Meet me in Dublin - capitolo 13

Aug 15, 2014 21:18

Huzzah, my dear fellows! *si sistema il monocolo*
Nel caos delle lunghe vacanze estive, fra gite e impegni, ho un po' lasciato da parte sia la fanfiction che i lavori di scuola, per cui ho qualche compito a cui dovrò, prima o poi, badare ^^" Ma dato che la partenza per le ferie vere e proprie si fa imminente e fervono i preparativi, sapevo di non poter partire prima di aver postato un altro capitolo, ovvero il penultimo!
Dico penultimo perché sono sicura che ci sarà qualcosa dopo (mi manca un kanjano XD) e, per una volta, mi sembra il caso di dedicare all'epilogo un vero e proprio capitolo, in modo da permettermi di scrivere decisamente di più del solito (ecchecculo XD).
Inoltre non dimenticate il " MMiD project" al quale spero di dedicare del tempo anche quando sarò via!
Questa fanfiction è ancora viva e in corsa! *w*9
Buona lettura, buon Ferragosto, buone vacanze!

Titolo: Meet Me in Dublin
Gruppo: Kanjani8
Genere: AU
Pairing: Yasuba, Ryokura
Rating: dal PG al PG-13, principalmente per il linguaggio
Disclaimers: i personaggi e i luoghi descritti non mi appartengono
Ringraziamenti: a genki_ya per la magica città che mi ha fatto scoprire nell'ospitarmi a Dublino, due anni fa.
Note: vedi capitoli precedenti! Vedi note a piè pagina per le traduzioni e le canzoni!
Capitoli precedenti: capitolo 1 - Subaru, capitolo 2 - Yoko, capitolo 3 - Hina, capitolo 4 - Maru, capitolo 5 - Ryo, capitolo 6 - Tacchon, capitolo 7 - Yasu, capitolo 8 - Tacchon, capitolo 9 - Ryo, capitolo 10 - Maru, capitolo 11 - Hina, capitolo 12 - Yoko
Questo capitolo ha richiesto una concentrazione ed uno studio non da poco. Non sono sicura di quale sia il risultato, perché ho adottato diversi tipi di scrittura a seconda delle parti che stavo scrivendo... il finale è decisamente carico delle mie emozioni, oltre che di quelle dei personaggi... ma, specialmente all'inizio, l'analisi "clinica" e la necessità di descrivere cose concrete ha avuto un po' di più il sopravvento.


CAPITOLO 13 - SUBARU.

