Titolo: Hopeful Embraces
Genere: one-shot, nonsense, malinconico, introspettivo
Rating: PG-16
Avvertimenti: mancanza di un filo logico
Personaggi: indefinito
Commento: è una nonsense, punto.
La mia condanna e la mia dannazione. Guardare me stessa da grandi distanze. Sempre troppo lontana. Un buco nella testa.
Hai mai immaginato cosa possa significare affogare nella follia, giorno dopo giorno? Una vita compressa tra pareti troppo strette.
Scoppio.
Esplodo per davvero. Accendo la miccia e poi non se ne parla più.
Le parole mi hanno sempre confuso, soprattutto quelle urlate. Quando si può sussurrare, preferisco tapparmi il naso ed affogare.
Mi capitava di vivere, tanto tanto tanto tempo fa. O forse era solo ieri. Difficile dirlo.
I giorni mi si accavallano nella testa, si schiantano contro le pareti del cranio e poi cadono in gola.
Ho sempre pensato di essere troppo per chiunque. Troppo poco per poter scavare nel cuore, comunque.
Mi ricordo che una volta ero seduta sul pavimento e guardavo il soffitto cercando il cielo. Se ti impegni puoi vedere il cielo sul soffitto. Dico sul serio.
La mia condanna e la mia dannazione. Guardare me stessa da grandi distanze. Sempre troppo lontana. Un buco nella testa.
A volte dondolo. Avanti e indietro. Avanti e indietro. Avanti e indietro. Basta immaginare che io sia su un’altalena. Basta pensare d’essere spinta così forte da arrivare a toccare il cielo e affondare la mano nelle nuvole.
Vorrei che sotto il mio letto non ci fosse più niente.
Forse mi stanno guardando ora. Li vedo affilare i denti e affettare l’aria con le unghie. Scappa ora. Ora che sei in tempo.
Tu. Non. Capisci.
Io devo.
Devo farlo. Devo fingermi morta, esangue e cadere a terra cercando di spezzarmi a metà.
Non ci sono mai state vie d’uscita. Tutte le porte sono sbarrate e nascoste così bene che neanche ci provi, a cercarle.
Se ti fingi morto, tutto cessa. I mostri smettono di azzannarti le gambe. Ti stendi sulla schiena e aspetti di vedere il nero colarti addosso. È come la cera. Ti ricopre e ti culla, si plasma e ti soffoca. Oh, ma così dolcemente.
Tu. Non. Capisci.
Non voglio più dovermi ficcare tre dita in gola e sorridere a comando.
Se mi fingo morta, tutto cessa. Smetto persino di respirare e di muovermi. Non sento più le ossa scricchiolare mentre le spezzo. Le giunture mi cadono a terra senza che io debba strapparmele a morsi.
E tutto mi gira attorno, lentamente, così lentamente che posso vedere qualsiasi particolare. Tutte quelle piccole cose che prima non avevo mai visto.
Non serve chiudere gli occhi ed aspettare che il metallo non ti trafigga. Il metallo ti trafiggerà comunque.
Tu. Non. Capisci.
La città della paura.
Ci vivi dentro e nemmeno te ne accorgi. Perché sei cieco, ma non importa a nessuno. Ti guardano dal basso e ridono mentre ti cuciono le palpebre.
E questa è la tortura peggiore. Piangere senza che le lacrime possano uscire. E i tuoi occhi affogano. Poi arriva un giorno in cui piangi così tanto che le lacrime scivolano tra le cuciture.
E allora, per la prima volta, riesci ad aprire gli occhi. Ti guardi attorno e capisci che forse era meglio rimanere cieco in eterno. Così non vedresti le case capovolte e i muri di vetro appannato.
Tu. Non. Capisci.
Ho provato a sorridere a comando. Ma le mie labbra sono incollate fra loro e non c’è modo di separarle. Ci ho provato, ti giuro.
Ho capito che se voglio sopravvivere, devo accarezzare ogni dolore ed affogare nella pena.
Morire è troppo semplice.
È qualcosa di molto simile al dormire. Chiudi gli occhi e mandi tutto al Diavolo.
Ma tu credi che il Diavolo sia felice?
Avrai sempre dei mostri sotto al letto che alla prima occasione ti mangeranno i piedi.
E allora io riderò.
Perché. Non. Vuoi. Capire?
È questo il modo giusto.
Vivo qui, nel luogo in cui a-nessuno-importa e nessuno-ama.
Puoi provare a sederti composto. Ma in realtà sei così sbilenco che al primo soffio di vento cadrai dalla sedia. Prova a pensarci.
Respira due volte e poi inizia ad urlare.
Non esce nulla.
È tutto troppo confuso e tutto così falso.
Dimmi che mi odi e poi facciamola finita.
Io faccio il morto
Fa cessare il dolore.
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