[Heroes] Wash the blood from your hands (Cap 2)

Nov 11, 2012 21:56


Titolo: Wash the blood from your hands
Capitolo: 2. A reason to change
Fandom: Heroes
Personaggi/pairing: Elle Bishop/Gabriel "Sylar" Gray
Rating: R
Warning: long fic, angst, het, lime, what if?
Word Count: 2063
Link:  EFP
Challenge/Prompt: Contest Storia d'Ammmore sul forum di EFP.
Note: Terza classificata, Premio Trama e Premio Fangirl a contest Storia d'Ammmore indetto da Dark Aeris sul forum di EFP. Grazie a lady_cocca1 per il betaggio ^^
La storia prende le basi dalla domanda che quasi tutti ci siamo posti assistendo alla tragica fine di Elle nella 3x11: e se Sylar non l'avesse uccisa? Che cosa sarebbe successo? Ho cercato di mantenere simile il contesto a quello del telefilm, apportando il minor numero di modifiche possibili. Immaginiamo che, quella notte sulla spiaggia, Gabriel/Sylar non abbia ucciso la ragazza; tutto il resto si è svolto coerentemente a quanto visto nelle puntate conclusive del terzo volume; accompagnato da Elle, silenziosa spalla, Sylar si è impossessato del potere di capire quando le persone mentono o meno, ha ucciso Arthur e ha cercato vendetta contro la Primatech similmente a quanto mostrato nell'episodio 3x13. Elle, la cui esistenza è stata totalmente pilotata dall'Impresa, ha contribuito alla sua distruzione, fuggendo dall'incendio con Gabriel. La storia è ambientata ai tempi del quarto volume, cioè sei settimane dopo gli eventi conclusivi del terzo.
Il titolo è preso da “Oceans” degli Evanescence.



Cross the oceans in your mind
Find a way to to blur the line
In the end you never can
Wash the blood from your hands
(Evanescence, Oceans)

Ancora una volta, la camicia di Gabriel Gray era sporca di sangue.

L'aveva trovato. Dopo settimane di ricerche ed anni di domande, aveva incontrato suo padre, il suo vero padre.

Le campane di quella sciocca cittadina di provincia scandirono le sei del pomeriggio con rintocchi stonati. L'orologio della chiesa era in anticipo di quasi un minuto. Davvero bizzarro che proprio un simile simbolo guida per l'uomo si rivelasse ingannevole anche nei particolari più effimeri: non c'erano certezze, né nel sacro, né nel profano.

Per tutta la vita, aveva creduto fermamente che, nel bene e nel male, ognuno fosse definito dal proprio retaggio: per questo, con il manifestarsi delle sue capacità, si era convinto di non poter esser il figlio di un orologiaio e di una balorda che collezionava globi di neve*.

Per trovare sé stesso, aveva cercato suo padre.

Si era illuso di esser figlio di una persona speciale.

Aveva scoperto di esser figlio di un mostro.

Parte seconda
A reason to change

Quando Elle lo vide rientrare al piccolo motel dove alloggiavano, cupo in volto e con i vestiti imbrattati di sangue, non disse niente.

Si scostò per lasciarlo entrare, e lui, nel passarle accanto, respirò il suo profumo di vaniglia. Vestiva di bianco, come la prima volta che si erano visti. Allora gli era parsa un angelo; sarebbe stata capace di salvarlo di nuovo?

La vera domanda era - pensò, seguendola in silenzio all'interno della stanza, ordinata a spoglia come tutte le camere d'albergo - voleva essere salvato?

Non aveva una risposta razionale. In quel momento, si sentiva più confuso che mai. Deluso e amareggiato dall'incontro su cui aveva puntato tutto, non riusciva a rimettere insieme i pezzi - non questa volta.

Non aveva nessun piano di riserva e si sentiva sull'orlo di un precipizio, pronto a cadere da un momento all'altro. Pronto a perdere il controllo.

-Ti preparo la vasca da bagno-.

Tutta quella cortesia gli dava alla testa. Era solo finzione, come quel pollo gettato sul pavimento meno di una settimana prima, o come la torta di pesche con cui aveva comprato la sua fiducia la prima volta. Non erano realmente loro a vivere quella vita, per il semplice motivo che quella normalità non era parte del loro essere.

