Titolo: Give me a long kiss goodnight (kiss the demons out of my dreams)
Autore:
p-willBeta:
harleen313 &
mrs_toro_or <3
Fandom: Bandom > Fall Out Boy, Panic at the Disco, Cobra Starship (in spirito)
Personaggi/pairings: Patrick/Joe, Andy, Pete; Jon/Brendon se strizzate gli occhi
Rating: nc17
Avvertimenti: AU, lemon. Lime. Oh, quello che è.
Conteggio parole: +6000
Disclaimer: Come si desume dal fatto che è una AU, queste cose sono tutte accadute. In un altro universo.
Dedica: per il compleano di
eyes_of_venom un mese fa hahahaha oh god I FAIL AT LIFE che essendo maggiorenne si merita del porn! <3 Ergo: nc17!Patroh :D Ho cercato di dare una trama perchè mi ricordavo che non ti piacevano le pwp, ma mi è un po'... sfuggita di mano XD
Note: Scritta per il Crack Pairing Fest @
Bandomville con i prompt "Chi cercavi?" + letto + Give me a long kiss goodnight/and everything will be alright/kiss the demons out of my dreams, che dà anche il titolo alla storia. In questa storia troverete: insulti alla chimica, stronzate, porcherie, e un miscuglio di elementi Wiccan, demonologia e citazioni più o meno palesi da far venire il mal di testa. Yay!
Summary: Cacciatorididemoni!AU (with a little bit of Buffy)
Patrick inchiodò il van all’entrata del vicolo con un sinistro stridere di freni. Lo spettacolo che aveva davanti era agghiacciante, qualcosa che non aveva mai visto in tanti anni di caccia ai demoni. Sgranò gli occhi, stringendo il volante tra le mani come se quel pezzo di plastica potesse salvarlo da quello che doveva affrontare, e sentì la nausea salirgli in gola. Non aveva il coraggio di scendere dal van, non… non voleva trovarsi in mezzo a quella cosa.
«Cosa diamine avete fatto, qui?» gridò affacciandosi dal finestrino. Se ne pentì all’istante perché la puzza quasi lo ributtò all’indietro.
Pete e Joe erano qualche metro più avanti, al centro di quella che sembrava essere stata l’esplosione di una fognatura, solo peggio; c’era robaccia gialla e gelatinosa per tutta la strada, sui muri, sull’immondizia ammonticchiata a terra, sulle scale d’emergenza dei palazzi circostanti, e su Pete e Joe. Soprattutto su Pete e Joe. Era come se fossero stati presi a secchiate di vomito dopo essersi rotolati per una discarica, e avevano anche l’espressione di chi si è beccato una secchiata di vomito. Andy sbucò da dietro un cassonetto, intonso e con il collo della maglietta tirato fin sopra il naso, e fece qualche passo verso il centro dell’esplosione di blob, accompagnato dal disgustoso cic ciac delle sue scarpe sulle pozzanghere viscide.
Nonostante tutto, Patrick non poteva fare a meno di essere affascinato. La creatura che stavano seguendo sembrava un demone Cresil, squame grigie, zanne arancioni eccetera; ne avevano visti tanti e sapevano bene cosa aspettarsi: brutto bestione, preda facile.
In nessun libro c’era scritto che il demone era una grossa piñata piena di sostanze nauseabonde che non vedeva l’ora di esplodere. E se era un particolare meccanismo di difesa… be’, era totalmente inutile se per metterlo in moto c’era da saltare in aria, ma di sicuro stendeva l’avversario.
Patrick si decise a scendere dal van, coprendosi il naso con una manica. Si avvicinò di giusto qualche metro prima di fermarsi ad una distanza ancora sicura; da lì poteva vedere bene tutto, dall’espressione pietrificata di Pete alla carcassa del Cresil, aperta e fumante e ugh, era già abbastanza brutto solo per l’odore, non gli servivano altri stimoli per rimettere l’anima.
«Cos’è successo?» ripeté, la voce attutita dalla stoffa. Pete si girò a guardarlo, pallido sotto lo strato di gelatina gialla, e si limitò a fissarlo con gli occhi spalancati; non era difficile leggerci tutti gli insulti che si tratteneva dal pronunciare per non farsi finire roba in bocca.
Joe, che evidentemente aveva avuto la prontezza di riflessi di coprirsi con le braccia e si era salvato almeno la faccia, lanciò un’occhiata incerta verso i resti del demone, che Andy stava scrutando accucciato lì vicino. «È… è morto» disse «Con i fuochi d’artificio.»
«Io giuro» ringhiò Pete, dopo essersi pulito il mento con l’interno nella felpa e aver sputato a terra «giuro che ucciderò i Cobra, se c’entrano qualcosa.»
«Ovvio che c’entrano qualcosa» commentò Andy. Si alzò dalla carcassa e andò a prendere il suo zaino dal retro del van, tornando con un tampone e una provetta e chinandosi di nuovo sul demone. «Se questo coso non è uscito dai loro laboratori, mi faccio tatuare il nome di Pete sul culo.»
«Dovresti» Pete sorrise, scostandosi un ciuffo di capelli impiastricciati dalla fronte. Andy alzò gli occhi al cielo e prese a raccogliere pezzi di demone per le analisi di Patrick. Come faceva a resistere sospeso a mezzo metro dalla fonte del fetore era un mistero che Patrick non sentiva il bisogno di indagare.
«Quindi cos’era, una sorpresa?» Joe fece una smorfia. «Gentile da parte loro, gentilissimo. Me lo tatuo io il nome di Pete sul culo, se non li fermiamo subito.»