Shota si svegliò al suono ripetuto di un sacchetto di plastica che veniva mosso e stropicciato, nel silenzio assoluto della stanza di share-house immersa nella notte di inizio estate.
Aprì gli occhi per accorsi di essere girato verso il muro: il letto era spogliato dalle lenzuola, il materasso non curvava verso il centro come quando occupato da un'altra persona, la finestra era aperta e un'aria sottile gli toccava la nuca. Si mosse piano, girandosi prima sulla schiena, poi sull'altro lato; accarezzò il cuscino su cui poche ore prima, quando si era addormentato, aveva passato le dita fra i lunghi capelli corvini di Subaru.
Osservò la stanza nella penombra: le poche cose che il musicista era riuscito a stiparvi dentro in appena sei mesi erano state riposte in un paio di scatoloni di cartone ancora aperti e nella stessa valigia che l'aveva accompagnato nel viaggio aereo da Osaka.
Pochi giorni prima si erano seduti ad una panchina di St. Stephen Green e avevano pianificato il loro “piano B”, prevedendo di doverlo rendere operativo a breve: quasi un mese era passato dalla notifica di sfratto e ormai quasi tutti i coinquilini avevano un piede fuori dalla porta della share-house. Maru aveva trovato posto in un'altra casa del padrone di casa e, seppure temporaneamente, aveva già trasferito là metà delle proprie cose, pur avendo deciso di restare a dormire in Longford Street Little fino all'ultimo giorno disponibile; Ryo e Tacchon sarebbero stati ospitati dal padrone del Foggy Dew, che possedeva una stanza con un letto a castello, vuota da quando i suoi due gemelli erano andati a studiare a Londra; Shingo e Yoko invece avevano trovato un appartamento poco fuori Dublino, piccolo ma a poco prezzo, già arredato e fortunatamente molto vicino al lavoro di Yoko e alla sala prove Dedsound.
Yasu aveva proposto a Subaru di andare a vivere con lui e sua sorella per un po', ma quando il cantante era andato a trovarli e a conoscere Sonomi, era rimasto colpito dal monolocale nella mansarda del palazzo; dopo aver fatto due calcoli, aveva deciso di prenderlo in affitto, per stare vicino a Shota pur mantenendo la propria necessaria privacy.
Shota ricordò gli occhi luminosi di Subaru mentre cantava al Foggy, la sera dopo aver firmato il contratto per la nuova casa: gli era sembrato decisamente più rilassato, dopo un mese di nervosismo ed incertezza.
Tornò ad osservare la stanza: la chitarra acustica riposava nella sua custodia, appoggiata alla parete. Subaru era seduto sui talloni al centro della stanza: guardava fisso fuori dalla finestra, girando fra le mani un sacchetto bianco, facendo di tanto in tanto buchi sui manici con le unghie.
-Doushitan?- domandò il chitarrista, attirando la sua attenzione. Lo vedeva capovolto, come una foto scattata in verticale, perché aveva ancora il viso affondato sul cuscino.
-Katazuketerun yade- rispose Subaru, con uno scatto sulle labbra, come un sorriso durato troppo poco.
-Mou een chau?- chiese ancora il chitarrista, lo sguardo fisso, il tono leggero.
Subaru scosse velocemente la testa. Poi si fermò con gli occhi chiusi. La scosse ancora: -Chau na-.
-Subaru...- sospirò Shota, alzandosi lentamente dal letto. Si sistemò i capelli con una mano, stropicciò un occhio e raggiunse il ragazzo per terra, sedendosi sulle proprie ginocchia e appoggiandosi al suo fianco. Mise una mano su quelle del cantante per far cessare il movimento sul sacchetto, gli baciò la spalla.
-Yoru ya de. Minna neteru- disse, mentre Subaru lasciava con stizza la presa sull'oggetto e prendeva la mano del chitarrista fra le sue: -Netenno?-.
-Neru ka!- ridacchiò sottovoce il ragazzo, strofinando la guancia sulla pelle dell'altro: -Subarutte nemukunai no?- domandò ancora.
Subaru scosse la testa e, così facendo, mosse la spalla, costringendo Shota a sollevare la testa. Si girò a guardarlo con sguardo mortificato, sollevò la mano per accarezzargli il viso.
-(*) Stanotte non mi fa dormire- disse semplicemente, quasi rassegnato.
-Non trovi che sia peggiorata, ultimamente?- provò a parlarne Yasu.
