Junxall, fict challenge with myself XD

Nov 06, 2011 11:50


Ohilà, ciao a tutte!
Come va? Chi sta studiando di brutto per il Noryoku shiken? *alza la zampina* Chi sta studiando altro? Chi si sta grattando la pancia? *invidia*
Prima di postare volevo giusto portare la vostra attenzione al fatto che abbiamo un concorso in corso (<--- bwahahah XD) e che ANCORA NON HO RICEVUTO NEANCHE UNA MAIL .__. Dato che voglio pensare che in realtà volete (quasi) tutte partecipare, volevo chiedere se preferireste un prolungamento del periodo a disposizione per scrivere e mandare le fanfiction. Che ne pensate? Invece del 26 Novembre potremmo fare il... 10 Dicembre? Più in là? Per me è indifferente, tanto il viaggio di fine anno è saltato, quindi ho tempo di postare in quasiasi momento XD
Per darmi il vostro parere/commento/insulto, commentate questo post U__Uy

Ed ora ciancio alle bande, posto il mio esperimentuccio *w*

Titolo: Jun-x-all, fict challenge with myself XD (... che è il titolo del documento, in verità...)
Tipo: 14 drabbles-batch
Gruppi: Arashi&Kanjani8
Rating: vari... principalmente G, ma abbiamo dei picchi di PG-13, attenzione XD
Pairing: vari (<--- no, davvero XD)
Disclaimers: nonostante li ami tutti e 12, non mi appartengono *si va a nascondere in un angolo buio a piangere*
Note: sta COSA è nata una sera mentre parlavo con Patà (al secolo: herentas) e sul mio tumblr è apparsa codesta immagine: LINK!
Ho pensato che fosse lo spunto buono per mettere in pratica la malsana idea che avevo da un po', ovvero di sperimentare TUTTE LE COPPIE possibili che posso pensare di fare con Jun .__. *e le spararono* No, scherzi a parte... sono 5 anni che scrivo e 5 anni che per lo più uso Jun come personaggio principale... la spiegazione è lunga e difficile, vi basti intuire (?) che è perché mi piace esplorare la sua psicologia e mi diverto a descriverlo. Ovviamente le coppie sono 11 = ciascun membro di Arashi & Kanjani8. Ma mi avanzavano 3 spunti, quindi ho esagerato con dei classici: YokoMaru, YokoHina e Subassan.
Ringraziamenti: a Patà (sempre herentas) che mi ha aiutata con tutte le drabbles e mi ha scelto l'ordine (casuale) di scrittura, a jinnypazza82 che mi ha dato lo spunto fondamentale per la YokoHina (XDDD) e a mia moglie vampiretta87 perché è mia moglie U__U

I would like you to give me...

- Your jacket (Sakumoto)

Fu durante le pulizie di primavera che la ritrovò, chiusa in una degli angoli meno visitati del proprio armadio, sotto un telo di cotone per conservarla. Era una giacca beige coi tasconi adatta al periodo autunnale e primaverile, già piena di difetti e già usata fin troppo dieci anni fa, quando era arrivata a far parte della sua collezione. La tirò fuori da dove l'aveva abbandonata per chissà quanto tempo con un sorriso, distendendola delicatamente sul letto per studiarla con attenzione.
Quella giacca portava con sé non pochi ricordi, ma uno in particolare gli tornava in mente in quel momento.
Quella sera di un tour che non si ricordava giusto quale fosse, il concerto appena finito di non si ricordava quale data, quale location... ma faceva freddo.
Seriamente molto più freddo di quello che avrebbe dovuto essere e lui non si era portato vestiti molto pesanti. Per l'intero pomeriggio, qualunque cosa stessero facendo (probabilmente un servizio fotografico in esterna, approfittando della trasferta), aveva patito il freddo senza dire nulla a nessuno: i tempi erano diversi. Non aveva ancora un grande rapporto con Satoshi, Aibachan avrebbe tirato su un putiferio per fargli avere una giacca andando a disturbare chiunque (e lui, sinceramente, non voleva proprio creare problemi), Nino l'avrebbe ignorato (avevano di quei giorni... specialmente a quei tempi)... Sho-kun non era neanche da considerare. Era il periodo della 'guerra fredda', il periodo del 'sono innamorato cotto dell'unica persona al mondo che non mi considererà mai più', il periodo del 'parlo più spesso con mio cugino di secondo grado che con il mio collega di lavoro'.
Ora se lo ricordava con il senno e la calma di poi e poteva dirsi che quando si è giovani, si fanno parecchie scemate (in fondo, con quei 4 idioti, le scemate le faceva anche a quasi trent'anni). Ma in quel periodo aveva sofferto, e tanto... e forse quel giorno in particolare, perché oltre ai finti sorrisi per la macchina fotografica e al dover ignorare il comportamento di Nino e l'odio di Sho, aveva anche freddo.
Si ricordava di essersi seduto sul gradino del marciapiede, attendendo il suo turno per le foto singole.
Completamente solo e immerso nei propri pensieri e nel non perdere la concentrazione e rischiare di congelare, qualcuno gli aveva lasciato cadere una giacca sulle spalle. Quella stessa giacca che ora accarezzava distratto, in quel pomeriggio di pulizie: in quel momento era calda per essere stata già indossata... la cosa più calda che avesse mai sentito; come un abbraccio.
“Stai tremando” borbottò Sho, in piedi di fianco a lui, lo sguardo rivolto verso il punto dove Aiba-chan stava posando per il servizio. Forse per l'imbarazzo...
“Ma tu...” provò a dire, portandosi una mano sulla spalla per togliersi la giacca e restituirla al compagno di band. Sho lo fermò con un gesto e un passo di lato, allontanandosi un po' di più da lui.
“No, tienila... sto bene. Davvero” aveva detto, per poi andarsene.
Quella sera mentre tornavano all'ostello (i tempi dei tour alla buona) aveva tentato di restituire la giacca a Sho, ma questo aveva rifiutato, ancora guardando altrove: “A me fa difetto sulle spalle. E' tua, tienila”. Non si ricordava di averlo mai ringraziato.