Patrick li ignorò, perché in quel momento l’ultima cosa che gli serviva era pensare a tatuaggi col nome di Pete. O al culo di Joe. Non era mai il momento di pensare al culo di Joe, anche se il suo cervello sembrava aver capito il contrario. «Posso avere dei particolari, prima che andiate tutti a farvi marchiare?»
Pete spalancò le braccia, lasciando vedere lo stato pietoso in cui versava, con grumi di blob che gli scivolavano viscidi lungo i vestiti e l’aria stravolta. «Eccoli i tuoi particolari, posso abbracciarti e riempirti di particolari. Abbiamo preso il Cresil, l’abbiamo accerchiato, e quando l’abbiamo colpito è andato giù come previsto, solo che con il cento per cento in più di muco esplosivo, come non era previsto.»
«Tipicamente Cobra» mormorò Andy.
Patrick si sfregò gli occhi e si pentì subito di aver spostato la mano dal naso perché quella roba, qualsiasi cosa fosse, aveva l’odore di compost di calzini vecchi, foglie morte e letame lasciati macerare al sole. Oh dio, la nausea. «Non è velenoso, vero?» realizzò all’improvviso, con una nota di panico nella voce.
Guardò prima Pete, che aveva ripreso la sua espressione atterrita, poi Joe, i capelli in uno stato pietoso e gli occhi che si stavano lentamente riempiendo di terrore, e sentì un’ennesima fitta di nausea, ma questa volta totalmente diversa dalle precedenti. Fu solo lo sbuffo di Andy che distolse la sua attenzione da Joe e Pete.
«Non è velenoso» disse mentre sigillava i tamponi e si sistemava gli occhiali con il polso. Si alzò in piedi, sistemando le varie provette. «Puzza troppo per essere velenoso.»
«È la cosa più stupida che abbia sentito da quando conosco Brendon.»
Andy scosse la testa. «I veleni dei Cobra non puzzano, non sono rintracciabili. Il Cresil ha avuto tutto il tempo di far capire che stava per implodere, una trappola non si sarebbe vista così chiaramente.»
«Be’, grazie per aver avvertito anche noi» borbottò Pete, scrollando un po’ della poltiglia sulle sue braccia in direzione di Andy. Andy schivò con un’occhiataccia.
«Andy, non vuol dire-»
«Inoltre,» interruppe Patrick sul nascere «Un esame di base non ha trovato tossine, quindi no: non è un veleno.»
«Hurley, sei veramente un coglione.» Joe scosse la testa, senza riuscire a nascondere la maniera in cui le sue spalle si erano rilassate quando aveva avuto la conferma di essere al sicuro. Andy ridacchiò piano.
«Perciò… cos’era?» chiese Patrick.
L’espressione di Andy si indurì. Non disse niente, subito, tornò al van ad appoggiare le provette e tirò fuori un borsone, appoggiandolo di fianco ad una delle ruote. «Significa,» disse, lentamente «Che sanno quello che facciamo, e hanno voglia di prenderci in giro.»
Perfetto. Semplicemente meraviglioso. Mesi di studio e ricerche, appostamenti e lavori sporchi e missioni al limite del suicidio, e i Cobra sapevano in anticipo ogni loro passo. Muovevano ogni loro passo. Patrick sentì l’improvviso bisogno di prendere a calci qualcosa di grosso e che assomigli alla faccia di Saporta. «Perfetto» mormorò, passandosi le mani sul collo. «Che si fa allora?»
Alle sue spalle sentì Pete bisbigliare doccia e il suono viscido di altri pezzi di blob che piovevano al suolo. Si impose di resistere alla nausea ancora per qualche minuto.
«Voi tornate a casa, qui ci penso io.» Andy indicò con un cenno della testa il van, si caricò in spalla il borsone e chiuse lo sportello con un colpo secco.
«Ooh, non se ne parla nemmeno.»
Andy gli lanciò un’occhiata in tralice e si avvicinò al demone, superando Patrick e ignorandolo. «Non ha senso che restiate ad impicciare e puzzare, è già abbastanza brutto così.»
«Certo, perché lasciarti solo dopo essere caduti in una trappola come degli idioti è la cosa più intelligente che possiamo fare» sbottò Patrick. Era come un gioco a chi gli facesse saltare i nervi prima, e alla partita partecipava chiunque. Se si fossero resi davvero conto del suo livello di stress non avrebbero scherzato a quel modo, pensò alzando le mani come per mettersi a gesticolare su una nuova invettiva, ma limitandosi a stringere i pugni e guardare male Andy.
Che si voltò verso di lui e con l’espressione più sorpresa e innocente e, ancor peggio, seria che potesse avere gli annuì con enfasi.
«Okay» esclamò Pete.
«Oh, per l’amor di dio Pete!» Patrick fece un verso esasperato e spostò lo sguardo su di lui, incredulo.
Ma anche Pete sembrava perfettamente serio. Sostenne lo sguardo di Patrick senza batter ciglio, poi si rivolse ad Andy: «Se tra un’ora e mezza non sei tornato mando Ryan a cercarti.» Aveva il tono calmo che usava solo per impartire ordini con la sicurezza di chi sa che verranno eseguiti. Patrick ammutolì, restando a fissare con le braccia abbandonate lungo i fianchi Andy che annuiva di nuovo e si levava la borsa di spalla sistemandola a terra in un punto libero dal muco, e Pete che gli riservava uno dei suoi sorrisi da mille watt prima di girarsi e marciare verso il van.
Patrick scosse la testa, cercando sostegno in Joe. Un angolo della bocca di Joe si sollevò in solidarietà, e Patrick si ritrovò quasi a sorridere in risposta senza aver mai dato l’ordine ai muscoli della sua faccia di fare alcunché. «Andiamo,» disse Joe, superando Patrick; gli sfiorò il polso con la punta delle dita, fredde e appiccicaticce nonostante gli sforzi di pulirsi, impercettibile, per fargli coraggio. Il polso di Patrick prese a formicolare appena le dita di Joe si staccarono. Forse il blob era irritante, a ben vedere.