-Peggiora sempre quando sono sotto stress. Quando ero appena arrivato a Dublino non mi faceva prendere sonno e stavo fuori fino a tardi o suonavo fino a stancarmi. Se mi tengo impegnato non è così grave- spiegò, velocemente: -Con il gruppo è migliorata. E' migliorata tantissimo da quando siamo insieme- sorrise leggermente, con un “eh” a metà fra una breve risata ed un sospiro. Shota arrossì un po'.
-Ma con lo sfratto ed il resto sono tornato un po' sotto... mi distrae. Mi fa sentire fuori luogo con gli altri e mi imbarazza, a volte. E quando... ho l'ansia per qualcosa, la sento dentro più pesante. Mi concentro solo su quella e faccio cose che non voglio o che so che non dovrei...- lasciò la frase a metà e tornò a guardare il sacchetto, poco lontano dai due: -Suman-.
-Kamahen- rispose senza esitazione Yasu, guardando fuori dalla finestra: -Me ne puoi parlare, se ti fa stare meglio- propose.
-Non lo so. Non lo so cosa mi fa stare meglio...- rispose indeciso il cantante, grattandosi nervosamente il collo con la mano. Shota si accoccolò meglio contro di lui prima di fermarne il gesto e prendere in custodia le lunghe e sottili dita del proprio ragazzo, intrecciandole con le proprie.
-Non sono neanche sicuro di come ci si debba sentire a stare “meglio”-.
-Quando siamo con il gruppo stai meglio, no? E quando siamo insieme?- propose Yasu, facendolo annuire due o tre volte: -Quando scriviamo insieme le canzoni o quando facciamo sesso- lo sentì dire.
-Uhm, nel senso che dovremmo farlo più spesso, giusto?- sorrise contro il petto di Subaru, che ridacchiò a scatti, strofinando il mento barbuto sull'orecchio di Yasu, che si contorse un po'.
Rimasero per un po' in silenzio, guardando la piccola striscia di cielo stellato fra il soffitto, il bordo della finestra e il tetto della casa di fronte. Era un rettangolino sdraiato di pochi centimetri, blu scuro e brillante. L'aria era limpida quella sera e Longford Street era poco illuminata, permettendo di vedere bene almeno un paio di stelle e una manciata di puntolini di sfondo.
-Non mi hai mai raccontato come ti senti- constatò Shota.
-Non è molto facile, non lo so bene neanche io. A parte i tic e gli spasmi, di cui a volte non mi rendo bene conto, ho la questione dell'ansia e dello stress che, lo sai, mi distraggono e mi agitano. Mi stancano anche molto, ma spesso in modo psicologico, e continuo a soffrire di insonnia. Ho sentito che ci sono alcuni che ripetono delle parole o emettono dei suoi o dei fischi... a me non è mai successo o... non che me ne ricordi. Ogni tanto schiocco la lingua. Ma di solito sono gli occhi o la bocca o le braccia- disse agitando piano la mano di Yasu intrecciata con la propria: dalla stretta debole, Shota si accorse che l'aveva fatto volontariamente e che, volontariamente, l'aveva fatto con delicatezza.
-E dentro? Dentro cosa senti?- insistette, non incontrando la solita resistenza e l'imbarazzo dell'altro.
-Tante cose diverse, ma soprattutto... non mi sento mai “giusto”. L'ho sempre avuta con me e l'ho sempre trattata come una cosa sbagliata, perché tutti mi hanno sempre detto che era sbagliata, che dovevo guarirne o liberarmene. Quando ero più piccolo faceva più male perché dispiaceva ai miei genitori, preoccupava i medici e gli insegnanti e soprattutto era un target per i miei coetanei. Mi allontanavano o mi prendevano in giro perché a volte non riuscivo a smettere di scuotere la testa o di strizzare gli occhi o passavo le ore a guardare fisso un punto. Solo che quando non c'è... è dura dirlo. Ci convivo da sempre ed è una cosa mia. Con il tempo ho preso a tollerarla più che ad odiarla... non so se sarei capace di essere come sono se non l'avessi, così come non sono capace di farla andare via da solo- mormorò Subaru.
-E' solo che sono... così. La metà del tempo non mi sento al posto giusto nel momento giusto. L'altra metà del tempo, per lo meno mi sento in un posto. Non so se sia il mio, se mi vada bene o mi piaccia... ma ci sono. Solitamente capita quando sto cantando... allora sento di non volere più smettere-.
-Forse non canteresti e non suoneresti così se lei non ci fosse- sussurrò Yasu.
-E' quello che temo. Non voglio che vada via perché mi caratterizza. Ma a volte è fastidiosa- borbottò verso la fine, tornando a strofinare il mento sui capelli biondi del proprio ragazzo.