Mise la giacca quella sera, per andare a bere con gli altri.
Il tempo era l'ideale per indossarla, con sotto un golf leggero di cotone e dei bei jeans.
Arrivò un po' in ritardo per via del traffico e, pur sapendo che tutti gli altri erano già dentro al locale a bere, passò per la via secondaria e deserta apposta perché sapeva che Sho lo stava aspettando lì fuori, per entrare insieme.
Gli sorrise da lontano, per poi tornare come al solito fra le sue braccia, dove in fondo era sempre appartenuto. Le incomprensioni del passato erano state cancellate già da troppo tempo... con troppi baci.
La mano di Sho gli accarezzò il collo, mentre si sorridevano e scambiavano i classici saluti, le classiche domande da serata insieme... poi le sue dita sfiorarono il materiale della giacca che Jun indossava.
“Te la ricordi?” chiese il suo ragazzo, prendendogli la mano.
L'espressione di Sho cambiò più volte, come se stesse rivivendo in forward quello che Jun aveva avuto il tempo di ricordare mentre faceva le pulizie. Tornò a sorridere: “Certo”.
“Se la rivuoi, stasera devi venire a casa mia a riprendertela” scherzò Jun, infilando entrambe le mani nelle tasche della giacca, trascinando dentro anche quella di Sho. Lo sentì ridere, baciargli la fronte.
“Lo sai che non rifiuto mai un invito. Ma davvero: tienila” poi ebbe un momento di breve esitazione e sospirò: “Ti sta bene” rivelò, come se quelle parole fossero rimaste nel suo cuore per quasi dieci anni, come se a dirle fosse stato lo Sho di quel giorno... quello che veramente voleva dire.
Si baciarono e Jun sentì nuovamente quell'abbraccio... quel caldo.
- A mini Eiffel tower (MaruJun)

Quando tornò in camerino, il piccolo souvenir era appoggiato vicino alla sua borsa, con una busta sotto.
Lo guardò stupito, senza minimamente intuire da parte di chi fosse.
Nino era stato una volta a Parigi, ma era sicuro di ricordarsi che il souvenir che gli aveva portato quella volta era una maglietta del Moulin Rouge, non un modellino della torre Eiffel, e in ogni caso non avrebbe avuto senso consegnargliela con quasi 5 anni di ritardo.
Si sedette sul divano, si guardò attorno (camerino deserto, gli altri erano sotto la doccia o ancora fuori a terminare qualche chiacchiera con gli ospiti di quella puntata di VS), aprì la busta e lesse.
Un sorriso strano gli si dipinse sulle labbra: era un po' perplesso, un po' divertito, un po' infastidito, un po' felice... ma i sentimenti non erano mai stati molto educati e disciplinati quando si trattava del coetaneo, casinista, senza-alcuna-motivazione-per-fare-continuamente-qualcosa-di-stupido Maruyama.
Era stato a Parigi di recente per un programma special sull'ecologia, come aveva fatto a scordarsene? Guardava quel programma ogni anno, da bravo amante dei viaggi.
Lo sai che la Tokyo tower è più alta, ma anche più leggera della torre Eiffel? Scriveva Maru... una lunga lettera di spiegazioni incasinate o imprecise, con inframezzi di lunghi pensieri confusi e mescolati, e qualche bella considerazione sulla natura: abbiamo sentito la tempesta di sabbia sulla pelle... tornati in macchina, se la annusavo, sentivo l'odore del vento e qualche cosa tipicamente da Maru, quella cosa indescrivibile che metteva sempre in ogni dove: senti il silenzio in un'oasi africana ed è così diverso dal silenzio di Parigi o da quello di Kyoto... e ti chiedi se in fondo il silenzio non sia una lingua come tutte le altre, e se le persone parlino e capiscano un silenzio diverso a seconda di dove vengano.
La domanda che gli sorgeva spontanea e alla quale non riusciva a trovare una risposta nella lettera, era: perché proprio a lui? Ripose la lettera, sollevò la piccola torre per studiarla fra le mani. Poi la capovolse e sotto c'era una data. E sotto quella data, una scritta: non importa quando, dove, a che ora e perché mi pensi. Ma se lo fai... fai anche in modo che lo venga a sapere.
Ridacchiò, infilando la busta e il regalo nella borsa.
Tornato a casa, quella sera, dopo un lungo bagno rilassante e una buona cena, prese la torre Eiffel in miniatura e la appoggiò sullo scaffale dove teneva i ricordi e i souvenir da tutto il mondo: posti dove era stato, dove erano stati altri al posto suo, dove voleva andare.
Ci scattò una foto con il cellulare.
Gli mandò quella foto via mail, con il seguente testo: Ti ho pensato. Volevo che lo venissi a sapere.
- A kiss all smeared with chocolate (YokoJun)

