TITOLO: Five stages of grief.
AUTORE: StoryGirl.
GENERE: LongFiction. What If…? Angst. Death Fic. Angst. Malinconica. Romantica.
RATINGS: Pg13.
DISCLAIMERS: Nessun Johnny mi appartiene, purtroppo.
PAIRING: Shigeaki Kato, Keiichiro Koyama { KoyaShige ; KoyAto } ; Shigeaki Kato, Tegoshi Yuya { TegoShige ; ShigeTego ; ShigeShi } .
RIASSUNTO: POV di Shige, ma perché i suoi compagni di squadra sono così strani?
Ryo e Tegoshi che piangono abbracciati, Yamapi che non sorride, Massu che non mangia.
Shige si chiede cosa gli è capitato, mentre noi facciamo un viaggio nella sua mente.
NOTE: Il genere è il corrispettivo di ogni capitolo, esso può cambiare, anche drasticamente: non mi assumo nessuna responsabilità.
Non la raccomando ai deboli di cuore, non la raccomando a chi si impressiona facilmente e vi chiedo un favore: leggetela tutta.
- Se non fate in questo modo, non potrete comprenderla fino in fondo -
THANKS: Alla mia beta,
mauve_amethyst , che mi ha dato l’idea: grazie, di cuore.
A coloro che l'hanno letta in anteprima dandomi il coraggio di postarla, in ordine di lettura:
xnyappyallyx ,
hikari_guren ,
yuya_lovah .
PAROLE: Per questo capitolo: 2878, con il conteggio di word.
CAPITOLI PRECEDENTI:
Chapter #01 - Denial ;
Chapter #02 - Angry ;
Chapter #03 - Bargaining ;
Chapter #04 - Depression ;
Chapter #05 - Acceptance #06 - Freedom
“I missed my love one, why go on?”
A quel funerale c’erano molte persone: visi contratti nel dolore, nella consapevolezza di non poter rivedere più il loro amico, il loro figlio, il loro cugino… anche solo un semplice conoscente.
Il nero faceva da padrone in quel luogo, eppure tutti i fiori che adornavano la chiesa erano bianchi, bianchi come l’innocenza e la purezza.
Pioveva quel giorno, come se anche il cielo avesse deciso di partecipare a quel lutto che crocifiggeva tutti i presenti.
Lacrime che si confondevano con la pioggia, lacrime che lasciavano con fatica gli occhi di alcune persone, e con fin troppa facilità quelli di altri.
Le spalle strette, i corpi rigidi mentre si assisteva alla messa, persone che non avrebbero voluto essere lì, ma che sentivano il bisogno di farlo in un certo qual modo.
Anche chi non credeva in Dio, in nessuna religione era lì quel giorno, per rendere memoria a quella disgrazia che aveva colpito tutti loro.
Fu lui il primo che si avvicinò alla bara scoperta, nel momento in cui, finalmente, anche chi non era un famigliare poteva accedervi.
Una bocca di leone venne lasciata cadere insieme agli altri fiori, lacrime che la bagnavano copiosamente anche se quella persona cercava di resistere.
Bocca di Leone - Indifferenza ; Negazione
"Pronto?"
"Sono io: la dottoressa Rossu Kubura"
"Oh, Rossu_sensei!"
"Sì, io. Mi dispiace per la chiamata improvvisa, ma la situazione è più grave di quanto pensassimo"
“E’ sicura che sia così grave dottoressa?”
“Yamashita_san, qui stiamo parlando di un grave rifiuto alla realtà, di qualcosa che va ben oltre il peggio che mi ero immaginata” la voce era roca, come se facesse fatica a parlarne.
“Ma… siamo solo nella prima fase, no? Allora perché si comporta in questo modo? Mi fa paura e non so come aiutarlo” si sentiva che stava piangendo attaccato alla cornetta, il cuore stretto in una morsa fredda, di paura, di angoscia.
“Lo so, ma deve capire che siamo anche nella fase peggiore, quella della negazione e lui farà di tutto pur di non pensarci, pur di credere che quanto è successo è stato solo un incubo, e… mi creda, ci sta riuscendo alla perfezione. Ho fatto fatica a guardare quel computer come se fosse una persona reale. Ho fatto fatica a prenderlo in mano per accompagnarlo alla porta. E… mi sono sentita morire quando ho dovuto parlargli come se fosse tutto normale” la donna era stanca, preda di un’agitazione che non comprendeva.
