Chiedo umilmente perdono per la mia recente assenza inspiegabile da queste pagine... purtroppo è ricominciata la scuola e va veramente fortissimo, quindi ho sempre meno tempo.
Nonostante questo... nulla mi impedirà di continuare a postare HS! XDDD
Titolo: The Hell' Spot
Gruppo: Arashi, News, Kattun, Toma (s.p.a XDDD) - precisazione: News, Kattun (che poi ce n'è uno solo) e Toma sono personaggi secondari che non appaiono tutti subito.
Pairing: allora... Ohmiya (NinoxOhno) per ora può bastare.
Rating: PG-13
Genere: angst (scusatemi!), noir-giallo, AU
Disclamers: i personaggi citati non mi appartengono, la ff sì.
Note: credo, fino ad ora, la mia migliore AU. Per una totalità di 39 pagine di Word scritte... è finita! E l'ho scritta praticamente tutta d'un fiato... ne sono molto soddisfatta.
Capitolo 4.
Uscì dall’auto, parcheggiata in una via secondaria del solito viale alberato, e fece il giro dello stabile per trovare l’entrata del locale. All’ingresso dell’hotel, ormai, non c’erano più i poliziotti.
Era uscito di casa circa 1 ora prima e aveva salutato il suo artista, rinchiuso in cantina con tante nuove idee da mettere in pratica.
Dopo qualche giro, si accorse di una porta nera con le aperture a spinta sul retro dell’albergo. Dopo averla studiata qualche secondo cercando di non farsi notare, vide le lettere HS dipinte in un angolo del muro nel quale la porta era situata.
Spinse le maniglie con cautela e si ritrovò in un lungo corridoio buio.
Prima che potesse accorgersene, le porte si richiusero e lo costrinsero ad entrare, rimanendo nella più completa oscurità.
Fece qualche passo, tenendo una mano sul muro di sinistra per orientarsi. Non era solito avere paura in situazioni simili, come quando nello stabile dove si trovava lo studio era saltata la luce per un intero giorno o come quando era rimasto bloccato per più di due ore in un ascensore da solo. Ma questa era tutta un’altra circostanza.
Da quando era venuto a contatto con questo luogo, l’Hell’ Spot, era sempre in ansia, sempre all’erta.
Proseguendo, tentò di pensare a qualunque cosa felice: le domeniche mattina, i suoi compleanni, il giorno che lui e Satoshi si erano conosciuti, quando erano andati a vivere insieme… ma addirittura l’aria di quel corridoio gli impediva di distrarsi. Tutto era fatto per mettere paura.
Dopo un tempo che gli sembrò infinito, riuscì a raggiungere la fine della parete e, all’improvviso, si accesero le luci di alcuni pulsanti: un ascensore. Premette in tasto di chiamata e subito le porte di fronte a sé si aprirono su una piccola cabina illuminata da una tenue luce azzurrognola, con specchi ad ogni parete.
Sospirò, entrò, premette il pulsante per il terzo piano sotterraneo e, come vide chiudersi le porte, chiuse lui stesso gli occhi per non farsi venire ulteriore paura: l’aria fredda, il colore della cabina, il suo aspetto sinistro… tutto non presagiva nulla di buono.
Come le porte si riaprirono, però, lo investì subito una forte luce e un buonissimo profumo. Sapeva di caffè e di fiori. E anche di qualche strana spezia.
Di fronte a sé apparve uno stretto corridoio illuminato da talmente tante candele che sembrava giorno. Lo percorse, lasciandosi alle spalle l’ascensore che si richiuse e tornò ai piani superiori.
In fondo al corridoio c’era una tenda scura, e dietro di essa una porta di legno, finemente intarsiata. Sopra di essa, la scritta “Hell’ Spot” sembrava illuminata dal riflesso delle candele.
Entrò, ormai sicuro.
-Irasshaimase- salutò solennemente una voce alla sua destra, tanto da spaventarlo. Il primo suono che sentiva da chissà quanto tempo… quell’ascensore, i suoi passi… nulla aveva fatto rumore. O forse non se ne ricordava.