Cioccolato.
Cioccolato nella tua borsa, fra le tue cose, nelle tasche dei pantaloni che hai abbandonato qui l'altro giorno.
Cioccolato nel testo di una delle tue canzoni che sono inevitabilmente finite nella selezione casuale del mio I-pod. Cioccolato nel tuo gusto preferito di gelato, di bevanda, di caramella, di crema spalmabile, di balsamo per le labbra, di bagnoschiuma. Macchie di cioccolato sui fogli che abbandoni sul mio tavolino del salotto, carta stagnola di intere barrette che fa da segnalibro al mio Harry Potter o tiene aperta la custodia di un tuo videogioco.
Davvero, non è difficile intuire quale sia il tuo dolce preferito.
Quello che non penso di averti mai detto è che da quando stiamo insieme, il cioccolato è diventato anche il mio preferito.
Specialmente quando, mentre te lo gusti, lo mordi, lo divori... mi permetti di baciarti.
Sentire il sapore sulle tue labbra, leccare con la lingua i punti dove ti sei inavvertitamente sporcato (pasticcione), esplorare la tua bocca per averne di più: di te, del cioccolato.
Ma la cosa che più adoro è quando sei tu, tutto sorridente e sporco di cioccolato, a baciarmi per primo.
I baci al cioccolato, i tuoi... sono i miei preferiti in assoluto.
- A love song, with my name (RyoJun)

-Che ne dici di dedicarmi una canzone?- chiedo all'improvviso, appoggiando il flute nuovamente pieno di champagne sul tavolino del soggiorno e guardando distratto le bollicine salire nel liquido lungo la parete di vetro.
-Uh?- fa Ryo al mio fianco, la chitarra in braccio, i cani che gli scorrazzano fra le gambe mentre le dondola distratto giù dal divano. Mi ha invitato da lui per parlarmi delle ultime cose: i NewS, l'album nuovo dei Kanjani8, se voglio andare a trovarlo a Osaka a gennaio, dopo il Countdown loro e prima del concerto nostro... ho portato io l'alcol, perché lo sento dalla voce quando ne ha bisogno.
-Una canzone- ripeto: -Ne scrivi sempre un sacco, ne hai scritta una anche per Jin... potresti dedicarmene una. Con il mio nome-. Mi guarda sollevando un sopracciglio, poi scoppia a ridere.
-Che c'è di così strano?- chiedo.
-Sei già ubriaco?- fa lui, ma dalla risata incontrollabile che ha e che lo sta facendo quasi cadere dal divano quello già ubriaco dei due non sembro certamente io.
Metto il broncio, per fargli capire che non lo trovo divertente.
Si calma: -Jun, ok, seriamente... per Jin quella volta ho scritto solo la musica. E poi col tuo nome dentro è... strano. No? Non ho mai scritto serenate e sinceramente scriverne una a te...- non riesce a soffocare l'ennesima risatina. Gli sorrido: -Non dico che devi pubblicarla o cosa... è che non mi...- mi blocco.
Si fa curioso, mi punzecchia un fianco con il dito per farmi parlare.
-Non mi hanno mai dedicato una canzone... romantica, fino ad ora... non una scritta solo per me, in ogni caso- dico, un po' imbarazzato. Nascondo il sorriso idiota dietro il flute, bevendo un altro sorso di champagne mentre Ryo torna stranamente serio, guarda le corde della propria chitarra distrattamente, le sue mani che scorrono su di esse facendo un lieve suono strusciato che risuona nella cassa di legno dello strumento.
Mi guarda di sbieco, con un sorriso divertito.
-Vediamo cosa si può fare. Non è mia, ma...- dice, per poi suonare il primo accordo.
Hey, Jun
Don't make it bad
take a sad sooong and make it better...
E a questo punto l'ho già colpito in testa con un cuscino, ridendo tanto da far abbaiare i cani.
- A long distance call in the middle of the night, just to talk about how bored you are (Matsumiya)