Deglutì - non osando fare un respiro profondo - e si affrettò dietro Joe per staccare Pete dalla maniglia del van e non distrarsi più del necessario, non ancora, non quando dovevano ancora tecnicamente finire la missione. Il polso continuava a sembrargli più caldo del dovuto. «Pete, non provare a sfiorare i miei sedili conciato in quel modo!»
Pete sgranò gli occhi e mise su il broncio innocente che più di qualsiasi altra cosa al mondo dimostrava quanto fosse un pessimo attore. «Che c’è?» si lamentò, incapace di restare serio per un lasso di tempo superiore ai tre minuti.
Patrick superò Joe e gli si parò davanti, le mani sui fianchi ad incutere timore da tutto il suo metro e sessanta. Pete, se possibile, tentò di sembrare ancora di più Bambi. Inutilmente. «Lontano dai sedili» scandì Patrick lentamente.
Pete scoppiò a ridere, abbassò allegramente la maniglia e spalancò la portiera del passeggero, con tutta l’intenzione di entrare. Si voltò, con un piede già sollevato, per sorridere bonario a Patrick. «Dai, Trickster…»
Po si bloccò, interdetto. «Scherzavi, vero?»
Gli occhiali di Patrick furono attraversati da un bagliore sinistro.
Joe fece un passo indietro.
Ci fu un lungo scambio di occhiate, Pete con il piede ancora a mezz’aria, la mano ancora sulla maniglia della portiera e l’espressione allegra che scivolava via lentamente. Ci fu un lungo scambio di occhiate in cui divenne chiaro che, se Pete avesse fatto un solo passo in avanti, Patrick non si sarebbe limitato ad un occhio nero.
«Sul retro,» ringhiò Patrick, voltandosi appena verso Joe per aggiungere: «Tutti e due.» Non avrebbero lasciato muco di demone sui suoi sedili, nossignore.
Per un attimo sembrò che Pete volesse davvero sfidare la sorte e fare l’impensabile, ma si limitò ad una smorfia scocciata e mollò la maniglia, facendo un passo lontano dai preziosi interni di Patrick.
Patrick annuì, si voltò, e prima che facesse anche solo in tempo ad abbassare le braccia si ritrovò la schiena completamente foderata di puzzolente, appiccicoso, ed iperespansivo Pete.
Andy fece un risolino dall’altro capo del vicolo.
«Ma Trickytrick, io voglio stare vicino a te!»
Partirono dopo pochi minuti, con Patrick che digrignava i denti alla guida, Pete steso in fondo al van con Joe a tenergli una pezza sul naso, e l’impronta della faccia di Pete probabilmente impressa per sempre nella portiera del van. Prima che svoltassero l’angolo, dallo specchietto retrovisore Patrick vide Andy aprire il suo borsone e mettersi al lavoro.
*
«E quindi,» annunciò con voce squillante Brendon dallo schermo «non abbiamo assolutamente idea di cosa sia questa cosa!» Tirò su un foglio pieno di tabelle e lo schiacciò contro l’obiettivo della webcam, per far vedere bene la totale mancanza di senso dei numeri e la freccia che da alcuni valori portava ad un angolo del foglio dove c’era scritto in una calligrafia sottile WTF? (e, scarabocchiato sotto, your mom, ross).
Patrick sospirò. Aveva sperato in un qualche risultato dal laboratorio, un riscontro con qualcuno dei vecchi campioni, un riconoscimento - Ryland aveva lavorato con Ryan prima di decidere che andare ad idolatrare serpentoni era più importante di salvare il mondo, Ryan conosceva il suo stile. Erano davvero nella merda.
Si tolse gli occhiali e li appoggiò in cima alla pila di Volumi Da Controllare, che arrivava quasi più in alto del computer ed era ancora molto più gonfia della pila dei Volumi Controllati o dei Volumi Da Lasciare Ad Andy. «Come fate a non sapere che cos’è?»
«Be’, è abbastanza ovvio che sia… muco. Ad un primo esame-»
«Oh, intendi dire avermelo lanciato addosso?»
«Ryan, è stato un incidente!»
«È il terzo gilet che butto per colpa tua!»
«Brendon…» mormorò Patrick.
«Oh, sì, scusa» Brendon scivolò fuori dall’inquadratura spingendosi contro il tavolo sulla sua sedia girevole, tornando dopo qualche secondo con quella che, anche su pixel, aveva l’aria una sgommata notevole. Sventolò un plico verso l’obiettivo con un sorrisone prima di aprirlo e scartabellare tra i fogli fino a tirarne fuori uno tutto spiegazzato; si sistemò gli occhialoni che teneva in testa e riprese: «Ad un primo esame - che non consisteva nel bersagliare Ryan, a titolo informativo - abbiamo trovato tracce di solfuri, idrocarburi… e niente di organico, che è strano.»
«Perché sarebbe strano?»
«Perché se non è roba organica vuol dire che è artificiale, e se è prodotta in laboratorio vuol dire che il demone ci è stato riempito.» Si tirò su gli occhiali e se li appoggiò in fronte, sparandosi la frangia in tutte le direzioni. «Come un bombolone!» esclamò.
«Come un bombolone» ripeté Patrick, sentendosi cadere addosso un violento bisogno di sbattere la testa contro qualche tomo. I Cobra sapevano i loro movimenti, giocavano ai piccoli chimici e li usavano come crash test dei loro demoni bombolone. Avrebbe fatto meglio ad andare nel Jersey quando Bob gli aveva proposto di unirsi al suo gruppo di cacciatori; laggiù non c’era tutto quel muco.