-Hai mai provato a curarla? Tipo con dei farmaci?- chiese, preoccupato.
-I farmaci da piccolo mi facevano stare male... ne prendevo un po', ma poi Taeko ha deciso che dovevo smettere, perché non stavo più bene. Ho provato con delle sedute da uno psichiatra mentre ero alle superiori, perché prima che mi accettassero nel club di musica ero peggiorato... ma non ha mai fatto tanto quando sia mai riuscita a fare la musica- gli lasciò un piccolo bacio sul lobo dell'orecchio, di fianco al piercing: -O tu-.
-O tutti e due- sorrise Shota.
-Il periodo peggiore è stato quando è morto Taro. Mi ricordo che avevo degli spasmi in tutto il corpo e i miei credevano fossero convulsioni. A volte duravano interi minuti...-.
Yasu si alzò meglio, per affondare una mano nei capelli sciolti del cantante e baciarlo sulla bocca. Si persero in quella danza per qualche minuto, poi ripresero fiato, rossi in viso: -Suman- disse il chitarrista imbarazzato.
-Kamahen- rispose Subaru, con un ultimo piccolo schiocco sulle labbra umide di Shota.
-Taro non era il suo vero nome- riprese a raccontare Subaru, dopo essersi accoccolati di nuovo: -Ma quello vero l'ho sentito talmente poche volte che non credo di ricordarlo correttamente. Suonava per strada come me, ma aveva un locale. Ci incontravamo spesso e alla fine abbiamo fatto amicizia: mi offriva da bere o da mangiare, cosa che faceva intendere non fosse squattrinato come me o gli altri. Ogni tanto andavo a suonare da lui, ogni tanto suonavamo insieme alla stazione. Forse ci hai visto?- chiese, interrompendosi.
-Uhm...- asserì incerto Shota.
-Fatto sta che ad un certo punto mi offre un lavoro, e vado a fare il cameriere da lui. I miei si erano stufati di vedermi appena diplomato e senza lavoro, non approvavano del tutto la passione per la musica di strada e mi avrebbero costretto a tornare a lavorare per la pompa di benzina di papà come facevo alle superiori, come part-time. Con Taro però mi trovavo bene: non facevo troppi casini, conoscevo i clienti e avevamo tutti la passione per la musica- continuò a raccontare: -Taro era più grande, di circa dieci anni. Aveva anche viaggiato molto e mi aveva parlato di Temple Bar. Cioè, me ne parlava spesso. Diceva che voleva mollare tutto e andare a vivere a Dublino, con solo la sua chitarra e un pacchetto di sigarette. Che avrebbe dormito anche in strada, dove avrebbe suonato e solo suonato, fino a farsi sanguinare le dita. Era il suo sogno, vivere solo per la musica-.
Fece una pausa, interrompendosi per grattare il pavimento di legno al proprio fianco. Shota ne avvertì l'improvviso nervosismo e non intervenne.
-E' morto improvvisamente una notte, forse in un incidente stradale... non conoscevo bene la sua famiglia o la sua tipa, non mi stimavano moltissimo, così come non amavano il lavoro di Taro. Hanno chiuso in fretta e furia il locale, mi hanno chiamato solo per dirmi dove e come ritirare i soldi della liquidazione. Hanno tenuto la distanza fra i clienti e gli amici e i loro affari-.
-Ti manca ancora tanto?- chiese Shota, alzando lo sguardo agli occhi del cantante.
-A volte sì, ma non più come prima. Venire qui mi ha fatto bene, perché lo sento che è felice per me, che è realizzato anche lui... ma il problema della mia malattia è anche questo: non riesco a lasciare andare le cose, non riesco a smetterla, alcune volte. E Taro è un ricordo che mi crea ansia... e ritorna-.
Yasu lo strinse più forte, sciogliendo la tensione nelle spalle di Subaru con il proprio calore.
-Tu mi fai bene. Lo senti? Tu mi fai sempre stare meglio- sussurrò, accarezzandogli i capelli.
-E' un piacere. E un onore- rispose il più piccolo, con un sorriso sincero.
Subaru alzò lo sguardo dagli occhi luminosi di Shota al piccolo cielo solo per loro e prese a tamburellare le dita sul pavimento, un ritmo musicale che Shota non riconobbe subito, ma che non era dettato da nessuna malattia a parte la musica e l'amore: -I feel too much. Oh, darling... I always feel too much- vocalizzò Subaru, trattenendo la voce per non svegliare i coinquilini, provando una melodia nuova, sul blues.
Shota annuì e copiò la melodia rispondendo: -Let me feel the same. Oh, darling... let me feel like you-.

