Meno male che Silva c'è - parte II

Nov 24, 2011 16:21

Titolo: Meno male che Silva c'è.
Autore: perlinha
Beta: sanzina89
Fandom: RPF Calcio
Pairing: Adam Johnson/David Silva, accenni di JoSquared e se proprio strizzate benebene gli occhi di sicuro ne trovate delle altre.
Rating: PG-13
Conteggio Parole: 18514 (FDP)
Warning: marchigianerie a volontà, slash, AU, un fottìo di Original Characters
Prompt: BBI @ bigbangitalia \o/
Disclaimer: è tutto chiaramente molto, MOLTO inventato.
Note: forse un giorno vi spiegherò tutto quello che vi devo spiegare su questa storia. Also, andatevi a sentire quella meraviglia di fanmix che mi è stato regalato all'uopo da sanzina89 (insieme ovviamente alla meraviglia di Martifesto elettorale) ;3333;
Dediche: a sanzina89 perché è stata ideata e scritta principalmente per lei; a p_will per essere la mia marchigiana preferita ♥

Parte I | Parte III



La pentola d'acqua stava allegramente fumando vapore, vicina all'ebollizione, pronta per ricevere quel chilo e mezzo di pasta che Adam voleva trangugiare per pranzo. Era piuttosto affamato, c'era da capirlo. Dopotutto, aveva passato l'intera giornata a disfare valigie e arredare la propria camera e cercare un supermercato ragionevolmente vicino a casa sua e fare avanti e indietro con la spesa (era difficilissimo senza uno straccio di mezzo. Ad un certo punto aveva persino deciso di comprarsi uno di quei carrelli da vecchietta al mercato) e cercare di sistemare invano tutte le provviste su una sola mensola (compito per il quale aveva desistito molto presto, decidendo di fingere che la casa fosse tutta sua, per quelle tre settimane).
Adam buttò del sale grosso e una manciata abbondante di spaghetti nella pentola (aveva fatto accurate ricerche anche sull'esatta maniera di cucinare la pasta, ed era molto fiero di essere l'unico tra i suoi amici a non aver mai nemmeno lontanamente pensato di mettere qualcosa in microonde), scaldando il sugo pronto in una padellina con dell'olio. La sua faccia non avrebbe potuto sopportare un sorriso così largo ancora per molto, ma si sentiva così orgoglioso e felice, che in quel momento il dolore ai muscoli del viso era proprio l'ultimo dei suoi pensieri.

La televisione berciava qualcosa in una lingua ancora incomprensibile, e Adam era tutto impegnato ad incarnare una perfetta riproduzione di Alberto Sordi in Un americano a Roma, quando il cellulare poggiato sul tavolo aveva cominciato a vibrare, cogliendolo parecchio di sorpresa perché, andiamo, chi chiamerebbe uno con un operatore inglese in Italia, con quelle tariffe?
“Pronto.”
“Ehm, il signor Adam Johnson?”
“Sì, sono io.” Breve sbirciatina al numero sullo schermo. “Oh, siete per caso quelli dell'agenzia?” Li aveva riconosciuti dal pessimo accento del tizio nel parlargli in inglese, oltre che dal numero vagamente familiare, ma non ancora salvato in rubrica. Questo però naturalmente era un segreto che si sarebbe portato nella tomba. Dopotutto, erano i suoi nuovi capi.
“Sì, esatto! Sono uno dei segretari. Salve, Adam. Com'è andato il viaggio?”
Il timido tentativo di fare conversazione l'aveva quasi commosso. “Bene, bene, grazie.”
“Mi fa piacere. Non si sa mai, con i nostri trasporti!” Risatina. “Ora, passiamo agli affari: ti ho appena inviato una mail con l'indirizzo dell'agenzia e le indicazioni per arrivarci dai principali punti della città. Hai un appuntamento con il Direttore Reina domani alle nove, pensi di farcela?”
“Io... credo di sì, se non siete troppo lontani,” aveva ridacchiato, e la voce all'altro capo, che sicuramente apparteneva a un ragazzo più o meno della sua età, l'aveva seguito.
“Tranquillo, ho cercato di essere il più chiaro possibile con le indicazioni. Al limite chiama un taxi e ti ripaghiamo le spese,” questa volta aveva cominciato a ridere il tizio dell'agenzia, e Adam si era fatto trascinare. “Comunque io sono Mario. Tienimi sempre presente per appuntamenti e cose burocratiche varie.”
“Piacere, Adam.” Nuova risatina. “Domani ci stringiamo la mano, ok?”
“Va bene. Ah, devo comunicarti il compito che ti è stato affidato. Libero di non crederci, te lo invidio moltissimo.”
“Spara.” Adam si vedeva già su un treno scassatissimo con i finestrini aperti, il vento tra i capelli, una macchina fotografica d'epoca appesa al collo, una matita dietro l'orecchio, un taccuino microscopico incastrato nella fascetta del cappello e una Lettera 22 tra le braccia.
“Avrai l'intera copertura della campagna elettorale di David Silva, il candidato democratico alle prossime Regionali! Non è fantastico?”
D'un tratto il suo treno mentale era deragliato, mandandolo a gambe all'aria, con la macchina da scrivere che gli schiacciava dolorosamente una spalla.
“Ma, ma... ma io devo scrivere cose d'interesse internazionale, che senso avrebbe altrimenti ingaggiare uno studente straniero?”
“Di questo discuterai domani con il direttore. In ogni caso, mi deludi un po'. Seguire questa campagna è il sogno di ogni free-lancer, qui, e tu cominci a farmi storie sull'internazionalità e bla bla bla? Hai idea di quanto ci si annoi di solito qui dentro? In questa regione non succede mai niente, arrivi tu e ti danno subito l'incarico più divertente. Non si fa così, Adam. Non, si, fa.”
“... hai ragione, scusa, sono un ingrato. Scusa. Non dire niente al direttore, ok? Ci parlo io domani.”
“Tranquillo, ehi, scherzavo, non è che ti odio o cose del genere.”
Adam emise una debole risata, con così poco entusiasmo da non riuscire a convincere nemmeno se stesso. “Ok, ok. Allora, a domani. Prega che non mi perda.”
“A domani. Vedi un po'.”
Adam, chiudendo la chiamata, aveva guardato con aria implorante i suoi spaghetti. Come a dire, vi prego, consolatemi voi.