«O come una piñata!» si sentì Ryan intervenire da lontano.
Brendon si girò verso destra - la sua sinistra - con una piroetta della sedia. «Credo sia più calzante il bombolone, come metafora. La piñata non è piena di roba collosa.» Si batté l’indice sul mento, meditabondo. «Certo, se vogliamo essere fedeli al senso forse sarebbe più pregnante l’esempio di un brufolo, anche se quello non viene riempito-»
«Brendon, focalizza» biascicò Patrick, troppo stanco persino per irritarsi. «Manda i risultati delle analisi, poi ci daremo un’occhiata anche noi. Jon è da quelle parti?»
«Sempre al vostro servizio.» Jon entrò nell’inquadratura da sinistra, occhiali protettivi e sorriso rassicurante al loro posto più un cacciavite un po’ meno rassicurante tra le mani. Si tolse gli occhiali e i guanti di gomma, appoggiò il cacciavite sul tavolo e spintonò via da davanti alla webcam Brendon, con sedia e tutto. Sentirono il suo gridolino di gioia sfumare man mano che slittava lontano.
Patrick si rimise gli occhiali e salutò con un cenno del capo. «Jon, quali telecamere abbiamo nella zona dei Cobra?»
Jon si appoggiò al tavolo e fece una faccia pensierosa. «Lasciami controllare» disse, e iniziò a battere qualcosa sulla tastiera. «Ne abbiamo… una dozzina in funzione. Tre sono fuori dal loro circuito, e dovrebbero essere a conoscenza di… sette, quelle comprese» elencò, gli occhi che scorrevano rapidi sopra lo schermo del pc, dove tenevano i monitor di sorveglianza. «Una è chiaramente hackerata visto che c’è appiccicato un fotomontaggio di Spencer con le tette.»
«Io con cosa?!»
«Credo che possano avere dei sospetti su un’ottava, ma sono sicuro che le quattro attorno al quartier generale siano ancora sicure.»
«Questo perché la loro sicurezza fa schifo» commentò Brendon tutto contento, rientrando nell’inquadratura e andando a sbattere contro Jon. Jon alzò gli occhi al cielo, senza riuscire a nascondere un minuscolo sorriso, e Brendon non fece altro che sorridergli a sua volta ed appiovrarglisi al fianco.
«Tienile sempre accese» ordinò Patrick, aprendo lui stesso la planimetria della città con le telecamere segnate. Se solo avessero potuto infiltrarne una dentro il covo…
«Okay, capo!» Brendon fece una faccia seria e scattò sull’attenti, per mettersi a ridacchiare dopo neanche un secondo e nascondere il viso contro la pancia di Jon. Jon annuì distrattamente e salutò con un cenno del capo, le dita che già correvano sulla tastiera e le sopracciglia aggrottate, concentrato. Prima che il collegamento si interrompesse Patrick fece giusto in tempo a vedere Brendon indicare sopra la webcam e dire qualcosa che fece ridere Jon.
Lo schermo lampeggiò placidamente per un po’, mostrando solo la finestra della conversazione chiusa e il riflesso sbiadito dell’espressione esasperata di Patrick; anche attraverso il monitor non era difficile distinguere le occhiaie, ombre scure su quel viso pallido e stanco. New Jersey, sul serio - dove c’erano sole e caldo e nessun rettilomane con il senso dell’umorismo fallato.
Sospirò di nuovo, spegnendo la webcam, e abbassò gli occhi sul libro che stava studiando, sul Codice che stava per aprire e tutti i testi di demonologia, raccolta di una vita logorata da mani e mani che l’avevano sfogliata, che andavano ancora visti. Inutili, tutti quanti, davanti a degli ibridi creati in provetta.
Dio, quanto gli mancavano i tempi in cui il peggiore dei modi per passare il finesettimana era correre dietro a qualche evocatore di demoni amatoriale.
Il fax all’angolo del tavolo cominciò a lamentarsi ed emettere bip di morte, e dopo poco si stava ammucchiando a terra una lista di dati lunga quanto una tenda. Patrick raccolse un capo e ci gettò un’occhiata veloce mentre ripiegava tutte le pagine e pagine di simboli chimici. Non poteva dire che i ragazzi si fossero risparmiati negli esami, perlomeno.
Nel corridoio risuonò lo scatto della porta dello scantinato che si apriva e veniva richiusa, e subito dopo apparve Andy con uno straccio, intento a ripulirsi le mani. «Buone notizie?» indicò con un cenno del capo i fogli ai piedi di Patrick, appoggiandosi alla porta e incrociando le braccia, lo straccio penzoloni incastrato tra il gomito e il petto.
«Notizie» concesse Patrick sovrappensiero. Si accigliò, scorrendo lo sguardo lungo la prima pagina di dati, poi saltò direttamente alla quinta, rabbuiandosi sempre di più ad ogni riga letta.
Ad Andy quello spaginare non era mai piaciuto. «Verrai mangiato dalla polvere, qui dentro» e agitò lo straccio in direzione delle pareti foderate di libri, della finestra che si vedeva appena da dietro le librerie stracariche, della generica aria chiusa e pesante della stanza.
«Devo uscire, infatti» mormorò Patrick. Strappò una delle pagine, prese un pennarello dal tavolo e ci evidenziò qualcosa in verde fluo. Poi alzò il capo di scatto e si voltò irritato verso Andy. «Qualcosa da dire sul mio studio?»
Andy alzò le mani scuotendo il capo.
Non avrebbero mai smesso di tormentarlo per questa storia, Patrick ne era certo. Ma dove doveva tenere le cose, in cucina sotto il lavandino? Che poi avesse anche altri libri in camera sua era un altro discorso. «Tutto a posto di sotto, piuttosto?»
