[Glee] "Ghosts That We Knew" - Parte 2

Mar 30, 2013 14:37

link parte 1: http://paroledifuoco.livejournal.com/33256.html


9 anni dopo

Erano passati nove anni dalla morte di sua madre e Kurt era diventato uno splendido ragazzo liceale con una sfrenata passione per la moda ed un interesse spiccato per il canto e per il teatro, ma non c’era solo questo, Kurt era anche molto e sicuramente gay.
Per lui non era stato sconvolgente scoprirlo, lo aveva sempre sospettato da solo forse fin da prima di conoscere il reale significato di tale parola. Era nato così e non se ne vergognava: non era stato faticoso accettarlo ed era riuscito anche a confessarlo presto a suo padre, tutto sommato, ma nonostante lui stesso avesse deciso di non farsi guerra, per la gente che lo circondava la cosa non sembrava poter passare inosservata.
Kurt non aveva mai voluto nascondersi dietro a ciò che non era, né indossare maschere: aveva sempre voluto essere se stesso, senza dover fingere, senza dover sembrare costruito come la metà delle persone che frequentavano quel maledetto istituto, ma a volte essere se stessi ha un caro prezzo.

Kurt lo aveva imparato bene fin dal primo anno: i diversi non erano ben visti al McKinley, ma ciò non era servito a scalfirlo o a renderlo meno agguerrito, lui doveva essere semplicemente se stesso, perché come gli aveva detto sua madre, lui era speciale e sarebbe sempre stato fiero di se stesso e del proprio essere.

Ma purtroppo, non sempre era facile riuscire a mantenere dignità e forza, specialmente quando le persone tentavano in tutti i modi di rendergli la vita un inferno, primo tra tutti quel maledetto Dave Karofsky, che lo perseguitava senza un perché preciso - o così credeva.

Kurt non vedeva un fantasma da anni e l’ultimo che aveva visto era quello di sua madre, segreto che aveva tenuto nascosto per molto tempo e che ancora continuava a rimanere solo nella sua mente, tuttavia, per quanto potesse lavarsi la faccia, quel giorno avrebbe potuto dichiararsi a sua volta un fantasma per quanto il suo volto sembrasse di un bianco tremendamente cadaverico.

Ed a proposito di fantasmi, ogni tanto, nei suoi giorni peggiori, Kurt non poteva far a meno di pensare a che diavolo di fine avesse fatto Blaine: sua madre gli aveva detto che era in vita, ma Kurt non ne aveva mai avuto la prova tangente, perciò non riusciva a crederci davvero. Forse si era confusa o forse si era re-incarnato in un animale. In fin dei conti non è detto che una re-incarnazione avvenisse per forza in un corpo umano e magari nemmeno lei poteva saperlo.
Magari era soltanto quel passerotto che aveva visto sull’albero al parco due giorni prima e che lo fissava con insistenza. Kurt non poteva saperlo e cominciava fortemente a dubitare che, in ogni caso, lo avrebbe mai incontrato: non era molto confortante, perché sentiva ancora nel suo cuore la mancanza di Blaine e della sua gentilezza, l’unica persona oltre a sua madre ed a suo padre che lo avesse mai trattato con rispetto.

A volte Kurt pensava di aver avuto una sorta di momento di follia da piccolo, dubitando fortemente di ciò che aveva visto: i bambini hanno una fervida immaginazione, magari quei fantasmi non erano altro che immagini create dalla propria mente. Non lo sapeva davvero, ma ogni tanto cercava una risposta e sperava di trovarne una ma il risultato era solo un gran mal di testa che di confortante aveva ben poco.

Chiuse l’armadietto, riponendovi dentro un libro, per poi sentire due grosse mani colpirlo sul petto: chiuse gli occhi e sentì un dolore lancinante alla schiena. Dave Karofsky lo aveva spintonato ancora.

Con gli occhi pieni di lacrime scivolò lungo gli armadietti, portandosi le ginocchia al petto: non era il dolore fisico quello che faceva più male, ma quello morale, quello che provava dentro. Ogni spinta, ogni botta aveva il sapore dell’umiliazione.
E Kurt odiava profondamente sentirsi così, ma non sapeva come ribellarsi e per la prima volta in vita sua, si sentiva sconfitto.
Non voleva nemmeno dar preoccupazioni a suo padre, che recentemente aveva avuto un attacco di cuore - non poteva perdere anche lui, era stanco di perdere le persone che amava - perciò cercava di tenersi tutto dentro, senza esternarlo.
Il Glee, il suo club di canto, non sempre sembrava aiutarlo e soprattutto sembrava non accorgersi del suo profondo disagio con il resto della scuola: eppure gli spintoni e le botte sembravano un segnale abbastanza evidente, ma forse non era così.

Si alzò lentamente in piedi e si incamminò verso l’aula canto con aria afflitta: avrebbe voluto sentirsi consolato almeno all’idea di andare al Glee, ma al massimo l’unica cosa che avrebbero fatto quel giorno sarebbe stata quella di sempre: ascoltare l’ennesimo assolo assegnato a Rachel Berry e vederla pavoneggiarsi di fronte al Glee decantandosi le proprie lodi.
Sospirò, entrando nella stanza e cercando di cancellare almeno per un paio di ore i propri problemi: dovevano pensare alle provinciali.