Non potevano cambiare di punto in bianco. L'avevano capito entrambi, ma Elle si ostinava a provarci, di tanto in tanto, e ogni volta quel suo atteggiamento lo riempiva di irritazione.

Sarebbe stato così facile annegare la sua ipocrisia in quella vasca da bagno che stava amorevolmente riempiendo per lui. Gli sarebbe bastato avvolgere la mano attorno ai suoi capelli e spingerle con forza il viso in avanti: in acqua non avrebbe neppure potuto reagire. Sarebbe morta in silenzio, mugolando appena.

Gabriel lasciò cadere il braccio lungo i fianchi, inerme. Uccidere Elle non sarebbe servito a nulla, se non ad aggiungere un altro nome sulla lista dei tanti morti che aveva sulla coscienza. E lui sarebbe stato solo, ancora di più.

In fondo, lei lo capiva, probabilmente più di quanto avesse mai potuto fare chiunque altro, e, in qualche maniera distorta e del tutto illogica, addirittura lo amava. Si erano distrutti la vita a vicenda, eppure ancora cercavano di ricostruirne una insieme, nonostante avessero mille ragioni di odiarsi l'un l'altra.

Avevano provato ad uccidersi, ma era stato un fallimento; fare sesso si era rivelato molto più semplice.

Gabriel le passò una mano sul viso, e le scostò una ciocca di capelli chiari dalla guancia.

Elle, ragione della sua perdizione e speranza di redenzione al tempo stesso, fragile tra le sue mani come una bambolina di porcellana, volubile ed instabile tanto quanto lui.

Gli posò una mano sul petto, circospetta.

Aveva paura di lui, riusciva a percepirlo. Come quella volta sulla spiaggia, come tutti i momenti in cui - durante quelle settimane - l'aveva sentita trattenere il respiro, spaventata da Sylar, dimentica di Gabriel.

La guardò, continuando ad accarezzarle i capelli.

I suoi occhi azzurri erano fissi sul suo petto - intenti a chiedersi se il sangue sulla camicia fosse suo o di qualcun altro - e le labbra sottili appena dischiuse, quasi fosse in attesa di ricevere un bacio o, forse, di esser costretta a lanciare un urlo.

Ricordava ancora il grido che era risuonato per i corridoi del Livello 5 quando era stato a un passo dall'uccidere, dopo suo padre, anche lei; ricordava gli insulti che gli aveva urlato contro in quella cella della Pinehearst, prima che si curassero a vicenda le ferite accumulate negli anni.

Quella sera Gabriel era troppo stanco per urla, parole e spiegazioni.

Mettere a tacere ogni domanda con un bacio sembrava la soluzione più facile.

---

A svegliare Gabriel, la mattina dopo, non fu il trillo della sveglia che aveva meticolosamente impostato la sera prima - sapeva che dovevano spostarsi in fretta, per non incorrere in spiacevoli incontri; il suono che sentì al suo risveglio fu decisamente meno piacevole.

Gettò una rapida occhiata al suo fianco, trovando il letto vuoto nonostante fossero appena le sette di mattina; non fu difficile fare due più due ed associare ad Elle i rumori che provenivano dal bagno.

Si alzò controvoglia, gli occhi ancora socchiusi. Attraverso le spesse tende, filtravano i raggi di un sole insistente, il che contribuì ad accentuare il suo già pessimo umore.

Aprì la porta della toilette con un lieve cenno delle dita; Elle, colta in flagrante con la testa china sulla tazza del water, alzò appena il capo ed abbozzò un sorriso stiracchiato.

-Ehi-, disse con voce roca. -Dormito bene?-

Gabriel stava per risponderle che sì, aveva dormito bene, ma avrebbe preferito continuare a farlo per un'altra mezzora, anziché venir svegliato da quei versi disgustosi, quando un pensiero ben più importante si insinuò nella sua mente ancora anestetizzata dal sonno. Dapprima l'ipotesi lo urtò di striscio, senza che riuscisse veramente ad elaborarla; poi, quando la sensazione di déjà vu che provava da quando si era svegliato si tramutò nella certezza di aver già assistito a quella scena due mattine prima, la verosimiglianza di quell'idea lo investì in pieno.