Andy annuì. «Ho sistemato tutti i pezzi, puoi andare giù o mandare Joe quando vuoi. Ah, il congelatore è quasi pieno.»
Come non voleva pensarci. «Grazie, avverto Joe appena lo vedo. Pete dov’è?»
«L’ultima volta che sono passato davanti alla porta del bagno l’ho sentito singhiozzare qualcosa sui suoi capelli rovinati per sempre» alzò gli occhi al cielo. «Se non si è impiccato col filo del phon, dovrebbe essere uscito. Prova in camera sua.»
«Bene…» Non c’era niente che andasse bene se aveva letto giusto su quegli esami, anche se non serviva a nulla allarmarsi per il minimo valore sballato. Ma doveva parlare con Pete.
Superò Andy salutando dietro di sé con la mano, rischiando di andare a sbattere contro il divano e la tv e lo zaino abbandonato nel mezzo del pianerottolo che né Joe né Pete si erano degnati di rimettere a posto dopo essere tornati. Era troppo distratto per badare agli ostacoli sul suo tragitto verso le scale, dopotutto - sarebbe stato troppo distratto per cantare, in quel momento. C’erano troppe cose che non quadravano, troppi brutti segni, e lui non aveva nemmeno idea su da che parte cominciare per capire quale fosse il problema.
Oltre al fatto che il vantaggio che credevano di avere sui Cobra era scomparso peggio di un castello di carte cui viene dato fuoco. E poi ci viene sputato sopra.
Era, di nuovo, totalmente perso in congetture, con il foglio premuto contro il naso e schiacciato contro il cappello, quando spalancò la porta della stanza di Pete ed entrò annunciando: «O c’è qualcosa di totalmente sbagliato nei microscopi di Ryan, o quel gran figlio…»
«Di solito è sempre colpa del gran figlio, sai» disse Joe tirando fuori la testa dall’armadio di Pete. E poi tirando fuori anche il resto del corpo, che. Um.
«Chi stavi cercando? -Cosa. Lì dentro.» Nonostante fosse abbastanza ovvio di cosa potesse essere in ricerca, visto che non aveva uno stramaledetto vestito addosso.
Asciugamano intorno ai fianchi a parte. Non che aiutasse.
Joe inarcò incerto un sopracciglio prima di sollevare dal fondo dell’armadio di Pete una t-shirt stropicciata dei Metallica che, in effetti, era sua. «Tu chi cercavi invece?» chiese, in quella che stava diventando la fiera delle domande stupide.
«Te. Cioè, no- Pete. Ma…» Oh dio, stava arrossendo, stava arrossendo ad una velocità vergognosa e lo sentiva, il sangue che gli si fiondava sulle guance e sul collo. Ma era solo colpa dei capelli di Joe, asciugati male, tutti in disordine e con le punte che ancora gocciolavano sulle sue spalle o lungo la sua clavicola e concentrazione, porca miseria. «Cercavo Pete. E Andy cerca te per dirti che puoi andare giù a vedere il demone.»
Joe arricciò il naso e tirò su la maglia come se fosse uno scudo. «Magari dopo, mi sento ancora quella robaccia sulla pelle.»
Potrei sempre farti sentire com’è la mia lingua, pensò Patrick. Poi, qualcuno mi uccida. «Sì, mi dispiace» disse invece.
Non doveva suonare troppo in sé, comunque, perché Joe lo guardò per un po’ perplesso, inclinando il capo a sinistra in una maniera che gli scopriva il collo e non aiutava minimamente Patrick ad essere in sé. «Tutto okay?»
Oh certo. Pete era disperso quando doveva consultarlo, dovevano ricominciare tutte le ricerche da capo, dovevano sventare esperimenti folli e come se non bastasse Joe sembrava non essersi accorto di avere addosso solo un metro quadrato di stoffa. Patrick non aveva tempo di stare ad aspettare che l’asciugamano crollasse.
«Io…» sospirò, si passò le dita sugli occhi e desiderò andare a letto e non alzarsi fino all’anno nuovo. «Sono solo stanco» si limitò a dire, andando a sedersi ai piedi del letto di Pete, un po’ per potersi compatire per bene un po’ per allontanarsi da Joe e tutta la sua pelle.
Quello che non aveva previsto era che Joe lo raggiungesse e si sedesse al suo fianco. «Lo sai che pretendi troppo da te stesso, vero?» gli disse, intrecciandosi le mani in grembo e sporgendosi in avanti, per scrutare con quegli occhi azzurri il profilo chinato di Patrick. «Rischi di scoppiare.»
«No, basta esplosioni.»
Joe ridacchiò, facendo sussultare il letto e il cuore di Patrick, che reagiva sempre a modo suo quando Joe faceva cose come sbadigliare o sorridere appena quando lui gli porgeva la prima tazza di caffè della giornata. Per trovare qualcosa da fare alle sue mani - che formicolavano dal bisogno di allungarsi e toccare qualcosa - passò il fax a Joe.
Joe prese docilmente la pagina e lesse le prime righe strizzando un po’ gli occhi, prima di puntarli su Patrick e affermare sinceramente: «Non ho idea di cosa c’è scritto.»
Guai, principalmente. Guai e ricette sperimentali. «Vedi quel blocco di nomi a metà pagina? Sono le analisi del corpo del mostro, non del muco. Tutta quella roba… è aconito» mormorò «Si tratta di aconito.»
Comprendeva benissimo il lampo cupo negli occhi di Joe mentre tornava a guardare nomi e numeri, con tutto un nuovo livello di gravità. Nessuno meglio di Joe poteva capire cosa volesse dire. «Magari…» cominciò «Non vuol dire niente, è solo un caso.»