Gli aveva già mandato una mail con la foto dell'ingresso del teatro di Los Angeles dove stavano facendo la premiere di Gantz e dove precedentemente era stato a sua volta per Kakushitoride.
Gli aveva anche mandato una mail della sua stanza d'albergo già piena di sacchetti di acquisti, fra cui spuntava un cappello con un disegno imbarazzante e una scritta altrettanto imbarazzante (il souvenir per Aiba-chan), almeno cinque custodie di videogiochi e nuovi aggeggi elettronici e un cartone di take-away cinese abbandonato sul comodino di fianco al telecomando.
Questo mi ricorda come mai in tour ho sempre rifiutato di venire in stanza con te gli aveva risposto.
Questo e perché sono io a non sopportare l'odore nauseabondo del tuo trattamento per capelli gli aveva scritto Nino, in piena notte, e aveva letto solo la mattina successiva, ancora mezzo addormentato.
Non si aspettava quella telefonata, specialmente perché era passato quasi un giorno interno dall'ultimo messaggio, entrambi erano impegnati e Jun aveva appena finito il suo lungo bagno rilassante. Era pronto ad andare a letto, alle tre di notte (o del mattino, per essere precisi), quando il cellulare prese freneticamente a vibrare e illuminarsi nel semibuio della sua stanza da letto.
Smise di frizionarsi i capelli con l'asciugamano per rispondere: -'shi moshi?- disse, la voce bassa di chi non parla da un po'. Nino ridacchiò, una risata che pareva vicinissima, sebbene fosse in un altro continente.
-Su un po' di vita, J- scherzò.
-Da te non sono le tre di notte- protestò lui, sedendosi stancamente sul letto. Guardò l'orologio... quante ore di differenza?
-Il sole splende negli Stati Uniti d'America e mi annoio- dichiarò Nino.
Jun smise di fissarsi le unghie per ribattere: -Vai a dar fastidio a MatsuKen-.
-Nah, non sono il tipo-.
-Questa mi è del tutto nuova...- sospirò, facendo di nuovo ridere il malefico nano.
-Mi mancava un po' la voce della mia principessa- disse Nino, ma in modo normale, non con la classica voce da ruffiano che Jun si sarebbe aspettato: -E ho voglia di sentire un po' le ultime cose. Ci aggiorniamo? Ho tre ore di tempo per stancarmi così tanto della tua profonda voce nasale da farmi venire la nausea-.
Decise di non offendersi perché, in fondo, si trattava di Nino. Erano quasi quindici anni che gli perdonava qualsiasi cosa solo perché era Nino.
Stava per iniziare a raccontare le ultimissime quando si rese conto: -Kaz, le telefonate internazionali... costano- disse.
-Aw, non ti preoccupare, tesoro. Il telefono è tutto pagato dalla produzione, per quando 'sentiamo nostalgia di casa'. Così Ken-chan chiama la sua donna e io chiamo... la mia- fece Nino.
Jun sospirò: -Yappari...-.
E per quasi un'ora si scordò di andare a letto.
- A globe, so I could see the whole world (JunYasu)

Le sue piccole mani da bambino si chiudono attorno ad una piccola sfera fredda.
La raccoglie da terra, la osserva: su quella sfera di cristallo è disegnato, in rilievi argentei, il mondo.
La superficie pura, liscia, riflette i suoi occhi e la luce bianca che lo circonda.
Osservando con più attenzione, nota un altro paio di occhi... e un altro paio di mani si uniscono alle sue nel reggere il piccolo globo. Mani piccole, del bambino che ora gli sta di fronte.
“Chi sei?” chiede. Non è sorpreso, né spaventato.
Il bambino sorride, un sorriso caldo e luminoso: “Mi chiamo Shota”.
“Io sono Jun” si presenta, tentando di rispondere al sorriso perfetto di quel bambino dai capelli biondi.
Poi sposta di nuovo lo sguardo sul mondo in miniatura che ora insieme tengono fra le mani: sembra fragile; sembra triste ed indifeso.
“E' nostro compito proteggerlo” dice Shota e Jun sente il calore delle sue mani, il coraggio nella sua piccola voce. “Come si fa?” chiede.
Shota allontana le mani, gli sorride di nuovo. Tutto è bianco: ciò che li circonda, i loro vestiti, il pavimento, il cielo... tutto è liscio, fragile, appena nato.
“E' nostro compito scoprirlo” dice il bambino.
Jun annuisce, avvicinando il globo al proprio petto: “Mi aiuterai?”.
Ora è Shota ad annuire: “Sempre”.

Si svegliò quella mattina con una strana sensazione in petto: come se fosse felice. Scoprì di essere più rilassato e riposato del solito e sentiva che fosse merito del sogno che aveva avuto, anche se non si ricordava assolutamente cosa avesse sognato.
Sul comodino, fra i libri, la lampada e gli occhiali, era appoggiato un piccolo globo di cristallo.
- Those pair of socks I told you I needed (Aimoto)

Lo chiamò dal salotto.
-Cos'è questo sacchetto?- chiese, come Masaki arrivò al piccolo trotto, una manica della felpa infilata e una no. Lo vide spostare lo sguardo dai suoi occhi al sacchetto, poi ancora a lui: -Oh, me lo sono scordato lì...- fece, grattandosi imbarazzato una guancia.
Jun lo guardò da sopra gli occhiali, la tazza di caffè ancora sollevata a mezz'aria fra il tavolino e le proprie labbra. Masaki si sedette al suo fianco sul divano, finendo di infilarsi la felpa, e prese il sacchetto.
-Non l'ho impacchettato, ma è un regalo per te- disse, porgendoglielo.
Jun posò definitivamente il caffè che comunque si stava freddando e prese il regalo, aprendo il sacchetto di plastica in cui il... paio di calze (gialle)... era contenuto.
-Calze?- domandò, ridacchiando.
Aiba fece spallucce: -Mi hai detto l'altro giorno che ne volevi un paio più pesante perché la sera hai freddo ai piedi- disse, tranquillo.
Jun rise ancora: -Non è un po' eccessivo? Potevo portarmele da casa, è solo che mi scordo...-.
Masaki si guardò attorno: -Dopo la tazza, lo spazzolino, le pantofole e la spugna per la doccia pensavo che delle calze non ti preoccupassero poi tanto...- ammise.
Jun fissò il regalo che aveva appena ricevuto e si ricordò della tazza, dello spazzolino, delle pantofole e della spugna per la doccia: -Sto venendo a vivere da te?-.
Aiba appoggiò la mano sullo schienale del divano avvicinandosi a lui: -Stiamo costruendo una tana- spiegò in modo migliore.
E se nella tana quell'inverno avesse fatto freddo, ora aveva un paio di calze (gialle) per combatterlo.
- A funny public demonstration of love (YokoMaru)