Un paio di mattine dopo, la mattina dell'ultimo giorno in share-house, vennero svegliati dal fastidioso suono di una trombetta da stadio in salotto.
Dopo un breve vociare, un suono di passi affrettati e un altro paio di battute quasi gridate, alla trombetta si aggiunse il basso e ronzante suono di una vuvuzela di plastica.
Subaru e Shota si guardarono basiti e ancora molto assonnati, per poi alzarsi stancamente e vestirsi una volta compreso che il baccano non si sarebbe fermato senza il loro intervento. Aprirono la porta rossa della camera nello stesso momento in cui si apriva anche quella nera e uno Yoko in canottiera nera e boxer appariva sulla soglia, i capelli sollevati in onde spettinate e un occhio ancora chiuso: -Did Italy win the World Cup?- chiese, perplesso.
-No! The World Cup's next year!- lo corresse subito Shingo, in piedi sul divano ad agitare in aria la trombetta.
Maru, in mutande e maglietta, ballava una strana danza tribale in cucina, soffiando forte nella vuvuzela verde, bianca e rossa prelevata dalla collezione di cimeli da ultras in camera di Shingo.
In quel momento si aprì la porta gialla della stanza di Ryo e ne uscirono una serie di insulti in francese e l'americano: indossava solo dei boxer grigi e si riparava dal lancio di vari oggetti con un cuscino.
Osservò la situazione in salotto e lanciò il cuscino a terra, puntando il dito contro Maru: -Listen, dude. I hate doing the “bad American” thing, but you leave me no other options. If you don't stop blowing in that goddamned thing I swear I'll punch you so hard you'd wish the USA army wouldn't have come save your sorry ass back in 1950!-.
-Ryo, calm down, I told him he could play the vuvuzela- rispose Shingo scendendo dal divano.
-Oh, yeah? So is about the Mashall Plan we shall talk about, my dear pasta-eater “that's amore” “tu vò fa' l'ammericano”?- chiese Ryo, leggermente più compito, ma ancora in vena di strani insulti storici.
Shingo ridacchiò e attese a braccia conserte che Tacchon uscisse dalla stanza dalla porta gialla, in pigiama ma con i capelli spettinati e con un aria fintamente spaesata.
-I have important news. And yes, that's why I woke you up- ammise con un sorriso l'italiano, requisendo lo strumento di plastica al coreano dicendo: -Good job, Maru-.
Una manciata di minuti dopo erano tutti seduti in salotto con la colazione sul tavolino di fronte e tazze di caffè o tè fra le mani. Hina trafficava con il proprio computer e mugugnava parole in italiano di tanto in tanto.
-Trovato!- esclamò poco dopo, aprendo con un click sonoro un link nella cronologia.
La pagina colorata del Glastonbury Festival si caricò sotto gli occhi curiosi degli altri sei.
-I hope you have nothing to do the last week of June because we are going to play in England- esordì con un enorme sorriso l'italiano, guardandosi attorno e catturando con soddisfazione le espressioni di sorpresa dei compagni di band.
-We are... NANI? NAN- NANDE?- chiese sgranando e strizzando gli occhi un paio di volte Subaru, accorgendosi a metà di aver gridato in giapponese. Yoko sorrise compiaciuto a Shingo prima di intervenire: -So, the reply came?-.
L'italiano annuì al migliore amico: -Sì, this morning. We have a 30 minutes show on a secondary stage, but it's still a big chance! Glastonbury's festival is very famous and popular, so...-.
-Our first live festival. In England. Guys, I might tear up a bit...- commentò Ryo, asciugando una finta lacrima ma mostrando uno sguardo decisamente commosso. Tacchon lo guardo trattenendo un sorriso e smise immediatamente di mangiarsi le unghie.
-I'm in Korea- disse all'improvviso Maru, indicando le date sullo schermo del pc.
Tutti lo guardarono in silenzio e Shingo perse immediatamente il sorriso: -You're... what? When?-.
-I'm sorry, I do not say it! I was... I go for mom birthday. Sorry- si scusò il bassista a testa bassa.
-You should tell your schedule to the managers, Maru-chan- disse Yasu, appoggiando una mano sulla spalla all'amico, che annuì quasi sull'orlo delle lacrime.
Shingo sospirò e disse: -We're scheduled the second to last day at around 5 in the afternoon, so maybe you can do it? When's your flight back?- aprì l'agenda del gruppo per scrivere le date.
-I... fly back to Dublin the 27... in evening?- disse incerto Maru, contando i giorni sulle dita.
-It's the day before. That's risky...- commentò Tadayoshi, aggiungendo: -But we can't play without Maru-.
-We can't, I agree- disse risoluto Subaru. Ryo si limitò ad annuire.
Maru agitò una mano in aria: -Maybe I can... change date! Or arrive? I can arrive 27 evening in London! And take... the train?- propose, tornando a sorridere leggermente: -I think I can-.
Hina sospirò di nuovo, annuendo: -Ok, let me know if you can do that. And, before you go, I need you to help me out with our tickets too... is that ok?-.
Maru ridacchiò: -I can, yes. I ask my agency for discount-.
Tutti sorrisero furbescamente: -That's the spirit, my friend- commentò Ryo, il diverbio di poco prima completamente scordato. -So, are we... doing this? Are we going to England for a gig?- chiese poi, rivolto a tutti.
-Yeah, man- rispose Yoko, tentando di imitare l'americano e facendo ridere tutti quanti.
-Kanjani8's first tour is officially starting!- esclamò Yasu, sballonzolando eccitato sul divano.
-Tour? Yeah, we should do a tour! Let's take advantage of the situation: we should contact more places in England we can go play gigs while we're there!- propose Ryo, guardando l'agenda di Hina, che aveva cominciato a scrivere forsennatamente: -I can help you out with some names and places, Shingo. I'll ask around. We can go after the Glastonbury and use all week to visit some places, like Liverpool and Manchester or even London. Then we can add some dates here in Ireland, if we can?- rifletté: -We should use the Glastonbury Festival's admittance as an advertisement, it's an opportunity we should exploit!- esclamò, ricevendo una piccola ovazione.
-Ok, then... that's settled. Let's get to work, crew. But first: let's put some pants on! Rompete le righe!- ordinò Hina, facendo ridere tutti i coinquilini che si resero improvvisamente conto di essere ancora, chi più e chi meno, praticamente in mutande.