«Scherzi?» sbottò, scattando in piedi. Non- non era un caso, non poteva crederlo proprio Joe. Prese a percorrere a grandi passi la stanza, che sembrava improvvisamente troppo piccola. «Nel corpo di quel mostro c’era ogni genere di sostanza! Se davvero i Cobra si sono messi a mischiare scienza e magia- …non hanno idea di cosa stanno facendo. Non hanno idea, Joe! È la cosa più… stupida e, e pericolosa che potessero fare!»
Si lasciò cadere di nuovo sul letto, perdendo tutte le energie come si era agitato di colpo. Joe lo fissava in silenzio, con le braccia incrociate appoggiate sopra le ginocchia e uno sguardo attento coperto da qualche ciuffo ribelle, la schiena piena dei riflessi di luce dalla lampada sul comodino di Pete, chiara e liscia e da mordere, e da quando la vita di Patrick era diventata così surreale?
«…scusa» sussurrò infine. Non doveva dire quelle cose, proprio a Joe, appunto - Joe che ancora si trovava a disagio quando studiava qualche nuovo incantesimo e si rifiutava di coinvolgerli anche per accendere una candela, per precauzione. Diventava sempre uno stronzo quando era stressato.
Per fortuna a Joe non importava. «Scoppiare, vedi.» Fece il più piccolo dei sorrisi e gli diede un colpetto col gomito, incoraggiante. «Spero che tu profumi di più di quel coso.»
Patrick rise, notando solo in quel momento che Joe profumava del bagnoschiuma di Pete. Della gelatina del demone restava solo un retrogusto dolciastro, non esattamente spiacevole, che si mischiava all’odore di fresco della sua pelle.
Che fosse perso nei suoi pensieri o a vagare con lo sguardo sul corpo di Joe, Patrick non disse nulla, e dopo un po’ fu Joe a riprendere, piano. «Non agitarti così presto, non abbiamo ancora nulla su cui lavorare.»
«La fai facile tu» replicò mestamente.
Joe sbuffò. «Okay, dammi la mano.»
A Patrick doveva essere finito un po’ di quella gelatina nelle orecchie. «Eh?»
«Dammi la mano.» Alzò gli occhi al cielo, tendendo il palmo aperto sotto il naso di Patrick. Patrick sentì la propria mano staccarsi dalla coperta, su cui fino a poco prima era appoggiata con totale approvazione di Patrick, e posarsi su quella di Joe, tutto di sua volontà. «Ti insegno un trucco» sorrise Joe.
Patrick temette il black out del sistema quando il suo cervello gli propose una lista di “trucchi” che potevano essere fatti con le mani. Si limitò a spalancare gli occhi e costringere la mascella a non precipitare al suolo; gli occhiali gli erano scivolati fino alla punta del naso ma, onestamente, non credeva di ricordarsi come si faceva a fregarsene.
«Non ridere» ammonì Joe. Era l’ultima cosa che pensava di fare, Patrick, mentre Joe gli voltava la mano e premeva le dita sul suo palmo. «Serve a rilassarsi, schiarirsi le idee e calmare l’ansia, quel genere di cose. C’è questa runa,» e tracciò sul palmo di Patrick una specie di s, tre linee spezzate, dal medio al polso, e le dita di Patrick sussultarono dallo sforzo per non chiudersi su quelle di Joe «quando sei teso ti concentri sul suo significato e la disegni da qualche parte finché non ti senti meglio.»
Patrick guardò la sua mano tra quelle di Joe, grandi e ruvide. Non si sentiva tanto meglio, in realtà. «Non…» tossicchiò, si sentiva la gola secca. «Non mi hai detto che significa.»
Joe fece un sorriso imbarazzato. «Be’, luce, meditazione. Protezione.»
Si appoggiò la mano di Patrick sulla gamba, la strinse nella sua e la guidò in quelle tre linee. «Meglio?»
Se avesse parlato avrebbe balbettato. Mosse cautamente le dita, incerto, come a sfidare Joe e togliere la mano. Joe strinse appena più forte. «Io…» Seguì di nuovo il disegno, da solo, sentendo il cotone soffice dell’asciugamano e immaginando cosa potesse essere farlo senza quella stupida stoffa. La tracciò un’altra volta, e ancora, e gli parve di sentire Joe rabbrividire. Poi appoggiò il palmo sulla sua coscia, e Joe, stavolta sì, trattenne il respiro. Patrick alzò lo sguardo, notando come gli occhi di Joe fossero grandi e le sue guance rosse. «Veramente no» ammise senza fiato.
«Oh.» Joe spostò la mano di Patrick - oh Dio no no no no no - la premette contro il materasso tra le loro gambe e piegò il capo, sbirciando Patrick da dietro una cascata di ciocche. «Ci sarebbe anche un, uh, altro sistema.»
Appoggiò la mano libera sulla guancia di Patrick, si mosse in avanti, e qualsiasi domanda Patrick avesse intenzione di formulare si dissolse quando Joe premette le labbra all’angolo della sua bocca.
Rimase così per un secondo, un secondo netto, ritraendosi subito dopo di scatto, e Patrick non si era mai soffermato a riflettere quanto un secondo potesse essere tanto lungo e tanto sconvolgente.
Più di un terremoto. Più di aver trovato la traduzione del manoscritto di Kelsor. Fottutamente, drasticamente e interamente sconvolgente.
Patrick distolse lo sguardo dalla bocca di Joe, puntandolo su quegli occhi pieni di agitazione e aspettativa. Era ancora talmente vicino, e la sua mano ancora bruciante sulla sua guancia, che gli sembrò semplicemente ovvio mettergli una mano dietro la nuca e piegarsi verso di lui e baciarlo per non farlo andare via mai più.
