[Nathan/Peter. PG. Commenti aperti solo a nate_petrelli.]
Domenica, 24 Dicembre 2006.
Okay, no, non sono calmo, è inutile ripetermi il contrario. Ma almeno sto provando a stare calmo, e dovrà funzionare. Alla fine. Forse
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Respiro profondamente, e anche se l'odore di Nathan - del suo dopobarba - è forte e mi scende dai polmoni all'inguine, (come poco fa, quando ero sopra di lui, e come sempre), riesco a calmarmi. Non so come. Forse è stato il terrore - anche se è strano, perchè la disperazione non ha mai smorzato l'urgenza e il desiderio e a pensarci mi viene quasi da ridere. Devo essere disturbato davvero.
Lascio andare un po' la presa, ma non arretro - solo, smetto di soffocarci entrambi, e allora riesco davvero a respirare regolarmente. Poso un bacio veloce sulla sua guancia - è una cosa che in genere non faccio. Quando a sedici anni mi sono reso conto che avere le labbra così vicine a quelle di Nathan mi avrebbe fatto fare qualche cazzata - cioè, una peggiore del solito - ho cominciato a evitare di baciarlo in faccia. Nathan naturalmente non si era accorto mai di niente (si accorge che ti sei messo i calzini spaiati, da quanto tempo non ti lavi i capelli, ma quando si tratta di cose importanti, come, oh, il fatto che vuoi portartelo a letto, non è così attento.), e quindi lui non ha mai smesso.
E infatti è un bacio un po' come quelli di Nathan - è asciutto, dura qualche secondo per stamparti il ricordo sulla pelle. E questo per Nathan deve essere il ricordo di me che lo prego di non andarsene mai. Non andarsene mai da me. Perchè se non se ne andrà allora potrò sopportare, potrò non toccarlo, e penserò a quando ho potuto toccarlo, e baciarlo e averlo solamente quando sarò solo, immaginando che tutto si ripeta.
E' come un patto. Lo guardo negli occhi, e voglio che Nathan lo capisca. E' il nostro patto, vero? Non dobbiamo stabilirlo usando parole - basta un bacio che non scotta e non accende, non pericoloso, per suggellarlo.
Non so se sia il bacio a stupirmi, o la consapevolezza che si tratta di un gesto incredibilmente infantile, o ancora il pensiero che non riesco a ricordare quando Peter abbia smesso di farlo. Perché ricordo un tempo in cui la sua bocca vicina alla mia era una sensazione familiare, e c'era uno scintillio nel suo sguardo che, non lo ricordavo, ma a un certo punto è sparito, ed è come se non me ne fossi mai veramente accorto - come se avessi camminato per dieci anni senza sentire una gamba e poi avessi riacquistato la sensibilità tutta d'un colpo, per caso. Sto per dire qualcosa in proposito - qualcosa di ironico e probabilmente inadeguato - ma lo sguardo di Peter mi frena ed è come se dieci anni non fossero passati affatto, perché guardateci, siamo sempre qui e non è mai cambiato nulla.
Capisco, sì, certo che capisco. Io mi impegno ad essere sempre qui, qualsiasi cosa succeda, e Peter a non far esplodere il gigantesco compromesso che abbiamo appena stipulato. Nessuno dei due può farcela da solo. Anche se ci fosse un continente intero a separarci - la distanza non basterebbe. Ma così - così possiamo riuscirci.
"Lo sai, Peter" mormoro, tenendogli le mani ai lati del collo. "Questa è la cosa più assurda che mi sia capitata da quando mi sono ritrovato una quaglia spiaccicata sulla faccia."
All'inizio non è una risata. E' solo il realizzare quanto sia ridicolo ciò che Nathan ha detto, e una contrazione di labbra. Poi comincio a ridere spasmodicamente, gettandomi avanti e indietro senza alcun controllo possibile, perchè, perchè - Nathan con una povera quaglia (l'animalista in me è molto, molto contrariato dal fatto che io trovi tutto questo divertente) spalmata in faccia, piume in bocca e se continuo a ridere così mi usciranno le lacrime. Appoggio la fronte su quella di Nathan, e sento un sorriso ostinato e storto tirarmi i lati della faccia, calda dal troppo ridere.
Non so come fanno le cose a essere così. Dal disastro alla serenità è un bel salto. Eppure sembra che non facciamo altro che passare - volare - dall'uno all'altra, e magari sono solo io, o forse è semplicemente così che siamo noi. Dio, lo amo. Faccio scivolare di nuovo le mani lungo la sua schiena, percorrendola piano, e a volte mi pare quasi di sentire i segni che ho lasciato - ma non è abbastanza per oscurarmi di nuovo, non ora. Ma chiudo gli occhi, e il sorriso si smorza appena, solo appena.
"Nathan. Brucia ancora?"
Non è preoccupazione. Non so esattamente cosa sia. Non so neanche a quali ferite mi riferisco, e se si tratti solo di ferite fisiche. A volte è come se sentissi ancora i graffi che gli ho lasciato ustionarmi le dita, e altro, e forse non avrei dovuto chiederlo. Ma ora voglio sentirlo rispondere, prima di lasciarlo andare.