Aveva visto tante volte casi simili, eppure quello era diverso, diverso da tutti quelli che aveva diagnosticato in passato: lì c’era un amore come non se ne era mai visti prima.
“Lo so, anche con noi fa finta che sia ancora vivo. Si porta sempre dietro quel dannato computer come… come se fosse lui. Pensa che siamo strani perché piangiamo, non si ricorda nemmeno perché non l’hanno più chiamato a testimoniare a quel processo” una fitta un poco più forte delle precedenti.
“Già. Non si ricorda niente, e forse è anche un bene per lui, ma d’altra parte non lo è. L’ho visto magro, troppo magro, come se non mangiasse da giorni. Aveva difficoltà anche ad alzare quel dannatissimo computer” non sapeva cosa dire la dottoressa a quel ragazzo fin troppo innocente.
“Sì, lo so. Non mangia più e noi non possiamo di certo obbligarlo” una risatina isterica.
“No, non potete, come io non posso obbligarlo a tornare da me, ma vi prego: tenetelo d’occhio, è davvero grave la situazione e sì, tenetemi informata se passa ad un’altra fase” un lieve inchino al telefono, anche se dall’altra parte della cornetta non potevano mica vederlo.
“Lo farò, grazie di tutto”
Un altro ragazzo si avvicina al primo, sorreggendolo per le spalle, riportandolo al proprio posto lasciando un bacio amaro sulla sua nuca, come se quel piccolo gesto potesse riuscire a confortarlo, ma si sapeva benissimo che non era così.
Quel giorno nessun conforto vi era per le persone riunite in quel posto, e nessun conforto ci sarebbe stato.
Quello stesso ragazzo si avvicinò alla bara, un lieve sorrise mentre osservava il corpo distesovi all’interno, uno scuotere di testa, come se tutto ciò non potesse succedere realmente ed un solo garofano rosso lasciato cadere.
Niente lacrime per quel ragazzo fin troppo restio a lasciar trapelare le sue emozioni, ma il suo volto contratto come non mai era già abbastanza.
Garofano rosso - Rabbia ; Rabbia
"Fanculo, Ryo!"
"Capisci che sei notevolmente cretino? O forse lo stare troppo tempo attaccato a quel computer ti ha fuso i neuroni?!"
"Computer?! Ryo, sai che la stupidità è contagiosa? Si vede cosa succede a stare troppo tempo insieme a certe persone. Oh, ma sei anche ingrassato? Allora capisco molte cose"
"Meglio se inizi a correre... e magari più veloce del solito"
Ryo scosse la testa: possibile che Shige non riuscisse a capirlo?
Ma era ovvio che non riuscisse a farlo, se no non sarebbe stato Shige, quel ragazzo che non comprendeva le emozioni altrui se non erano sotto forma di emoticon del computer.
Sbuffò: forse non era stato il caso picchiarlo in quel modo, ma ormai era successo e no, non poteva tornare indietro per cambiare il suo comportamento.
Certo, forse a volte avrebbe dovuto agire diversamente, ma… era Ryo Nishikido e lui non agiva mai contrariamente al proprio istinto.
Odiava Shige perché non riusciva a comprendere cosa tutti loro stessero passando, lo odiava perché se ne andava in giro con quel suo dannato computer ed il sorriso stampato in faccia, voleva aiutarlo, ma l’altro non si lasciava aiutare e tutto ciò lo rendeva nervoso, anche troppo.
Non era di certo colpa sua se aveva perso la ragione, e la calma, che non ne aveva mai troppa, ed era finito per colpirlo, spaccandogli il labbro.
Voleva scusarsi, sì… lui, il cinico e bastardo Ryo, voleva scusarsi ed era per questo che stava camminando lentamente, troppo lentamente, verso la camera dell’altro.
Voleva cercare di fargli comprendere che lui non c’era più e che era ora di guardare avanti, e soprattutto, era ora di smettere di giocare ai bambini felici ed innamorati, anche e soprattutto per Yamapi.
Vedeva quanto il suo migliore amico ci stesse male osservando Shige comportarsi in quel modo e no, non riusciva proprio a perdonare il più giovane.
Lui poteva essere l’idol più stronzo di tutti i tempi, ma era fottutamente protettivo con le persone a cui voleva, realmente, bene.