Durò più di un secondo, durò ben più di un secondo quell’avvicinarsi fino a ritrovarsi con i fianchi premuti l’uno contro l’altro, quell’esplorazione incerta senza sapere ancora bene dove toccarsi, tanto cauta quanto decisa a non interrompersi. Non proprio ora.
Patrick passò le dita tra i capelli di Joe, freschi e setosi, abbastanza lunghi da potergli permettere di tirare leggermente all’indietro la testa di Joe per baciarlo meglio. Sospirò contento - calmo, finalmente - sentendo la lingua di Joe scivolargli lentamente lungo il labbro inferiore, e aprì la bocca con insolito entusiasmo a quella carezza bollente.
Joe gli aveva infilato le mani sotto i lembi della felpa slacciata e ne teneva una premuta alla base della sua schiena, il palmo aperto possessivamente con le dita a meri millimetri da dove la sua t-shirt si scostava dalla cintura lasciando scoperto un filo di pelle, mentre con l’altra gli percorreva la schiena e faceva di tutto per portarselo ancora più vicino.
Stava iniziando a fare un po’ troppo caldo per portare tutti quei vestiti, rifletté Patrick. Si inarcò per riuscire a togliere di mezzo la felpa allontanandosi solo il minimo indispensabile - o anche meno - da Joe, producendosi in una serie di contorcimenti notevoli; si staccò di un soffio dalle sue labbra, imprecando sottovoce, per disincastrarsi dal malvagio indumento. (Non per niente, era di Pete. Quell’uomo doveva essere molesto a qualsiasi costo.) Joe fu scosso da una risata silenziosa e liberò i gomiti di Patrick dalla trappola di cotone, rendendogli possibile l’appallottolare la felpa da qualche parte di irrilevante e tornare all’occupazione della giornata.
Ossia mandare in crisi tutti i suoi ormoni e disattivargli i neuroni uno per uno.
Non era sano come semplicemente respirandogli sulla mandibola Patrick gli facesse tremare le mani. Cercando di ovviare al problema le intrufolò sotto la maglietta di Patrick, ma questo provocò solo un brusco sospiro che non migliorò la sua condizione. Salì lentamente lungo i suoi fianchi, senza dispiacersi affatto dal modo in cui la stoffa si alzava e si arrotolava inesorabilmente.
Tanto che sembrava passato appena un battito di ciglia quando Joe si ritrovò a far scorrere la t-shirt lungo le braccia sollevate di Patrick, a gettarla via travolgendo anche il suo cappello nel mezzo.
Patrick gli poggiò le mani sulla clavicola, saldo quanto bastava per fermarlo mentre abbassava gli occhi in cerca del berretto. «Io-»
«Patrick, sei mezzo nudo!»
«Sì, be’,» incrociò strette le braccia al petto, come per coprirsi. Lanciò un’occhiataccia di sbieco a Joe, con guance arrossate e labbra impossibilmente lucide che rovinavano tutta l’aria di rimprovero. «Non mi piace nemmeno quello.»
Non aveva minimamente senso visto che era stato Patrick quello a spogliarsi per primo - okay, Joe non aveva praticamente nulla da togliersi, ma comunque. Il punto era che a Joe piaceva. Gli piacevano i capelli di Patrick, che lui credeva pietosi ma erano biondi e divertenti da scombinare, gli piaceva il suo colorito troppo pallido e gli piaceva il suo corpo, in generale. Non voleva muscoli su muscoli, voleva fianchi da poter stringere e pelle morbida da baciare.
«Perché sei un mentecatto» mormorò, lo baciò forte in bocca e poi si abbassò a passargli le labbra lungo la gola, socchiudendole per succhiare qualche punto dall’aria particolarmente dolce. Patrick rabbrividì e Joe lo sentì allentare la stretta delle braccia, finché non le trovò avvolte attorno alla propria vita mentre Patrick gettava indietro la testa per lasciargli più spazio da esplorare.
Joe era sempre stato pronto ad eseguire gli ordini. Comandi di questo genere poi, dati in sospiri rochi e abbracci pressanti, stavano di sicuro diventando i suoi preferiti. Non c’era mai stato ordine più bello del battito forsennato del cuore di Patrick sotto la pressione della sua lingua.
Patrick condivideva. Non aveva idea di cosa stesse pensando Joe, ma sapeva di condividere, perché l’intesa che aveva con Joe era qualcosa che non eguagliava nemmeno quella che aveva con Pete. Era qualcosa di più… profondo, basilare. Istintivo, come la voce che gli diceva di dover andare ancor più vicino a Joe, il più vicino possibile. Percorse con la punta delle dita tutta la sua colonna vertebrale, anche mentre Joe si inarcava e gli mordeva una spalla, fino ad arrivare all’orlo dell’asciugamano, scomposto e allentato. Sembrava solo naturale superarlo e sfiorare la curva delle natiche di Joe con un tocco lieve.
«Hey, hey» ansimò Joe, prendendogli il viso tra le mani per guardarlo negli occhi con serietà. «Non eri tu quello a cui non piaceva?»
«Ho cambiato idea» sbottò, anche se a corto di fiato. «E poi mi piace se sei tu ad essere nudo.»
Joe lo guardò stupito per un attimo prima di scoppiare a ridere, il rossore sulle sue guance che si intensificava rapidamente. Come resistere? Joe non aveva idea dell’effetto che gli faceva. Lo prese per le spalle e lo spinse verso il materasso, baciandolo con passione, e salì a cavalcioni sul suo grembo facendogli sentire esattamente quanto gli piacesse.
Joe spalancò la bocca in una maniera che in qualsiasi altra situazione sarebbe stata estremamente stupida, ma che ora come ora riempiva solamente la mente di Patrick di immagini oltremodo vivide. Il confine dei suoi pantaloni divenne rapidamente molto stretto.