È frustrante, ma così rassicurante a volte, che la calma possa arrivare con tanta rapidità da farti sentire ancora sbattuto in mezzo alla tempesta, ancora per un po', prima di renderti conto che non devi più tenerti aggrappato per non volare via. È una sensazione disarmante e calda e bella, dopo la prima volta. Con Peter di solito il perdono è più veloce della colpa.
"No."
Bruciava - Dio, bruciava come l'inferno - quando Peter ci affondava le unghie. Ma quello era un altro tempo, un altro mondo - un'altra persona. Adesso le ferite si sono rimarginate, i segni sono stati cancellati in parte dalla chirurgia, e le cicatrici rimaste sono lisce e bianche e indolori. Se anche Peter le vedesse, ora, non riconoscerebbe le tracce di ciò che ha fatto, solo un vago intreccio di segni sbiaditi, ed è giusto così, è per questo che ho voluto cancellarle. Quel che c'è dentro è sufficiente a ricordare quello che deve essere ricordato.
"Per quest'anno abbiamo avuto tutti la nostra dose di bruciature."
Il mio fermacarte, o qualunque cosa sia, brilla debolmente sotto la luce artificiale della stanza. Da qualche parte c'è un rubinetto che perde. Peter è un corpo caldo e pulsante aggrappato al mio, grande e mai cresciuto, osceno e innocente al tempo stesso. Gli poso un bacio sulla fronte.
"E ora, lil' bro, vai a giocare col tuo regalo o a rotolarti nella neve - nella sabbia, quello che è. Babbo Natale ha intenzione di farsi una dormita e non vuole essere disturbato."
Annuisco a niente in particolare - no, ovvio che non bruci, sì, è vero, abbiamo bruciato abbastanza. Possiamo stare tranquilli e fermi per un po', solo un po' - anche se non l'ho mai cercata, la tranquillità. Non io, che mi butto dal tetto di una scuola senza sapere che tutte le ossa mi torneranno a posto e sono così in movimento e pieno di cose da fare e da sentire che esplodo, e Nathan qui aggiungerebbe qualcos'altro di sarcastico e molto vero. Ma se questa - stare vicino a Nathan, non doversi preoccupare di nulla (tranne ricordi e desideri, sepolti e inespressi) - è la tranquillità, allora posso sopportarla, per un po'. Potrei persino abituarmici.
Sciolgo l'abbraccio, e mi sento sbadigliare.
"Sono stanco anch'io." Piego leggermente la testa, e guardo Nathan negli occhi, con un mezzo sorriso ancora sulle labbra.
"Posso stare con te?" Non sentendo alcuna obiezione immediata, mi stendo e aggiungo "Non ti disturberò, lo prometto.", guardandolo dal basso. Quando si ridistende accanto a me, sorrido un po' di più. Siamo uno di fronte all'altro, e lo guardo negli occhi mentre gli poso le mani sul petto, sentendo le sue che mi stringono gentilmente le spalle.
E quando chiudo gli occhi non c'è bisogno di dire buona notte o sogni d'oro - e non solo perchè be', è ancora giorno - ma perchè sento il suo calore alla distanza giusta per entrambi, ed è una rassicurazione sufficiente. Anche se è difficile non pensare alla distanza sbagliata, e a quanto mi sembrerebbe più giusta, posso farcela. Adesso, e finchè reggerà questo compromesso - finchè non dovremo farne un altro.
Ho studiato anche questo evento, per il mio lavoro passato, tra le tante cose. E anche se di solito è riferito a cose più drastiche - come la morte, so che questo per me è raggiungere lo stadio chiamato Accettazione.
Non so come. Forse è stato il terrore - anche se è strano, perchè la disperazione non ha mai smorzato l'urgenza e il desiderio e a pensarci mi viene quasi da ridere. Devo essere disturbato davvero.
Lascio andare un po' la presa, ma non arretro - solo, smetto di soffocarci entrambi, e allora riesco davvero a respirare regolarmente. Poso un bacio veloce sulla sua guancia - è una cosa che in genere non faccio. Quando a sedici anni mi sono reso conto che avere le labbra così vicine a quelle di Nathan mi avrebbe fatto fare qualche cazzata - cioè, una peggiore del solito - ho cominciato a evitare di baciarlo in faccia. Nathan naturalmente non si era accorto mai di niente (si accorge che ti sei messo i calzini spaiati, da quanto tempo non ti lavi i capelli, ma quando si tratta di cose importanti, come, oh, il fatto che vuoi portartelo a letto, non è così attento.), e quindi lui non ha mai smesso.
E infatti è un bacio un po' come quelli di Nathan - è asciutto, dura qualche secondo per stamparti il ricordo sulla pelle. E questo per Nathan deve essere il ricordo di me che lo prego di non andarsene mai. Non andarsene mai da me. Perchè se non se ne andrà allora potrò sopportare, potrò non toccarlo, e penserò a quando ho potuto toccarlo, e baciarlo e averlo solamente quando sarò solo, immaginando che tutto si ripeta.