Aprì piano la porta, aspettandosi di trovare Shige in lacrime per il dolore che gli aveva provocato: dopotutto sapeva di avere un formidabile gancio destro.
Era preparato a tutto: anche a vederlo parlare con il suo computer per farsi consolare, ma mai avrebbe potuto pensare che davanti a lui si sarebbe presentata una scena simile.
Shige era sdraiato sul letto, quel maledetto computer accanto a lui, e… si stava facendo fottere da una chiavetta USB.
Ryo ingoiò a vuoto mentre ascoltava i gemiti del ragazzo, quelle urla disperate d’amore e chiuse la porta alle sue spalle cercando di dimenticare tutto, non volendo davvero credere che Shige fosse arrivato fino a quel punto.
Va bene giocare con il suo computer come se fosse lui, ma ora stava realmente esagerando.
Fu la sua mano a risvegliarlo da quei pensieri, da quel ricordo: gli sorrise appena mentre notava gli occhi dell’altro, fin troppo lucidi ed il suo labbro inferiore tremolare.
Un piccolo bacio sulla fronte anche a lui prima di lasciarlo solo con quel corpo, con quel sentimento che sapeva benissimo esserci nel suo cuore.
E quel ragazzo con l’aria dolce e traumatizzata lasciò cadere degli aghi di pino sopra quel corpo.
Pino - Pietà ; Patteggiamento
"Tegoshi, non dire così per favore"
"Perché non dovrei dirlo? E' la pura verità"
"Ma... se dici queste cose, mi sento triste"
"Devi sentirti triste! E' una cosa normale sentirsi in questo modo"
"Se io mi sfogassi con Keii_chan sono sicuro che starei meglio"
"Ma non puoi sfogarti con lui. E' inutile"
"No, che non lo è. Se lui fosse qui mi sentirei meglio"
Guardò le sue spalle andarsene, correndo via fin troppo velocemente da lui, dalla sua mano tesa che cercava di acchiapparlo.
Sospirò mentre il suo sguardo si induriva, fin troppo triste per poter rimanere sereno come sempre.
“Perché non riesci a capire Shige, perché? Io voglio solo aiutarti. Io… ti voglio bene, Shige” fu un commento ingoiato con le lacrime mentre ripercorreva la strada che aveva appena fatto, diretto in camera sua.
Si lasciò andare sul letto prima di pensare di nuovo a lui, e alla sua spensieratezza, perché si era ridotto in quel modo?
Non voleva!
Lui amava quello Shige che gli faceva i dispetti, che insieme a lui ne combinava qualcuna delle sue, che si irrigidiva quando lo abbracciava, che si lasciava andare a quei piccoli sorrisi quando cantava con lui.
Adorava lo Shige che gli parlava ore ed ore di un programma del computer, di qualcosa di nuovo che aveva appena scaricato e che credeva potesse interessare a chiunque, non solamente a lui.
Aveva bisogno dello Shige che gli preparava il pranzo e gli accarezzava i capelli dicendogli che sì, era carino, anche troppo per essere un ragazzo.
Si alzò velocemente, aprendo la porta di scatto e correndo a perdifiato per il corridoio: forse faceva ancora in tempo a farsi comprendere, forse riusciva a salvarlo.
Ma una volta arrivato davanti alla porta della sua camera, la voce che sentì provenire dall’interno lo svuotò di ogni sua forza: ancora una volta non aveva fatto in tempo… ormai era troppo tardi per salvarlo, ne?
L’avevano perso realmente?
Sentì il suo nome, sentì cosa diceva su di lui ed una fitta al cuore lo pervase mentre pensava che sì, forse un pochino innamorato di quel ragazzo intelligente, ma fin troppo ingenuo, lo era.
Eppure, il sapere che Shige non avrebbe mai potuto ricambiarlo non lo fece stare male quanto il sapere di averlo ormai perso.
Di aver perso la sua razionalità, la sua curiosità, i suoi sorrisi veri, sinceri, sempre un po’ più rari.
Quando non sentì più nessuna voce si azzardò ad entrare, trovandolo addormentato, stretto al suo computer che sì, Tegoshi avrebbe voluto realmente spaccare in mille pezzi, ma non lo fece, si limitò a prenderlo tra le mani, il computer, non Shige e guardare quest’ultimo con gli occhi bagnati da lacrime mai versate.