L’uomo che l’aveva accolto con un inchino rialzò la testa, mostrando un tiepido sorriso.
Era completamente vestito di nero e portava una divisa da cameriere.
Salutò con un debole inchino e un sorriso spezzato.
L’uomo allungò la mano per presentarsi e lui la strinse mentre quello diceva: -Mi chiamo Dark, lavoro come cameriere e barista. Onorato di fare la vostra conoscenza-.
-Altrettanto onorato. Mi chiamo Jocker- rispose, ritrovando la calma per il contatto con la mano dell’uomo: era calda e non stringeva con forza.
Anche i suoi occhi scuri gli infondevano un certo senso di tranquillità.
Si chiese come mai, a seconda della necessità, le persone che lavoravano lì dentro sapevano trasmettere vari tipi di emozioni alle persone… si chiese come facessero.
-Si accomodi pure- sorrise ancora Dark, indicando con un gesto elegante la sala.
Nino fece qualche passo, studiando l’interno: c’erano 2 ambienti. Sulla sinistra si estendeva il lungo bancone dalla superficie rossa dove si affaccendavano i baristi, con alle spalle, invece degli soliti scaffali pieni di bottiglie, delle finestrelle a rombo. Una candela per ognuna di esse. Il lato destro era invece dominato dal blu: un largo spazio riempito da divani e tavolini con delle sedie di velluto, le pareti completamente nere e lunghi lampadari di cristallo che pendevano dagli alti soffitti.
Rosso, blu e sempre il nero dominante.
Le luci erano lo stesso molto tenui, l’aria era profumata, ma molto fresca.
C’erano ancora pochi clienti.
Si sedette al bancone e individuò subito Kage dall’altro lato. Gli fece un cenno per farlo avvicinare.
-Sei venuto subito oggi- disse Jun, con un cenno del capo.
-Cosa ti porto, nuovo avventore?- chiese poi.
Nino sorrise a disagio: i capelli dell’uomo erano sciolti, quella sera, e una lunga frangia liscia gli cadeva sugli occhi. Occhi che non smettevano di brillare, riflettendo le luci dei lampadari.
Ancora una volta perse le parole nel fissarli.
-Facciamo che decido io, ho capito…- sospirò Kage, scherzando.
Preparò qualcosa, muovendo velocemente le mani (e sicuramente in modo molto elegante) sotto la superficie del bancone, poi gli allungò un bicchiere appannato per la condensa.
Il contenuto era color trasparente e su di esso galleggiava qualche cubetto di ghiaccio. Lo assaggiò, sorridendo per il gusto davvero sorprendente.
-E’ buonissimo!- esclamò.
-Grazie- sorrise Jun -Creazione mia. Non l’avresti mai detto, eh?-.
Alzò lo sguardo: non sapeva cosa rispondere. Sinceramente, da un essere tanto particolare come quel barista, si sarebbe aspettato di tutto.
-Sei un po’ nervoso anche adesso o sbaglio? E’ una tua caratteristica?-
-Normalmente non frequento posti simili…- commentò.
-Questo è un bar normalissimo- ribatté Kage con un’alzata di spalle.
-Solo… mi ero dimenticato di dirti… puoi indagare come vuoi, sempre se ci riuscirai. Ma per ora tieni il becco lontano da quelle porte lì…- disse, indicando delle porte sulla parete di fondo. Nino non le aveva ancora notate: erano cinque ognuna diversa dall’altra per forma e colore.
-In che senso “se ci riuscirai”? E poi perché devo tenermi lontano? Cosa sono?- chiese.
Ma Kage sorrise e si allontanò, per servire qualche altro cliente.
-Sei troppo curioso…- sussurrò al suo fianco una persona, facendolo sobbalzare.
Si ritrovò faccia a faccia con Masaki.
Ma non sembrava lui… era un’altra persona. Identica a lui.
-Cute?- chiese, sgranando gli occhi.
-Ciao, come ti posso chiamare?- chiese lui con un sorriso dolcissimo.
-Jocker…- sospirò.
-YAY!- esclamò lui, sedendosi al suo fianco.