Avevano litigato ancora.
O per lo meno, Yoko tendeva a chiamare litigi quelle sere in cui per lo stress, le diete o il proprio irritante carattere di merda, se la prendeva con Maru e gli gridava dietro, lo trattava male, non gli parlava, se ne andava sbattendo la porta.
Come faceva Maru, dopo tutto questo tempo, a sopportarlo ancora? A volte se lo chiedeva...
Ma in fondo sapeva che oltre ad avere un carattere di merda, aveva anche una strana sfortuna (o fortuna?) in amore e in amicizia, e per questo gli era capitato Ryuuhei.
Ryuuhei, il raggio di sole. Ryuuhei che non si arrabbiava mai, che lo sopportava in tutte le sue mille paranoie, che sorvolava sui suoi mille difetti, che portava una pazienza infinita con uno come Yoko.
Yoko che aveva bisogno del calore di Maru per vivere, ma che non dimostrava mai abbastanza riconoscenza per il solo fatto di averlo nella propria vita.
Ogni volta la stessa cosa: il giorno dopo tornava da lui e faceva finta di niente e il viso di Maru si illuminava nuovamente del solito sorriso che la sera del litigio solo Yoko era riuscito a spegnere.
Si sentiva malissimo per non riuscire a chiedere scusa o a smetterla con quei comportamenti assurdi.
E finché Maru non lo rimproverava o non gli rispondeva a tono sapeva che non sarebbe riuscito a resistere ad una nuova sfuriata.
Ma quella mattina qualcosa era diverso: Maru aveva smesso di parlargli.
Yoko aveva tentato in tutti i modi di fargli capire che era già pentito di quello che aveva fatto (sorrisi imbarazzati, frasi stupide, qualcosa di ridicolo... tutto tranne che dirlo chiaro e tondo, ovviamente... non era capace), ma pareva che Maru si rifiutasse di proferire parola in sua presenza.
Passarono tutta la giornata in sala prove per le coreografie dei concerti e non riuscì a concentrarsi su nient'altro che il silenzio del suo raggio di sole e di come la voce e l'affetto dell'altro gli mancassero più dell'aria che respirava. Forse doveva dire qualcosa... forse doveva ammettere le proprie colpe.
-Pare tu gli abbia intimato di stare zitto, ieri sera... ed è quello che sta facendo- spiegò pacatamente Hina, ma con quel piede che batteva nervoso sul pavimento a ritmo incalzante che metteva ansia.
-Mi sento malissimo...- ammise a bassa voce.
Subaru si limitò ad annuire, senza concedergli neanche uno sguardo di conforto o un sorriso di pena.
Quella sera tornò a casa da solo e gli mandò una lunga mail depressa chiedendogli scusa fra le righe e accennando al fatto che avrebbe dovuto smettere di trattarlo in quel modo.
Si addormentò con il cellulare di fianco al cuscino sperando di svegliarsi con Maru al suo fianco.
Ovviamente ciò non avvenne e quella mattina si svegliò di umore pessimo, come se una nuvola di maltempo avesse deciso di seguirlo per divertimento.
-Avresti bisogno di cambiare strategia...- suggerì Yasu quella mattina, che si era offerto di portalo a bere un caffè quando era entrato in camerino e aveva raggelato l'aria.
-O magari di dirglielo chiaramente- aveva proposto Tacchon, che si era aggiunto alla gita in caffetteria solo per sgraffignare cupcakes e brioches.
Yoko non riuscì neanche a esprimere i propri turbinosi pensieri e se ne restò mogio mogio al suo posto, girando e rigirando il cucchiaino nella propria tazzina di caffè.
-E' chiaro che ti stia sfidando a trovare il coraggio per chiedere scusa...- commentò Ryo in camerino, poco più tardi: -Sai, a volte chiedere scusa non è così difficile. Basta considerare cosa rischi di perdere se non lo fai-.
Yoko era tanto tentato di rispondergli irritato che lui era l'ultimo a dovergli fare la predica su queste cose, ma ancora una volta la depressione ebbe la meglio e si buttò disteso sul divano, la faccia premuta contro un cuscino, sconfitto.
E infine quella sera, nel delirio della seconda notte senza Maru, gli venne in mente cosa potesse fare come gesto estremo prima di optare per una lenta e agonizzante morte: prese dei vecchi cartelloni colorati che suo fratello aveva lasciato a casa sua dopo un lavoro di gruppo a scuola e un pennarello nero.