Lavorarono tutto il pomeriggio dietro al progetto e si scordarono dello scorrere del tempo: Subaru, Yasu e Maru, dopo aver aiutato il coreano a portare gli ultimi due scatoloni al nuovo appartamento, si erano piazzati sul divano con spartiti e strumenti e avevano trascorso ore dietro nuove e vecchie melodie, in un misto di note e brevi frasi in lingue orientali o in inglese. Tadayoshi, sulla poltrona, riordinò la propria agenda con il calendario degli esami e la lista di concerti e prove che Hina aveva compilato e stampato per tutti; poi aprì un libro in francese e si mise a leggere, ascoltando con attenzione le creazioni dei tre asiatici. Hina, Ryo e Yoko, nel frattempo, lavoravano dietro alla preparazione del tour sul tavolo della cucina: le telefonate, le veloci letture di siti internet e mail si susseguivano e si confondevano con il suono della chitarra.
Fecero una pausa all'ora di pranzo e prepararono da mangiare per tutti con le poche cose che erano avanzate in frigo e nella credenza, fra cui un pacchetto di spaghetti, dei sottaceti e l'insalata di Tadayoshi.
Durante tutto il pomeriggio, il sole batteva sul lato del salotto e il tepore di giugno entrava dalla finestra rendendo la zona comune, piena di persone, ancora più calda e viva. Tacchon prese a sventolarsi con dei fogli di scuola, Subaru e Ryo si tolsero le magliette e Hina preparò del tè freddo per tutti con le ultime foglie avanzate dalla colazione.
All'ora di cena i tre organizzatori avevano già un paio di contatti di pub a Londra disposti a farli suonare e il nome di un piccolo festival gastronomico vicino a Brighton che cercava band per l'intrattenimento musicale serale. Diversi membri della band dei Durin, avvertiti da Kilian e Philip, avevano chiamato consigliando posti e nomi, tanti da costringere Shingo a ripensare il calendario almeno tre o quattro volte, chiedendo di tanto in tanto agli altri che impegni avessero ad agosto o settembre.
-That's too much, we're not ready to play in so many venues!- protestava Yoko, addetto a scrivere o cancellare gli impegni sulla lavagna magnetica che fino a qualche giorno prima era appesa allo sportello del frigo. Shingo scuoteva la testa e gli faceva segno di aggiungere o togliere qualcosa e Ryo, quasi sempre al telefono con qualcuno, ridacchiava divertito.
-We can do anything, Japanese n#1! We're the best group in the entire world!- lo motivava l'americano, battendo la mano sul tavolo. -Why should I be “Japanese n#1”?- piagnucolava Yoko, mordicchiando distrattamente il retro del pennarello.
All'ora di cena, dopo un giro di docce e il resoconto del lavoro dell'intera giornata, discussero a lungo su cosa ordinare d'asporto e alla fine, per mettere d'accordo tutti, vinse il cinese. Si riunirono nelle loro solite postazioni attorno al tavolino del salotto e mangiarono insieme, la televisione accesa su un notiziario che non stava ascoltando nessuno. Shingo e Yasu riordinarono e pulirono le ultime cose, andando a buttare la spazzatura mentre Maru e Subaru facevano sentire le ultime composizioni a Ryo.
Guardarono la metà del film in programmazione in tv, poi la spensero per tornare a parlare di musica, del tour e dei prossimi impegni. Aprirono le ultime lattine di birra e coca cola, una vaschetta di gelato che Shota aveva portato due giorni prima e dei dolcetti coreani che persino Tacchon trovò davvero buoni.
Dopo il tramonto una leggera brezza si era alzata fuori dalla finestra spalancata e diverse nuvole oscuravano il cielo blu e le stelle. Accesero la luce del salotto e apparvero un po' di strumenti: i bongos che Yoko avrebbe portato nel nuovo appartamento la mattina successiva con l'ultima borsa, l'armonica di Ryo, un tamburello che Tacchon aveva ricevuto in regalo da Shota e la chitarra acustica di Subaru, dalla quale il padrone non si riusciva a separare neanche per una sola giornata.
Suonarono distrattamente, fra un discorso e un altro, fino a quando Shingo e Yoko non cominciarono a parlare del nuovo appartamento e delle case che erano già andati a vedere per trasferirsi tutti insieme.
-(*) Non prima di novembre- concluse l'italiano, sospirando. Un silenzio teso accolse questa ultima informazione: il tour li avrebbe “costretti” a viaggiare e vivere insieme ancora per almeno due mesi, ma un intero autunno separati, con in vari impegni di ognuno, rischiava di allentare la presa del gruppo sulle prove, la creatività e i live. Purtroppo i due manager non erano riusciti a trovare un appartamento già pronto che permettesse a tutti e sette di trasferirsi in breve tempo ed erano quindi stati costretti a mettersi in contatto con alcuni proprietari di case in costruzione o in restauro. I prezzi erano ancora alti, i contratti non erano pronti ed era ancora troppo presto per decidere quale andasse meglio, ma ognuno si era detto disponibile a dare loro una mano e a cercare una soluzione il prima possibile.