E' come un patto. Lo guardo negli occhi, e voglio che Nathan lo capisca. E' il nostro patto, vero? Non dobbiamo stabilirlo usando parole - basta un bacio che non scotta e non accende, non pericoloso, per suggellarlo.
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Sto per dire qualcosa in proposito - qualcosa di ironico e probabilmente inadeguato - ma lo sguardo di Peter mi frena ed è come se dieci anni non fossero passati affatto, perché guardateci, siamo sempre qui e non è mai cambiato nulla.
Capisco, sì, certo che capisco. Io mi impegno ad essere sempre qui, qualsiasi cosa succeda, e Peter a non far esplodere il gigantesco compromesso che abbiamo appena stipulato. Nessuno dei due può farcela da solo. Anche se ci fosse un continente intero a separarci - la distanza non basterebbe.
Ma così - così possiamo riuscirci.
"Lo sai, Peter" mormoro, tenendogli le mani ai lati del collo. "Questa è la cosa più assurda che mi sia capitata da quando mi sono ritrovato una quaglia spiaccicata sulla faccia."
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Appoggio la fronte su quella di Nathan, e sento un sorriso ostinato e storto tirarmi i lati della faccia, calda dal troppo ridere.
Non so come fanno le cose a essere così. Dal disastro alla serenità è un bel salto. Eppure sembra che non facciamo altro che passare - volare - dall'uno all'altra, e magari sono solo io, o forse è semplicemente così che siamo noi. Dio, lo amo.
Faccio scivolare di nuovo le mani lungo la sua schiena, percorrendola piano, e a volte mi pare quasi di sentire i segni che ho lasciato - ma non è abbastanza per oscurarmi di nuovo, non ora.
Ma chiudo gli occhi, e il sorriso si smorza appena, solo appena.
"Nathan. Brucia ancora?"
Non è preoccupazione. Non so esattamente cosa sia. Non so neanche a quali ferite mi riferisco, e se si tratti solo di ferite fisiche. A volte è come se sentissi ancora i graffi che gli ho lasciato ustionarmi le dita, e altro, e forse non avrei dovuto chiederlo. Ma ora voglio sentirlo rispondere, prima di lasciarlo andare.
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È una sensazione disarmante e calda e bella, dopo la prima volta. Con Peter di solito il perdono è più veloce della colpa.
"No."
Bruciava - Dio, bruciava come l'inferno - quando Peter ci affondava le unghie. Ma quello era un altro tempo, un altro mondo - un'altra persona. Adesso le ferite si sono rimarginate, i segni sono stati cancellati in parte dalla chirurgia, e le cicatrici rimaste sono lisce e bianche e indolori. Se anche Peter le vedesse, ora, non riconoscerebbe le tracce di ciò che ha fatto, solo un vago intreccio di segni sbiaditi, ed è giusto così, è per questo che ho voluto cancellarle.
Quel che c'è dentro è sufficiente a ricordare quello che deve essere ricordato.
"Per quest'anno abbiamo avuto tutti la nostra dose di bruciature."
Il mio fermacarte, o qualunque cosa sia, brilla debolmente sotto la luce artificiale della stanza. Da qualche parte c'è un rubinetto che perde. Peter è un corpo caldo e pulsante aggrappato al mio, grande e mai cresciuto, osceno e innocente al tempo stesso.
Gli poso un bacio sulla fronte.
"E ora, lil' bro, vai a giocare col tuo regalo o a rotolarti nella neve - nella sabbia, quello che è. Babbo Natale ha intenzione di farsi una dormita e non vuole essere disturbato."
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Ma se questa - stare vicino a Nathan, non doversi preoccupare di nulla (tranne ricordi e desideri, sepolti e inespressi) - è la tranquillità, allora posso sopportarla, per un po'. Potrei persino abituarmici.
Sciolgo l'abbraccio, e mi sento sbadigliare.
"Sono stanco anch'io." Piego leggermente la testa, e guardo Nathan negli occhi, con un mezzo sorriso ancora sulle labbra.
"Posso stare con te?" Non sentendo alcuna obiezione immediata, mi stendo e aggiungo "Non ti disturberò, lo prometto.", guardandolo dal basso.
Quando si ridistende accanto a me, sorrido un po' di più. Siamo uno di fronte all'altro, e lo guardo negli occhi mentre gli poso le mani sul petto, sentendo le sue che mi stringono gentilmente le spalle.
E quando chiudo gli occhi non c'è bisogno di dire buona notte o sogni d'oro - e non solo perchè be', è ancora giorno - ma perchè sento il suo calore alla distanza giusta per entrambi, ed è una rassicurazione sufficiente. Anche se è difficile non pensare alla distanza sbagliata, e a quanto mi sembrerebbe più giusta, posso farcela. Adesso, e finchè reggerà questo compromesso - finchè non dovremo farne un altro.
Ho studiato anche questo evento, per il mio lavoro passato, tra le tante cose. E anche se di solito è riferito a cose più drastiche - come la morte, so che questo per me è raggiungere lo stadio chiamato Accettazione.
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