Gli mandò un veloce messaggio: “affacciati alla finestra”.
L'incrocio di fronte alla sede della Jimusho era piuttosto affollato a quell'ora, ma era un atto estremo e in quanto tale doveva essere disperato in ogni suo aspetto. Pubblico, straziante, da bimbominkia.
Appena vide la finestra del quarto piano aprirsi e i visi dei suoi compagni di gruppo apparire, sollevò il primo cartello. Sui visi dei passanti si dipinsero strane espressioni, ma lui era concentrato solo su Ryuuhei, il suo viso stupito e corrucciato così distante, così doloroso.
Il secondo cartello e Yasu, Ryo e Tacchon sorrisero piano.
Il terzo cartello colorato e Shingo sembrò ridacchiare, battendo contento una mano sulla spalla di Subaru.
Il quarto cartello che diceva a lettere capitali SCUSA e Maru ora sembrava diverso: rilassato, commosso, nuovamente caldo del suo calore naturale, di quella bellissima sensazione che Yoko voleva ancora disperatamente per sé.
Al quinto cartello una sola parola di 10 lettere, che inizia per A e finisce per U... a quel punto forse anche i passanti stavano piangendo, ma non lo vedeva e non gli interessava.
Maru scese i quattro piani di corsa e quando lo abbracciò in mezzo all'incrocio era caldo e ansimava.
-Bastava un semplice 'scusa' a parole... davvero- lo sentì ridere e lo strinse più forte.
-Lo sai che non sono capace...- mormorò, senza sapere cos'altro aggiungere fra la gioia e l'imbarazzo e la sorpresa.
Forse qualcuno stava applaudendo. Forse gli altri, ancora affacciati alla finestra, stavano addirittura gridando e facendo il tifo. Ma Yoko e Maru sentivano solo l'un l'altro e le risate che non erano riusciti a controllare.
- A CD made with your favourite songs (BaruJun)

La situazione si era completamente ribaltata.
Un tempo era lui il ragazzino famoso e un po' ribelle che attirava l'attenzione dei più giovani al dormitorio fino a ricevere in regalo degli stivali di pelle marroni solo per aver espresso il desiderio di averne un paio in una conversazione casuale.
Un tempo era MatsuJun il piccolo ammiratore disperato di attenzione che pur di parlare con un 'toshi ue' regalava i propri stivali marroni.
Ora si ritrovava ad una serata fra Kanjani8 e Arashi, un bicchiere in mano, fisso ad ascoltare e guardare Matsumoto che parlava casualmente di vestiti o concerti o qualsiasi altra cosa con i presenti.
A quasi 30 anni suonati, provava ormai una tale ammirazione per il non-più-piccolo-stalker che se solo avesse avuto lui stesso un paio di quei jeans che Jun stava ora descrivendo a Yasu o uno dei quegli anelli costosi che raccontava di aver visto a New York, non avrebbe esitato un istante a regalarglieli.
Ma rimase fermo e zitto a sorseggiare dal proprio bicchiere e ridere, di tanto in tanto, alle scemate che gli altri riuscivano a tirare fuori durante la lunga serata insieme.

“Vuoi un passaggio?” chiese casualmente a Jun, vedendolo aspettare il taxi con sguardo critico all'orologio.
Jun lo guardò negli occhi forse per la prima volta nell'intera serata e sembrò velocemente riflettere su ogni possibilità di risposta che avesse a disposizione: “Se non è un disturbo... non so neanche dove abiti”.
Subaru scosse la testa, un gesto a metà fra un tic nervoso e un modo per far capire che non fosse un problema. Ne aveva un sacco di tic, ultimamente...
“Non lontano da dove sei tu, comunque. E hai detto che domani hai un impegno presto, quindi mi sembra il caso tu vada a dormire il prima possibile” disse, guidando Jun verso la propria macchina.
Salirono e Subaru impostò il GPS che sua mamma aveva insistito a regalargli ('Tokyo è troppo grande, potresti perderti!'... a volte Taeko esagerava un po') con l'indirizzo di Matsumoto, prima di far partire il motore. Durante il viaggio rimasero pressoché in silenzio, a parte per qualche inutile domanda e risposta: ascoltarono il basso scorrere della strada fuori dalla macchina e la colonna sonora di uno dei CD che Subaru teneva sempre in macchina. Jun sembrava gradire il funky tanto quanto lui.
Poco prima di arrivare a destinazione, Matsumoto si girò a guardarlo su un pezzo particolarmente bello: “Che CD è? Mi piacerebbe averlo” rivelò. Qualcosa in Subaru suggerì che era il momento giusto di agire.
Disse il nome di alcune canzoni e rivelò che era una compilation scelta da lui, poi aggiunse: “Puoi prenderlo” indicando lo stereo.
Jun sembrava perplesso: “Davvero posso?”.
“Certo” e con uno dei soliti gesti alla Kansai-jin, tirò fuori il disco dallo stereo durante la pausa ad un semaforo rosso, cercò la custodia e lo consegnò fra le mani di Matsumoto, ancora sorpreso.
“Grazie” lo sentì dire, mentre il semaforo tornava verde e Subaru svoltava verso la via dove abitava Jun.
- Anything, (surprise me!) but it has to be delivered by the mailman (Juntoshi)