Era vestito in modo alquanto singolare: portava un completo molto simile ad un pigiama, dai colori pastello con disegnati qua e là fiori e stelline. Aveva una molletta colorata a sostenere la frangia e teneva in braccio un cane nero di pelouche.
Ai suoi occhi era tutto… tutto tranne che “cute”. Sorvolò.
-E cosa fai di bello nella tua vita, Jocker?- chiese Cute.
-Il detective- rispose lui, bevendo un altro sorso del suo cocktail sconosciuto.
-Ma no!- protestò Cute, a voce un po’ troppo alta. La musica di sottofondo non fece abbastanza per coprire l’esclamazione. -Devi usare un’identità finta!-.
Nino si guardò intorno, poi sospirò.
-Lo è, cretino! E’ una mossa astuta: faccio finta di essere quello che sono in realtà per poter indagare. Chi credi che lo scopra, in questo modo?- chiese.
-Ooooh- fece Aiba sorpreso.
-Come sei intelligente!- pigolò poi.
Si girò di nuovo verso le porte per osservarle, bicchiere in mano: una era nera come la parete, alta e senza particolari caratteristiche. Una era sul rosa pallido e ovale, un’altra bianca, una verde e molto alta e una viola, molto piccola.
-Cosa sono quelle porte?- chiese Nino all’amico.
-Conducono nelle salette private dei clienti più facoltosi. Puoi entrare solo se conosci almeno uno di loro o se sei invitato- spiegò senza particolare interesse Cute.
-Che senso ha?- sbuffò Nino -Se vai in un bar, lo fai anche per mischiarti con la gente…- borbottò. Alle loro spalle, Kage riprese la sua posizione appoggiando i gomiti sul bancone.
-Magari hanno le loro buone ragioni…- fece il barista, facendoli girare di scatto.
-Tu li conosci, no? Chi sono? Come sono fatti?- chiese Aiba, all’improvviso tutto curioso.
Kage sorrise, fissando prima Masaki, poi Jocker negli occhi.
-Sarebbero informazioni che non posso fornire con leggerezza…- mormorò.
Fece una pausa, servendo due clienti appena arrivati.
-La porta nera e quella rosa non sono ancora state aperte, i clienti arriveranno a breve. Fatevi la vostra idea osservandoli entrare, ok?- consigliò poi, prima di dare il cambio a Dark all’ingresso.
Passò così un po’ di tempo, tempo che Nino non sarebbe riuscito a quantificare.
Non aveva neppure il coraggio di guardare l’orologio: si sarebbe accorto che erano già le 5 del mattino? Oppure che, magicamente, erano rimaste le 12?
Magari erano solo 20 minuti… magari era già pomeriggio, fuori di lì.
Fece qualche giro per la stanza, sempre attento a chiunque si avvicinasse alle porte colorate.
Si fece portare ad un tavolino un secondo cocktail dal terzo barista.
-Sei nuovo?- chiese quello, dandogli subito confidenza.
Lui annuì, incerto.
-Scusa se ti do del “tu”, ma ho visto che parlavi con Kage come se vi conosceste bene…- si giustificò. Appoggiò il bicchiere sul tavolino e rimase in piedi, in attesa di qualche parola.
-Non lo conosco molto bene, in realtà. Mi chiamo Jocker. Tu sei…?- chiese Nino, alzando subito l’ordinazione e bevendo qualche sorso ghiacciato.
-Mi chiamo Notte. Sai cosa vuol dire?- chiese il barista con un lieve inchino.
Nino scosse la testa.
-Yoru, in italiano- spiegò.
-E’ un bel nome…- osservò.
E come per Kage o Dark… gli calzava a pennello.
L’uomo che aveva di fronte era vestito come gli altri due camerieri e, per certi versi, assomigliava loro anche di aspetto: capelli neri e finissimi, tagliati con una frangia molto lunga sugli occhi, occhi delicatamente curvati verso il basso. Una voce roca e bassa, molto musicale.
-Buona serata e buona permanenza, Jocker- salutò con un inchino Notte prima di tornare al bancone. Cute rientrò dal suo giretto di saluti agli altri clienti e gli si sedette di fianco. Aveva portato con sé un’altra persona, che si accomodò di fronte a lui.