“Perché non riesci ad aggrapparti a me, piuttosto che a questa cosa?” lo disse con un fondo di amarezza perché sì, non amava essere rifiutato, anche se indirettamente.
L’unica cosa che riuscì a strappargli fu un debole bacio sulla punta delle labbra prima di richiudere la porta dietro di sé e lasciarlo dormire, questa volta da solo.
Mai avrebbe però pensato che quel gesto disperato, che quel posargli il computer in quella stanza, nella sua stanza, insieme a quel piccolo pezzetto di giornale avrebbe poi scatenato tutto ciò.
Nessuno gli aveva dato la colpa di quanto era successo: tutti avevano pensato a farlo, ma nessuno ne aveva avuto il coraggio, solo lui, e lui per sempre avrà nel cuore quella condanna di colpevolezza taciuta da tutti.
Era colpevole, più degli altri che ne avevano solo parlato, era colpevole perché lo aveva ucciso, anche se non avrebbe mai voluto farlo.
Se non fosse stato per lui, che lo portò a sedersi sulla sedia, non si sarebbe mai reso conto di stare tremando in quel modo, piangendo tutte quelle lacrime che per giorni avevano fatto fatica a fuoriuscire.
E quello stesso ragazzo posa un piccolo crisantemo prima di congiungere le mani come se fosse in preghiera.
Crisantemo - Dolore ; Depressione
"Massu... non riesco a trovarlo"
"Anche io... anche io ho perso qualcosa. Però, a differenza di te, sto cercando di superarlo"
"Stai parlando come Ryo"
"Lo so. E sai, ho capito una cosa. Invidio Ryo: grazie al suo carattere non verrà mai ferito"
"Neppure io voglio essere ferito"
"Allora, accetta di aver perso per sempre ciò che stai cercando"
Perché non lo aveva ascoltato?
Perché diamine aveva continuato a cercarlo su e giù per tutto il Jimusho?
Avrebbe dovuto capirlo, che lui sì, sapeva benissimo di chi stava parlando, perché anche Massu aveva perso la stessa cosa, proprio come i suoi compagni di squadra.
Una morsa gli attanagliò lo stomaco mentre percorreva gli stessi corridoio percorsi da Shige e chiedeva informazioni su di lui: erano tutti preoccupati, tutti l’avevano visto, ma nessuno lo aveva fermato.
Era arrivato addirittura ad urlare contro a qualche ragazzo perché sì, perché dovevano fermarlo, perché dovevano chiamare loro e la loro completa indifferenza a ciò che stava succedendo la odiava.
Volevano aiutarlo, soprattutto Tegoshi, soprattutto lui… vedeva il sentimento che scorreva nelle vene, vedeva quanto male ci stesse per non riuscire più a vedere i sorrisi di Shige rivolti anche a lui, non solo all’altro.
Ansimò con fatica quando credette di averlo trovato, ma non era nemmeno lì, nella sauna dove dicevano di averlo visto avviarsi.
Si lasciò andare a fatica contro il muro di quel bagno caldo senza più riuscire a trattenere le lacrime: Shige, dovevano salvarlo, almeno lui, ad ogni costo, ma non ce l’avrebbero mai fatta se continuavano in quel modo.
Soffrì in silenzio e dopo minuti che sembrarono ore tornò indietro, fino a passare davanti alla camera di Keiichiro trovandovi la porta aperta.
Perché era spalancata in quel modo?
Entrò, con paura, respirando a fatica, ingoiando dolorosamente la saliva.
Trovò solo quel dannato foglio di giornale che doveva aver lasciato Tegoshi e si sentì male: era accartocciato come se qualcuno avesse voluto ucciderlo con lo sguardo e forse era proprio così.
Dopotutto su quel giornale vi era la sua morte.
Ed ora… chissà dove era finito Shige.
Tremò tornando al suo posto, tremò nel guardare quella bara che stava per essere richiusa, e soprattutto, tremò nel vedere quel fiore tra gli altri: non si ricordava che qualcuno lo avesse lasciato lì.
Era un bel fiore però: viola, viola proprio come lui.
Ciclamino - Addio; Accettazione
"Hai messo tutto a posto?"
"Sì, l'ho fatto"
"Allora possiamo andare? Sono già in ritardo"
"Sì, possiamo andare"
“Prendi la mia mano, Shige”
“Sì, Keii_chan. Andiamo”
Avevano trovato il loro corpo sulla strada quella mattina, stretto al suo fidato computer e poi quella notizia, quei quattro uomini uccisi da uno sconosciuto ritrovati in quell’ufficio.