Il solito postino che ormai conosceva i suoi orari strani e sapeva quando trovarlo a casa.
La solita parcella da firmare per ricevere un pacco che stranamente non stava aspettando.
Non c'era l'indirizzo del mittente e tentennò un po' prima di aprirlo, non sapendo se potesse fidarsi oppure no. E invece fra il cartone e la carta velina viola apparve una delle statuette di plastilina di Ohno.
Indossava un lungo cappotto viola e un boa di piume fucsia, degli occhiali da sole piuttosto grandi e vistosi e aveva una permanente riccia piuttosto familiare.
Un biglietto strappato da un quaderno a righe diceva che quella statuetta si chiamava J e Satoshi non si era mai ricordato di portarla al lavoro per darla di persona a Jun, così una buona volta aveva pensato si spedirla.
La firma artistica di Ohno ricordò a Jun che giorno fosse quello e il vero, non scritto motivo della spedizione improvvisa. Prese il telefono e ponderò se chiamarlo o mandargli una mail. Decise che avrebbe provato, sperando gli rispondesse e non lasciasse squillare il telefono come suo solito.
E invece...
“Moshi?”
“E' arrivato il pacco. Grazie... sono esattamente 15 anni che ci conosciamo, vero?” disse, in tono vago, osservando J ancora immerso nella carta velina.
Sentì Satoshi ridere piano dall'altra parte.
“E' metà della vita insieme”.
- A star named after me (HinaJun)

“Principe, stia attento!” lo richiamò ancora una volta il consigliere anziano, prima di vederlo correre via dal grande salone del sole e imboccare uno dei lunghi corridoi colonnati della reggia. Il principe correva ridendo allegro, fra le braccia un cesto grande quasi più di lui, pieno di polvere stellare.
“Non credo sia il caso di permettere che giochi con quel materiale, sire” riprese il consigliere, lanciando uno sguardo al trono e al re che rideva sotto i baffi, guardando il figlio fuggire nel giardino.
“Non può farsi male, lasciamolo divertirsi...” disse, con lo sguardo già rivolto alla regina che ricambiò il sorriso.
“Mucchan! Mucchan! Guarda cos'ho trovato!” gridò il principe una volta raggiunto il rigoglioso giardino che circondava il palazzo dei signori dell'Universo... i suoi genitori.
“Principe Jun, non correte così forte, rischiate di cadere!” rispose Shingo, riponendo il telescopio e andandogli incontro. “Parli come il tuo papà!” scherzò Jun, appoggiando a terra il pesante cesto e raccontando di come aveva trovato la polvere stellare proprio nello studio del consigliere anziano, il padre di Shingo.
“Polvere stellare? Vuoi provare quell'esperimento?” chiese il futuro consigliere vedendo il contenuto del cesto segreto di Jun. Il principe sorrise ed annuì: “Voglio vedere nascere una stella!”.
Shingo sorrise a sua volta, scuotendo la testa: “Ma oggi non si può... non ci sono le condizioni. Dobbiamo aspettare la prossima luna nuova e...”
“Voglio vedere una stella nascere adesso!” si lamentò Jun.
“Principe, le regole per la creazione dell'Universo vanno rispettate con attenzione se vogliamo evitare di alterare il delicato equilibrio...” tentò di spiegare con calma il più grande, ma Jun lo interruppe sbuffando: “Ho capito, lo faccio da solo! E dall'orto, così non vengo disturbato” disse risoluto e prese di nuovo il cesto per correre via. Shingo stava per ricordargli di non correre troppo forte quando con un 'Ah!' di sorpresa il principe inciampò e cadde lungo disteso sulla morbida erba lunare del giardino, rovesciando il cesto con il suo contenuto per terra.
“Oh, no! Che guaio!” si preoccupò subito Jun, mentre Shingo accorreva per aiutarlo a rialzarsi.
“Quanta polvere stellare sprecata... è così preziosa...” aggiunse il principe raccogliendo il possibile della polvere argentea sparsa attorno al cesto. Shingo si inginocchiò a terra, prese la polvere rimasta per terra e guardò Jun negli occhi prima di sospirare: “Speriamo funzioni...”.
Lanciò la polvere verso il cielo e questa, invece che cadere, si fece luminosa e raggiunse il suo posto unendosi in un unica, piccola stella argentea. Jun la guardò meravigliato per un po', senza sapere cosa dire.
Nel frattempo, Shingo aveva sistemato il cesto e l'aveva preso fra le braccia per riportarlo al suo posto.
“Mucchan” disse all'improvviso il principe, dopo un lungo silenzio: “Mi hai sempre detto che per far nascere una stella va espresso un desiderio... che desiderio hai espresso?” domandò.
“Il desiderio va mantenuto segreto se si vuole che la stella continui a brillare e non cada” gli ricordò il figlio del consigliere, mentre si riavviavano verso il grande salone del sole.
“Ma... la stella deve anche avere un nome. E quel nome deve essere scelto fra le parole che hai usato nell'esprimere il desiderio! Quindi... come si chiama la tua stella?” chiese ancora il principe, curioso più che mai.
Shingo attese qualche istante, poi si fermò e ancora si guardarono negli occhi, sorridendo: “Si chiama Jun. E non è la mia stella... da adesso in poi è solo tua”.
- One airplane ticket to visit you (TadaJun)