*

Vi prego, muscolosi ed oliati amici, consolatemi voi. David si stava ripetendo incessantemente quel mantra in testa dal tardo pomeriggio. Ok, cercare l'amore della vita in una discoteca gay piena di ragazzi arrapati che non aspettavano altro che di mettergli le mani addosso non era esattamente la migliore delle idee che il suo acuto cervellino avesse mai concepito, ma tale idea aveva un grandissimo pregio: era l'unica che gli fosse venuta in mente. E poi, giusto per auto-citarsi, nella remotissima possibilità che non l'avesse trovato, si sarebbe comunque divertito un mondo. C'era solo da stare attenti agli impiccioni dalla fotocamera facile.

Un ometto ballicchiante, tutto profumato, non rasato e tirato a lucido, gli sorrideva dallo specchio dell'armadio. Una melodia che sentiva solo lui gli ronzava in testa, una di quelle sigle dei polizieschi anni Settanta, tutto funky e adrenalina. Si sentiva talmente figo da avere l'impressione che intorno a lui aleggiasse un vago alone di sex appeal. O forse era tutta auto-suggestione. Non era mai stato bravo a motivarsi, la sua insicurezza di fondo aveva sempre e comunque avuto la meglio su ogni suo tentativo.
Ma non stasera. Stasera avrebbe beccato più di una gallina in un pollaio pieno di mais.

*

Adam era così depresso da avere già esaurito forze e voglia di cucinare. Stava vegetando sul divano, ingurgitando mais con una forchetta direttamente dalla scatola (un fiocco di burro e due minuti al microonde però non glieli aveva tolti nessuno). Si sentiva come una gallina che mangia stancamente il suo pasto, pervasa dalla sensazione che il giorno dopo avrebbe visto la luce solo in quanto brodo.
Il portatile poggiato sul tavolino da caffè di fronte a lui era muto. Continuava a fissarlo in cerca di idee. Adam non era uno da passare le serate di depressione a piangersi addosso, preferiva reagire andandosi a divertire come mai nella vita. Solo che, valutando pro e contro dell'idea che gli si stava formando in mente, i contro erano piuttosto incisivi: punto primo, il giorno dopo avrebbe dovuto svegliarsi presto; punto secondo, non conosceva nessuno in quella città (a parte la padrona dell'appartamento, che comunque non aveva esattamente l'aria di una che l'avrebbe accompagnato volentieri dove voleva andare lui); punto terzo, non aveva la minima nozione sull'ubicazione (né sull'effettiva esistenza) di un locale gay nei paraggi.
Ebbene sì, la sua idea era quella di andarsi a limonare quanti più stalloni italiani possibile, battendo ogni suo precedente record di rimorchio compulsivo.
Alla fine decise: fanculo la sveglia, fanculo la compagnia, e al resto ci avrebbe pensato Google.

*

Fanculo tutti, quella non era serata. Di solito, nelle rare notti in cui si buttava nella mischia a capofitto, infischiandosene di qualsiasi cosa per poche ore, riusciva ad ottenere tutto quello (o tutti quelli) che voleva, e anche di più. Una volta, uno gli aveva pure fatto una proposta di matrimonio. Sul serio. Si era proprio messo in ginocchio in mezzo alla pista. Lui aveva riso tantissimo, e gentilmente declinato l'offerta, adducendo come scusa l'illegalità della pratica nel Paese.
Quella sera, invece, non se lo filava nessuno. Proprio quando lui si sentiva più desiderabile, proprio ora che era convinto di sprizzare ormoni da ogni poro, proprio adesso che aveva una tremenda voglia (e un tremendo bisogno, più che altro) di conoscere gente, nessuno sembrava accorgersi della sua esistenza. Il suo umore cominciava a virare verso il nero.
O forse era il cappellino da baseball che si era calato sugli occhi per non farsi riconoscere da eventuali rompipalle fotomuniti, a renderlo un pochino meno attraente?

In ogni caso, la star della serata decisamente non era lui. In compenso, poco lontano da dov'era seduto, circondato da almeno cinque Adoni seminudi che ballando si litigavano parti del suo corpo come dei bulldog con un tacchino ripieno, c'era un ragazzo che a occhio e croce poteva avere più o meno la sua età, magrolino, dal viso strano e vagamente furbetto. David non capiva cosa avesse di tanto speciale da attirare bonazzi come mosche su un cenone di pesce. Forse era straniero. In quella landa desolata, chiunque venisse da abbastanza fuori acquistava automaticamente un'aura di esotica desiderabilità.
Osservandolo bene, David pensava che, se avesse mai dovuto immaginarsi il fantomatico Amore Della Sua Vita Con Cui Sconfiggere I Paparazzi Cattivi, quel ragazzo avrebbe potuto incarnarlo perfettamente. Dopotutto, tolti i palestrati intorno a lui, sembrava molto acqua e sapone, o ragazzo della porta accanto, o insomma, un cliché a piacimento su solarità e simpatia e semplicità e varie altre doti che ci si aspetterebbe normalmente da un potenziale fidanzato. In più aveva lo sguardo di uno intelligente, che non guastava mai. Ed era anche vagamente bello, che guastava ancora meno. Non fosse stato per le cinque statue umane, magari avrebbe anche potuto prendere un po' di coraggio e andare a parlargli. Offrirgli una birra. Chiacchierarci un po'. Cose che in quel locale raramente succedevano, ecco. E invece sembrava già piuttosto soddisfatto così, grazie, circondato com'era di testosterone ambulante.

