L’estate di quest’anno è stata lo scenario per un’esperienza forte e bella, non saprei davvero come definirla altrimenti, esperienza che ha visto protagonisti me e altri quarantadue ragazzi (più autista) dell'
Azione Cattolica della
Diocesi di Cosenza, in pellegrinaggio sulle strade della Sicilia.
La vera protagonista, forse, è stata proprio questa terra con le sue tinte forti e i suoi contrasti accesi.
Avevo in mente di raccontare questa storia già da un po’. L’hanno raccontata a me e ai miei compagni di viaggio le suore che da anni lavorano nel quartiere ZEN (Zona Espansione Nord, o anche, visto come è andata a finire, Zona Emarginazione Nord) di Palermo, quando siamo andati a trovarle, il 12 agosto.
Chiaramente loro ci descrissero brevemente l’episodio, ma in modo così vivo che mi è rimasto a lungo impresso. Ci ho lavorato un po’ su ed è venuta fuori questa storia. E’ la mia personale rivisitazione di quello che è accaduto, che conosco solo a grandi linee.
Per quanto mi ispiri a fatti davvero accaduti e a persone realmente esistenti, il mio non è un articolo di cronaca. Rimane sempre un racconto, e la finzione e l’immaginazione giocano un ruolo importantissimo nella sua creazione. Nonostante ciò, il mio intendo è anche quello di raccontare, in modo forse inconsueto, un’esperienza vissuta, un ambiente con cui sono venuta brevemente a contatto, ma in cui si muovono e agiscono persone la cui opera merita di essere conosciuta, perché le parole servono, ma una scala di pietra serve anche di più.
Presto la seconda e ultima parte.
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La brutta scala
Salvo si girò e vide arrivare la macchina rossa e un po' scassata che da anni portava in giro le sorelle del quartiere. L'auto si fermò, e la suora alla guida spense il motore.
Poi si aprì lo sportello del passeggero, e ne uscì la suora alta, quella col sorriso sempre addosso. Appena lo vide lo salutò con la solita allegria.
Salvo alzò la testa in un cenno di saluto, ma con discrezione. Lo conoscevano, sì, e lui qualche volta era pure andato a trovarle in quel loro centro dove si davano da fare come matte, chissà poi perchè, ma non era loro amico. Certo, in fondo gli stavano simpatiche, perciò un cenno del capo poteva andare anche bene.
"Ehi Salvo, che fai oggi che non sei a scuola?"
Salvo alzò le spalle. Come se ci andasse spesso, lui, a scuola.
"Ce la dai una mano a scaricare?"
Non rispose, ma si avvicinò lo stesso all'auto.
La suora con gli occhi azzurri, quella che guidava, aveva aperto il bagagliaio e si affannava per tirarne fuori qualcosa. Quando fu arrivato abbastanza vicino vide di cosa si trattava.
Pietre.
Enormi, polverose, verdi pietre trovate chissà dove.
Bè, trovate probabilmente alla discarica sotto il ponte, dove si poteva trovare di tutto, dai vecchi materassi, ai mobili sfasciati, ai giocattoli buttati ancora mezzi interi. Dove si poteva trovare anche l'amore, gli aveva detto una volta suo nonno, quando era piccolino. Che cosa volesse dire poi, Salvo non l'aveva mai capito.
"Sono dei gradini" disse la suora sorridente, come se lui le avesse chiesto qualcosa.
"Queste sono solo pietre, veramente" e anche piuttosto brutte, ma questo non lo disse. Gli dispiaceva offenderle, tutto sommato.
"Sì, ma diventeranno presto dei gradini" rispose l'altra suora, quella con gli occhi azzurri.
"Gradini di cosa?" chiese Salvo, stavolta incuriosito. Quelle suore erano proprio strane certe volte. "La scala ce l'avete già, l'avete fatta nuova da poco."
"Ma queste non sono per il palazzo, sono per il campetto."
Istintivamente, Salvo si voltò verso il campetto di terra alle sue spalle, quello in cui stava giocando prima che le suore arrivassero.
"E a che servono? Non c'è mica tanto da salire" ribatté senza pensarci.
La suora con gli occhi azzurri sorrise e guardò l'altra, che fece una piccola risata.
"E' vero, ma quando piove diventa tutto fangoso e si scivola" disse quella. "Ti ricordi quel tuo amico che si è fatto male quest'inverno?"
"Peggio per lui, non ci doveva venire qua. Lui abita da un'altra parte."
"Non dire così, anzi, non avevate fatto amicizia?" disse la sorella con gli occhi azzurri, fissandolo con la sua solita espressione a metà tra il curioso e il bonario. "Stavate sempre insieme, lui, te e tuo fratello, ricordi? Adesso non lo mandano più i suoi..."
Salvo scrollò le spalle e girò la testa da un'altra parte. Gli dava fastidio quando una delle suore lo guardava dritto negli occhi, sembrava sempre che gli leggessero cosa gli passava per la testa.
E quelli, fino a prova contraria, non erano fatti loro.
Senza dire niente iniziò ad allontanarsi.
"Bè? Non ci dai una mano?" gli urlò dietro una delle due suore.
Salvo nemmeno si girò, ma si mise a correre il più velocemente possibile, lasciando lì le suore con la loro macchina scassata e le loro brutte pietre polverose.
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Era stata dura, ma suor Elena cominciava ormai a pensare che stavano diventando esperte 'muratrici' lei e le sue compagne. Ed anche imbianchine e idrauliche e meccaniche e traslocatrici, all'occorrenza.
In ogni caso, la scala era venuta su proprio bene.
Certo, esteticamente parlando forse non era il massimo, ma, quantomeno, era utile allo scopo. Il dislivello dalla strada al campetto non era molto grande, ma era pur sempre fatto di terra, e con la terra era facile scivolare, anche se era asciutta. Invece così non c'era più pericolo, o almeno lo speravano.
Di sicuro i ragazzini del quartiere avevano apprezzato. C'era stata addirittura una bambina che aveva fatto loro i complimenti per il lavoro.
Salvo non aveva detto niente, invece, sempre con l’aria di chi è in lotta col mondo intero e guai a farsi scappare una parola. Ma piano piano suor Elena cominciava a capirlo. Sarebbe passato del tempo, e poi, un giorno, avrebbe iniziato a giocare su quella scala esattamente come gli altri bambini, ma solo quando loro, le suore, non potevano vederlo.
Stava pensando giusto questo, quando arrivò con l'auto davanti al campetto.
Capì subito che c'era qualcosa che non andava, perchè non c'era anima viva, eppure era mattinata inoltrata.
Parcheggiò e vide arrivare anche suor Marilena, di corsa, dal palazzo.
Ecco.
Era successo.
Ovviamente.
Anzi, era strano che non fosse successo già prima, visto che le cose dovevano farle sempre due o tre volte prima di riuscire a farle accettare. Non era questione di cattiveria, era solo un modo per far capire loro che, in fondo, erano solo di passaggio.
C'era ancora molta gente che la pensava così, ma fortunatamente molta altra cominciava a pensare che forse otto anni non erano poi tanto 'di passaggio'. E loro stavano là già da otto anni.
"Hai visto?" chiese suor Marilena.
"Eh, ho visto sì" rispose lei, guardando con un sospiro tutta quella pietra fracassata che formava una specie di macchia strana sopra la terra chiara.
Evidentemente otto anni non erano ancora abbastanza per chi aveva fatto a pezzi la loro scala.
Continua...