Leggi di più sul progetto. 1859 - Cuneo
Giuseppe Garibaldi gettò a terra il mozzicone di sigaretta fumato a metà, schiacciandolo con il tacco dello stivale. Aveva passato ore, giorni, settimane quasi, dentro al Deposito di Cuneo a guardare la catena di montaggio improvvisata allestita in fretta e furia per contrastare l’arrivo degli austriaci.
Giorni di guerra si profilavano a breve, il suo era un continuo andirivieni tra Cuneo e Savigliano, dove aveva sede il secondo Deposito di produzione. Androidi, li aveva chiamati Cavour. Fastidi, li chiamava lui.
«Smettila di pensarci, dovresti esserne grato» fece una voce alle sue spalle. L’uomo, Enrico Cosenz, si avvicinò a Garibaldi e strinse le mani intorno alla ringhiera metallica che impediva di gettarsi di sotto, direttamente nella forgia di fabbricazione. «Quarantamila soldati che non sentono dolore, fame o freddo. Il sogno di ogni comandante».
L’altro fece una smorfia, irritato non tanto dalla presenza del militare, quanto dallo stridente rumore di fondo degli arnesi utilizzati per mettere insieme il suo nuovo esercito, i Cacciatori delle Alpi. «Avrei preferito quarantamila soldati tradizionali. Ci sarebbe costato meno dar loro da mangiare che trovare il materiale per creare questi affari contro natura».
Cosenz sorrise, guardando di nuovo giù. Un’operaia stava imbullonando il telaio di uno degli androidi, formandone lo scheletro. Un attimo più tardi lo rimise giù e il nastro scorrevole le presentò un nuovo modello da unire. «Saranno pure contro natura, ma sono efficaci contro le bestie austriache. O forse ti sei già dimenticato degli abomini che quei bastardi nordici hanno messo in campo? Devo ricordarti il loro olezzo, il loro putridume e, soprattutto, da dove li hanno creati?»
«Lo so, lo so, dannazione a te!» ringhiò Garibaldi, passandosi entrambe le mani sulla barba e chiudendo per un secondo gli occhi. Si ricordava eccome di quei mostri sanguinolenti comandati dal maresciallo Urban, se li ricordava come se li avesse visti il giorno prima. Montagne di muscoli e carne umana cuciti insieme in maniera approssimativa e mandati in battaglia a migliaia armati di coltelli e mazze, pronti per maciullare e distruggere qualunque cosa fosse sul loro cammino. «Mi ricordo bene. Quei cani hanno usato i nostri prigionieri per creare la loro carne da combattimento».
«Quindi perché ce l’hai tanto con i nostri automi? Per lo meno non sono creati da esseri umani».
«Questo non puoi saperlo».
Rimasero in silenzio a lungo, appoggiati sulla ringhiera. Dove c’era un operaio ad assemblare un nuovo soldato, ce n’era un altro che gli ricopriva il cranio con una calotta di pelle animale in modo da dargli un volto. Erano tutte assolutamente identiche. Poco più in là si notava l’ingresso alla sartoria, dove decine di sarte raccolte per tutta la provincia della Granda
[1] cucivano senza sosta le uniformi che gli automi avrebbero indossato. Giacche rosse e pantaloni blu che sarebbero andati a coprire le parti meccaniche a vista del corpo. Da una certa distanza si sarebbe potuto parlare anche di persone vere.
«Cosa dicono Ardoino e Medici
[2]?» chiese Garibaldi, sollevandosi con un gemito nervoso. La schiena faceva male a furia di cavalcare nei giorni precedenti per raggiungere Cuneo. Inoltre il suo era un dolore più sordo, gli ricordava Anita e le loro lezioni di equitazione. «Notizie dal Monferrato?»
Cosenz annuì. Si sbottonò la giacca e tirò fuori un foglio di carta pergamena. Lo porse a Garibaldi, che lo aprì. «Siamo a ventimila unità di automi al Deposito di Acqui Terme, i Cacciatori degli Appennini dovrebbero essere pronti per settimana prossima e pronti a difendere l’alessandrino. Ora Ardoino e Medici sono a Savigliano, presto saremo pronti per iniziare la marcia».
«Quanto possono andare avanti questi affari?»
«Finché ce lo consentono i cavalli, Giuseppe» sorrise Cosenz, riprendendosi il foglio. «Cavour ce li ha garantiti per essere praticamente a energia infinita».
Garibaldi sospirò. Non gli andava a genio quella storia e non si faceva remore dal ripeterlo in continuazione. C’erano troppe variabili in gioco, anche se un intero esercito di robot era davvero il sogno di chiunque. Ma sarebbe bastato un incidente. Una manomissione delle schede in quelle piccole zucche vuote. O si sarebbero potute spegnere all’improvviso, non lo poteva sapere. «Mi chiedo come faccia Cavour a essere così certo e da dove arrivi tutta questa tecnologia».
«Alla prima posso solo dirti di dargli fiducia» rispose Cosenz, allontanandosi dall’amico. «Della seconda, non vuoi davvero sapere niente».
[1] La provincia di Cuneo viene chiamata anche Provincia Granda per via delle sue notevoli dimensioni.
[2] Nicola Ardoino e Giacomo Medici, insieme a Cosenz erano responsabili dei Depositi dei Cacciatori delle Alpi.