-Ti faccio conoscere un amico!- esclamò Masaki.
Nino fece un lieve inchino, incerto.
-Mi chiamo Koko- salutò il nuovo arrivato -Non trovi che questa collana mi doni tantissimo??? Fa risaltare i miei occhi!!!- aggiunse poi.
“Sarà una lunga notte…” pensò Nino con un sospiro.
Un po’ più tardi, proprio mentre Nino stava seriamente pensando di andarsene, apparve il primo “cliente speciale”. Kage richiamò la sua attenzione con un semplice gesto e, con un altro, gli fece capire che stava arrivando qualcuno di interessante.
Lo vide inchinarsi e salutare con un sorriso un uomo alto quanto lui, che ricambiò l’inchino e il sorriso, dolce e sincero. Portava una divisa da salary man blu scura e una cravatta bordeaux. Aveva capelli corti neri, molto mossi e un viso molto bello… sarebbe stato ottimo per fare il quarto cameriere.
Lo sentì scambiare qualche parola con Kage, che sorrideva educatamente.
Poi entrò nella porta nera e vi rimase.
-Un tuo amico, a quanto sembra…- mormorò sedendosi al bancone davanti a Kage.
Lo sguardo del barista si posò su di lui, poi uno strano sorriso gli si dipinse sulle labbra. Abbassò subito gli occhi e sistemò qualche bicchiere sporco.
-E’ un cliente da molto tempo, ci conosciamo… non è mio amico- si giustificò.
-Mi sembravi in confidenza…- osservò ancora.
-Non tentare di usare i tuoi trucchetti da detective su di me- protestò Jun con un sorriso.
Da quel momento Nino non riuscì più a dire una parola.
Le solite magie di cui quei baristi erano capaci.
Guardò finalmente l’orologio per scoprire che si erano fatte le 2.
Salutò Cute e Koko e uscì, con un cenno a Notte che stava sulla porta.
Il corridoio di candele lo condusse all’ascensore, che ora sembrava più caldo e accogliente. Tenne gli occhi aperti. Percorse il corridoio buio con sicurezza e uscì, nella notte di Tokyo.
Salì in macchina e per prima cosa si accese una sigaretta.
Realizzò 3 cose:
Gli sembrava di aver sognato tutto. Che prove aveva che l’Hell’ Spot fosse reale? Cosa poteva raccontare di esso? Poteva farlo? Tutto gli era sfuggito dalle mani, appena uscito dal corridoio nero. Tutto era scomparso, come se non fosse mai esistito.
Come poteva quella donna morta essere legata a quel locale? Ne faceva parte? Qual’era il suo soprannome? Non avevo chiesto nulla di tutto ciò.
Ma soprattutto… ora riusciva a capire come aveva fatto ad entrare in quella stanza nel pieno della notte.
Capitolo 5.
Si svegliò, sentendo la testa pesare sul cuscino.
Strinse forte a sé Ohno, accorgendosi di averlo abbracciato nel sonno, e appoggiò la fronte sulla sua spalla. L’artista si mosse un po’, facendogli capire che era sveglio anche lui.
-Sei tornato a casa tardissimo, ieri sera…- mormorò.
-Scusami…- fece lui, ancora ad occhi chiusi, sorridendo nell’abbraccio.
-Per che cosa?- chiese Satoshi.
-Perché ti ho svegliato e perché sono tornato tardi…-
-Non devi mica scusarti- sorrise Ohno, girandosi per guardarlo negli occhi.
Si baciarono dolcemente, Nino teneva ancora la testa pesantemente gettata sul cuscino.
-Hai bevuto tanto?- chiese Ohno, tirandosi a sedere.
-Mmm…- si lamentò Nino, cercando di farlo tornare sdraiato.
-Oggi non vai al lavoro?- domandò ancora Satoshi, accarezzandogli i capelli sulla nuca.
-Oggi no… non ho molto da fare, vorrei dormire…- mormorò.
All’istante si immaginò di dover informare Mary della sua assenza.