Silva a un certo punto si arrese e si diresse fuori dal locale ad aspettare la navetta per la stazione, sperando, come ogni volta, di ritrovare la bici che aveva parcheggiato lì. Prima o poi si sarebbe comprato una catena gigantesca con un lucchetto mastodontico con una tripla combinazione ad algoritmi alternati. Forse neanche così sarebbe riuscito a stare tranquillo, ma un tentativo si poteva sempre fare.
Il fatto era che la sua vecchia Betsy costituiva per lui la cosa più vicina all'Amore Della Vita che avesse mai avuto. L'aveva trovata quasi in fin di vita, seminascosta nell'angolino di un garage a casa di amici, sommersa dalla polvere, le camere d'aria sgonfie, la catena quasi secca, il manubrio inclinato a un angolo impossibile, come il collo di un uomo caduto dal ventunesimo piano. Era stato amore a prima vista. Aveva convinto il suo amico a puntarla (era stato facilissimo, in realtà) e l'aveva vinta a poker, sudando freddo per tutta la partita nel timore di perderla, mentre il suo amico se la rideva sotto i baffi, felice come una Pasqua di potersi finalmente liberare di quel catorcio arrugginito.
Se l'era portata a casa, con non poca fatica (le catene non ne volevano sapere di muoversi, aveva dovuto innaffiarle con l'olio d'oliva della cucina del tizio, in mancanza di meglio), e nel cortile del condominio, la domenica mattina successiva, si era messo di buzzo buono per riesumarla con grasso e toppe e antiruggine e cacciavite e straccio e sgrassatore e pompetta. Aveva sostituito il sellino sventrato con uno nuovo fiammante, verde fluorescente. Aveva installato una nuova dinamo per il faretto e un campanello che era impossibile non sentire, stretto bene i freni e gonfiato le ruote, dopo aver sigillato tutti i buchi. Infine, l'aveva ridipinta tutta di celeste, e con il pennellino di Arte delle medie aveva scritto, a lettere scarlatte, Betsy su entrambi i lati. Aveva persino passato la sera prima a cercare su internet il font più adatto. Due piccoli tascapane laterali e una catena con un lucchetto bello robusto avevano completato il quadro dell'amore perfetto.

E ora eccola lì, fortunatamente tutta intera, sola soletta nella rastrelliera di una stazione sempre deserta. David le fece una carezzina sul manubrio, poi saltò in sella e si avviò verso casa pedalando come se non fossero le quattro di mattina.

*

Erano le quattro di mattina quando Adam si era infilato in un taxi insieme a tre completi sconosciuti ed era riuscito miracolosamente a dare al tassista le indicazioni giuste per farsi riportare a casa. Era sceso, salutando i tre amici-di-taxi e pregando qualsiasi pantheon di essersi portato dietro le chiavi. Per fortuna l'aveva fatto.
In ascensore, ripensò a tutti i no che aveva detto controvoglia. Tra poche ore avrebbe avuto un appuntamento importante, non gli sembrava il caso di saltare quel minimo fiscale di sonno che gli serviva, per portarsi a casa qualcuno. Perciò, per rimediare, si era fatto coccolare abbondantemente nei bagni del locale, da qualcuno dei suoi cinque statuari amici, che scherzosamente aveva ribattezzato le mie guardie del corpo, perché, effettivamente, il corpo gliel'avevano guardato con estrema solerzia. Il suo favorito, Paolo, aveva persino avuto l'onore di prendersi cura della sua metà inferiore con infinito affetto, mentre con fraterno amore un altro (Stefano? Andrea? Non si ricordava più) lo baciava come se volesse divorarlo. Si erano divertiti parecchio, insomma.

Ma era purtroppo giunto anche per lui il momento di dormire, anche se di sonno non ne aveva neanche un po'. Avrebbe di gran lunga preferito passare il resto della notte a raccontare tutto a Claire, a parlarle degli stalloni italiani che aveva incontrato (in tutti i sensi possibili), guardando l'alba e sgranocchiando patatine.

Alla fine si era addormentato alle sei, sperando con tutto se stesso che la successiva ora e mezzo scarsa bastasse a risparmiargli delle orrende occhiaie.

*

Un grazioso paio di orrende occhiaie lo aspettava pazientemente, un'ora e mezzo dopo, davanti al piccolo specchio male illuminato del bagno azzurro. Adam bestemmiò sommessamente e si applicò un paio di bistecche (prese direttamente dal congelatore) sugli occhi, mentre aspettava che il caffè per la colazione fosse pronto (stava già prendendo abitudini smaccatamente italiane, evitando in ogni modo di pensare a come avrebbe fatto, una volta tornato a casa, a riabituarsi alle vecchie care colazioni inglesi).

L'email era abbastanza chiara, c'era una breve descrizione a parole del percorso con numeri e orari degli autobus che avrebbe potuto prendere, e poi un link a una mappa visuale. Non avendo ancora una stampante, si era dovuto copiare tutto a mano, tra disegnini e numeri, e ora gironzolava per la città con questo foglietto già mezzo sgualcito, a cui si aggrappava convulsamente manco fosse un'ancora di salvezza. Beh, in effetti lo era.

L'autobus delle otto e un quarto era in ritardo. Lui ancora no, ma lo sarebbe stato presto, considerando che la sede dell'agenzia era nel quartiere amministrativo-universitario, leggermente fuori città.
Quando finalmente Adam riuscì a intravedere in lontananza il suo salvatore su parecchie ruote, gli venne in mente che forse si era scordato un passaggio per strada, e cominciò a pregare.
Su questo autobus è possibile effettuare l'acquisto del titolo di viaggio direttamente a bordo. Il cartello più bello del mondo, se solo fosse stato certo di quello che c'era scritto. Chiese a un signore che aspettava accanto a lui se voleva effettivamente dire che si potevano fare i biglietti una volta saliti, e quello, incredibilmente, lo capì e gli rispose in un inglese neanche troppo smozzicato che, sì, il suo ticket poteva comprarlo on board.
Ringraziando ancora una volta tutte le gentilissime divinità che lo stavano palesemente assistendo, Adam salì e, una volta preso e acquistato il suo amatissimo cartoncino blu, si aggrappò a lui come aveva fatto fino a quel momento con il foglietto delle indicazioni.