-Non fa niente, vorrà dire che ci incontreremo più spesso al Foggy, non solo per suonare- tentò di alleggerire la conversazione Ryo: -Chiederò al capo di allestirci una “sala riunioni” in cui potremo appendere la nostra lavagnetta- commentò, facendoli ridere.
-Hina potrebbe vivere direttamente lì dentro. Tutto quello di cui necessita è una connessione internet per mandarci le mail con gli appuntamenti e un fornello per cucinarsi la pasta- disse solenne Yoko, per poi beccarsi una gomitata dell'italiano: -Sei l'ultimo che dovrebbe parlare: voglio proprio vederti a vivere da solo, senza il sottoscritto che ti prepara da mangiare. Tempo un mese e ti ritroviamo sepolto sotto sacchetti di patatine e videogiochi-.
-O di nuovo in Giappone...- aggiunse Tadayoshi.
Subaru abbassò la testa di scatto e disse: -No, restiamo tutti qui- con uno strano tono di richiesta.
Shota annuì, accarezzandogli una mano: -Tranquillo, Shibuyan... non andiamo da nessuna parte-.
-A parte Maru, che torna una settimana a Seoul- fece notare Ryo.
-Ma per farmi perdonare, vi porto del kimchi da assaggiare!- esclamò il bassista, alzando un braccio.
-No, grazie- si affrettò a dire Tadayoshi, con un sorriso furbo sulle labbra.
Subaru annuì un paio di volte, a singhiozzo. Poi si guardò attorno e colse gli sguardi di tutti i coinquilini, i compagni di band, i compagni di viaggio. Catturò l'intensità della luce elettrica, lo spazio del salotto ormai un po' spoglio, l'odore di birra e dolci nell'aria, unito a quello pungente del vento che presagiva pioggia; il peso del proprio corpo sul divano, il calore di Shota al suo fianco, il battito ripetuto delle proprie palpebre.
-I wish we could come back here. In... a year, or two. I wish this place would wait for us and would stay exactly like this and we could play music and watch tv and drink together, again. Like this. Because right now, I like it. I like how it is and I wouldn't change it, for anything. I won't forget it... how this feels- disse, lentamente, cercando le parole giuste nella lingua straniera in cui era molto migliorato, ma che ancora lo faceva un po' dannare.
-Isn't this nice?- chiese Shingo, con un sorriso sincero: -I wish the same, too-.
-Subaru...- mormorò commosso Shota, incrociando le dita con quelle del cantante: -That's what they call happiness, I think...-.
-I guess, yeah...- commentò Ryo, catturando per un istante lo sguardo di Tacchon: -I guess that's it-.
-Then living together, playing together and meeting up, just like this... that's happiness for me- disse il francese, le guance leggermente arrossate per un imbarazzo celato.
-Don't worry Subaru, we're always gonna stay like this. Maybe not here, but who knows? There's always gonna be a place in this city for us- disse Yoko, notando le lacrime sul viso dell'amico e connazionale.
-There is always Dublin for us! We are meeting in Dublin, forever! Like we did, once... in the past!- esclamò Maru, allegro e convinto.
Shota gli sussurrò il proprio incoraggiamento all'orecchio: -You can always meet me here-.
Subaru annuì, asciugandosi le lacrime silenziose con prima il dorso, poi il palmo della mano: -Sounds like a song...-.
Tutti si guardarono stupiti, per poi realizzare: presero dei fogli, gli strumenti, un paio di matite e penne.
E, per la prima volta dalla nascita del gruppo, i Kanjani8 scrissero una canzone tutti insieme, tutti e sette. Misero insieme una melodia in cui ognuno possedeva almeno una nota, scrissero un testo in cui ognuno aggiunse un frammento di sé, un tassello di frase.
Scrissero fino a notte inoltrata, fino ad accorgersi che fuori aveva cominciato a piovere, che l'ultimo giorno di vita della loro piccola share-house si era concluso.
-I don't want to go to sleep- aveva detto Maru, improvvisamente triste.
-Let's go out for a bit- aveva proposto Subaru, imbracciando ancora una volta la chitarra.
Erano usciti senza ombrelli (tranne Tadayoshi) ed avevano percorso le strade vuote della città, indisturbati dalla fine pioggia estiva o dalla luce soffusa dei lampioni, compatti in un gruppo di sette persone, sette ombre sull'asfalto che si rincorrevano di passo in passo. Ogni tanto dicevano qualcosa, ridevano, inciampavano, il silenzio faceva sentire il ticchettio delle gocce sulla tela dell'unico ombrello o sulla custodia nera di pelle della chitarra acustica di Subaru.
Ogni tanto qualcuno fischiettava o cantava una strofa o il ritornello della loro ultima canzone, che era rimasta loro in testa come un pensiero fisso, che era rimasta scritta sulla pelle come un tatuaggio. Gli altri si univano e un coro si levava al cielo plumbeo, notturno di Dublino.