Ci avevano messo realmente poco per riuscire a riunire i caselli di quel puzzle maledetto, ci avevano messo poco anche nell’immaginare Shige farsi schermo dai proiettili grazie al suo computer, ormai fuori uso.
Ci avevano messo un istante nel ripercorrere con la mente Shige che usava i vetri ed i pezzi di quel computer per uccidere quegli stessi uomini, ormai rimasti senza proiettili.
L’adrenalina che gli doveva essere scorsa nel corpo, quella stessa adrenalina che non gli aveva fatto sentire dolore nemmeno alle braccia, che non avrebbe dovuto essere in grado di usare viste le ferite riportate ai nervi, ma che invece si muovevano come guidate da un’altra mano.
Gli si era stretto il cuore a loro, a tutti loro, mentre si chiedevano se Shige, in quel momento, quando il computer gli era stato distrutto tra le braccia come se avesse voluto proteggere il suo proprietario, aveva rivisto la sua morte, la sua vera morte.
La morte di Keiichiro, quella stessa morte avvenuta tra le braccia di Shige, che piangeva, continuando a ripetere come in una litania quanto lo amasse, quanto gli dispiacesse avere litigato con lui.
Shige, che voleva andarsene dagli News solo per poter seguire il suo sogno di diventare avvocato, perché ci sarebbe riuscito, perché grazie a quel processo ce l’avrebbe fatta.
Keiichiro che non voleva, che era preoccupato che quegli uomini potessero fargliela pagare, proprio come alla fine è avvenuto.
Solo che per farla pagare a Shige avevano ucciso colui che gli era più vicino, facendo ritrovare il suo corpo in fin di vita proprio da Shige stesso.
Era stata una botta tremenda per Shige, che non piangeva neppure al funerale di Keii_chan, stretto nella consapevolezza che quel computer fosse il suo amato, ormai morto e sepolto.
Non aveva visto il corpo di Keiichiro nella bara, lui la vedeva vuota, lui non capiva il dolore e la disperazione degli altri… si era rifugiato in una felicità fittizia, in un Paradiso per illusi dove l’ansia non poteva attaccarlo.
Quel giorno non era morto solo Keii_chan, ma anche una parte di Shige, che ora l’aveva raggiunto, si era suicidato, aveva deciso di porre fine a tutto, di andare in quel sogno lontano dove il suo amato era ancora vivo.
Si era buttato dal terrazzo e solo Tegoshi lo aveva visto compiere quel gesto, solo lui, solo colui che si sentiva già colpevole.
Non aveva fatto in tempo a fermarlo, lo aveva solo visto buttare prima il computer e poi lui, stringendosi in volto a quell’oggetto come se fosse davvero il corpo di Keiichiro ed era lì che Tegoshi aveva capito il motivo per il quale Shige non si era accorto di lui.
Lo amava, amava Keiichiro più della sua stessa vita, lo amava con un amore che lui, Tegoshi, non avrebbe mai potuto capire.
E sì, sapeva che Keiichiro lo amava allo stesso modo e sapeva, che ora, Shige sarebbe stato più felice di quando era sulla Terra, senza il suo amore, ormai perduto.
Solo una domanda albergava però nel cuore di tutti loro: “Perché non ti sei fatto aiutare, Shige?”
“I’m going to die… What’s the point?”
Rivelazioni:
La dottoressa di cui parlo è proprio colei che ha scoperto le cinque fasi dell’elaborazione del lutto: Elisabeth Kübler Ross in formato giapponese, Rossu Kubura.
Ogni fase, ogni capitolo ripercorre in modo straziante ciò che vedeva Shige: che no, non si accorgeva di essere impazzito.
, Liberazione, il capitolo che spiega ciò che è realmente successo.
Ogni fiore ha la sua spiegazione, ogni fiore è stato scelto apposta.
Il Ciclamino è come se fosse stato lasciato da in persona.
Se comunque, avete ancora dei dubbi nonostante questo capitolo io sono qua per questo.
Bene, debbo dire che questa storia è in assoluto una delle preferite che io abbia scritto e la amo, la amo davvero… perciò, spero che anche voi l’abbiate amata come l’ho amata io.