Alle nove meno cinque si trovava nei pressi della sede del Politecnico, all'interno della quale Mario gli aveva assicurato che avrebbe trovato il palazzo dell'agenzia. Le informazioni terminavano lì.
Una risatina isterica gli salì alla gola prima che potesse fermarla, alla vista del complesso gigantesco di fronte a lui, ma, mantenendo il suo abituale ottimismo, si avviò verso quello che gli sembrava l'ingresso principale, pronto a chiedere al primo malcapitato di indicargli la retta via. Quando una ragazza dai capelli ricci si propose di accompagnarcelo direttamente, si convinse che doveva per forza esserci qualcuno lassù ad aiutarlo. Magari Mercurio, o Lakshmi.

Alle nove e un minuto, dopo aver ringraziato la ragazza in tutte le lingue che conosceva (ben poche, in realtà), aveva bussato alla porta a vetri traslucidi dell'agenzia, aprendola cautamente ed entrando a passo un po' incerto nella stanza (che immaginava immensamente più grande) e dirigendosi verso la prima scrivania dall'aria vagamente segreteriosa che aveva adocchiato.
Il ragazzo seduto dietro tale scrivania, impegnato nell'attenta lettura di un documento, sentendosi osservato aveva alzato la testa e si era tolto gli occhiali, facendogli un timido sorriso.
“Tu devi essere Adam.” Decisamente non era la voce con cui aveva parlato la sera prima al telefono.
“Tu invece ho come l'impressione che non sia Mario.”
Il ragazzo era un po' arrossito e si era messo a ridere. “Hai ragione. Io sono Davide. Mario è lui,” e aveva indicato con il braccio una scrivania completamente sommersa di fogli appoggiati a casaccio, giusto dall'altra parte dello stretto corridoio formato dalla strana disposizione un po' scolastica dei cubicoli degli impiegati.
Mario, seduto dietro suddetta scrivania, nascosto da una pila di cartelle più alta di Adam, aveva sollevato un braccio e l'aveva salutato agitando una mano e chiamandolo. “Ciaaao, Adaaam!” Sembrava che fosse la mano a parlare, visto che era l'unica cosa che si vedeva di lui.
Adam si mise a ridere. “Ciaaao, Maaario!” Si avvicinò al suo banco e sporse la testa oltre le montagne di documenti. Lì dietro, indaffaratissimo a giocare a Pinball al computer, c'era Mario. Aveva una faccia simpatica e una pettinatura assurda.
“Sei stato investito da una moto, di recente?” Gli chiese Adam, indicando la sua testa. Mario si mise a ridere e gli fece osservare che quella era almeno la centesima volta che se lo sentiva chiedere.
“Hai ragione, scusa. Non sono molto originale. Comunque piacere,” gli tese la mano offrendogli il suo miglior sorrisone amichevole-ma-professionale.
Mario gliela strinse ridendo. “Piacere. Ora fiondati dentro quella porta, il capo ti aspetta daaa- ” sollevò una pila di fogli, sotto la quale era sepolto un piccolo orologio da tavolo, “cinque minuti esatti.”
“Oh, cavolo. Grazie di tutto eh,” gli disse mentre si allontanava verso la porta, salutandolo come se quella fosse l'ultima volta che lo vedeva, “come vedi sono arrivato tutto intero!”
“Mi fa piacere,” gli rispose l'altro, di nuovo invisibile dietro quell'immenso caos di fogli, la cornetta dell'interfono (spuntata da non si sapeva dove) già attaccata all'orecchio per annunciare al direttore l'imminente arrivo del suo appuntamento giornaliero.
Una volta sparito nell'ufficio di Reina, Mario si sporse all'indietro con la sua sedia girevole, scoccando uno sguardo divertito in direzione di Davide, che gli sorrise di rimando. “Simpatico, no?”