You're in tears now. Oh, darling... don't cry, don't cry for me
I will miss you. Oh, darling... let me, let me come with you.

Isn't this nice? Isn't this happy?
I guess that's it so, let me... let me stay like this.
There's a place for us.

Your heart may miss me
your mind forgets me
don't despair
as sun fades
as stars light
you will
meet me in Dublin.

I feel too much. Oh, darling... I always feel too much
Let me feel the same. Oh, darling... let me feel like you.

Isn't this joyful? Isn't this happy?
I guess that's it so, let me... let me stay like this.
There's a place for us.

And if the road's too long
and the days get dark
just
meet me in Dublin
when the lights are out,
legs and limbs are tired
you can
meet me in Dublin.
E come sempre seguono le

Subaru e Yasu fra di loro parlano in kansai-ben e io adoro il kansai-ben, ma mi chiedo sempre fino a che punto si possa scrivere senza farlo sembrare una parodia XD
Doushitan? = "doushita no?", cosa succede?
Katazuketerun yade = sto mettendo a posto
Mou een chau? = non è abbastanza?
Chau na = non lo è
Yoru ya de. Minna neteru = è notte. Gli altri stanno dormendo
Netenno? = stai/stanno dormendo? (volevo intenderlo come gioco di parole, stile battuta comica)
Neru ka! = ti pare che sto dormendo (tono un po' da battuta comica)
Subarutte nemukunai no? = Subaru/tu non hai sonno?
Suman = "sumimasen", scusa
Kamahen = non ti preoccupare/nessun problema

Chiedo scusa per Ryo: il suo personaggio tende ad assorbermi le ultime fisse e se prima era in Mr.Criss-mode, ora mi è sceso un po' su Hetalia, Alfred F. Jones circa XD Dopotutto come meglio descrivere un americano se non usando l'AMERICA stessa? *china il capo in segno di scusa*
A differenza di Dublino, non conosco minimamente Londra e non sono mai stata in UK, quindi riguardo al tour le indicazioni sono molto "a grandi linee".
La canzone si intitola "Meet me in Dublin" ed è originale *arrossisce* per ora ha solo un testo perché non sono capace di musicare, ma magari qualcuna delle lettrici se ne intende *occhieggia Jinny* e ha voglia di fare un tentativo... *occhieggia Jinny più forte*

EDIT! Mi sono scordata dei link!
Ho dovuto documentarmi a fondo sulla Sindrome di Tourette (TS) per scrivere questo capitolo, quindi volevo consigliarvi un po' di letture nel caso foste interessate al caso. Per prima cosa la pagina di Wikipedia, sia in italiano che in inglese è parecchio esaustiva. Poi ho trovato questo sito apposito con questa buonissima descrizione (specialmente il secondo articolo). Infine vi segnalo la pagina delle "lettere" degli utenti, che è stata probabilmente la più ricca di informazioni, non che la più toccante da leggere.
La scelta di collegare questa sindrome a Subaru potrebbe sembrare abbastanza banale, ma ci tengo a precisare che non è dato per accertato che il "vero" Subaru abbia questa sindrome. Ricordo che le mie ricerche su questo campo sono cominciate quando un paio di anni fa si discuteva di questa cosa su tumblr con altre eighters e alcune di loro dicevano di riconoscere nel suo comportamento diversi segni distintivi della sindrome che loro (attraverso parenti e amici o di prima persona) conoscevano bene. Già allora mi ero documentata a riguardo e avevo scoperto, fra le altre cose, che la sindrome di Tourette è caratteristica di persone che storicamente sono "geniali" in campi artistici, come famosi compositori o pittori... questa cosa in particolare mi aveva già influenzato un paio di riflessioni che ho voluto inserire in questa fanfiction e che tengo da parte per fanfiction future.
Ma, ripeto, né la JE né tantomeno Subaru stesso o la sua famiglia hanno mai attestato (o mai lo faranno, conoscendo la cultura giapponese...) che sia affetto da questa sindrome, quindi mi raccomando non prendetela come un dato di fatto "reale".

A presto!

p: subassan, r: pg-13, r: pg, g: kanjani8, gnr: long fict, gnr: au, p: ryokura

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