Ricordi quando eravamo in Francia insieme?
Lo so, non sto parlando di molti anni fa... ma a pensarci, sembra passato così tanto tempo.
La nostra prima esperienza all'estero, a studiare una lingua totalmente sconosciuta. E' stato divertente conoscere te, insieme alla Francia... quando ci eravamo incontrati all'università e avevamo deciso improvvisamente di partire e andare a vivere insieme in quell'appartamento di Parigi, pensavo di stare facendo la cosa più avventata della mia vita. E in fondo, sai... forse lo è stata. Ma non mi lamento: mi manca quel posto.
Mi manca persino l'imbarazzo del volo, dei primi giorni assieme quando ancora non ci conoscevamo.
Mi manca l'odore della cena quando tornavamo a casa da lezione e l'odore del caffè di quel bar vicino alla stazione.
Mi mancano le serate di studio e quelle al locale con un gruppo di ragazzi francesi.
Mi manca lavorare fino a tardi al ristorante e tornare a casa per trovarti già pronto per uscire, per andare al lavoro al locale notturno che ti eri trovato. Poi la mattina a lezione mi toccava tentare di tenerti sveglio... o nasconderti dietro i libri quando non ci ero riuscito.
Te lo ricordi? Il mio compleanno sulla Tour Eiffel a decidere i nostri viaggi futuri, a parlare di ragazzi e di noi stessi come mai con nessuno mi ero confidato prima di allora.
Ha fatto caldo a Parigi. Ha fatto freddo a Parigi... abbiamo passato un anno così eppure mi sembra di parlare di un'intera vita... trascorsa. Passata.
Torneresti a Parigi con me? Visiteresti la Spagna, l'America... con me?
Io ti aspetto qui... decidi tu se ne vale la pena.
Il biglietto aereo con destinazione Parigi scivolò fuori dalla busta che Tadayoshi teneva in mano.
Seduto su quella panchina in un parco di Osaka, non riusciva a credere che il vento, assieme ai ricordi, profumava di quelle cene e quel caffè di cui parlava la lettera.
Non vedeva l'ora di tornare a Parigi. Da Jun, in quell'appartamento che non aveva mai dimenticato.
- Your most obscure secret (Yokohina)

-C'è una cosa che non ti ho mai detto...- esordì alla quarta lattina di birra.
-Oh, ti prego... ti conosco da più di metà della mia vita, vuoi che non sappia già tutto? Anche quello che non mi hai mai detto...- disse tranquillamente, anche lui spinto dalla birra e dall'adrenalina della partita di calcio in televisione. Strano che quella sera Yoko avesse accettato di guardarla insieme quando solitamente appena vedeva un campo verde in televisione si lamentava e se ne andava irritato (dall'appartamento di Shingo, manco ci abitasse lui...).
-No, davvero... questa cosa non l'ho mai detta a nessuno- si imbarazzò il più grande, bevendo un altro sorso per tentare di trovare il coraggio. Hina rise.
-Kimi, lo so che sei vergine...- sospirò, guardandolo come per rassicurarlo che non ci fosse niente di male e che la cosa non avrebbe mai rovinato la loro amicizia e quel discorso non avrebbe cambiato niente.
-Non è quello...- tentò di spiegarsi Yoko.
-So anche che sei gay, ma davvero...- riprovò, sempre con il tono di voce giusto per rassicurarlo che non ci fosse niente di male e che la cosa non avrebbe mai rovinato la loro amicizia e quel discorso non avrebbe cambiato niente.
-Non è neanche quello, Hina... davvero, non lo sai- sbuffò Yoko, per poi distogliere lo sguardo e borbottare: -Sono un appassionato di punto croce- ad un tono di voce bassissimo.
Shingo era già così sicuro di reagire con un atteggiamento pronto a rassicurarlo che non ci fosse niente di male, che la cosa non avrebbe mai rovinato la loro amicizia e quel discorso non avrebbe cambiato niente, che quasi rovesciò la propria birra.
-Ecco, te l'ho detto...- sospirò Yoko fra un sorso e l'altro, completamente rosso in viso, mentre Shingo ancora boccheggiava e decideva se scoppiare a ridere adesso o aspettare la fine del secondo tempo.
- Your unbreaking and pure true love (Subassan)

Perché le persone cercano di trasmettere il vero amore con la musica?
Il vero amore, per me, è silenzio. Oppure è stonatura del silenzio.
E' il rumore dei baci, quelli rubati nel buio della stanza, quelli in macchina quando il motore e la radio sono spenti. Quello schiocco un po' imbarazzante, quel suono di labbra, quel respiro che un po' manca e che suona male nel silenzio... ma così bene, in realtà, che di baciarsi non si finisce mai.
Il vero amore è un gemito. Quello appena prima dell'orgasmo, quello appena dopo...
Il vero amore è quella risatina che non riesci a controllare subito dopo aver fatto l'amore o subito prima, quando già pregusti cosa ti aspetta...
Il vero amore è la musica dentro, quella che non sente nessun altro che la persona amata, quella che fa si che due cuori, durante un percorso, mantengano per un po' lo stesso ritmo, si stiano dietro a vicenda.
Se solo con la musica si potessero trasmettere questi sentimenti, insieme potremmo scrivere la canzone del vero amore. Il nostro, amore.
“Shibuyan... non dormi?” mi chiedi sorpreso e assonnato. Vali un bacio sulla fronte.
“Uhm” ti rispondo, chiudendo gli occhi.
Ripensandosi, non condividerei la nostra vera musica con nessuno.
Ne sono troppo geloso... troppo felice di aver trovato con te il puro, vero amore.

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