*

“Guarda che amore, non è simpatico?”
“S- sì, è... molto simpatico.” David si grattava la testa, visibilmente in difficoltà di fronte a un Chihuahua a pelo corto con le orecchie più grandi di tutto il resto del corpo messo insieme, infilato in una maglietta per cani rosa con il cappuccio (il cappuccio!) contornato di finta pelliccetta anch'essa rosa, che gli ringhiava contro con la ferocia di un grizzly. “Come si chiama?”
“Paris. L'ho chiamato Paris. Sai, è un nome unisex. Pensa che una volta Paris era fidanzata con un multimilionario greco di nome Paris! Incredibile, no?”
Ok, forse portare a spasso il cane di Eva per rimorchiare non era stata una grande idea. Dopotutto, non era sua. Lui aveva solo idee geniali, come passare un'intera serata in un locale gay a nascondersi sotto un ridicolo cappellino da baseball sentendosi incredibilmente figo.
“Eh... eh, già. Incredibile.”
Non sapeva nemmeno come diavolo si fosse ficcato in quel pasticcio. Un momento prima stava sgridando Schizzo per aver spaventato un gatto abbaiandogli contro senza alcun apparente motivo, e quello dopo si era ritrovato praticamente tra le braccia di questo energumeno che gli parlava di ricche ereditiere, chihuahua e anelli di fidanzamento da milioni di dollari.
Stava pensando che la cosa peggiore era che non sapeva come cavarsene, quando il cellulare miracolosamente iniziò a vibrargli nella tasca dei jeans.
“Scusa un momento,” disse al tizio di cui non sapeva nemmeno il nome, allontanandosi strategicamente di qualche passo. Il suo piano era allontanarsi sempre di più, continuando a gridare non c'è campo, non c'è campo, provo un po' più in là, fino a sparire completamente dalla sua vista. A proposito di idee geniali. “Pep?”
“Ciao, non indovinerai mai dove sono in questo momento.”
“Uhm, in bagno?”
“... David, io un giorno o l'altro giuro che ti faccio un test del QI. Lo giuro.”
“L'avevo già fatto una volta, mi pare fosse uscito fuori un centodieci.”
“L'hai sicuramente truccato.”
“Non mi permetterei mai. Comunque, scherzavo. E anzi, grazie.”
“Di cosa?”
“Ora capirai.” David alzò la voce di una decina di decibel. “Mi dispiace, non c'è campo! Non riesco a sentirti- come???”
“Si può sapere cosa stai facendo?”
“Tu dammi corda.”
“Ok, ma devo dirti anche delle cose importanti. Non so se hai notato che non ti chiamo ogni volta che ho voglia di svagarmi.”
“Hai ragione, spara. Dove sei, innanzitutto?”
“Sono a casa di Mourinho.”
David per poco non si strozzò con la sua stessa saliva. Decise di mantenere la calma, per paura di acquistare ancora più fascino agli occhi del suo inquietante stalker chihuahua-munito (che, a proposito, lo stava discretamente seguendo a pochi passi di distanza), se avesse fatto una scenata isterica. “E cosa ci fai lì? Spii il nemico?”
Pep emise una risatina nervosa. “Sì, più o meno. Comunque ti chiamo per confermarti ufficialmente che Cristiano sarà il tuo rivale per la campagna. Preparati a combattere a colpi di retorica, è una bestiaccia da battere.”
David, che intanto si era fermato dopo essersi reso conto di stare praticamente correndo, guardò intensamente Schizzo, che aveva alzato la testolina a fissarlo curioso. “Oh... ok. Grazie per la conferma. Vedi se riesci a carpire qualche loro strategia chiave, o qualcosa del genere.”
“Sì, effettivamente ero proprio venuto qui per, ehm, vedere se sarei riuscito a, ehm, sbirciare il loro manifesto elettorale. Già.” Il suo tono era quanto di meno convincente ci fosse al mondo. E dire che il suo lavoro era convincere intere masse. Proprio un'ottima pubblicità.
“Ok. Ah, a proposito, noi quando lo progettiamo il nostro? Voglio dire, dovrò fare un servizio fotografico, no?”
“Sì, sì, giusto... ci penseremo. Ora devo andare- ahi! Stronzo!” Risatine in sottofondo. Bisbigli strani. Non gliela contava affatto giusta. Proprio per niente.
In ogni caso, la sua maggior preoccupazione in quel momento era sparita dietro un angolo, seminata dalla sua quasi inconscia accelerazione di prima. Tutto il resto ora era un insidioso sospetto che Pep avesse visitato Mourinho per motivi che poco o niente c'entravano con la politica. In ogni caso, fatti suoi, finché non si ripercuotevano sulla campagna di David.
“Ok, allora ciao. Ah, domani viene a trovarmi Mancini. Dice che mi farà ripetizioni sul discorso per la Conferenza Stampa. Secondo te posso chiedergli anche qualcosa di latino e matematica?”
“Come? Ah, sì, Roberto, va bene, allora magari domani sera passa in ufficio per raccontarmi com'è andata, ok? Sarò lì tutto il giorno. Ciao David- ehi, non è esattamente il mio ginocchio, quello!”
“Il tuo gino- cosa diavolo stai facendo?”
“Nulla, nulla,” Pep si schiarì la voce, “ciao.”
Il viso di David era la maschera della perplessità. “Ciao... ”
Chiusa la chiamata, friggendo dalla curiosità, tirò fuori il lettore mp3 per la seconda volta quel giorno (la prima era stata interrotta per i noti cinofili motivi), sperando che fosse quella buona, e si mise a giocare con Schizzo, seduto su una panchina tra gli alberi.

*

Si era incantato a fissare una anonima panchina tra gli alberi del giardino intorno al Politecnico. Un ragazzo con un cane ci si era appena messo a sedere. Probabilmente ascoltava della musica, perché stava battendo un piede a tempo, mentre giocava con il cucciolotto, che non la finiva di saltare sulla panchina. Gli venne un po' di nostalgia della sua Betsy.
“Adam, mi stai ascoltando?” Evidentemente Reina si era accorto del suo momentaneo stato di trance.
“Ehm... adesso sì.”
Il direttore lo guardò storto. “Sei fortunato che la nostra sia una politica aziendale amichevole e scherzosa, altrimenti ti avrei già mandato a casa a calci in culo.” Aspettò un paio di secondi che sul viso del ragazzo si dipingesse uno sguardo di contrito terrore, e poi scoppiò a ridere. “Ma appunto perché io sono il primo a gigioneggiare per tutta l'agenzia, non ti sgriderò. Ora, riprendiamo da dov'eravamo rimasti prima che ti mettessi a fissare gli uccellini in volo.”

A quanto pareva, il suo destino era segnato: doveva seguire passo per passo la campagna elettorale di uno dei due candidati alle regionali (Reina gli aveva assicurato che David Silva era in assoluto il politico più simpatico che conoscesse, e che poteva capitargli davvero di peggio, ma questo non era servito a consolarlo). Il suo blockbuster mentale sull'infinito road trip italiano, passato a rincorrere notizie in ogni dove, si era infranto definitivamente davanti ai suoi occhi. La sua tesi sarebbe stata la cosa più noiosa mai vista dopo i documentari sulla riproduzione delle amebe ciliate.

*

Ripetere quel dannato discorso si stava rivelando la cosa più noiosa mai vista sulla Terra dopo la respirazione dei batteri metanogeni delle profondità marine.
“Nooo! Non va bene, non va bene per niente, perdinci. Rifallo.”
David prese un respiro profondo e ricominciò.
Quando ebbe finito per la diciannovesima volta, Roberto si degnò finalmente di dirgli cosa c'era, secondo lui, che non andava nella sua esposizione.
“È che non mi sembri abbastanza sicuro di te. Non riesci a convincermi. Sai cosa facciamo? Ora chiamiamo Pep e vedrai che ci saprà spiegare alla perfezione cosa c'è che non va nella tua gestualità. Accendi Skype.”
David non aveva nemmeno idea che Mancini conoscesse un aggeggio del genere. L'aveva grandemente sottovalutato.
Contattarono Pep, che dopo qualche secondo di troppo rispose alla videochiamata. L'immagine si accese su di lui che sistemava la webcam, evidentemente poggiata sullo schermo del portatile.
Dopo i soliti convenevoli, Roberto spronò David a ripetere per la ventesima volta il suo discorso. L'unica cosa che voleva in quel momento era che la ventunesima fosse quella decisiva.
“Smetila di tremare, David. Le mani ferme. Ferme! Usa tutto il tuo autocontrollo per fermare quelle benedette mani. Le gambe possono pure tremarti quanto gli pare, ma le mani si vedono. E se balbetti un'altra volta, giuro che vengo lì e ti strangolo. Niente tartagliamenti, niente ehm, niente incertezze. Al massimo puoi schiarirti la gola, ma non più di due volte. Hai capito tutto?”
“Credo di sì.” Silva sudava dallo sforzo di non crollare dalla stanchezza. Si immaginava come dovesse essere dura la vita di un attore teatrale, tutti i giorni a ripetere un intero copione a memoria. Un mestiere che decisamente non faceva per lui.
“Bene. Allora ripeti, tenendo a mente tutto.”
David prese fiato e ricominciò. Per non insordire Pep, ma anche per evitare di finire per giochicchiarci nervosamente senza nemmeno accorgersene, e conseguentemente beccarsi l'ennesima strigliata, si sistemò bene il microfono alla giusta distanza dalla bocca.

