva mai avuto un animale, non sapeva assolutamente come comportarsi. Né come sopportarli.
Quella mattina Rinoa, appena tornata da Timber, aveva bussato alla sua porta con quell’adorabile bestiola al suo fianco e, con uno dei suoi sorrisi trascinanti, le aveva spiegato che lei e Squall non erano riusciti a trovare un albergo che consentisse di tenere animali, e così avevano sperato che uno dei loro amici avrebbe potuto prendersi cura di Angelo durante le loro due settimane di ferie; ma, a discapito di quanto si aspettavano, nessuno era al Garden in quel periodo. Assurdo, se si pensava che era soltanto giugno. Be’, nessuno a parte lei.
E così Quistis, per non restare sola come un cane, aveva acconsentito ad ospitarne uno nella sua piccola e ordinata stanzetta. A quanto pareva, ciclo mestruale o meno, quella non era la settimana delle scelte azzeccate.
Era mezzanotte passata e lei avrebbe voluto dormire, non farsi trascinare per i corridoi del dormitorio da un cane imbestialito. Capiva che gli mancasse la sua padrona, che dovesse fare pipì e che avesse forse mangiato troppo poco- Rinoa non le aveva spiegato le dosi e così non aveva voluto esagerare- ma avrebbe comunque essere un po’ più disciplinato.
“Be’, almeno è intelligente”, ritrattò tra sé e sé. “Aspetta di arrivare in giardino per fare pipì. Meno male”.
E meno male che, per grazia di Hyne, il Garden era vuoto, sia per l’ora tarda, sia perché, causa vacanze estive, l’accademia era da qualche giorno completamente spopolata. Incontrare uno studente in quel momento, mentre si aggirava scarmigliata per i corridoi in orario notturno, in balìa di un cane indisciplinato e caotico, sarebbe stato alquanto disdicevole. Certo, se avesse beccato un alunno fuori dalla sua stanza a quell’ora, di certo non l’avrebbe passata liscia, ma questo non avrebbe fatto altro che alimentare dicerie e gossip sul suo conto. Poteva immaginare senza difficoltà i bisbigli e i risolini sommessi in classe prima dell’inizio delle lezioni, i bigliettini volanti e le occhiate complici mentre era intenta a spiegare…
Angelo la strattonò più violentemente, quasi la volesse richiamare ai suoi bisogni impellenti. Ora che si ritrovava ad arrancare per stargli dietro senza cadere, capiva per la prima volta come facesse Rinoa ad usare un cane in battaglia: quell’animale era una macchina da guerra.
Fu in quel momento, mentre incespicava pericolosamente abbarbicata al guinzaglio, con i capelli sciolti e disordinati che le cadevano sul viso e la spallina del vecchio prendisole verde che le scivolava su una spalla, che Quistis Trepe incontrò l’unica persona che si aggirava al Garden in quell’ora notturna, e che, guarda caso, era anche l’unica che non avrebbe mai e poi mai voluto incontrare.
Girò l’angolo- o, per la precisione, Angelo le fece girare l’angolo- e, quando il suo sguardo, fisso all’altezza del cane, incontrò un paio di pantaloni di tela color kaki, il suo cuore prese a martellare.
-Ehi-, ghignò Seifer, prima ancora che lei potesse alzare lo sguardo sulla sua faccia da bastardo patentato.
“Fagli pipì sui pantaloni!”, fu la tacita supplica che Quistis rivolse ad Angelo.
I casi erano due: o Seifer Almasy attirava gli animali tanto quanto respingeva le persone, o quel cane aveva deciso di farla del tutto imbestialire. In altro modo non sapeva spiegarsi come la belva feroce che l’aveva tormentata fino ad un secondo prima fosse ritornata ad essere il dolce cucciolo di Rinoa, tutto feste e leccate, mentre Seifer si chinava per accarezzarlo affettuosamente.