***

Quando Puck chiese a Kurt di andare a spiare i Warbler, di certo non si aspettava fosse serio, ma evidentemente doveva imparare a prenderlo un po’ più in parola, perché la sua missione era più vera di quanto potesse immaginare.
Con un paio di click su internet cercò di organizzarsi al meglio per andare a controllare l’ambiente; un po’ spinto dalla curiosità della concorrenza, un po’ spinto dal bisogno di vedere una scuola come la Dalton: sembrava bellissima, un vero paradiso - anche se molto costosa e molto, molto privata.

Indossò un cappotto blu ed una cravatta rossa, seguendo i colori delle divise sei vari studenti, nella speranza di passare un po’ più inosservato.
La Dalton era la tipica scuola privata americana: bellissimo edificio, statue ovunque, corridoi immensi ed una scalinata a chiocciola da sogno.
Sembrava arrivato direttamente in paradiso, dove tutti gli studenti erano vestiti uguali, dove non c’erano grida né volgari giocatori di football. Kurt si sentì improvvisamente come se fosse appena entrato in un posto chiamato ‘salvezza’.
Si tolse gli occhiali e poi fermò uno dei ragazzi che scendeva la lunga scalinata. Certo, non poteva immaginare di fermare proprio… lui.

“Oh ciao… p-posso farti una domanda? Sono nuovo qui…”

Quando vide i suoi occhi li riconobbe immediatamente, un sorriso gli si formò sulle labbra ed il cuore prese a battere più veloce.

Blaine.

Non poteva essere che lui, quegli occhi, quelle labbra e oh, era così dannatamente bello e… ed affascinante. Era incredibile. Forse si stava sbagliando, forse non era lui, ma chiunque fosse era davvero il ragazzo più bello che avesse mai visto nella sua intera esistenza.

“Oh… piacere, Blaine,” disse, immediatamente. Ed il cuore di Kurt sussultò ancora.

Blaine, Blaine, Blaine. Non poteva essere che lui. Forse non lo aveva riconosciuto, non lo sapeva: ma non poteva essere una dannata coincidenza.

“Oh, Kurt,” rispose, imbarazzato.

Poi ci fu un veloce scambio di battute, mentre Kurt sperava profondamente che Blaine si ricordasse o che avesse anche solo un piccolo dubbio di conoscerlo già, ma niente emerse da quella conversazione. Il ragazzo lo prese per mano e lo condusse per i corridoi della Dalton nella sala prove dei Warblers, i quali, capitanati da Blaine, cantarono per lui.

Era stato straordinario perché nessuno lo aveva mai fatto e Kurt poteva sentirsi lo sguardo di Blaine addosso, poteva sentir le parole di Teenage Dream, la sua splendida voce fin dentro il cuore e poteva sentire che quell’esibizione era sua. Solo e soltanto per lui.
Si emozionò come mai prima, cominciando a battere le mani velocemente a fine canzone.

Era capitato in una sorta di paradiso e non voleva più tornare indietro. Avrebbe voluto parlare tanto con Blaine, capire se per caso fosse quel Blaine, se sapesse della vita da fantasma, se lo fosse mai stato, ma in quel momento decise che la cosa importante era anche solo provare a conoscerlo, familiarizzare con lui ed almeno sfiorargli la mano di nuovo. Quella mano che prima lo aveva preso e lo aveva fatto sentire a caso, quella stretta così familiare al vento freddo che aveva sentito anni prima, nella vecchia casa abbandonata ormai vuota.

E Kurt sapeva che era totalmente folle quel pensiero, ma era davvero convinto che quel Blaine fosse lui ed in parte sperava davvero che lo fosse, perché forse non tutto ciò che era successo quando aveva otto anni era accaduto solo nella sua testa e magari niente di ciò che ricordava era falso. Lo sperava con tutto il suo cuore.

Blaine lo invitò a prendersi un caffè e si sedettero ad un tavolo con altri due ragazzi chiamati Wes e David, i quali furono liquidati dopo un breve dialogo.
Kurt rimase a parlare da solo con Blaine e fu la cosa migliore che gli fosse capitata negli ultimi giorni se non in quell’ultimo anno: Blaine era gay ed aveva avuto un brutto passato alla sua scuola pubblica, perciò si era rifugiato lì, alla Dalton. Aveva cercato di dargli qualche consiglio e di consolarlo, cosa che Kurt aveva apprezzato moltissimo perché nessuno come lui sembrava essersi preoccupato.
C’era anche quella sensazione di conoscerlo da sempre ma anche l’incertezza che non fosse realmente così. Kurt non poteva porgli domande strane, ma mentre lo guardava negli occhi scambiandosi i numeri - con una certa emozione nel petto - era sempre più convinto che Blaine Anderson fosse quel Blaine Anderson.

Si salutarono con un sorriso e Kurt provò la netta sensazione che quella non sarebbe stata l’ultima volta che si sarebbero rivisti.