*

Tutto era pronto per la conferenza. Microfoni sistemati, bottigliette d'acqua strategicamente posizionate con l'etichetta rivolta verso la platea (altirmenti gli onnipresenti sponsor si sarebbero arrabbiati non poco), macchine fotografiche con teleobiettivo puntato, giornalisti e figuranti con matite in pole position (prima regola del buon reporter d'assalto: mai usare la penna), telecamere accese, inviati televisivi in procinto di collegarsi con lo studio, tutti i pezzi grossi della Regione seduti in galleria come dei ricconi alla prima della Carmen, loghi dei due partiti rivali che svolazzavano sui maxischermi di stoffa bianca sui quali erano costantemente proiettati (la quercia con l'arcobaleno di David era decisamente superiore alla bandierina italiana che sventolava sopra il contorno della regione degli avversari). Mancavano solo i candidati. Uno per volta (non era ancora giunto il momento del confronto diretto), David per primo, dovevano salire sul patibolo, fare il loro discorso, mettersi a disposizione dei giornalisti per tutte le domande del mondo, e poi tornare da dove erano venuti. Non sembrava difficile, a parole.

Adam sbadigliava vistosamente. Passare le ultime tre nottate a zoccoleggiare (pardon, fare amicizie e scambi culturali) in giro per la città non aveva giovato molto alla sua pelle, né ai suoi poveri neuroni assonnati. In compenso, aveva imparato il nome italiano di molte gioiose pratiche sessuali, qualche insulto, parolacce a caso, oltre a saper chiedere l'ubicazione del bagno e il costo di una birra. Poteva ritenersi linguisticamente assai soddisfatto. In ogni caso, ora era lì, con il fido taccuino in mano (accanto a lui c'era gente che tentava di accendere chi un notebook, chi un pesantissimo portatile, chi addirittura un tablet. Poveri stolti, non c'era niente di meglio al mondo di un piccolo, leggero, maneggevole blocchetto di carta con anelli a spirale e una matitina infilata dentro), alcune intelligentissime domande in mente, tradotte la sera prima con Google Translator (e la divinità che l'aveva assistito fino a quel momento avrebbe fatto meglio a evitargli figuracce in quel frangente), e il suo bel faccino grigiastro e pieno di occhiaie a completare l'allegro quadretto del giornalista Erasmus in erba.

“Signori, possiamo dare inizio alla conferenza stampa. Buongiorno a tutti.” Roberto era in piedi sul piedistallo, elegante, sicuro di sé, con quel suo incorreggibile accento dell'entroterra, e stava per presentarlo ufficialmente al mondo, un po' come Mufasa aveva fatto sollevando Simba in aria per mostrarlo orgoglioso a tutto il regno. “Diamo il benvenuto al primo candidato, che ho designato personalmente e in cui ripongo la massima fiducia: David Silva, che ci presenterà ufficialmente il suo - il nostro - programma, e si metterà subito dopo a disposizione per qualsiasi domanda. Prego, David.”
Stava per scoppiargli il cuore, se lo sentiva. Non aveva adeguate nozioni di medicina, ma era piuttosto convinto che un miocardio umano non potesse sopportare un tale numero di battiti al secondo. “Bu- buongiorno.” Si schiarì la voce e si disse che quello non era il momento giusto per balbettare. “Buongiorno a tutti.” Con voce ora molto più ferma, l'organismo inondato di adrenalina e le gambe tremolanti, fortunatamente nascoste dal piedistallo, cominciò a ripetere per l'ultima, decisiva volta il suo discorso. La sensazione era più o meno quella che aveva avuto durante il suo primo monologo alla recita dell'asilo davanti a tutti i genitori, amplificata di circa un fantastiliardo di volte.

Adam scribacchiava senza posa, pur non capendo un buon novanta per cento delle cose che venivano dette (Reina gli aveva assicurato che gli avrebbero presto affiancato un traduttore simultaneo, ma che per quel giorno doveva farne a meno perché, ma tu guarda la sfortuna, in quella data aveva un impegno inderogabile e non poteva essere presente). La prima impressione del suo candidato era stata ottima. Reina aveva avuto ragione, aveva proprio l'aria di un politico stranamente simpatico. Aveva anche un viso piuttosto familiare, come se l'avesse già visto da qualche parte, un passante a caso in mezzo a una folla, un commesso di qualche supermercato, una faccia che da anonimo (nel senso che non conosceva il suo nome, non che avesse dei tratti fisionomici irrilevanti, anzi) gli era stranamente rimasta impressa. In più, dimostrava più o meno la sua età, quindi avrebbe potuto trattarlo in modo abbastanza amichevole senza rischiare di sembrare irrispettoso.