-Ehilà, vecchio mio! Come butta? Eh sì… Ti capisco, la vita con la prof qui presente non è certo facile…-
Possibile che l’urgenza di urinare di Angelo si fosse dissolta non appena aveva visto il suo “vecchio amico”? Non poté fare a meno di chiedersi, infastidita dal suo stesso pensiero, come mai Seifer sembrasse tanto ben disposto nei confronti di quel cane, dato che, se la memoria non l’ingannava, durante il loro ultimo incontro il Cavaliere della Strega si era beccato una bella “Cometa Siderale”. Forse Angelo era stato il suo compagno di giochi durante quell’estate trascorsa con Rinoa a Timber l’anno prima?
-Come mai tutta zitta, maestrina? Il cane ti ha mangiato la lingua?- fece lui, sardonico.
Non si capacitava di quanto riuscisse ad essere sfacciatamente disinvolto nonostante fosse palese che l’aveva evitato per tutta la settimana. E l’impresa non era stata facile, dato che al Garden erano rimasti in una trentina.
-Il cane mi ha privato del sonno-, rispose, tagliente.
-Sonno? Già a dormire a quest’ora, prof? D’estate?-
Aveva il coraggio di riportare il discorso sulla sua noiosa monotonia? Dopo quello che era successo, era davvero tanto fottutamente stronzo da farlo, da sbatterle in faccia quanto fosse stata terribilmente stupida ad accettare quel suo invito strafottente? Come se non lo sapesse già da sola… Se incontrare qualcuno mentre si gironzola di notte in corridoio in abiti da relax non giovava certo alla sua immagine di insegnante modello, aspettare in piedi fuori dai cancelli del Garden per un’ora e mezza, mentre studenti e SeeD continuavano ad uscire con valigie e borsoni gettandole occhiate incuriosite, non faceva altro che renderla lo zimbello dell’accademia. Quale altro appellativo poteva esser dato all’idiota che si era fatta bidonare da Seifer Almasy?
-Be’, se vuoi me lo prendo io il ragazzotto-, continuò Seifer strofinando il manto di Angelo.
-Non credo che il tuo compagno di stanza ne sarebbe felice-, lo rimbeccò, -dato che sei ancora uno studente e ti tocca dividere la camera-, non riuscì a trattenersi dall’aggiungere, con una punta di compiacimento.
-Il mio compagno di stanza è in vacanza-, sorrise, sardonico. -Vuoi venire a controllare?-
“Così mi dai buca un’altra volta”, pensò, mordendosi il labbro inferiore per non lasciarsi sfuggire nulla di compromettente. La faccia tosta di Seifer raggiungeva livelli esorbitanti.
-No, grazie-.
-Dai, Quistis, lasciami Angelo. Io e lui ci facciamo una nottata tra uomini e tu dormi tranquilla. Una soluzione vantaggiosa per tutti, no?-
Quistis inarcò un sopracciglio, e lo guardò dritto negli occhi.
-Rinoa l’ha affidato a me. Non credo che sarebbe felice se il suo cane finisse nelle tue mani-.
Seifer si zittì e lasciò andare di scatto Angelo, rialzandosi. Tornò a troneggiarle dal suo metro e ottantotto di statura, fissandola in silenzio, con un’espressione indecifrabile: forse aveva esagerato.
-Te la sei presa parecchio, eh?-
Non fu una presa in giro o una frecciatina, ma una semplice constatazione. Ma Quistis quella sera non aveva alcuna voglia di ammettere l’ovvio ed ancor meno di dargli ragione.
-Non so di che cosa tu stia parlando-.
-Mi hai evitato questa settimana. Mi sembrava, e ora me ne dai la conferma-.
“Ti serviva una conferma? Ora capisco perché non sei ancora diventato SeeD”, Quistis si morse il labbro inferiore un’altra volta: Seifer le ispirava risposte acide. E riusciva sempre a prenderla in contropiede.
Allungò una mano e lei si irrigidì involontariamente, combattuta tra l’impulso di indietreggiare e l’istinto di dargli lo schiaffo che desiderava assestargli da molto tempo; prima che riuscisse a prendere una decisione, lui le sfiorò una ciocca di capelli e ci giocherellò. Le sue nocche sfiorarono inavvertitamente- o forse no- la sua clavicola, provocandole un leggero brivido.