-Ieri sera dopo le 11 ha chiamato Toma… mi ha chiesto dov’eri, ha detto che non ti sente da due giorni… dovresti chiamarlo- gli disse Ohno prima di alzarsi del tutto e sparire in bagno.
Sospirò, si rigirò un poco.
C’era fin troppa luce in quella stanza per poter continuare a dormire.
Allungò una mano per prendere il telefono sul comodino e compose il numero a memoria.
Attese che qualcuno rispondesse.
-Pronto?- una vocina squillante di bambina.
-Ciao Kana, sono Kazunari… c’è il papà?- chiese, tirandosi a sedere e appoggiando la schiena contro la spalliera del letto. La bambina ci mise un po’ a rispondere, come se ci stesse pensando su.
-Te lo passo, zio- mormorò poi.
Il ricevitore fece qualche strano rumore, mentre il telefono passava dalle manine della piccola a quelle del padre. Lo sentì dire “Grazie, Kana” abbastanza lontano dalla cornetta.
-Ehi, farabutto!- esclamò Toma, facendolo automaticamente sorridere -Dove sei finito? Neanche Satoshi sapeva dov’eri!-.
-Lo sai che se lo dimentica… ero fuori con un mio amico- si giustificò -Scusa se l’altro giorno ho annullato l’appuntamento-.
-Ma scherzi? Però deve essere stato per qualcosa di molto importante… vero? Sennò mi arrabbio!- scherzò il suo amico.
-Sì, abbastanza importante…- mormorò Nino.
-Hai da fare oggi? Ti porto a pranzo al Sakura Sake, così ci rifacciamo per quella birra saltata…- propose poi.
Toma rise un po’, dall’altra parte del ricevitore.
-Ok, alle 12:30 al bar. Puntuale e non accetto ulteriori contrattempi- disse l’ispettore.
-Certo! A dopo- sorrise il detective.
Chiuse la telefonata e ripose il telefono sul comodino.
Aveva giusto il tempo di farsi una doccia appena Satoshi liberava il bagno e poi sarebbe dovuto galoppare verso il luogo d’incontro. Aveva davvero dormito un sacco.
Arrivò in orario, ma Toma era già seduto al loro solito tavolo.
Il locale, Sakura Sake, era molto luminoso: alle pareti erano dipinti ciliegi in fiore e petali che volavano nel cielo, gli stessi tavolini erano azzurro cielo e il bancone era trasparente, riempito, come se fosse un contenitore, di petali rosa.
-Mi sembrava di essermi scordato la tua faccia- scherzò Toma.
Entrambi ordinarono alla cameriera e si scambiarono qualche battuta.
-Allora, che storia mi racconti? Toshi ieri mi ha detto che stai seguendo una pista? Ancora per quel caso dello Sheraton?- chiese l’amico, appoggiandosi con i gomiti sul tavolo, curioso.
Nino sorrise e bevve un sorso della sua acqua.
-Sì, ancora per quel caso. Ho ritrovato un vecchio amico che mi ha portato in un posto strano… comincerò le mie indagini- spiegò, vago.
-Che posto?- chiese Toma, soffocando una risata.
-Non quello che pensi tu, pervertito!- lo rimproverò il detective -E dire che sei un buon padre di famiglia…-.
-Sei tu che resti troppo vago, mi fai pensare cose strane!- protestò Toma.
Arrivarono le loro ordinazioni e per un po’ rimasero in silenzio, a gustare il loro pranzo. Nino si rese conto al primo boccone che non aveva fatto colazione e, cosa ben più strana, non aveva ancora fumato.
-A quanto pare non ti va di dirmi molto, eh?- fece poi Toma, squadrandolo con un sorriso.
Nino ricambiò.
-Sei fatto così…- sospirò l’ispettore -Una volta che hai la tua pista lavori da solo, e dire che i casi te li fornisco io…- borbottò.
-Scusa, appunto perché sai come agisco, di te mi posso fidare. Ho pur sempre bisogno di qualcuno che mi copra e mi fornisca i casi- disse Nino -Per ora non posso dirti molto, ma sappi che alla fine ti spiegherò tutto. Ti prego di aspettare-.