Joe se ne accorse, anche perché sarebbe stato difficile visto come Patrick gli era praticamente sdraiato sopra - e poteva sentire che le sue condizioni non erano poi tanto meglio, anzi - e non aspettò un attimo ad andare a combattere con i jeans di Patrick, che tra cinta e bottoni e zip non erano mai stati così indecentemente chiusi.
Nonostante la determinazione di Patrick stesso nel ritrovarsi nudo non fecero molta strada; Patrick voleva aiutare, davvero, ma trovava sempre qualcosa da toccare o capezzoli da mordere, e la pressione insistente contro il suo inguine lo distraeva già abbastanza da sola. Ringhiò di frustrazione e decise che Joe aveva la situazione sotto controllo - visto come stava spingendo giù lungo le sue gambe i pantaloni slacciati - e che lui poteva invece dedicarsi a togliere di mezzo la stoffa su di lui.
Fatto. Dio benedica gli asciugamani annodati male.
Rimase sospeso sul corpo di Joe, puntato sulle ginocchia ai lati delle sue gambe, perso nella contemplazione della perfezione del tutto - di Joe, dei suoi occhi lucidi di desiderio per lui, del suo abbandono sotto le sue mani - e sentì il fiato bloccarglisi in gola. Sentì che doveva dire… qualcosa. Sentì che doveva fare qualcosa.
Ma Joe gli aveva abbassato le mutande e stava chiudendo le dita sulla sua erezione, e non c’era molto che Patrick potesse fare se non lasciarsi sfuggire un gemito basso e chiudere gli occhi. Joe lo coinvolse in un bacio disordinato e umido e iniziò ad accarezzarlo.
Il cuore nel petto di Patrick batteva tanto forte da rischiare di rompergli la cassa toracica. Era l’unico rumore che riusciva a sentire, insieme ai propri ansiti e il respiro trattenuto di Joe.
Così non andava. Isolò il panico che voleva invadere il suo cervello, tutti i cosa sto facendo e gli oddiooddiooddio, e fece scorrere le dita lungo tutto il petto di Joe, sfiorando l’ombelico, la peluria scura sottostante, le fece scivolare lungo il pene di Joe prima di trovare il coraggio e avvolgerle saldamente attorno alla base e cominciare a masturbarlo. Era naturale, dopotutto. Era come farlo a sé stesso.
Tranne per il fatto che lo stava facendo a Joe ed era Joe che lo stava facendo a lui.
Joe gemette e Patrick gli spinse la lingua in bocca con la stessa foga con cui aveva preso a spingere nella sua stretta, e con cui sentiva Joe ricambiare; i pantaloni avvolti attorno alle cosce gli impedivano di allargare le gambe, di andare più a fondo, ma non gli importava, gli fossero pure rimaste addosso le bruciature del denim.
Continuò a spingere, più forte, più veloce, e sentiva una scarica elettrica lungo la spina dorsale ogni volta che sbatteva contro il proprio pugno chiuso su Joe, o che nelle loro spinte scoordinate le loro erezioni si scontravano. Puntò il gomito sul materasso, al lato della spalla di Joe, per reggersi sull’avambraccio mentre spingeva e pompava e baciava Joe, il suo viso, la sua gola, finché non divenne tutto un movimento frenetico indistinto e bollente, e venne mordendo il collo di Joe con gli occhi serrati contro la forza dell’orgasmo. Sentì Joe boccheggiare e dopo qualche ultima carezza anche le proprie dita bagnarsi.
Gli crollò accanto, determinato a riprendere fiato, ma le labbra di Joe gli strapparono anche quel poco di coscienza che gli rimaneva; quando Joe si separò, piano, con un sorriso stanco e le palpebre socchiuse, gli sembrava di avere la spina dorsale sciolta in una pozzanghera calda e felice. Oh, stava cominciando a non avere senso.
Lasciò andare il capo contro il materasso soffice mentre si puliva la mano in un qualche punto della coperta, anche se, ops, era di Pete. Come se si fosse mai fatto il bucato da solo, comunque.
«Joe» mormorò, voltandosi verso il compagno e specchiandosi in uno sguardo così carico di sentimenti che gli si serrava la gola solo a guardarlo. «Joe…» gli scostò distrattamente una ciocca di capelli dalla fronte e ci posò un bacio leggero, e dopo sulla guancia, e infine all’angolo della bocca, proprio come aveva fatto Joe quelle che sembravano settimane prima, per distrarlo dai problemi.
Oddio, i problemi. Oddio, i demoni. Oddio, dov’era finito il suo foglio?!
Un braccio di Joe lungo il petto bloccò il suo tentativo di alzarsi di scatto e trovare le analisi dei Panic, o avere una crisi isterica, eventualmente. «Joe!» esclamò, guardando orripilato Joe sbadigliare ed accoccolarsi meglio contro il suo petto, praticamente sopra di lui «Joe, cazzo!»
«Sta zitto.»
«Devo-!»
«Devi stare zitto» brontolò assonnato, guardandolo male, poi chiuse gli occhi. «Se neanche questo riesce a distrarti, io allora dichiaro forfait e ci rinuncio, capito? Ci rinuncio del tutto.»
«Joe…!» si trovò a lagnarsi come odiava fare.
«Zitto» ripeté «Per una volta nella tua vita, non darti la colpa di tutto. Non pensare ai Cobra, pensa a qualcos altro e dormi.» Sbadigliò. «Pensa a me, mh?» Gli posò un bacio lieve sotto il mento e strinse il braccio attorno alla sua vita, addormentandosi.
Patrick si zittì e, smettendo di preoccuparsi, almeno per una volta, almeno in quell’abbraccio, chiuse gli occhi.