Fu con uno strano vuoto al petto che pose la fatidica domanda:

-Elle, non sarai mica incinta?-

Il sorriso dissimulatore che aveva tentato di sfoggiare poco prima sparì per lasciare il posto ad uno sguardo titubante. Ancora accucciata di fianco al water, si prese qualche istante di silenzio: stava meditando sulla risposta da dargli - Gabriel lo intuiva senza difficoltà. Sapeva di non potergli mentire, così cercava le parole migliori per dire la verità: aveva paura, anche in questo frangente, della reazione che avrebbe potuto avere?

Dopo un interminabile minuto, Elle si rialzò.

-Può darsi-, rispose, sistemandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio.

---

Seduto sul bordo del letto, Gabriel Gray contemplava stranito l'ineffabilità della sorte. Meno di ventiquattro ore prima, era stato a un passo dall'affogare nella vasca da bagno la donna che ora, in piedi davanti a lui, reggeva tra le dita tremanti un test di gravidanza, gli occhi chiari sgranati per il terrore.

Erano andati insieme in farmacia, proprio come la più normale delle coppie. Gabriel, con un cappellino nero ben calato in testa, l'aveva trascinata all'interno, stringendole il polso come se fosse una bambina in procinto di perdersi.

Tornati frettolosamente al motel, era arrivato il responso.

-Ti prego, di' qualcosa-. Elle si morse l'unghia del pollice, com'era solita fare quando era particolarmente nervosa. -Sei arrabbiato?-

Gabriel sbatté le palpebre, sorpreso. Di fronte al nervosismo crescente della ragazza, si sentiva relativamente tranquillo.

-No, non sono arrabbiato-, rispose, calmo. Si lasciò cadere all'indietro sul materasso, lasciando vagare gli occhi sul soffitto bianco, dove risaltava minacciosa più di una crepa. -Direi piuttosto sorpreso-.

-Già-. Elle si forzò di stiracchiare un sorriso. -E' del tutto imprevisto. E terrificante**-, aggiunse con un sospiro.

Con la coda dell'occhio, Gabriel la vide avvicinarsi. Stese il braccio per sfiorarle un polso; lentamente, anche lei si sedette sul bordo del letto.

-Ho paura-, ammise, incrociando le gambe. -Non avevo mai pensato di...-

Neppure lui ci aveva mai pensato. Era sempre stato troppo perso a cercare le tracce di una famiglia inesistente, per considerare anche solo per un momento la possibilità di costruirne una nuova, tutta sua.

Da ragazzo era così impacciato, con le ragazze, da non aver mai fatto alcun progetto per il futuro, nonostante sua madre, una volta raggiunta una certa età, spesso gli ricordasse quanto gli avrebbe fatto piacere avere un nipotino di cui prendersi cura.

“C'è tempo, mamma”, gli rispondeva ogni volta lui, con un sorriso affettuoso. “Non ti basto io?”

Rabbrividì al ricordo del corpo senza vita di Virginia, il petto squarciato da un paio di forbici.

Quello era stato il vero punto di rottura: essere ripudiato da sua madre, dopo aver passato l'intera vita a cercare di essere degno delle sue aspettative.

Era una verità troppo crudele da accettare: per questo si era lasciato ingannare facilmente dai Petrelli. Voleva credere di esser figlio di Angela e Arthur, fratello di Peter, parte di una famiglia speciale che non l'avrebbe considerato un mostro - non più.

Ora, dopo aver ricevuto l'ennesima delusione dal suo padre biologico, Gabriel riusciva a guardare con lucidità al passato e a capire che cosa andava fatto. Il suo più grave errore era stato incanalare quel grande bisogno di sentirsi accettato verso le persone sbagliate, con il solo risultato di accentuare la sua solitudine e il suo desiderio di uccidere. Non era alle sue origini che doveva guardare, ma al suo futuro.

Accarezzò il braccio di Elle - ancora tremava - e risalì fino ai serici capelli biondi. Vide in un flash l'immagine di un piccolo bambino con i capelli color grano e gli occhi scuri come carbone.

Si scoprì a sorridere, felice.