Quando David, con un enorme, malcelato sospiro di sollievo, concluse il suo discorso, si levò un applauso di circostanza e cominciò la raffica di domande. Il primo fu un inviato del TG regionale che aveva tutta l'aria di uno che necessitasse urgentemente delle lezioni intensive di dizione. Non aveva capito molto di quello che gli aveva chiesto, ma si azzardò comunque a rispondere, e a giudicare dal viso vagamente attento e soddisfatto del giornalista, si convinse che la sua replica doveva essergli sembrata esauriente.
Per secondo toccò a un ragazzo dall'aria familiare, un po' pallido, ma dal viso interessante. Anzi, decisamente carino. David aveva questa strana convinzione di averlo già visto da qualche parte. Stava tentando di capire dove, quando si accorse di averlo lasciato per due minuti buoni ad aspettare con la mano alzata, come un alunno studioso che pazientemente attende che la maestra lo chiami per dire la sua. Gli venne un po' da ridere, e allo stesso tempo si sentì mortificato. “Prego.”
“Adam Johnson, Politecnico di agènzia di... stampa. Mi piacerebbe? Sapere cosa ne pensate sarebbe il miglior piano di organa- organizzazzz- organaiz- orrrrrganaizascion-y? Per studenti della vostra regione. Sono uno studente straniero, ho visto che hai? Hay? Una grande università qui,” pausa per riprendere fiato, “e mi chiedeva cosa fare- faresteh per... per milllliorare che per i livelli di... ecelennnza?”
David sgranò gli occhi in un'espressione terrorizzata. Sbatté un paio di volte le palpebre, poi si riprese leggermente, gli sorrise e rispose: “I can speak English, if you want.”
“Oh, grazie al cielo.” Adam, che aveva fatto se possibile lo sforzo più grande della propria vita a leggere quelle poche righe con una pronuncia probabilmente improponibile e tutte le intonazioni sballate dall'incertezza, ripeté la domanda in inglese. “Dicevo. Mi chiamo Adam Johnson, lavoro per l'agenzia di stampa del Politecnico. Mi piacerebbe sapere quale pensa che sia il miglior piano strategico per organizzare al meglio gli studi nella sua regione. Sono uno studente straniero, ho visto che avete un'Università molto grande qui, e mi chiedevo cosa farebbe lei per portarla ai livelli di eccellenza che merita.”

Ok, la verità era che David sapeva un po' di inglese, lo masticava abbastanza bene e conosceva addirittura due varianti della domanda, sa che ore sono?. Questo però non l'aveva minimamente aiutato con la complessa questione posta dal suo giovane intervistatore. Non era minimamente preparato a dare sfoggio delle sue ridicole conoscenze linguistiche (in realtà, a dirla proprio tutta, in tasca aveva un foglietto con alcuni dei più popolari modi di dire in dialetto per allietare i più attaccati alle proprie radici, ma questo non c'entrava niente con le lingue straniere), perciò gli toccò improvvisare, con la tremenda conseguenza di sentirsi la pelle del viso prendere fuoco sotto il velo di fondotinta che Eva gli aveva di nuovo (e, se possibile, con ancora più zelo dell'altra volta) spalmato addosso.
Balbettò perciò una risposta smozzicata che sperava corrispondesse almeno un minimo a quello che aveva in testa, e concluse con un imbarazzatissimo sorry.

Ad Adam, Silva aveva fatto una tenerezza assurda. Era riuscito ad esprimere il nocciolo della risposta che avrebbe voluto dargli, e allo stesso tempo a ribaltare il novanta percento delle regole di grammatica inglese esistenti e non. Lo stimava moltissimo per questo, e sarebbe corso ad abbracciarlo ridendo, se non ci fossero stati un palco e quelli che avevano tutta l'aria di essere gorilla della security, di mezzo. Cominciava a sentirsi un po' più fortunato per il proprio incarico, e gli era anche venuta una mezza idea su come ritrarre quel ragazzo e costruire articolo e ricerca in modo da rendere la propria tesi molto più interessante. Sperava solo che il suo spin doctor avesse avuto un'idea simile, o almeno non troppo discordante, per la campagna. Ma non c'era da temere, l'avrebbe scoperto presto.

*

Il fotografo sembrava avere avuto un'idea simile a quella di David, per la foto del manifesto elettorale. Era Pep, quello che sbuffava.
“No, no e no. I capelli davanti al viso no. Quante volte te lo devo dire?”
“Signor Guardiola, se posso permettermi, il suo viso sembra venire meglio in foto con la frangetta. Guardi pure lei stesso.” Il santo fotografo stava mostrando le anteprime delle foto scattate fino a quel momento a un Pep sempre più perplesso (fortunatamente, però, la perplessità sembrava corrodere il posto alla rabbia, di modo che mano a mano la sua espressione sembrava sempre un microgrammo più convinta).
In effetti, ce n'era una che a dire la verità gli piaceva molto, nonostante la frangetta. Era stata fatta all'esterno, sulla terrazza del palazzo, e con la luce naturale il sorriso già di per sé molto dolce di David acquistava un'aria sicura e, soprattutto, rassicurante. Proprio quello che ci voleva. Frangetta a parte.
“Questa qui non è male,” disse quasi con indifferenza. David lo osservava stringendo gli occhi e trattenendo il fiato. La vittoria era vicina.
“Ma ceeerto, signor Guardiola, è anche la mia preferita! Ha notato anche lei la naturalezza del volto, la distensione dei lineamenti, l'angolo perfetto con cui la luce gli accarezza il viso?” Al fotografo mancavano solo le stelline al posto degli occhi. David, che stava cominciando a divertirsi sul serio, era sul punto di fargli fare un autografo dalla propria faccia.
“Tu che ne dici, David?”
L'art director si era unito al coro di sdilinquimento verso la famigerata foto. “Signor Silva la prego guardi che meraviglia, un sì e la stampiamo in A1, magari in verdino e rosso, mh? E poi la appiccichiamo in giro per tuuutta la regione, che ne dice? Guardi, è d'accordo pure Pep, osservi bene i suoi occhi convinti!”
Tutto questo entusiasmo stava rischiando di controbilanciare perfettamente la noia della mattinata passata tra un numero incalcolabile di camicie nuove cambiate come fazzoletti, trucco infinito e almeno otto passaggi senza successo al parrucco (l'avevano fatto sentire come una decadente attrice di Hollywood costantemente inseguita da un chirurgo con la siringa di Botox in mano). In effetti, poi, la foto in questione piaceva anche a lui.
“Ok dai, usiamo quella.”
Un applauso si levò spontaneo tra fotografo, grafici, pubblicitari, truccatori e tecnici vari. Pep aveva addirittura un mezzo sorrisino a un angolo della bocca, mentre osservava l'addetta a Photoshop fargli un'anteprima velocissima al pc di come sarebbe venuto il manifesto.