-Quanto?-
-Non lo so. Sarà una ricerca lunga, però. Ce la fai a starmi dietro?- chiese, serio.
-Ti sto dietro da troppo tempo, ormai ci ho fatto l’abitudine!- esclamò Toma, allungandosi contro lo schienale della sedia.
-Prenditi il tuo tempo… stai tranquillo. Il caso non verrà chiuso finché ci lavori su tu, hai la mia parola. E chiamami quando ti servono rinforzi- lo rassicurò Toma.
-A quanto mi fai capire, il “posto strano” è anche un po’ pericoloso…- osservò poi.
-Lo è…- annuì Nino.
-Non farti male- disse Toma, prima di finire il suo primo bicchiere di birra.
Nino sorrise e continuò il pranzo. Parlarono di altro.
Quando arrivò l’ora di andare per l’ispettore, Nino pagò per entrambi e lo accompagnò fuori, accendendosi soddisfatto la sua prima malboro della giornata. Si salutarono all’angolo e decise di farsi una passeggiata per la via, fumandosi la sua sigaretta, riflettendo sui primi indizi che aveva raccolto.
Questa sensazione di felicità, di irrequietudine, di eccitazione… era sempre la stessa, da quando aveva iniziato a fare il detective. Gli veniva sempre quando iniziava un caso e si sentiva di riuscire ad arrivare alla fine. E gli veniva sempre voglia di passeggiare, scostarsi un po’ dalla realtà del suo studio per confondersi fra la gente.
Mentre passava in una strada, si accorse che dall’altro lato c’era un bar e di una figura conosciuta: sedeva ad un tavolino, al di là della vetrina. Attraversò in fretta, per trovarselo davanti. Non aveva più dubbi.
Entrò nel bar, il “Kitto Daijoubu”, e si sedette allo stesso tavolo dell’uomo, che sussultò, sorpreso. Poi lo riconobbe e sorrise nel panico.
-Che ci fai qui?- chiese, cercando di riordinare il tavolo: era pieno di fogli, libroni spessi e c’era anche un paio di occhiali. In breve tempo i fogli e i libri vennero infilati nella borsa rossa ai piedi del tavolino e gli occhiali tornarono al loro posto, sul viso di Jun.
-Che ci fai tu…?- chiese lui, altrettanto stupito. Era… era un’altra persona, così vestito: una camicia bianca aperta su una t-shirt colorata, dei jeans strappati molto bassi e una cintura di pelle marrone. E quegli occhiali neri, quadrati.
Il gusto e l’eleganza erano gli stessi, ma almeno così sembrava una vera persona, non un’esistenza ultraterrena dal fascino fatale.
-Sono in pausa dalle lezioni…- spiegò imbarazzato Kage.
-Lezioni?-
-Vado all’università- spiegò in breve.
-E ti paghi l’iscrizione lavorando part-time ad un localino, ora capisco…- scherzò Nino.
Il cameriere del locale lo notò e gli chiese cosa volesse. Prese un caffè, notando la tazzina già mezza bevuta di fronte a Kage.
-Mmm… interessante questa informazione. Che facoltà?- chiese poi, sempre sorridendo.
Jun nascose il viso dietro la sua tazzina, forse un po’ infastidito.
-Scienze della comunicazione- borbottò -Stai tentando di indagarmi per davvero?- chiese poi.
Nino non rispose.
-Mi stai pedinando? Cosa sai già di me? Hai parlato con qualcuno?- chiese ancora.
-Stai calmo, non ti sto indagando. Non ancora- sorrise -Se ti comporti così, però… mi fai venire voglia di indagarti sul serio, sai? Hai qualcosa da nascondere?- chiese, con calma.
-Nulla che ti interessi- sbottò Jun.
-Però qualcosa c’è…- intuì.
-Non l’ho uccisa io quella donna. Non la conoscevo neanche, praticamente. Quindi con il caso che stai seguendo non c’entro niente, ok? Fatti gli affari tuoi- esclamò Kage, scontroso.