-Che razza di madre potrei essere? Con i genitori che abbiamo avuto, come possiamo crescere qualcuno?-, sussurrò Elle, con lo sguardo perso negli stessi pensieri che aveva avuto anche lui poco prima.

-Proprio questo è un buon punto di partenza: abbiamo un ottimo esempio di ciò che non dobbiamo fare-, disse, strappandole un sorriso. La tirò leggermente verso di lui, facendola scivolare supina sul letto; lei si girò su un fianco, posando la testa sul suo petto, come era solita fare prima di addormentarsi.

-Pensaci, Elle-, proseguì allora Gabriel, accarezzandole piano il capo. -Chi meglio di noi sa di che cosa un figlio ha bisogno? Tutto ciò che a noi è mancato possiamo darlo a questo bambino-.

Elle alzò lo sguardo verso di lui: aveva gli occhi lucidi.

-E' questa la nostra occasione di ricominciare da capo, di riscattarci dai nostri errori-, continuò, sempre più convinto della veridicità delle sue parole.

-Sei stato tu a dire che non dobbiamo fingere di essere quello che non siamo-, obiettò lei con uno filo di voce, riportandolo con la mente alla sua sfuriata di qualche giorno prima.

Era diverso, allora. Tutto era diverso, perché ancora non sapeva che trovare suo padre non l'avrebbe condotto a niente di buono, né immaginava che la situazione si sarebbe capovolta così in fretta; ma ora capiva con estrema chiarezza di avere, finalmente, una ragione davvero valida per essere una persona migliore. I buoni propositi e le speranze di redenzione si erano rivelato troppo caduchi perché le sue buone intenzioni perdurassero; ma questo inaspettato regalo della sorte cambiava tutto.

Tentò di spiegarlo ad Elle:

-Non dobbiamo negare quello che siamo, soltanto esserlo nella maniera giusta; mettere la testa a posto, per il bene di questo bambino. Sarà speciale, proprio come noi, e sarà nostro compito crescerlo facendolo sentire accettato ed amato, come non lo siamo mai stati. Non gli mancherà mai nulla: gli staremo sempre vicini, lo accompagneremo a scuola, organizzeremo per lui meravigliose feste di compleanno, prepareremo i waffle per colazione...***-

-Mi piacciono i waffle-, lo interruppe lei. -Papà non me li ha mai fatti-.

-Vedi? Lui non dirà mai niente del genere. Sarà felice. Saremo felici, insieme-.

Gabriel teneva ancora gli occhi fissi sul soffitto. Ormai lo strato di intonaco bianco era diventato il telo su cui proiettare le immagini del loro futuro: una casa a due piani, grande e luminosa come quella dei Bennet, un giardino in cui giocare le domeniche pomeriggio, magari un cane a cui insegnare qualche giochetto divertente. E sorrisi, tanti, tantissimi sorrisi.

-Non ci sentiremo mai più soli-, sussurrò.

A quelle parole, Elle sussultò, e iniziò a piangere sommessamente. Questa volta le sue non erano lacrime di paura, di rabbia o di tristezza; il suo era un pianto liberatorio, che finalmente la affrancava dal labirinto di solitudine e frustrazione in cui era rimasta intrappolata troppo al lungo.

La lunga agonia era finita. Per tutti e due.

-E Bennet?- mormorò dopo qualche minuto Elle a bassa voce.

Gabriel sospirò, circondandole le spalle con un braccio: c'era ancora da regolare qualche conto in sospeso con il passato, prima di mettersi a cercare casa.

-Faremo ciò che dobbiamo fare per proteggere nostro figlio-.

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*Così Sylar definisce Virginia e Martin Gray nell'episodio 3x14, durante, appunto, il colloquio con Martin.
**Nell'episodio 3x11, Elle e Gabriel definiscono così la possibilità di un nuovo inizio.
***Nella puntata 3x04, quando Peter viaggia quattro anni nel futuro e si reca a trovare Sylar a Costa Verde, lo trova intento a preparare dei waffle per il figlioletto Noah.

fandom: heroes, rating: r, warning: lime, pg: gabriel "sylar" gray, warning: what if?, pairing: elle/sylar, warning: long fic, pg: elle bishop, anno: 2011, long fic: wash the blood from your hands, warning: het, contest

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