Il cellulare vibrò poco dopo, mentre era in macchina.

“Se hai bisogno non esitare a chiamarmi, è stato bello conoscerti - B”

Kurt si lasciò scappare un sorriso e si rilassò, stringendosi il cellulare al petto.

***

Quando Dave Karofsky gli prese il viso tra le mani, Kurt pensò che fosse soltanto un brutto sogno, ma quando premette le proprie labbra sulle sue, Kurt pensò che fosse decisamente un orrido incubo. Peggio di qualunque incubo tormentoso sulla morte di sua madre che aveva avuto fino a quel momento - forse peggio no, ma ci si avvicinava di sicuro - perché quella sensazione era orribile e Kurt avrebbe voluto lavarsi i denti almeno mille volte, ma per quanto ci provasse, non poteva cancellare ciò che era successo.

Kurt era rimasto lì, tremante, con la mano sulla bocca senza sapere cosa fare: il suo primo bacio gli era stato rubato da un uomo di Neanderthal con una possibile omosessualità repressa che non aveva mai fiutato nemmeno da lontano.
Si guardò intorno, notando che nello spogliatoio non c’era nessuno, che nessuno aveva visto la scena né poteva salvarlo.
Scivolò giù, sulla panchina lì vicino e lasciò che le lacrime cominciassero a scorrere sul suo volto.
Dopo di che, digitò il numero di Blaine.
Lui era l’unico che poteva davvero comprenderlo ed aiutarlo.

***

Una settimana e mezzo dopo.

Dopo una settimana e mezzo, in maniera del tutto imprevista, Kurt si ritrovò ad essere uno studente della Dalton. Ciò lo metteva in un certo senso a disagio perché era un posto del tutto nuovo, perché la retta era esorbitante e non era ciò che voleva che succedesse.

Suo padre aveva dovuto rinunciare al viaggio di nozze con Carole per permettergli il trasferimento e lasciare il McKinley era stato inaspettatamente doloroso: suo padre non aveva scoperto del bacio, Kurt aveva deciso di tutelare l’omosessualità di Karofsky dicendo soltanto una parte della verità. In fin dei conti, non sarebbe mai riuscito a dire una cosa così grossa e soprattutto così intima, anche se certamente se lo sarebbe meritato con tutto ciò che gli aveva fatto passare.
Ma nonostante quello, la vita di Kurt era cambiata in molti sensi: suo padre si era ri-sposato con Carole, la quale era una donna fantastica, sensibile - ed in parte il responsabile di quel matrimonio era lui stesso - diventando così anche il fratellastro di Finn Hudson. Tra loro non era sempre corso buon sangue, al contrario, ma nonostante tutto non poteva dire di non voler bene a quello stupidone enorme, per il quale aveva anche avuto un’assurda cotta.
Kurt pensava che in fondo suo padre si meritasse un’altra donna da amare, che la mamma fosse morta da ormai tanti anni e che anche lei stessa sarebbe stata felice di una cosa del genere.
Già, sua madre. Chissà cosa avrebbe detto della situazione in cui si ritrovava in quel momento: bulleggiato ed in una scuola privata per non essere maltrattato oltre. Non c’era niente di male ma era… strano. Era come se avesse permesso ai bulli di vincere su di lui, ma Kurt non aveva la forza di combattere oltre, non in quel momento. Chissà poi cosa avrebbe detto di Blaine, il quale sembrava essere lui ma al tempo stesso non esserlo: non era ancora riuscito a capire se fosse quel bambino fantasma e la domanda lo assillava giorno dopo giorno: certo non era davvero importante, perché Blaine era gentile ed era ciò che di meglio fosse capitato nella sua vita in quell’ultimo periodo, però avrebbe voluto saperlo.
Blaine, dal canto suo, non sembrava riconoscere Kurt, quindi doveva dedurre che forse no, forse non era quel Blaine, magari era una coincidenza o magari la sua memoria era stata ‘resettata’. Le ipotesi erano davvero tante, le risposte… un po’ di meno.

“Sono contento che tu ti sia trasferito,” disse Blaine vedendolo arrivare con un paio di valigie. Kurt sarebbe rimasto lì durante la settimana, nei dormitori, e sarebbe tornato a casa nei weekend poiché la Dalton era comunque un po’ distante da Lima e sarebbe stato scomodo tornare sempre a casa.
“Anch’io,” rispose Kurt, un po’ insicuro ma in realtà abbastanza felice: era l’occasione di cominciare un nuovo capitolo della sua vita, si sarebbe unito ai Warbler e magari sarebbe stato un poco più protagonista.
“Puoi dormire in stanza con me, attualmente ero senza un compagno, dato che Nick si è diplomato…” disse, riferendosi al suo ex compagno di stanza e mostrandogli le chiavi, “queste sono tue,” gliele mise in mano con un sorriso gentile.
“Benvenuto alla Dalton… ufficialmente.”

Il cuore di Kurt si riempì di gioia e le parole di sua madre gli tornarono nella mente.

Niente accade per caso, il destino crea un grande disegno e si intreccia con quello degli altri; non esisteva niente di più vero.

*da betare

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