Nino sorrise e bevve il suo caffè in un solo sorso. Il gusto amaro si mischiò al sapore della sigaretta di poco prima. Si sentì bene.
-Non sto sospettando di te, tranquillo- sorrise a Jun. Si sentiva quasi in debito con lui, quindi voleva rassicurarlo. -Ma tu mi servi per qualche informazione in più, quindi ti prego di collaborare. Già che ci sei, vorrei farti qualche domanda, puoi?- chiese.
Jun controllò l’orologio, annuì. Era ancora incerto, ma si sistemò più comodo sulla sedia.
Nino lo vide indossare di nuovo la sua solita espressione enigmatica, al di là di quegli occhiali da studente. Ma era deciso a prevenire ogni possibile magia di cui il cameriere era capace.
-Quella donna era collegata al locale?-
-Era una cliente-
-Da quanto?-
-Un paio d’anni… quindi conosceva la maggior parte degli altri clienti- rispose Kage, indifferente.
Lo vide accavallare le gambe sotto il tavolo, appoggiarsi allo schienale.
-Il suo nome falso era…?- chiese poi.
Una pausa.
-Lilith- rispose Jun, ricambiando lo sguardo intenso.
-Lilith?- chiese Nino, pensieroso -Cosa vuol dire?-.
Jun sospirò.
-E’ una dea di alcune antiche civiltà occidentali. Per la tradizione cristiana è la prima donna che scelse di diventare amante del diavolo- spiegò, prendendo un foglio e scrivendo il nome in caratteri occidentali.
-Lilith… molto bene…- mormorò Nino -Credi di avere qualche sospetto su chi possa averla uccisa?- chiese ancora.
Jun scosse la testa.
-Non conosco bene tutti i clienti, la maggior parte di essi sono solo ricconi corrotti che non farebbero male ad una mosca, però… dei cinque speciali, ne conosco solo tre, e neanche molto bene. Scarterei l’ipotesi che siano loro i colpevoli…- spiegò Jun, a braccia conserte.
-Il tuo amico di ieri mi sembra un tipo interessante…- osservò Nino.
Jun prese la borsa e scattò in piedi.
-Devo andare a lezione, ci vediamo- salutò in fretta.
“Che tipo permalosino che è, fuori dal lavoro…” pensò, ma non aveva tutti i torti. Era più che consapevole che stesse un po’ giocando con lui. La cosa l’aveva infastidito.
Tornato a casa fece una ricerca su internet.
Trovò subito l’università di Kage e il suo indirizzo di studio, scorse le pagine degli iscritti alla sezione terza di quell’anno: aveva notato il numero 3 sui libri del cameriere.
Trovò quattro “Jun”, ma per fortuna erano pubblicate anche le fototessere dell’iscrizione (utilizzare la connessione privata della polizia aveva i suoi vantaggi): lo riconobbe e sorrise.
Jun Matsumoto, nato il 30 agosto del 1983. Aveva la sua stessa età.
Lesse dalla scheda che non era sposato e viveva da solo.
Prese indirizzo e numero di cellulare, per essere sicuro.
-Che stai facendo?- chiese Satoshi, risalito dalla cantina.
Lo vide entrare in cucina per bere un bicchiere d’acqua.
-Indago…- rispose vago.
Si alzò e lo raggiunse, abbracciandolo.
-Toma ti saluta-
-Salutamelo-
-Stasera prima di andare al lavoro ti porto fuori a cena-
-Ti amo tanto-
-Anch’io-.
Si baciarono dolcemente.
-Non metterti nei pasticci, Kazu…- mormorò Ohno, stringendolo a sé. Capì subito che la strana freddezza del suo ragazzo, quella mattina, era dovuta alla sua preoccupazione.
-No, no… stai tranquillo- sussurrò.
-Vieni giù? Sono più tranquillo quando lavoro con te vicino- fece l’artista, prendendolo per mano. Nino sorrise.
-Certo, fammi spegnere il computer e arrivo- rispose.
Mentre Satoshi scendeva le scale, lo sentì canticchiare.
Spense il portatile e iniziò anche lui a fischiettare.