L'indomani, passando davanti a un cartellone pubblicitario mentre andava a prendere il pane, David per poco non cadde dalla bici nel vedere un se stesso enorme sorridere bonario ai passanti. Probabilmente non ci avrebbe fatto mai l'abitudine.

*

Non ci si sarebbe mai e poi mai abituato, alla doccia di adrenalina che gli inondava la pancia la mattina, mezzo secondo dopo il suono della sveglia, nei giorni in cui doveva parlare in pubblico. Ogni tanto gli veniva il terrore che, continuando a stressarsi così, sarebbe campato davvero poco.
Poi però vedeva Mancini e non riusciva a non immaginarselo eterno ed immortale. La cosa stranamente pareva calmarlo ogni volta.

Il famigerato Confronto Mediatico era arrivato, il Giorno del Giudizio era giunto, le Trombe dell'Apocalisse avevano squillato sotto forma di Sigla di un Programma Radiofonico, e finalmente, guardando negli occhi il suo oliato Rivale, il Candidato David Silva aveva potuto mettere a confronto punto per punto il suo Programma, il suo Atteggiamento verso la Campagna Elettorale e soprattutto verso l'Elettore, e tra le altre cose aveva anche potuto constatare quanto le Cuffie stessero bene più a Ronaldo che a Lui. Tutto maiuscolo.
In realtà, il programma di Ronaldo faceva veramente pena, in confronto al suo. Lui voleva sistemare una volta per tutte il Servizio dei Trasporti, agevolare i Meno Abbienti, far valere i Diritti Civili di tutti, mettere in atto Norme per la Tutela dell'Ambiente, risanare il Sistema della Meritocrazia, mentre l'altro prometteva abbassamenti di tasse inabbassabili, espulsione di cittadini inespellibili, creazione di posti di lavoro increabili e infinite altre cose infattibili. La cosa che un po' lo spaventava era il fatto che Ronaldo aveva esposto il tutto con un'aria incredibilmente convincente, talmente tanto che Pep, dall'altra parte del vetro, scuoteva la testa preoccupato, mentre Mourinho aveva una strana luce inquietantissima negli occhi, come una specie di cupa soddisfazione mefistofelica. Gli dava i brividi, ma mai quanto il braccio che gli aveva visto scivolare intorno ai fianchi del suo spin doctor, come un lungo ursoliano tentacolo nero intorno a una povera Sirenetta calva (doveva smetterla di farsi venire in testa certe orripilanti immagini mentali, altrimenti un giorno sicuramente sarebbero tornate a tormentarlo nel sonno).
L'unica cosa veramente consolante di quell'incontro era stata la presenza, insieme allo speaker e a un altro giornalista più concentrato su Ronaldo che su qualsiasi altra cosa, di quel ragazzo inglese che gli aveva fatto l'unica domanda veramente interessante di tutta la Conferenza Stampa. Si chiamava Adam e gli aveva di nuovo rivolto domande pertinenti e acute, e di nuovo gli aveva dato quella strana sensazione di familiarità che l'aveva incuriosito così tanto la prima volta. Il suo viso lo faceva sentire stranamente rilassato, ma allo stesso tempo un po' nervoso e impacciato. Cosa che non aiutava per niente in un confronto mediatico, e anzi lo distraeva alquanto, ma mai quanto l'aveva distratto l'improvviso e inspiegabile allontanamento di entrambi gli spin doctors che avevano lasciato l'altra stanza vuota e buia come la vetrina in allestimento di un negozio chiuso. Sperava di essere andato bene anche senza i gesti ampi di Pep dall'altra parte del vetro.

Di persona, Ronaldo non era neanche malaccio. David gli si era avvicinato in via del tutto amichevole (ovvero alzando bene i palmi e ripetendo due volte “vengo in pace” mentre camminava lentamente verso di lui), davanti alla macchinetta del caffè, e aveva scambiato con lui quattro chiacchiere lontano dagli occhi indagatori di Pep e Mourinho, che dalla loro scomparsa non si erano più fatti vedere in giro. Si dava, sì, un sacco di arie da uomo di mondo bello, bravo e ricco, ma poi erano finiti a parlare di fondazioni di beneficenza e lì i suoi occhi avevano assunto tutta un'altra aria, Cristiano era venuto fuori per quello che realmente era - o almeno David sperava che fosse davvero così e non gli avesse parlato per un quarto d'ora dei bimbi che aveva aiutato, solo per fare una buona impressione - e per la prima volta si era reso conto che davanti a sé aveva un avversario vero, non un fantasma un po' unto e tanto, tanto abbronzato. Stranamente, la cosa non gli aveva
fatto venire voglia di fuggire a gambe levate, ma anzi, l'aveva reso motivato come non mai a vincere le elezioni e dimostrare a sé stesso e agli altri di poterlo battere.

Un'altro piacevolissimo incontro era stato quello con Adam davanti al distributore di merendine (il suo professore di Diritto Internazionale Comparato glielo diceva sempre, che il posto chiave per creare legami professionali importanti era la caffetteria. Lui, ad esempio, aveva lavorato al Palazzo di Vetro perché un giorno in una caffetteria aveva incontrato Kofi Annan). I due avevano parlato amabilmente dell'esperienza dell'Erasmus (David l'aveva fatto alle Canarie, dove per colpa della nostalgia canaglia tornava ogni anno a trovare la gente del posto che lo aveva accolto come un figlio), della vita da studenti, di quanto tutto fosse bello e figo e zuccheroso prima della laurea, ma soprattutto avevano arrangiato un'intervista ufficiale in un ristorante vicino alla stazione (Adam gliene era stato più che grato: ormai conosceva abbastanza bene la città, ma la possibilità di trovare un posto al primo colpo era sempre graditissima), per il sabato seguente.

Tornando all'ufficio di Pep in macchina con lui (finalmente lui e Mourinho erano risbucati fuori dopo circa un'ora di assenza ingiustificata), David pensava che mancavano solo due giorni, e un po' si stupì di non vedere l'ora di essere tempestato di domande da quell'inglesino.

pairing: aj/silva, random posting: ilmattinohal'oroinbocca

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