-Sei carina con i capelli sciolti-, disse, ritraendo la mano. -Più ragazza e meno prof-.
Quistis deglutì e tornò a fissarlo torva.
-Piantala, Seifer. Non è il caso che tu dica certe cose-.
-Perché io sono un tuo alunno e altre stronzate del genere?-
-No-, rispose pacata. -Perché tu sei uno stronzo-.
-Allora te la sei presa-.
Era calmo, dannatamente calmo, senza il suo solito tono sprezzante e il suo sorriso da presa in giro. Era serio, e lei proprio non riusciva a capirlo.
-Mi hai bidonata. Mi hai fatto fare la figura dell’idiota!-, sbottò.
-Lo so-.
Un’altra tranquilla constatazione, che la mandò in bestia.
-Oh, va’ al diavolo!-
Afferrò il guinzaglio di Angelo e lo strattonò con forza nella direzione da cui erano venuti. Che gli esplodesse la vescica, che le facesse la pipì in camera, che svegliasse a suon di guaiti i pochi rimasti al Garden: qualsiasi cosa pur di togliersi Seifer dalla vista! Lo trascinò a passo di marcia- come se fosse nel bel mezzo di una parata anziché nel corridoio deserto del dormitorio- con tanto impeto che il rumore prodotto dalle sue pantofole risuonò come quello di un paio di stivali militari. Quandò sentì che Seifer le stava correndo dietro, aumentò, se possibile, l’andatura, tenendo la schiena dritta e lo sguardo fisso davanti a sé.
-E’ che non sapevo dove portarti-.
Si fermò di colpo, e lui la imitò, a un paio di metri di distanza. Lentamente, si voltò, titubante e perplessa.
Seifer stava fermo, le labbra dischiuse in un respiro leggermente affrettato, e la guardava. Non era uno degli sguardi che era solito rivolgerle; anzi, non era uno sguardo che aveva mai scorto nei suoi occhi chiari. Era uno sguardo…incerto.
-E non potevi semplicemente dirlo?-, sospirò, allargando le braccia.
Lui accennò un sorriso amaro.
-E passare per un imbecille? No, grazie, Trepe. Ho preferito consolidare la mia nomea di rinomato bastardo-.
-Sei un imbecille, Seifer-, disse Quistis sovrappensiero, sorpresa dalla svolta che aveva preso quella conversazione. Quella era forse l’ennesima presa in giro del suo peggior studente? Possibile che arrivasse a certi livelli? Eppure quello sguardo che gli aveva letto negli occhi pochi istanti prima sembrava smentire i suoi legittimi dubbi, e la riportava con la mente a ricordi lontani ed impolverati.
-Che hai?-
-Nulla-.
-E allora perché te ne stai lì in un angolo?-
-Perché non ho voglia di stare con voi mocciosi-.
-Guarda che anche io ho sei anni, Seifer-.
-Non hai niente di meglio da fare che stare qui ad importunarmi?-
-Non è che per caso hai paura del temporale?-
-Assolutamente no! Che assurdità dici? Prova ad andare dal Gallinaccio se vuoi trovare un piagnone-.
-Vuoi venire a dormire nel mio letto, Seifer?-
Sì, aveva sbagliato. Aveva già visto quello sguardo, lo aveva visto tanti anni prima: possibile che ricordasse solo in quel momento del Seifer bambino che aveva diviso in silenzio il letto con lei mentre fuori dalla finestra il rumore delle onde si mischiava violento a quello dei tuoni?
-Quindi sono sia stronzo che imbecille, in definitiva-.
E il Seifer bambino era poi così diverso da questo Seifer che, in piedi davanti a lei, le rivolgeva un abbozzo di sorriso che tanto assomigliava ad una tacita richiesta di scuse?
-No-, rispose, lentamente. -Sei imbecille e un po’ stronzo-.
E a quel punto, mentre si scambiavano un sorriso contenuto e lievemente divertito, Angelo si stufò di aspettare i loro comodi e fece pipì. Non contro un albero, non contro una porta, non contro la gamba di Seifer, bensì sulla sua gamba.
-E’ ancora valida l’offerta di tenere il cane?-